Realtà e rappresentazione

Aperto da Apeiron, 18 Ottobre 2016, 19:39:34 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

sgiombo

Citazione di: green demetr il 18 Novembre 2016, 01:59:22 AM
A me caro DonalDuck pare che manchi il problema del soggetto.

Qualsiasi delirio sull'oggetto quantistico, è un atto paranoico, come se il soggetto non esistesse.
E invece bisognerebbe chiedersi perchè film sempre più fantasmagorici fanno del reale qualcosa per pochi eletti (filosofi e qualche intellettuale), (e i cari film noir (hollywood '50) non se ne vedono più. :'(  )

Tra l'altro seguendo il filo di Maral, che condiviso al 100% (e che mi rende ancora più stupito di come possa seguire il suo 3d su verità come pratica...ma va bè, è un altra questione), ho riletto la posizione di DAVINTRO, ed effettivamente credo che il problema sia ANCORA sempre quello, ossia che caro DAVINTRO sei un solipsita, in filosofia analitica saresti sotto l'etichetta di DUALISTA RADICALE, in quanto accetti che esiste l'oggetto come conoscibile, ma non che lo sia il SOGGETTO (almeno credo  :P  *).


Ma come già ampiamente spiegato da Maral (nella sua diatriba infinita con il pessimo ;)  Sgiombo) il soggetto si dà solo come negazione rispetto ad un oggetto (sempre Spinoza omnis determinatio est negatio).

Citazione(Purtroppo da qui in poi non ho capito nulla, e dunque mi astengo da obiezioni; che rivolgo dunque solo a quanto affermato qui sopra, che cerdo di aver capito).


Beh, naturalmete non si può pretendere di piacere a tutti.
Personalmente non l' ho mai preteso (e in genere, essendo alquanto "all' antica" e politicamente scorretto, preferisco piacere alle belle donne; fino a qualche tempo fa, adesso sono troppo vecchio e non voglio cadere nel ridicolo), dunque non faccio nessuna fatica ad accettare con grande serenità la qualifica di "pessimo" da parte tua.
Anzi, devo dire che apprezzo molto la tua franchezza, che trovo una qualità decisamente positiva (e alquanto rara, oggigiorno, rispetto al' ipocrisia).

"Omnis determinatio est negatio", certo, ma non nella realtà in generale (non "in sede ontologica"), bensì  nel pensiero ("in sede logica"; e conseguentemente gnoseologica o epistemologica); altrimenti poiché la "realtà di qualcosa" non si può sensatamente pensare senza metterla in relazione (di negazione) con "il nulla" si arriverebbe all' assurdo (autocontraddizione) di sostenere che esiste realmente qualcosa e contemporaneamente esiste realmente anche il nulla, mentre in realtà esiste qualcosa e non il nulla, anche se lo sappiamo perché possiamo pensarlo inseparabilmente dal pensiero (concetto) del "nulla".
Così non si può pensare l' il "soggetto" se non in relazione con l' "oggetto" (come concetti), ma questo non toglie che -in linea teorica, di principio, ipoteticamente- nella realtà possa esistere unicamente il soggetto con i suoi pensieri e nient' altro (anche se per saperlo, per inenderlo egli dovrebbe conoscere anche il concetto di "oggetto" privo di referente reale o denotazione, in relazione di negazione-alterità con quello di "soggetto").

A me solipsista sembra Donalduk "ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso".

Donalduck

green demeter ha scritto:
CitazioneA me caro DonalDuck pare che manchi il problema del soggetto.

Qualsiasi delirio sull'oggetto quantistico, è un atto paranoico, come se il soggetto non esistesse.
E invece bisognerebbe chiedersi perchè film sempre più fantasmagorici fanno del reale qualcosa per pochi eletti (filosofi e qualche intellettuale), (e i cari film noir (hollywood '50) non se ne vedono più.  )
Caro GD,  spero che ti renda conto, rileggendoti, che le tue frasi sono incomprensibili, o se vuoi, possono essere interpretate in cento modi diversi.
In una discussione sarebbe auspicabile cercare di esprimere idee chiare e il più possibile precise, altrimenti la discussione muore lì o va avanti vagando senza meta e senza regole.

davintro

Solo per chiarire sinteticamente la mia posizione in riferimento all'ultimo post di Green demetr:

Non mi ritengo un solipsista. Dal punto di vista del "realismo ingenuo" ammetto ad un livello non apodittico, ma probabilistico, la corrispondenza tra le mie percezione e l'oggettività delle cose. Dal punto di vista filosofico-razionale penso che il solipsismo sia un'ipotesi da ammettere a livello metodologico procedurale, ma non valida a livello definitivo e assoluto. Razionalità del discorso vuol dire fondare tale discorso su basi certe ed inoppugnabili, e dunque, seguendo Cartesio, queste basi sono la certezza dell'Io come soggetto pensante ed esistente e l'ammissione di una struttura di vissuti che compongono la coscienza soggettiva. L'esistenza di tale soggettività cosciente, ed in particolare il carattere di intenzionalità che porta l'Io a tendere ad un mondo fuori di sè e la passività del contenuto delle percezioni che forma le categorie e gli schemi dell'Io, tutti punti approfonditi dalla fenomenologia, presuppone l'esistenza di un'oggettività nei confronti della quale la ragione riconosce l'esistenza di alcuni modi relazionali con la coscienza, ma sospende il giudizio sulla corrispondenza tra  essa e la totalità delle percezioni, corrispondenza assunta in modo fideistico e probabilistico dal senso comune non filosofico che l'ipotesi del solipsismo non la considera. Sono temi che mi hanno più volte coinvolto nelle mie riflessioni personali Ho pensato all'angoscia in cui si può cadere nel riconoscimento dell'incertezza costituita dalla possibilità dell'illusione, della possibilità che le nostre percezioni fossero solo allucinazione, che tutta l'esperienza del mondo, gli eventi, le persone che conosco, fosse solo un sogno, una fantasia inconsapevole che nasconde la vera realtà, della quale non possiamo sapere nulla con certezza. Ed ho sperimentato la quiete nella almeno parziale soluzione del problema nell'idea che, nella "peggiore" delle ipotesi, considerando tutto l'apparato percettivo come illusorio, il riconoscimento del non arbitrario ma passivo accadere nella mia mente di tali percezioni illusorie presupponesse pur sempre l'esisitenza di un Qualcosa  di altro dal mio Io che interviene su di esso infondendo nella mia coscienza quelle immagini. Anche nella più estrema separazione della percezione soggettiva dalla realtà oggettiva, non sarei solo, ma ci sarebbe questo Qualcosa con cui essere in una sorta di relazione, al di là del caratterizzarlo in termini personali (genio ingannatore, Dio benevolo comunicatore di sogni ecc..) o impersonali, è qualcosa di irriducibile all'Io

Per tutto ciò non penso di sostenere che, cito da Green,  "esiste l'oggetto come conoscibile, ma che non lo sia il SOGGETTO". Al contrario, per me proprio partendo dal livello basico di evidenza, l'intuizione dei vissuti soggettivi, si può giungere a una conoscenza il più possibile razionale e rigorosa dell'oggetto. L'intenzionalità è relazione soggetto-oggetto

Donalduck

Sgiombo ha scritto
CitazioneA me solipsista sembra Donalduk "ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso".
questa la definizione di solipsismo nell'enciclopedia Treccani online:
CitazioneTermine filosofico con cui si indica l'orientamento di chi considera il soggetto come l'unica autentica realtà, sia dal punto di vista pratico, ponendo l'interesse individuale a fondamento determinante dell'azione, sia da quello gnoseologico-metafisico, intendendo la realtà esterna come semplice rappresentazione della coscienza soggettiva.
La mia posizione non ha nulla a che vedere, se non forse in apparenza, con il solipsismo. Questo si può già desumere dalla frase riportata in cui evidenzio che per me non solo non ha senso parlare di realtà senza coscienza, ma neppure di coscienza senza realtà.
Si tratta di due facce indivisibili della stessa moneta, di due aspetti o componenti della realtà, entrambi necessari, che si presuppongono a vicenda.
Inoltre il solipsismo, comunemente inteso, mette l'accento sul soggetto singolo, mentre io mi riferisco al soggetto in generale, come entità concettuale, come ruolo, alla coscienza in generale e non a uno qualunque degli innumerevoli centri di coscienza (forme viventi). Ritengo che la coscienza non sia né mia né di nessun altro, ma dell'esistenza in generale, e noi, in quanto centri, o nodi di una rete, ne siamo semplicemente partecipi. Allo stesso modo in cui la forza di gravità non appartiene a nessun corpo in particolare o a nessun punto dello spazio (o spaziotempo) in particolare, ma all'universo in generale.
Una posizione agli antipodi di quella di chi considera la coscienza un "epifenomeno", la vita come un fatto accidentale e l'uomo come una bizzarra anomalia dell'universo. E anche, naturalmente, in contrasto con quella di chiunque fantastichi di un mondo "oggettivo" in senso assoluto, ossia esistente "di per sé" senza nessuna presenza cosciente che lo osservi. Uso il termine "fantasticare" perché, al di là del valore di "verità" che si posso o voglia attribuire a questo presunto mondo "oggettivo", si tratta di qualcosa al di fuori di ogni nostra possibile esperienza e al di fuori di qualunque inferenza logica basata su dati disponibili, quindi un prodotto dell'immaginazione.

sgiombo

Citazione di: Donalduck il 20 Novembre 2016, 12:07:14 PM
Sgiombo ha scritto
CitazioneA me solipsista sembra Donalduk "ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso".
questa la definizione di solipsismo nell'enciclopedia Treccani online:
CitazioneTermine filosofico con cui si indica l'orientamento di chi considera il soggetto come l'unica autentica realtà, sia dal punto di vista pratico, ponendo l'interesse individuale a fondamento determinante dell'azione, sia da quello gnoseologico-metafisico, intendendo la realtà esterna come semplice rappresentazione della coscienza soggettiva.
La mia posizione non ha nulla a che vedere, se non forse in apparenza, con il solipsismo. Questo si può già desumere dalla frase riportata in cui evidenzio che per me non solo non ha senso parlare di realtà senza coscienza, ma neppure di coscienza senza realtà.
Si tratta di due facce indivisibili della stessa moneta, di due aspetti o componenti della realtà, entrambi necessari, che si presuppongono a vicenda.
Inoltre il solipsismo, comunemente inteso, mette l'accento sul soggetto singolo, mentre io mi riferisco al soggetto in generale, come entità concettuale, come ruolo, alla coscienza in generale e non a uno qualunque degli innumerevoli centri di coscienza (forme viventi). Ritengo che la coscienza non sia né mia né di nessun altro, ma dell'esistenza in generale, e noi, in quanto centri, o nodi di una rete, ne siamo semplicemente partecipi. Allo stesso modo in cui la forza di gravità non appartiene a nessun corpo in particolare o a nessun punto dello spazio (o spaziotempo) in particolare, ma all'universo in generale.
Una posizione agli antipodi di quella di chi considera la coscienza un "epifenomeno", la vita come un fatto accidentale e l'uomo come una bizzarra anomalia dell'universo. E anche, naturalmente, in contrasto con quella di chiunque fantastichi di un mondo "oggettivo" in senso assoluto, ossia esistente "di per sé" senza nessuna presenza cosciente che lo osservi. Uso il termine "fantasticare" perché, al di là del valore di "verità" che si posso o voglia attribuire a questo presunto mondo "oggettivo", si tratta di qualcosa al di fuori di ogni nostra possibile esperienza e al di fuori di qualunque inferenza logica basata su dati disponibili, quindi un prodotto dell'immaginazione.

CitazioneTi ringrazio per la spiegazione (e ovviamente prendo atto delle tue convinzioni).
 
Noto per parte mia che l' ipotesi di un mondo oggettivo (contrariamente a te non uso le virgolette) in senso assoluto, ossia esistente "di per sé" (che sarebbe tale) anche indipendentemente dalla (e ulteriormente alla) presenza cosciente che lo osservi (o "alla quale si manifestasse fenomenicamente"; salvo ovviamente questa presenza, nella realtà complessivamente intesa), oltre ad essere non dimostrabile (essere vera; in quanto al di fuori di qualunque inferenza logica basata su dati disponibili, oltre che al di fuori di ogni nostra possibile esperienza: concordo), nemmeno è dimostrabile essere falsa.

Un po' come Dio

Personalmente la credo (ritenendo che, al contrario di Dio, spieghi quanto constato e/o dimostrato; a mio parere –mi rendo conto soggettivo- meglio di un' alternativa sorta di leibniziana "armonia prestabilita" fra le diverse componenti materiali delle esperienze coscienti, se si crede –come da parte mia- alla possibilità-verità della conoscenza scientifica di queste ultime).

green demetr

scritto ieri  (tentativo di sintesi grossolana delle posizioni che seguo) un post per nessuno  :P (ma visto che ci ho speso un sacco di tempo lo propongo lo stesso. 8) )






Allora Donalduck certo i miei post hanno un abbondante dose di rapsodismo, ma è il mio modo di scaricare nello scritto le tensioni filosofiche ed esistenziali.

Non ho ben capito quali siano queste "regole da mantenere per un discorso che non si areni". A mio parere sono anch'esse proiezioni dell'io per mascherare il desiderio o volontà che la discussione sia NOSTRA e dunque si attinene alle NOSTRE regole, nelle mie discussioni io la chiamo fantasma, fantasmatica, paranoia.

Ora provo a rispondere a DAVINTRO così da far capire anche a Donalduck in cosa consiste "il problema del soggetto". [nd. ok Donalduck sono troppe cose messe insieme, d'altronde sono frutto di 20 anni di ricerca, allora stando alla tua argomentazione, ti chiedo semplicemente ma cosa sarebbe il soggetto, il tuo io, all'interno di questo campo quantistico, almeno proviamo a proseguire un minimo assieme sull'argomentazione tua.]

DAVINTRO ho detto che sei un DUALISTA, non un solipsista comunuqe.

Ma come la si metta, la propria posizione, rispetto alla scuola analitica americana, rimane non capita la questione che pongo (e che a mio parere dovrebbe essere la questione principale in tutto il panorama filosofico).

Il problema che tiene in scacco la filosofia fino alla grande crisi del soggetto del '900, anticipata dalle svolte dei maestri del sospetto Nietzche, Freud, Marx (come ebbe modo di scrivere con fortuna RICOEUR), è proprio il dualismo Cartesiano.

DAVINTRO scrive "Ed ho sperimentato la quiete nella almeno parziale soluzione del problema nell'idea che, nella "peggiore" delle ipotesi, considerando tutto l'apparato percettivo come illusorio, il riconoscimento del non arbitrario ma passivo accadere nella mia mente di tali percezioni illusorie presupponesse pur sempre l'esisitenza di un Qualcosa  di altro dal mio Io che interviene su di esso infondendo nella mia coscienza quelle immagini. Anche nella più estrema separazione della percezione soggettiva dalla realtà oggettiva, non sarei solo, ma ci sarebbe questo Qualcosa con cui essere in una sorta di relazione, al di là del caratterizzarlo in termini personali (genio ingannatore, Dio benevolo comunicatore di sogni ecc..) o impersonali, è qualcosa di irriducibile all'Io"

Il punto è che se esiste un oggetto, una variabile, una realtà "irriducibile al soggetto", vuol dire che ESISTE ANCORA un soggetto.

Quello che rimarrebbe da pensare è dunque cosa diventi questa irriducibilità all'interno dello stesso soggetto.

Ma appunto da qui partirebbero le varie scuole analitiche, posizioni moniste, dualiste, miste (radicali o moderate che siano).

Cosa manca però rispetto al SOSPETTO? Manca proprio il soggetto! Che cosa noi intendiamo quando noi diciamo "IO", in che senso si verrebbero ad instaurare rapporti con l'oggetto? Ovvero il soggetto è sempre lo stesso??

Per la scuola del sospetto la risposta è NO.

Il soggetto DIVIENE in corrispondenza della irriducibilità del reale esterno ad una nostra fantasia.

Parlo di fantasia proprio perchè essendo il soggetto, la collezione mnemonica e bios-logica, vivente della corrispondenza relativa fra percetto e scrittura o mnestica che sia, rispetto ad una oggettività che è irriducibile non solo come divenienza (mnestica) ma proprio con la stessa corrispondeza relativa.

Ossia il soggetto si interroga sempre sulla propria mnestica rispetto a quel valore che è SEMPRE supposto di CORRISPONDENZA con ciò che chiama reale, e che appunto NON RIESCE MAI ad afferrare.

La scienza è la punta di DIAMANTE di questo processo di FISSAZIONE delle CORRISPONDENZE mnestiche e di scrittura.

Ma questa fissazione è APRIORI falsificabile, in quanto esiste sempre l'irriducibilità stessa del reale. (reale che appunto non è il reale oggettivo, come pensiamo sempre in maniera positiva, propositiva, ma è invece per INFERENZA, per NEGAZIONE, RELATIVA alla CORRISPONDENZA SUPPOSTA.)

Dunque è relativa rispetto ad una corrispondenza irriducibile della mnestica inferenziale.

Dunque l'IO è questo tentativo infinito (fin che morti non ci separi) di tenersi insieme come mnestica del relativo corrispondente.

Ma cosa è questo corrispettivo mmestico se non che l'OGGETTO.

Dunque l'io è quel tentativo sempre fallito di diventare l'oggetto stesso, su cui come spesso dico "l'io si piega".

Il punto NODALE che la filosofia è TENUTA a rispondere è proprio quale sia il carattere EMOTIVO di questo FALLIMENTO.

Per questo credo che la psicanalisi, ma anche Nietzche, ma anche Marx (nel suo primo libro sul CAPITALE) ci aiutino immensamente a capire in cosa consiste la curvatura la coloratura, visto che sono emozioni, delle stesse.

L'emozione, la spinta bios-logica vitale,il vivente (Agamben), quella che spinge nell'ATTO a diventare SOGGETTO (che poi se non erro sarebbe l'intenzionalità husserliana, od una sua possibile lettura), ha caratteristiche a mio parere trascendenti, ma questo è una mia fantasia, o proposta di indagine.(teologia negativa)

Rimane il fatto è che se implode come fallimento costitutivo di un SOGGETTO ETERNO (che si vuole eterno, per principio di conservazione, per mera costitutività della emozione stessa etc...etcc...), essa si colora si curva creando il suo CLONE, LA COPIA (platonica), il FANTASMA, Il DIAVOLO (IL DUE), ossia cerca di rendere TOLLERABILE il suo fallimento.

E' quello che FREUD scoprì, chiamandolo l'impulso di morte. (nel libretto AUREO e rimosso da tutti, "AL DI LA' DEL PRINCIPIO DEL PIACERE").

(Platone, per quanto a me sospetto, in quanto antico, potrebbe averne parlato a lungo di questa questione, sarebbe poi il concetto di IDEA e BENE, no?)

Il THANATOS, la storia segreta dell'occidente, della civiltà che si AUTODISTRUGGE etcc...etcc...


Dunque per tornare a bomba della nostra discussione, ritorniamo a pensare il rapporto soggetto-oggetto.

Al solipsista come sapete gli rimprovero che non sa riconoscere l'oggetto, ma in realtà il problema è ancor più a monte (a questo punto).

Perchè per me è CHIARO e LAPALISSIANO, che è una RINUNCIA a qeulla guerra che costitutivamente ci impegna nella ricerca di "come se fossimo dei soggetti" variabili e non FISSI, MONOLITICI.

Il problema è ancora reso più chiaro dalle ricerche psicanalitiche lacaniane, che scopre come questo FISSAZIONE FALLITA, riproduca puntualmente alla rinuncia di conoscersi (conosci te stesso, per conoscere meglio l'ALTRO, recitava la SIBILLA), e cioè si inventa un soggetto paranoide, folle, che non ha relazione con il reale, dinamico cangiante, diventa MONUMENTO A SE STESSO (e diventa come la psicanalisi fenomenologica ha scoperto SENZA TEMPO, con il mito della eterna giovinezza etc..etc..).

L'operazione sottesa è dunque che suppone il soggetto non esista  (in realtà come ho cercato di spiegare, fallisce a riconoscersi cangiante)  e lo sostituisce con una fantasia.

Siccome è difficile avere fantasia, aggiungo, il POTERE subentra a queste operazioni paranoidi, tipiche dell'occidente, sostituendo al soggetto fantastico, il soggetto  giuridico, e imponendosi come LEGGE.

Dunque il soggetto di cui parlate, o da cui parlate, io ritengo sia un soggetto legale, giurdico, che mai si sognerebbe di smantellare la FANTASMATICA sottesa al paranoide.

Dunque il soggetto è fallito e spedito su MARTE ;) (in un imprecisato mondo legale, che molto somiglia a quello cattolico), divenendo quindi paranoide e schizzato. :'(

Da qui l'impossibilità mia di ipotizzare una sottrazione al POTERE dei miei amici. :-[  (che è l'ultima mia acquisizione in ordine temporale).
(Ci si presenta sempre tramite la propria professione, come se quella veramente decidesse "legalmente" della nostra esistenza.....In quale inferno mi tocca vivere???  :'( )

Il problema del dualismo cartesiano è dunque radicalmente il "problema dei problemi", in quanto di quel soggetto ne fa addirittura un algebra, una formula certa.
(Cadendo come Calciolari ha notato nella depressione, come testimoniano le lettere alla regina svedese).
D'altronde per quanto geniale intellettualmente, il genio maligno non è forse la REALE CONSEGNA di quel modo di (s)ragionare?
Ossia appunto....ma non è che io Cartesio sto vaneggiando???

Non esiste certezza di un "IO". Ragazzi il punto è quello! sebbene dubito che abbiate capito qualcosa della mia argomentazione  :'(  (in quanto ritengo tutti, me compreso se avete capito bene, DENTRO il processo SCHIZOIDE,alias io sono qualcosa di concreto, quando invece tutti noi siamo qualcosa di cangiante).



Dunque caro DAVINTRO anche il soggetto se vogliamo fare una fenomenologia seria, deve stare dentro a questo processo di interiorizzazione della realtà, ossia deve anch'esso essere irriducibile (e per questo come dice il MAESTRO Nietzche, in perenne guerra con se stesso).

D'altronde la sospensione del giudizio Husserliana, io la vedo più così: come un mettere da parte per un istante il soggetto forte, farlo diventare per così dire DEBOLE (su questo quanto avrebbe da dire il buon VATTIMO!) e riappropiarsi dell'oggetto che è sempre cangiante.

Anche se poi ripeto Husserl parla dell'oggetto che si da a me, e non di io che vado all'oggetto, e  questa cosa mi lascia perplesso.

Però grazie a te DAVINTRO, grazie allo spostamento in chiave ontologica, il problema viene (può essere, per amore di discussione) bypassato. Certo rimaniamo di fatto inconciliabili dal punto di vista argomentativo, perchè tu di quel soggetto non vuoi proprio parlarne.

Per questo dicevo che per te il "soggetto dunque non esiste". Questioni di punti di vista e di altezze differenti dello sguardo. (ovviamente io ho ragione e tu hai torto, ma va bè!  ;)  ;) )
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Risposta a GreenDemetr

Francamente ti trovo scarsissimamente comprensibile (commento solo quel poco che credo di aver -forse!- capito)
 
Che qualcuno abbia accomunato Marx a Freud e a Nietzche come "maestri del sospetto" non mi sembra autorizzi in alcun modo a parlare di una presunta "scuola del sospetto" (a meno che con questa espressione non intenda qualcos' altro: altri autori fra loro collaboranti, reciprocamente approvantisi, o per lo meno conciliabili).
A mio parere il primo dei tre, del quale ho una certa conoscenza, è assolutamente inconciliabile in alcun modo con gli altri due, ad essi del tutto antitetico; questi li conosco pochissimo o nulla, specialmente il terzo, e probabilmente sono fra loro accomunabili per lo meno in quanto entrambi irrazionalisti, almeno a mio modesto avviso, e del tutto contrariamente a Marx).
 
 
Citazione (GreenDemetr):
"Non esiste certezza di un "IO". Ragazzi il punto è quello! sebbene dubito che abbiate capito qualcosa della mia argomentazione".


Esatto: non ho capito per lo meno quasi nulla della tua argomentazione; ma con la sua conclusione (cui non so come né perché giungi) concordo in pieno!
Nel senso che non c' é certezza razionalmente fondabile (logicamente o empiricamente), ma comunque abbracciabile irrazionalisticamente ("per fede").
 

Ma perché mai qualcosa di concreto non dovrebbe poter anche essere cangiante, senza alcunché de "schizoide" (?): sono casomai i concetti astratti ad essere "fissati" di regola "una volta per tutte", per quanto convenzionalmente, per definizione, e quindi non "cangianti" (se non alquanto eccezionalmente, e sempre per convenzione).

maral

#127
Citazione di: green demetr il 21 Novembre 2016, 06:38:33 AM
DAVINTRO scrive "Ed ho sperimentato la quiete nella almeno parziale soluzione del problema nell'idea che, nella "peggiore" delle ipotesi, considerando tutto l'apparato percettivo come illusorio, il riconoscimento del non arbitrario ma passivo accadere nella mia mente di tali percezioni illusorie presupponesse pur sempre l'esisitenza di un Qualcosa  di altro dal mio Io che interviene su di esso infondendo nella mia coscienza quelle immagini. Anche nella più estrema separazione della percezione soggettiva dalla realtà oggettiva, non sarei solo, ma ci sarebbe questo Qualcosa con cui essere in una sorta di relazione, al di là del caratterizzarlo in termini personali (genio ingannatore, Dio benevolo comunicatore di sogni ecc..) o impersonali, è qualcosa di irriducibile all'Io"

Il punto è che se esiste un oggetto, una variabile, una realtà "irriducibile al soggetto", vuol dire che ESISTE ANCORA un soggetto.

Quello che rimarrebbe da pensare è dunque cosa diventi questa irriducibilità all'interno dello stesso soggetto.

Ma appunto da qui partirebbero le varie scuole analitiche, posizioni moniste, dualiste, miste (radicali o moderate che siano).

Cosa manca però rispetto al SOSPETTO? Manca proprio il soggetto! Che cosa noi intendiamo quando noi diciamo "IO", in che senso si verrebbero ad instaurare rapporti con l'oggetto? Ovvero il soggetto è sempre lo stesso??
La soluzione del problema soggetto sta nell'oggetto e nella distanza.
E' chiaro, Davintro, quando scrive quello che hai citato, dà il suo io già come "punto 0", dice "la mia mente" senza porsi il problema di cosa sia "la mia mente" e il "mio io", parte da lì e li tiene fermi, anche se sospetta che dietro al gioco fantasmatico di immagini che si trova davanti qualcosa di consistente, qualcosa che offre resistenza a quell'uno che sono io, un altro ci debba pur essere. Non si accorge che questa "mia mente" e questo "mio io" e lo stesso io a cui rimanda la parola "io" fa parte del medesimo gioco fantasmatico, è anch'esso immagine, ma di che? E allora ecco che tu intervieni a ricordarglielo.
Come Cartesio Davintro ha già stabilito da dove cominciare; si comincia da "io", io che sto pensando e dubitando, come potrei mai dubitare di me soggetto di questo dubitare dato che so di essere proprio io in oggetto a pensare e a dubitare?
D'altra parte, tolto di mezzo l'io, tolti di mezzo tutti gli oggetti, vanificata la permanenza di questo e di quelli cosa ci resta? La fisica direbbe il vuoto quantistico, lo spirito nichilista del XX secolo direbbe il nulla: tutto non è che un'oscillazione del nulla, la negazione assoluta che non afferma e non nega nulla, nulla resiste al nulla, nemmeno la nicciana volontà di potenza.
Proviamo (e dico solamente "proviamo") a partire in modo diverso, proviamo ad esempio a partire da qualcosa che accade (prima che ci sia un oggetto che è la "mia mente", il "mio io"), io non ci sono, ma qualcosa accade, o meglio c'è un accadere che si staglia sul nulla, come una sorta di bagliore o di tuono o un tepore improvviso. Non ci sono ancora io, non c'è nemmeno l'oggetto (non c'è il lampo, non c'è il tuono, è solo per tentare di farmi capire a chi ha già un io pensante e dubitante e non può staccarsene che uso questi termini e nemmeno c'è un tempo e uno spazio, perché non c'è distanza). Questo è l'inizio, poiché questo accadere non ha ancora posto né un soggetto né un oggetto, ma istantaneamente, accadendo li richiama e li richiama al suo "orlo" ai bordi del nulla cosicché tra loro vi sia una distanza, la giusta distanza che mantiene uno spazio per un certo tempo, in questa distanza c'è un tempo e quell'originario accadere diventa subito accaduto che attende il suo riaccadere in cui soggetto e oggetti possono mantenersi ai bordi, separati e legati dalla giusta distanza.
Quando il bambino vede e tocca per la prima volta il seno della madre e ne sente le parole senza capirle, forse è proprio questo che percepisce: l'inizio, un puro accadere che lo chiama a essere, a venire letteralmente al mondo quando ancora non c'è (non può esserci) né io né mondo, non c'è il bambino e non c'è il seno, poiché il seno è il bambino e il bambino è il seno, solo noi, a partire dal sogno del nostro io, vediamo un seno e un bambino, separati dalla giusta distanza che li mantiene distinti, io e l'altro, entrambi all'orlo di un nulla che non è nulla.
Quell'attimo non ha ancora tempo né spazio, ma è in sé il tempo e lo spazio e ogni discorso che si tenti di fare su di esso lo tradisce, ma ogni vera parola lo evoca e lo chiama, come il pianto di un bambino chiama la madre, quando il seno non gli è offerto e, mostrandogli così la sua resistenza, suggerisce una permanenza dell'oggetto nell'ingiustizia del suo sottrarsi, ma poi ritornando lo rassicura e consente al bambino di cominciare a permanere come soggetto.
La chiave è la giusta distanza tra due poli estremi che rimangono l'uno nel richiamo dell'altro, entrambi prospicenti su un nulla di un infinito accadere in cui infiniti diversi accadere ripetono il reciproco chiamarsi simultaneo di mondi e di io, cosicché qualcosa accadendo possa apparire accaduto e da questo accaduto qualcos'altro possa ancora accadere.
La giusta distanza non è solo una distanza spaziale, ma è nel ritmo e nel suono ripetuto che ancora non è parola, ma che potrà farsi parola, sogno, storia e discorso.
A morire non sono io, ma è l'altro che non ritorna e quando ogni altro non ritorna, io muoio e allora i molti tornano a essere l'uno, ove non c'è distanza, quindi non ci sono né soggetti né oggetti.

cvc

Stando a Kant, la rappresentazione è indefinibile, perché non si può definire una rappresentazione se non con un'altra rappresentazione. La realtà fenomenica è - mi azzardo a dire - l'oggettivazione delle nostre rappresentazioni, in quanto prima avvertiamo che qualcosa è, poi cerchiamo di dire che cos'è quel qualcosa, oggettivandolo (mi azzardo anche a dire che il solipsismo deve essere un tentativo di oggettivazione di un proprio sentire interiore, non credo che un solipsista aspiri realmente a non essere compreso da nessuno). La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile in quanto alla natura evanescente della rappresentazione. Se tutta la realtà mentale consistesse solo di rappresentazioni, sarebbe assai difficile o impossibile per noi avere delle salde fondamenta che ci permettano di imbastire dei ragionamenti. Perché qualsiasi rappresentazione, persino le più chiare ed evidenti, in quanto astrazioni tendono a svanire. Dunque l'esistenza di conoscenze a priori non mi pare cosa balzana.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

Citazione di: cvc il 22 Novembre 2016, 13:05:41 PM
Stando a Kant, la rappresentazione è indefinibile, perché non si può definire una rappresentazione se non con un'altra rappresentazione. La realtà fenomenica è - mi azzardo a dire - l'oggettivazione delle nostre rappresentazioni, in quanto prima avvertiamo che qualcosa è, poi cerchiamo di dire che cos'è quel qualcosa, oggettivandolo (mi azzardo anche a dire che il solipsismo deve essere un tentativo di oggettivazione di un proprio sentire interiore, non credo che un solipsista aspiri realmente a non essere compreso da nessuno). La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile in quanto alla natura evanescente della rappresentazione. Se tutta la realtà mentale consistesse solo di rappresentazioni, sarebbe assai difficile o impossibile per noi avere delle salde fondamenta che ci permettano di imbastire dei ragionamenti. Perché qualsiasi rappresentazione, persino le più chiare ed evidenti, in quanto astrazioni tendono a svanire. Dunque l'esistenza di conoscenze a priori non mi pare cosa balzana.

CitazioneEspongo i mie motivi di dissenso:

La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.
In quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).
La componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).

Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.


Concordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
 
Infine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.

cvc

Citazioni da sgiombo
Citazione La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.

Ma ciò che si manifesta a noi lo fa per mezzo delle nostre rappresentazioni. Si possono dare diverse rappresentazioni del medesimo oggetto, ma dovrà pur esistere anche l'oggetto che si manifesta in quanto percepibile. Può essere che ci siano percezioni e nulla di percepibile?
CitazioneIn quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).

L'oggettività dipende dalla posizione dell'osservatore. Dallo stesso punto di osservazione una interpretazione di un fenomeno fisico, al netto della psicologia, dovrebbe, credo, valere per tutti
CitazioneLa componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).
 
Ogni dimostrazione parte da assiomi non dimostrabili, quindi ogni dimostrazione è preceduta da un prender per vero. Su questo, se è questo che intendi, siamo daccordo
Citazione Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.
Certo è una delle tesi scettiche che non percepiamo tutti in modo identico. Però esistono delle convenzioni. Se si stabilisce che una determinata barra di metallo è un metro, e con essa si misura l'altezza o la larghezza del tuo cedro in modo corretto, tale misura è da considerarsi oggettiva. Ovviamente non tutto è misurabile (anche se qualcuno non  è d'accordo) e così facilmente oggettivabile. Azzardo a dire che secondo me, stringi stringi, la realtà oggettivabile non è che una parte minore del reale, benchè in taluni ambiti la si reputi la sola
CitazioneConcordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
Faccio un pò fatica ad assimilare il concetto "poliunivocamente corrispondente" ma forse è lo stesso che penso io. 
CitazioneInfine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Si però se tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, da qualche parte dovrà pure iniziare l'intelligenza. La quale è, secondo me, un'assimilazione progressiva di conoscenze. Ma perchè si assimili dovranno già esserci nell'intelletto delle regole di coerenza interne, così come a livello biologico un organismo tende ad adattarsi all'ambiente con comportamenti innati. Vedi gli animali e l'istinto
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

a CVC

Grazie per le stimolanti obiezioni.
Essendo via da casa e "precariamente connesso" a Internet, rispondero' fra qualche giorno.

Donalduck

green demeter ha scritto:
Citazioneti chiedo semplicemente ma cosa sarebbe il soggetto, il tuo io, all'interno di questo campo quantistico, almeno proviamo a proseguire un minimo assieme sull'argomentazione tua

Il soggetto, campo quantistico o no, è la coscienza, il polo ricevente e l'elaboratore dell'informazione.

Il discorso sulla fisica quantistica e i suoi paradossi e sul campo quantistico di Bohm non tendeva a una "definizione" del soggetto (tantomeno in termini fisici), compito impossibile se non ci si accontenta dei termini generici in cui l'ho definito sopra.
La fisica quantistica, o meglio le discussioni epistemologiche a cui ha dato origine, hanno a che fare col tema del soggetto principalmente per la nota difficoltà (che alcuni considerano impossibilità intrinseca) di definire le entità e le grandezze studiate dalla fisica quantistica prescindendo dalla loro misurazione, ossia dalla relazione, e sulla difficoltà di spiegare la doppia identità onda-particella che caratterizza le onde elettromagnetiche e le particelle associate, sempre legata alla misurazione. Se ti interessa si può approfondire il discorso, ma è complicato e sto ancora leggendo Bohm, il cui pensiero conosco per ora solo per sommi capi.

In ogni caso gli argomenti su cui baso le mie considerazioni su soggetto-oggetto prescindono dall'epistemologia quantistica (che desta il mio interesse e curiosità più che altro per le somiglianze con la mia linea di pensiero), sono molto più basilari dal punto di vista logico e fondate sulla semplice osservazione diretta.
Essendo la coscienza il fondamenteo, l'essenza stessa della nostra personale esistenza, sfugge a qualunque definizione (come del resto la realtà, come oggetto della coscienza). Ma l'esperienza ci evidenzia che l'esistenza, "cio che è" è formato da una coscienza che riceve dati, sotto le più disparate forme, elabora queste informazioni e interagisce con le fonti di queste informazioni. Una "esistenza" in cui esistono solo i "dati" senza l'elaboratore dei dati è solo una fantasia che non trova riscontro da nessuna parte, a quanto mi risulta.
Il mio è un ragionamento elementare: la coscienza esiste in quanto coscienza di qualcosa e le cose esistono in quanto rappresentazioni di una coscienza. Questo ci dice l'esperienza e niente lascia intendere che ci siano altre forme di esistenza possibili, o anche solo concepibili se non in modo del tutto astratto.

Se poi tutto questo si possa considerare monismo o dualismo, mi sembra francamente una discussione inutile. Mi sembra anche ovvio che qualunque dualità presupponga una unità (un tutto) entro cui è contenuta, per cui veramente non riesco a dare una giustificazione al problema. Per dargli un senso, bisognerebbe spiegare quale sono le conseguenze, rispetto alla visione del mondo, e soprattutto rispetto ai valori e a i criteri di valutazione dei più disparati aspetti di ciò che entra a far parte della nostra esperienza, in un caso e nell'altro. Se, come tendo a pensare, non ci sono effettive conseguenze "concretizzabili", si tratta di una contrapposizione futile e di un non-problema.
Diverso è il discorso su quel tipo di monismo basato sul riduzionismo, che vorrebbe risolvere la dualità facendo fagocitare uno dei due "poli dell'esistenza" dall'altro, senza alcuna giustificazione plausibile, giusto per trovare un modo sbrigativo di risolvere il "problema" (ammesso che ci sia). Questo ha evidenti ripercussioni su sistemi di valori e criteri di valutazione, e credo che la sua valenza sia tutta lì, come posizione ideologica (intendendo per ideologia una visione pregiudiziale delle cose), non avendo nessuna giustificazione logica o esperienziale.

Per quanto riguarda l'io bisogna distinguere tra "il mio io" e il soggetto. Non sono la stessa cosa. Nella mia visione ogni centro di coscienza è in qualche modo inesplicabile un'espressione o emanazione di una non meglio identificata coscienza universale. Più che di soggetto si può parlare di soggettività, che forse rende meglio, essendo impersonale.
E centro di coscienza e io nel senso comunemente inteso non sono la stessa cosa. Se con io personale intendiamo l'ego, quello che diverse correnti di pensiero considerano un'illusione o poco più, quello che si offende e che vuole affermarsi ingrandendosi e gonfiandosi, è anch'esso un oggetto di osservazione per la coscienza, che è perfettamente in grado di distaccarsene (anche se può risultare molto difficile, a causa dell'attaccamento, la viscosità dell'io). La coscienza ha la capacità di identificarsi e disidentificarsi, si potrebbe dire di mettere dimora da qualche parte, e di cambiare residenza. E l'io è un prodotto di questa facoltà. L'esperienza personale mi dice che è possibile vedere questo io in cui mi identifico normalmente, dall'esterno, come un fenomeno oggettivo che posso guardare senza sentire quel senso di appartenenza caratteristico dell'identificazione.
E se la domanda da "esiste l'io?" diventa "esiste la coscienza"? rispondo senza esitazioni che si tratta di una domanda senza senso, fino a prova contraria (che consisterebbe nel mostrare quale sia questo senso). Anche perché significherebbe dare maggior valore alle elucubrazioni che non all'esperienza e all'intuizione, quel modo misterioso di ricevere informazioni complesse, già dotate intrinsecamente di senso, e irriducibili, che invece sono il fondamento di ogni altra cosa, per quanto ci riguarda.

sgiombo

Citazione di: cvc il 23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazioni da sgiombo
Citazione La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.
Ma ciò che si manifesta a noi lo fa per mezzo delle nostre rappresentazioni. Si possono dare diverse rappresentazioni del medesimo oggetto, ma dovrà pur esistere anche l'oggetto che si manifesta in quanto percepibile. Può essere che ci siano percezioni e nulla di percepibile?
Citazione
Secondo me si, per il semplice fatto che ciò é pensabile in maniera non autocontraddittoria, sensata:  potrebbe anche darsi che la la realtà si esaurisca nelle percezioni fenomeniche e nulla più.
Che inoltre esistano realmente oggetti e io come soggetto delle percezioni -gli uni e l' altro essendo evidentemente cose in sé congetturabili (noumeno) e non insiemi di apparenze sensibili (fenomeni)- lo credo senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare (e ciò vale in particolare per il fatto che  pure che fra gli altri oggetti fenomenici delle (mie) sensazioni esistano pure altri soggetti di esperienza fenomenica cosciente oltre a me).
 



CitazioneIn quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).
L'oggettività dipende dalla posizione dell'osservatore. Dallo stesso punto di osservazione una interpretazione di un fenomeno fisico, al netto della psicologia, dovrebbe, credo, valere per tutti
CitazioneFermo restando il fatto che si tratta di mere sensazioni fenomeniche e insiemi di sensazioni fenomeniche ("esse est percipi"), questo é ciò che chiamo "intersoggettività" della parte "esteriore" - materiale ) dell' esperienza fenomenica cosciente (la res extensa; ed anche questo non é dimostrabile ma solo credibile -e di fatto anche da me creduto, ovviamente- arbitrariamente, "per pura fede)": reciproca univoca corrispondenza fra ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti (la cui anche sola esistenza stessa é credibile e non dimostrabile esistere), ovvero corrispondenza "poliunivoca" fra esse.

Non si tratta comunque propriamente di "oggettività stiamo parlando pur sempre di enti ed eventi accadenti nella ("appartenenti alla") coscienza di di ciascun soggetto, enti ed eventi fenomenici reali unicamente in quanto tali: "esse est percipi"
Per oggetti propriamente tali, se esistono (come credo, ancora una volta, senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare), non si può che intendere cose in sé che a quanto di "esterno" o materiale fenomenicamente (e dunque pur sempre soggettivamente, per quanto intersoggettivamente) accade si possono non certo identificare, ma casomai postulare essere biunivocamente corrispondenti.



CitazioneLa componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).
Ogni dimostrazione parte da assiomi non dimostrabili, quindi ogni dimostrazione è preceduta da un prender per vero. Su questo, se è questo che intendi, siamo daccordo
CitazioneIn particolare che esistano (anche) cose in sé, "oggetti" in senso proprio delle sensazioni (fenomeniche) "esteriori o materiali, a queste ultime biunivocamente corrispondenti "intersoggettivamente", cioé allo stesso modo in ogni esperienza fenomenica cosciente di ciascun soggetto di sensazioni (in particolare materiali: res extensa) non può essere in alcun modo dimostrato: non c' é argomentazione cogente che possa convincere che necessariamente così stiano le cose in realtà.



Citazione Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.
Certo è una delle tesi scettiche che non percepiamo tutti in modo identico. Però esistono delle convenzioni. Se si stabilisce che una determinata barra di metallo è un metro, e con essa si misura l'altezza o la larghezza del tuo cedro in modo corretto, tale misura è da considerarsi oggettiva. Ovviamente non tutto è misurabile (anche se qualcuno non  è d'accordo) e così facilmente oggettivabile. Azzardo a dire che secondo me, stringi stringi, la realtà oggettivabile non è che una parte minore del reale, benchè in taluni ambiti la si reputi la sola
CitazioneConcordo: le misure (i rapporti quantitativi esprimibile mediante numeri) nell' ambito materiale (la rese extensa) di ciascuna esperienza fenomenica cosciente (se queste esistono e sono poliunivocamente corrispondenti) sono le stesse (proprio per la corrispondenza biunivoca di ciascuna di esse con la realtà in sé o noumeno e transitivamente fra tutte esse (= "poliunivoca").

Per esempio qualsiasi cosa sia nella tua esperienza fenomenica cosciente ciò che con me chiami "(visione di) questo cedro", il rapporto fra (ciò che chiamiamo) la sua altezza e (ciò che chiamiamo) il metro campione conservato a Parigi é -poniamo- ciò che tu nella tua esperienza cosciente chiami "40" ed anch' io nella ia chiamo "40".



CitazioneConcordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
Faccio un pò fatica ad assimilare il concetto "poliunivocamente corrispondente" ma forse è lo stesso che penso io.
CitazioneSpero di averlo chiarito nelle risposte alle tue precedenti considerazioni e obiezioni.



CitazioneInfine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Si però se tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, da qualche parte dovrà pure iniziare l'intelligenza. La quale è, secondo me, un'assimilazione progressiva di conoscenze. Ma perchè si assimili dovranno già esserci nell'intelletto delle regole di coerenza interne, così come a livello biologico un organismo tende ad adattarsi all'ambiente con comportamenti innati. Vedi gli animali e l'istinto
CitazioneConcordo.Però preciserei che per me si tratta solo di "potenzialità comportamentali" che si attuano in seguito a esperienze e non di vere e proprie "nozioni" o conoscenza di già presenti (innate) in noi: di innato c'è la capacità di ragionare secondo certe regole , l' "intelligenza", se vogliamo, cioè la capacità di sapere non qualche nozione o conoscenza "già pronta a priori" indipendentemente dall' esperienza: se si muore in tenera età non si fa a tempo a tradurre in atto tali potenzialità" e ad avere conoscenze, che dunque non sono, propriamente parlando, "innate".

cvc

Citazione di: sgiombo il 26 Novembre 2016, 10:56:40 AM
Citazione di: cvc il 23 Novembre 2016, 15:51:35 PM
Citazioni da sgiombo
Citazione La realtà fenomenica é costituita dalle "nostre" rappresentazioni (sensibili, coscienti, ovvero, per l' appunto, fenomeniche) e le "nostre" rappresentazioni fenomeniche costituiscono la "nostra" coscienza.
Ma ciò che si manifesta a noi lo fa per mezzo delle nostre rappresentazioni. Si possono dare diverse rappresentazioni del medesimo oggetto, ma dovrà pur esistere anche l'oggetto che si manifesta in quanto percepibile. Può essere che ci siano percezioni e nulla di percepibile?
Citazione
Secondo me si, per il semplice fatto che ciò é pensabile in maniera non autocontraddittoria, sensata:  potrebbe anche darsi che la la realtà si esaurisca nelle percezioni fenomeniche e nulla più.
Che inoltre esistano realmente oggetti e io come soggetto delle percezioni -gli uni e l' altro essendo evidentemente cose in sé congetturabili (noumeno) e non insiemi di apparenze sensibili (fenomeni)- lo credo senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare (e ciò vale in particolare per il fatto che  pure che fra gli altri oggetti fenomenici delle (mie) sensazioni esistano pure altri soggetti di esperienza fenomenica cosciente oltre a me).



CitazioneIn quanto tale essa (la realtà fenomenica) non può essere considerata oggettiva: se esistiamo (oltre ai "nostri" fenomeni coscienti, anche) noi (ciascuno di noi) in quanto soggetti (in sé, noumenici) di essi, allora la realtà fenomenica é ciò che noi come soggetti di coscienza percepiamo; al di fuori della nostra coscienza (se e quando, allorché la realtà fenomenica costituente la nostra coscienza non c' è, non accade) allora essa non è nulla (questa è addirittura una tautologia).
L'oggettività dipende dalla posizione dell'osservatore. Dallo stesso punto di osservazione una interpretazione di un fenomeno fisico, al netto della psicologia, dovrebbe, credo, valere per tutti
CitazioneFermo restando il fatto che si tratta di mere sensazioni fenomeniche e insiemi di sensazioni fenomeniche ("esse est percipi"), questo é ciò che chiamo "intersoggettività" della parte "esteriore" - materiale ) dell' esperienza fenomenica cosciente (la res extensa; ed anche questo non é dimostrabile ma solo credibile -e di fatto anche da me creduto, ovviamente- arbitrariamente, "per pura fede)": reciproca univoca corrispondenza fra ciascuna delle molteplici esperienze fenomeniche coscienti (la cui anche sola esistenza stessa é credibile e non dimostrabile esistere), ovvero corrispondenza "poliunivoca" fra esse.

Non si tratta comunque propriamente di "oggettività stiamo parlando pur sempre di enti ed eventi accadenti nella ("appartenenti alla") coscienza di di ciascun soggetto, enti ed eventi fenomenici reali unicamente in quanto tali: "esse est percipi"
Per oggetti propriamente tali, se esistono (come credo, ancora una volta, senza poterlo dimostrare né tantomeno mostrare), non si può che intendere cose in sé che a quanto di "esterno" o materiale fenomenicamente (e dunque pur sempre soggettivamente, per quanto intersoggettivamente) accade si possono non certo identificare, ma casomai postulare essere biunivocamente corrispondenti.



CitazioneLa componente "esteriore" o materiale (e non quella "interiore" o mentale) di essa può essere considerata (e creduta, ma non dimostrata, né mostrata) essere non uguale (concetto che applicato ad essa non ha senso, nessuno potendo "sbirciare nelle coscienze altrui" per confrontarne i contenuti con quelli della propria e stabilire se e in che misura essi siano uguali o meno), bensì poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze coscienti: ciò che intendo io dicendo che qui davanti c' é un bell' albero di Cedro del Libano dal fogliame verde cupo può (e deve, se adeguatamente interpellato) dire di vederlo (lo deve vedere) chiunque (non cieco, né daltonico o affetto da altri difetti di vista) si collochi nella mia stessa posizione e guardi nella stessa direzione (ma cosa o come siano i quali detti "verde cupo" nell' ambito delle coscienze di ciascuno di essi non posso nemmeno immaginarlo: posso solo pensare che quando chiunque abbia vista sana e sia nelle condizioni opportune dice di vedere qualcosa di verde cupo, allora io nelle stesse condizioni percepisco -o percepirei, se il caso fosse ipotetico- quel determinato quale che chiamo "verde cupo" e non quello di alcun altro colore; e viceversa).
Ogni dimostrazione parte da assiomi non dimostrabili, quindi ogni dimostrazione è preceduta da un prender per vero. Su questo, se è questo che intendi, siamo daccordo
CitazioneIn particolare che esistano (anche) cose in sé, "oggetti" in senso proprio delle sensazioni (fenomeniche) "esteriori o materiali, a queste ultime biunivocamente corrispondenti "intersoggettivamente", cioé allo stesso modo in ogni esperienza fenomenica cosciente di ciascun soggetto di sensazioni (in particolare materiali: res extensa) non può essere in alcun modo dimostrato: non c' é argomentazione cogente che possa convincere che necessariamente così stiano le cose in realtà.



Citazione Ma oggettivo (cioé indipendente dalle -eventuali- sensazioni soggettive di chiunque, tale che é così com' é, che sia fenomenicamente percepito da qualcuno o meno) può essere solo qualcosa di reale in sé, congetturabile (noumeno) ma non sensibile, non apparente (non fenomeno), ma casomai biunivocamente corrispondente a fenomeni intersoggettivamente percepibili nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti di chiunque abbia le facoltà sensibili appropriate (noi non possiamo udire tridimensionalmente, contrariamente ai pipistrelli, nè udire ultrasuoni percepiti dai cani); cioè tali che allorchè i soggetti di esperienza cosciente sono in determinati rapporti con determinati enti/eventi in sé, allora sono in condizioni tali che nelle rispettive esperienze coscienti "di ciascuno loro" accadono certe determinate sensazioni "extensae" e solo quelle, e non altre, tutte in reciproca corrispondenza poliunivoca nell' ambito di tali diverse esperienze coscienti (in tali circostanze,) e ciascuna in corrispondenza biunivoca con tali determinati enti/eventi in sé oggettivi.
Certo è una delle tesi scettiche che non percepiamo tutti in modo identico. Però esistono delle convenzioni. Se si stabilisce che una determinata barra di metallo è un metro, e con essa si misura l'altezza o la larghezza del tuo cedro in modo corretto, tale misura è da considerarsi oggettiva. Ovviamente non tutto è misurabile (anche se qualcuno non  è d'accordo) e così facilmente oggettivabile. Azzardo a dire che secondo me, stringi stringi, la realtà oggettivabile non è che una parte minore del reale, benchè in taluni ambiti la si reputi la sola
CitazioneConcordo: le misure (i rapporti quantitativi esprimibile mediante numeri) nell' ambito materiale (la rese extensa) di ciascuna esperienza fenomenica cosciente (se queste esistono e sono poliunivocamente corrispondenti) sono le stesse (proprio per la corrispondenza biunivoca di ciascuna di esse con la realtà in sé o noumeno e transitivamente fra tutte esse (= "poliunivoca").

Per esempio qualsiasi cosa sia nella tua esperienza fenomenica cosciente ciò che con me chiami "(visione di) questo cedro", il rapporto fra (ciò che chiamiamo) la sua altezza e (ciò che chiamiamo) il metro campione conservato a Parigi é -poniamo- ciò che tu nella tua esperienza cosciente chiami "40" ed anch' io nella ia chiamo "40".



CitazioneConcordando che La realtà noumenica, infine, è kantianamente inconoscibile e ritenendo che l' oggettività sia propria solo di essa e non della realtà fenomenica, l' oggettività non (ci) é per me (fenomenicamente) attingibile, ma la parte "esteriore" materiale delle diverse esperienze fenomeniche coscienti é comunque "intersoggettiva" nel senso di "poliunivocamente corrispondente" fra tutte quelle di ciascun soggetto (affermazione peraltro indimostrabile, né men che meno empiricamente mostrabile, constatabile).
Faccio un pò fatica ad assimilare il concetto "poliunivocamente corrispondente" ma forse è lo stesso che penso io.
CitazioneSpero di averlo chiarito nelle risposte alle tue precedenti considerazioni e obiezioni.



CitazioneInfine non trovo alcuna necessità di conoscenze a priori, anche se la realtà mentale (esattamente come quella materiale) consiste unicamente di sensazioni o "rappresentazioni": per spiegare il fatto di comunicarci verbalmente e condividere intersoggettivamente conoscenze circa la parte materiale dei fenomeni "basta" (anche se mi rendo conto che è una credenza infondata non da poco! Ma non più di quella in conoscenze a priori comuni a tutti) postularne la corrispondenza biunivoca con la realtà in sé o noumeno, e transitivamente la corrispondenza poliunivoca fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti.
Si però se tutto ciò che sappiamo lo abbiamo appreso, da qualche parte dovrà pure iniziare l'intelligenza. La quale è, secondo me, un'assimilazione progressiva di conoscenze. Ma perchè si assimili dovranno già esserci nell'intelletto delle regole di coerenza interne, così come a livello biologico un organismo tende ad adattarsi all'ambiente con comportamenti innati. Vedi gli animali e l'istinto
CitazioneConcordo.Però preciserei che per me si tratta solo di "potenzialità comportamentali" che si attuano in seguito a esperienze e non di vere e proprie "nozioni" o conoscenza di già presenti (innate) in noi: di innato c'è la capacità di ragionare secondo certe regole , l' "intelligenza", se vogliamo, cioè la capacità di sapere non qualche nozione o conoscenza "già pronta a priori" indipendentemente dall' esperienza: se si muore in tenera età non si fa a tempo a tradurre in atto tali potenzialità" e ad avere conoscenze, che dunque non sono, propriamente parlando, "innate".
Credo che il tuo discorso ruoti molto intorno al concetto di percezione, che però mi pare che tu veda come un qualcosa di fondante, come una sorta di monade di verità, dove io invece trovo che la percezione sia un fenomeno strutturato al cui interno agiscono la coscienza, i sensi, la realtà fisica, l'intelligenza. Le convinzioni di fondo di un soggetto possono cambiare la sua percezione di un dato fenomeno. Ad esempio percepisco X come una gran bella persona, poi vengo a sapere che ha commesso azioni immorali, allora la mia percezione di X cambia. Per me questo basta per dire che la percezione è si un fenomeno importantissimo, ma non una monade di significato con cui sovvertire la conoscenza tradizionale che parte dalla coscienza, come mi pare abbia fatto Hume. E quindi non credo che la realtà possa esaurirsi nelle percezioni fenomeniche, perchè manca un elemento fondamentale: la psiche che sa di avere un ruolo attivo sulle stesse. La percezione è un fenomeno passivo, l'intelligenza è attiva. Se la realtà si esaurisse con le percezioni fenomeniche, noi saremmo solo degli esseri passivi, ma l'intelligenza e il sentimento ci portano spesso ad agire contro le nostre percezioni, come nel caso dell'autocontrollo.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Discussioni simili (5)