Re:I postulanti dell'Assoluto - Approfondimenti.

Aperto da atomista non pentito, 12 Settembre 2020, 21:53:49 PM

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bobmax

La scienza è fondata sulla fede nella Verità.
Il che significa accettazione di non possedere la Verità e allo stesso tempo fiducia in essa.

Solo questa rinuncia al possesso dell'assolutamente vero, congiuntamente allo slancio di fede, ha permesso lo sviluppo scientifico.

Libero dai legacci, di una pretesa verità conosciuta una volta per sempre, l'uomo ha iniziato a inoltrarsi nel mondo.

Motivato da che?
Dalla propria fede nella Verità!

Ogni autentico scienziato deve perciò rifuggire la pretesa di conoscere il Vero e, allo stesso tempo, deve aver fede nella Verità.

Occorre pertanto che abbia sempre presente i limiti che la sua ricerca inevitabilmente incontra. Consapevole che questi limiti potranno in qualsiasi momento rimettere in discussione ogni conoscenza acquisita!
L'autentico scienziato dovrà perciò evitare di sistematizzare il mondo, in particolare laddove il non sapere lo richiede.

Al giorno d'oggi pare che la serietà sia spesso considerata un inutile orpello.
E così si finisce con il considerare "scienziati" dei semplici divulgatori.
Mari pure ottimi divulgatori, ma non certo degli scienziati.

Un esempio può essere Carlo Rovelli. Buon divulgatore, che ha il merito di avvicinare alla fisica chi ne è stato sempre lontano.
Solo divulgatore però.

Può essere considerato scienziato un convinto democriteo? Ora che il concetto stesso di particella è diventato un mistero?
Uno che relativamente alla teoria del Big bang si chiede cosa c'era prima, può essere uno scienziato?
Visto che questa teoria prevede la nascita del tempo?

Eppure questa è la situazione. Divulgatori, mentre gli autentici scienziati tacciono. Forse per non essere derisi dalla plebe...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Non si può pretendere che un greco di 2500 anni fa risolvesse tutte le questioni della fisica moderna ma la sua intuizione corpuscolare sta investendo tutti i parametri della realtà (fisica) compresi insospettabili quali lo spazio e il tempo laddove la costante di Plank diviene la nuova protagorica unità di misura di tutte le cose, corpuscolarmente intese.

L'ignoranza, come insegna Socrate, è stimolo alla conoscenza e per quanto siano pessimi i risultati dell'educazione scolastica un'ignoranza assoluta è difficile da trovare. Da Socrate a Newton a Wittgenstein è lezione epistemologica ed etica non fingere ipotesi spacciandole per sapere. Ma quello che si sa, si sa, senza fondamentalismo alcuno o sfondi autoritari.

Se per quote intendi lo spacchettamento dei post rispondendo punto per punto trovo che sia una ottima trovata colloquiale, rispettosa del filo logico seguito dall'interlocutore e non ci trovo nulla di "postulante della Divisibilità". (mi sono astenuta dallo spacchettare - che è sempre una complicazione in più - ed ho seguito il criterio del canone inverso il quale mi auguro non sottenda altre sintetiche diavolerie). Solo mi sia permesso questo quote:

Citazionel'ignoranza sarebbe lo sfondo da cui emerge tutto, ma lo sfondo sarebbe anche la pluralità.

L'ignoranza è lo sfondo epistemico, la pluralità è lo sfondo ontologico, già diviso di suo senza alcuna postulazione o feticismo. Semmai si pone il problema della sintesi. Qui sì si corrono i rischi di superfetazione idolatrica e le grandi sintesi Assolute ne hanno un repertorio sterminato.

Sulla diatriba scienza sì-scienza no lascio che se la vedano veda e zen. Sicuramente il dibattito sarà più interessante che quello trito sulla fede tra abramiti e atei. Poi dirò la mia se avrò qualcosa da dire.

Ringrazio phil per l'approfondimento fornito sulla sfondante visione-nonvisione del mondo zen.

Riguardo alla nascita del tempo essa riguarda questo universo del quale abbiamo pure calcolato il tempo zero. Ma quel tempo zero potrebbe essere stato sputato fuori da un buco nero in un "tempo" diverso da quello di questo universo. Chi mai potrebbe escludere ciò o ipotesi ancora più impensabili ? Riguardo alla singolarità della nascita dell'universo penso che nessuno abbia la verità in tasca e i credits di Carlo Rovelli sono eloquenti del suo status di ricercatore.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Chiedersi cosa c'era prima della nascita del tempo, vuol dire cercare di creare un nuova metafisica!
Ipotizzare cioè un esserci superiore che includa questo nostro esserci.

Questo avviene per l'incapacità di riconoscere il limite.

Un riconoscimento che causa disagio. Perché si perde il sostegno che dona implicitamente questo nostro esserci mondano. E allora ce se ne inventa un altro per auto rassicurarci.
Un po' come l'al di là per i credenti.

Ma poiché l'unica metafisica può essere solo metafisica del Nulla, questi tentativi, che altro non sono che fughe nell'immaginario, non sono che cattiva scienza e pessima filosofia.

Lo stesso vale per il bisogno di una concretezza corpuscolare.
Troppo impegnativo accettare la possibilità del Nulla...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Aumkaara

#93
I quote sono fantastici, ho solo un po' perso l'abitudine. Così come è stato fantastico Democrito, per quanto, tra i greci, preferisco (senza idolatrare) un Parmenide. Direi che è ovvio che anche le intuizioni di Democrito sono ben adattabili ad una qualche teoria o risultato sperimentale: il concetto di discreto, come quello di continuo, sorgono inevitabilmente in ogni ambito di pensiero, variamente applicabili ad ogni ambito di ricerca, perché ogni ambito presenta sia caratteristiche discrete che continue (senza fine: prima o poi sfonderanno in qualche modo "l'assoluta piccolezza di Plank", e poi troveranno un nuovo "ultimo pezzetto", e così via, anche se in modalità e concettualità molto diverse tra loro).


Il punto è che, se non si vuole cadere in assurdità della logica (che la letteratura Vedica continuamente si adopera per confutare, mentre quella zen le sfrutta, ma questa è solo una questione di metodo), con tutti i sentimentalismi o le preferenze poco equilibrate che comportano, questa dualità di discreto e continuo (caso particolare della dualità in generale) va ordinata: il discreto è davvero ontologico? Se lo fosse, l'esistenza sarebbe essenzialmente frammentata, quindi qualunque pretesa di conoscenza non potrebbe mantenersi neanche in un individuo, figuriamoci collettivamente, e la stessa universalità, di cui vediamo le regolarità naturalistiche, non potrebbe ragionevolmente mantenersi per più di un istante, già per due istanti sarebbe un miracolo, anzi, la stessa possibilità di mantenere una suddivisione conoscitiva che riconosce degli "istanti" sarebbe un miracolo. È il motivo per cui sorgono le fedi: in un universo intelligente e con una propria volontà, o in un controllore esterno altrettanto intelligente e con una altrettanta volontà precisa.


Chi ha abbastanza intuito da non dare troppo credito a queste ipotesi, che personalizzano l'universo o pongono una persona come suo controllore, dovrebbero anche intuire che rimane il problema di come fa l'universo, nella sua impersonalità, a mantenere una QUALUNQUE regolarità. Il problema è passato inosservato quando si è cominciato con una scienza che presupponeva comunque un Dio, per cui non era un problema che ci fossero leggi applicate alla natura, e si è passati ad un ateismo senza rendersi conto che a quel punto non era sufficiente definire tali leggi come "formulazione linguistica, spesso matematica, per descrivere le regolarità riscontrate": ci siamo dimenticati di spiegare come si mantenessero tali regolarità, senza più una volontà esterna, a meno che non si cadesse in un panteismo, che comunque personalizza e divinizza al pari di prima.

L'unico modo con cui è possibile che delle regolarità si mantengano senza ricadere nei suddetti fideismi è comprendere che la soluzione sta nell'invertire la dualità di cui parlavamo: il discreto, cioè la conoscenza, è epistemico, soggettivo, utile ma fittizio (per quanto momentaneamente condivisibile in certi ambiti: scientifici, che in fondo è la condivisione di un metodo, sociali, che in fondo è la condivisione di un'etica, ecc.): il che implica che non c'è nessun elemento davvero disgiunto da un altro che quindi abbisogna di regolarità per avere una qualunque interazione efficace, sensata... e continua.
Ad essere ontologico è il continuo, l'ignoranza, l'inconiscibile, l'ineffabile, l'indivisibile e l'intramontabile: niente infatti scalfisce ciò che non possiamo sapere: come possiamo dire che l'ignoranza è diminuita grazie ad una qualche nostra nuova conoscenza, se è la stessa ignoranza a non permetterci di dire se ha un confine?
Se quindi l'esistenza è intrinsecamente continua, anche se può apparire discreta, essa non ha bisogno di controllori esterni, o di una coscienza interna: è una unità che rimane sempre tale, le suddivisioni sono "solo" modi di conformarsi, che niente possono determinare, creare, dividere o distruggere, se non a parole, se non da punti di vista limitati e quindi incapaci di mettere una parola definitiva su come stanno le cose, su come è l'ontologia: hanno solo l'episteme per stabilire qualcosa, hanno cioè solo la propria soggettiva conformazione, momentanea ma non impossibile da mantenere per un po' su di uno sfondo continuo.


Non c'è niente di fideistico nell'attribuire quei non-nomi altisonanti (in-effabile, in-tramontabile, ecc.) all'inconoscibile ontologica ignoranza, è semplicemente inevitabile che l'ignoranza non si lasci veramente diminuire con un qualunque nostro atto. Né è una valutazione pessimista, quella di invertire l'attribuzione di ontologico ed epistemico all'ignoranza e alla conoscenza, perché in ogni caso non perderemo comunque mai l'episteme della conoscenza, per quanto fittizia: come ogni dualità o meglio polarità, anche in quella tra conoscenza ed ignoranza c'è inscindibilità.


PS: angolino di psicologia da strapazzo molto molto arrogante ed antipatica:
è evidente che alla fine sono io quello che ha rinunciato all'assoluto? Quando infatti dico che esso è l'ignoranza, vuol dire che "non ho speranza": non posso indicare qualcosa e dire "questa è ignoranza" (al massimo, di qualcosa, come questi miei post, posso dire che è sbagliato, inappropriato, incompleto, ecc.).
Mentre sei tu che lo cerchi, magari nell'insondabilità ribollente del segmento di Plank? In fondo è il discreto che cerca il punto fermo, la costante, l'invariante.
Prego di ignorare totalmente questo post scriptum, più che antipatico è odioso, nel voler valutare i comportamenti consci ed inconsci, di entrambi. 🤫

viator

Salve Aumkaara. Il continuo è l'onda elettromagnetica (il flusso), il discreto la materia (le particelle). Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Aumkaara

Appunto. La scienza ha sfondato il discreto degli "oggetti macroscopici" separati e il continuo dello spazio indefinito ed indipendente, per trovare un nuovo ambito in cui si ripresenta di nuovo la dualità discreto-continuo.
È solo uno degli indefiniti esempi, scientifici o meno.

Ipazia

Carissimo Aumkaara non puoi fare tutta una pippa inverecondamente duale su discreto e continuo, appiopparla ai tuoi avversari,  e pensare di aver cosí chiuso la partita con la vittoria del non duale.

La scienza non si fa di questa pippe patametafisiche, ma valuta i fenomeni per quello che essi mostrano. Il fiume é, Giove pluvio permettendo, continuo, il salto di roccia di una gola é discreto. Natura facit ut non facit saltus. In barba alle nostre gabbie metafisiche che la vogliono strattonare dalla loro parte.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Aumkaara


La "Pippa" (il correttore automatico me la mette maiuscola... sarà il suo Assoluto preferito?) sulla dualità te l'ho "appioppata" perché te avevi dichiarato (alla fine faccio un quote anche io):
Citazione L'ignoranza è lo sfondo epistemico, la pluralità è lo sfondo ontologico
Dando tu statuto ontologico alla pluralità, ho dovuto mostrare come questa non fornisca mai una conoscenza stabile. Qualcosa di instabile può essere utile, ma di sicuro non è ontologico. E se mi avessi "ontologizzato" l'ignoranza, avrei fatto il discorso opposto, per mostrare come non si può assolutizzare neanche quella, non se la si definisce in qualche modo, con concetti "positivamente" qualificanti.

Dimostrazione di "ipoontologia" di una qualunque delle due polarità in esame, prendendo un esempio che hai fatto: il fiume appare continuo ma a guardarlo meglio è fatto di "qualcosa" con proprietà interagenti ("chimiche") precise, che lo rende quindi costituito di parti discrete. Guardando ancora meglio, queste parti discrete si comportano anche in modo continuo, da qui tutte le teorie dei campi (o, per quelli più buontemponi, dei fluidi eterici), che mostrano come le parti precedentemente considerate discrete potrebbero essere in realtà delle semplici conformazioni momentanee del campo, quindi di un continuo. Non contenti per tutta una serie di incongruenze in certi ambiti, si ipotizzano discreti filiformi, non più piccoli di una ipotetica misura limite. È così in ogni ambito, non finisce mai: finché credi che l'esistenza sia davvero divisa in una dualità, o polarità che dir si voglia, i suoi poli si alternano, e a quel punto se ti fermi o comunque consideri più vero uno solo dei due, è solo per il momento, perché non si sa ancora guardare oltre o per pregiudizio (concettuale o "sentimentale"). È vero, la scienza non si pone il problema del fatto che non c'è fine a questa altalena, non è il suo compito, non ne è neanche capace, funziona solo come ariete per sfondare (leggasi "guardare meglio", più nitidamente) i discreti che si riveleranno continui che si riveleranno discreti che si riveleranno dei continui.
Non è adatta per "tirare delle somme" ontologiche.

viator

Salve Aumkaara. La Pippa era un personaggio fumettistico nostrano (Mi sembra di Staino su "l'Unità").  A proposito di personaggi, va benissimo lo stile colloquiale, informale, botta-e-risposta. Ma dal testo dei tuoi interventi non si capisce mai (non sei certo il solo a coltivare tale "approccio") a chi  stai replicando o magari talvolta neppure se stai replicando o solmente esternando (c'è una coppia di miei amici che approfitto per salutare caramente : lei si chiama Ester e lui Nando).

Ciò costringe talvola il lettore estraneo ai tuoi personali "dialoghi bipolari" a correr su tra gli interventi precedenti per per poterli "cucire" tra di loro e quindi ricostruirne l'andamento. Aspetto questo che secondo me nuoce ad una dialettica immediatamente condivisibile da ciascuno di noi.

Comunque, vedendo te ed Ipazia assai infervorati attorno ai deliziosi particolari di questo argomento, io rifletto : "Guarda tu a cosa porta l'amore per la dialettica (il quale certo coinvolge anche me in numerose - anche se meno autorevoli - circostanze) !!. Ma non basta conoscere il principio di indeterminazione per comprendere la inutilità (sempre interessante, però) di certe  trattazioni ?. Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

@Aumkaara

Infervoratamente proseguo. Che l'ignoranza appartenga allo spettro semantico dell'episteme mi pare evidente, così come che la pluralità sia una evidenza ontologica a cui si interessa la scienza. Se Aum diventa positivo la cosa riguarda la sua salute e non la mia.

L'ignoranza non è l'archè metafisicamente reificata di nulla (o Nulla), ma solo uno stato epistemico negativo che si supera man mano che le cose si vengono a sapere. E così via. Questo è il metodo scientifico basato sull'evidenza.

Aumentando le strumentazioni d'indagine aumenta anche la risoluzione del reale: enti che sembravano singolari ("non duali") si scoprono formati da una pluralità di altri enti più piccoli. Una materia apparentemente omogenea (continua) si rivela discontinua ed eterogenea. In tale processo conoscitivo non c'è nulla di metafisico, ma avviene tutto per via fisico-chimica-biologica.

Anche la definizione di continuo e discreto è contestuale (e non convenzionale) al fenomeno considerato. Lo scambio di calore è considerato un processo continuo nella termodinamica classica, mentre a livello molecolare si considerano le interazioni tra parti discrete. Qual'è il problema ? Entrambe le metodologie funzionano nel contesto applicativo che è loro proprio.

E' proprio per questa pluralità di prospettive fenomenologiche che la scienza, pur possedendo i maggiori crediti in campo ontologico, non ci fa sopra castelli di fumo noumenico e crociate come spesso accade metafisicizzando il tutto e tirando "somme ontologiche" su cui mi taccio per carità di forum e netichetta.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Aumkaara

#100
Viator: capisco la difficoltà che hai sottolineato. Perché me l'hai spiegata, non perché la sperimento (neanche con chi la fa a me): non ho bisogno di correre qua e là per la risposta che mi è stata data, per rintracciare le cose a cui mi riferisco. Quando mi vedo esposto qualcosa, è "nuovo" a prescindere, non c'è neanche bisogno che sia più di tanto legato a quello che è stato detto precedentemente. In pratica, il filo dei pensieri o dei principi su cui si basa quello che scrivo riconosce i "propri simili" (ovvero ciò che gli è più attinente) in ogni ambito, non c'è bisogno di ritrovare punto per punto ogni risposta. Non scrivo infatti con il principio della "botta e risposta": come avevo già accennato, più che un dialogo contrapposto, prendo ciò che mi viene detto per affinare o viceversa rovesciare quello che dico, affinché non sia mai granitico, affinché non si basi mai su concetti fissi, assolutizzati.


Ipazia: prendo spunto dal fatto che Viator mi ha fatto notare che è di poco aiuto far perdere in un mare di spiegazioni (anche se servono proprio per non assolutizzare nessun punto, che è proprio quello che "rimprovero agli altri", soprattutto quando pensano di fare altrettanto), e prendo un piccolissimo punto soltanto, come se fosse una chiave di volta di tutto l'ultimo discorso:
CitazioneQual'è il problema ? Entrambe le metodologie funzionano nel contesto applicativo che è loro proprio.[/size]
Appunto: separazione, incongruenza, incapacità di sintesi, da parte della scienza. Che è bene! Non deve avere più di tanto una visione d'insieme.
Proprio per questo però non può permettersi di essere la prima a poter dire cosa è ontologico o no, cosa è vero o no. Il suo fine è favorire la tecnica, con cui piegare le apparenze percettive che sperimentiamo. Lei non fornisce la visione della realtà (usiamo questa espressione al di là che la realtà sia sottoponibile a visione o meno), perché la sua conoscenza è data da delle metodologie (parole tue!), e i metodi partono da (anzi, sono) una selezione della realtà, quindi sono un artificio ("fare con arte", appunto un fare, prima che un conoscere). Basta infatti focalizzare l'attenzione in modo più o meno nitido (guardando sempre lo stesso fiume, e non cambiando luogo di ricerca!) e ci ritroviamo con "verità" incongrienti tra loro, che sembrano riguardare cose diverse - e invece hai sempre e solo il fiume! Anche se non è un nome che gli daresti, a certi gradi di nitidezza di osservazione.
Va benissimo così, dici bene, ma da questo non possiamo trarre nessuna visione di insieme. Che è qualcosa che non possiamo non fare. Se crediamo di potervi rinunciare, ce la ritroviamo in qualche forma come pregiudizio inconscio. Meglio trovare consapevolmente e volontariamente una strada per essa, anche se dovesse venir fuori che anche la visione d'insieme non è esattamente la realtà. Ma la scienza, quindi la visione plurale, discreta, presa come guida principale e come meta per sapere cosa è reale o meno, non è adatta a prescindere (proprio perché... scinde a priori).

Ipazia

Chi può dare una "visione d'insieme ontologica" migliore di quella acquisita per via scientifica ? Chi può vedere virus e astri remoti in assenza degli strumenti della tecnoscienza ?

Anche nell'universo antropologico, nella sua trascendentalità, quale supporto etico è migliore di quello fornito dal metodo scientifico ?

Come potremmo dire qualcosa di sensato, anche in senso etico, su ivg, malattie, rischi lavorativi, ecologia, eutanasia, ... in assenza delle conoscenze fornite dalla ricerca scientifica ?

La quale non promette, come altre favolistiche dell'Assoluto, paradisi e nirvana, ma quel poco che promette lo mantiene e, soprattutto, lo fa senza ricorrere ai misteri della fede o al carisma di un guru.

Le scissioni operate dal metodo scientifico sono funzionali alla sezione della realtà considerata: per far viaggiare i treni è sufficiente il tempo galileiano, per spedire una sonda su Marte è necessaria una correzione relativistica del tempo. Non sono due "verità" diverse, ma due modi, ontologicamente corretti entrambi, di adeguamento della tecnoscienza alla realtà, usando i mezzi adeguati ai differenti scopi.

Se aspettavamo la Verità dai postulanti dell'Assoluto saremmo ancora al paleolitico. E in attesa della Verità saremmo sommersi da maionesi metafisiche tuttologiche che sproloquiano di Tutto e non spiegano nulla. Realizzando alfine soltanto una cosa: il Nulla metafisico. No, grazie. Mi tengo l'immanenza con tutte le sue approssimazioni e semplificazioni e uso la mia intelligenza per individuare le contraddizioni dei postulanti dell'Assoluto, che anche a ricettario metafisico zoppicano assai.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Aumkaara

#102
Hai fatto una descrizione degli aspetti positivi della scienza, praticamente una apologia. Ero già d'accordo che la scienza era utile. Mancano però gli aspetti negativi, i conflitti che alimenta, le commistioni con fascinazioni poco rigorose, come quelle economiche, i protocolli a cui spesso si riduce e che sono dannosi quando non ben adattabili a tutti i contesti, il fatto che l'etica e l'elecologia di cui accenni siano descrittive ed oggettivistiche e quindi non sufficientemente motivanti.
Ma siamo anche d'accordo che essa è (estrapolo letteralmente le seguenti parole) scissa, funzionale, e portatrice di adattamento, non di verità. Basterebbe questo per vedere che non si adatta neanche alla totalità del singolo umano o della sua società, figuriamoci a tutto quello che può esistere.
Non ho cercato di compensare questa mancanza con aspetti ancora più manchevoli, come religioni e metafisiche esclusivamente teoretiche, fini a se stesse. Non si tratta neanche di cercare la verità.
Sì tratta di avere una visione d'insieme che la descrizione di osservazioni parziali etichettate come "virus" e "astri", o strumenti assemblati per avere certe funzioni come il treno e le sonde, non ci daranno mai. Una visione d'insieme che, in quanto non frammentata (quindi non conflittuale), non si oppone alla scienza, ma attenuerebbe i conflitti dei suoi eccessi. Potrebbe valerne la pena,  perlomeno iniziare ad interessarsi alla possibilità che almeno esista, anche se dandogli attenzione potrebbero rallentare altre attività? Anche perché parli di contraddizioni dei postulanti dell'Assoluto, ma se anche ci fossero non sono evidenziabili con una apologia scientifica, né qui vedo postulanti che propongono assoluti divinizzati o beatitudini nullificanti.

Aumkaara

#103
Ma quel che ho appena detto verso la fine rischia di diventare anch'esso una apologia, stavolta senza neanche prodotti da mostrare, né positivi né negativi (come nel caso invece della scienza).
Partiamo da un punto più basilare, già posto ma non risolto se si nega una visione non pluralista ontologica. Una domanda che è in linea con quanto detto finora ma che potrebbe stare bene in apertura di un altro argomento: come si spiegano, in assenza di divinità esterne o di un panteismo (presumendo che non crediamo ad entrambi), le regolarità riscontrate nei rapporti tra elementi di un'esistenza realmente frammentaria (e non frammentata artificiosamente per finalità di approssimazione conoscitiva)?

viator

Salve Aumkaara. Citandoti : "come si spiegano, in assenza di divinità esterne o di un panteismo (presumendo che non crediamo ad entrambi), le regolarità riscontrate nei rapporti tra elementi di un'esistenza realmente frammentaria (e non frammentata artificiosamente per finalità di approssimazione conoscitiva)?".

Io le spiego sulla base di un andamento natural-naturalistico il quale prevede - all'interno della inesorabile continua diversificazione (senza meta (umana)) del mondo - che ogni "novità" (ad esempio il sorgere di nuova vita, sia essa individuale o specifica) possa instaurarsi solamente solo dopo aver ripercorso all'indietro - più o meno totalmente - il cammino che ha portato il mondo ad essere quello che è, preparandondo a quello che sarà attraverso quello che è stato.

Si tratta della palingenesi (semplice parente dell'entropia), il cui più mirabile esempio è a parer mio contenuto nella descrizione freudiana dell'orgasmo, il quale appunto consiste in una "palingenetica obliterazione dell'io coscente il quale, tendendo ad infuturarsi in un archetipo prototipo, matura nella sinderesi".

In paroline povere, per passare l'esame bisogna farsi prima un bel ripasso del programma scolastico.

Il nuovo lo si può fare solo spogliandosi (in tutti i sensi, abbandonando indumenti, ruoli sociali, conoscenze culturali, sentimenti umani, consapevolezza di sè......abbandonandosi alla primigenia istintualità di un orgasmo il quale, se fecondante, darà l'avvio alla risalita - in un altro - dalle origini biologiche sino al perfezionamento di un nuovo "noi stessi".


Quindi quelle che tu chiami non impropriamente "regolarità", io le chiamo "reiterazioni"e rappresentano - sempre secondo me - l'aspetto "palingenetico" dell'andamento dell'entropia.

Ora tiro un piccolo sospiro di sollievo poichè - in una discussione svoltasi nel confronto tra una tesi antropo-scientistica ed la tua visione a sfondo metafisicheggiante, ho inserito - sotto forma di sassolino - la mia personale variante- Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

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