Realtà e rappresentazione

Aperto da Apeiron, 18 Ottobre 2016, 19:39:34 PM

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sgiombo

#105
Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 19:51:24 PM
Citazione di: sgiombo il 07 Novembre 2016, 08:10:50 AM
Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 01:14:14 AM


Sulla teodicea di Berkley non so veramente nulla, mi affido semplicemente a quel che scrivi.
Lo faccio velocemente in quanto si è fatto veramente tardi, e dormire solo 4 ore al giorno comincia a diventare difficile. Ne parleremo ancora suppongo.

Il punto è che se ammettiamo che esiste un DIO senziente, poniamo il lato alle critiche di SGIOMBO, che si contrappone col suo delirante (per me) solipsismo. Critiche che concordo (formalmente) allora nel rivoltarti contro, perchè deve esistere un agente esterno e non un soggetto assoluto? (si tratterebbe come dice lui, di addizioni o sottrazioni fenomeniche, del tutto arbitrarie).


CitazioneMi dispiace, ma anche qui mi fraintendi completamente:

Non sostengo il solipsismo ma solo (cosa ben diversa!) la non confutabilità logica né falsificabilità empirica del solipsismo (e più in generale la insuperabilità razionale -logica e/od empirica- dello scetticismo).

Non sono un solipsista (e se lo fossi mi considerei anch' io "delirante"; fra l' altro non discuterei in alcun forum con interlocutoiri ritenuti inesistenti), sono un crirìtico razionalista del significato, delle condizioni (in ultima analisi indimostrabli né empiricamente constatabili), dei limiti delle mie credenze.



Lo so, fai bene a specificarlo.

Ma sempre per polemos:

Il fatto è che se io credo che razionalmente è dimostrabile (mostrabile) che il soggetto esista, ecco che allora per me tu diventi un solipsista o monista radicale, che poi è peggio, quando ti richiami al buon senso.
Come diceva il buon Carmelo Bene. Il caro buon senso da CONDOMINIO.
CitazioneNo, il fatto che tu affermi di ritenere, secondo me erroneamente, che razionalmente sarebbe dimostrabile (mostrabile) che il soggetto esista non ti autorizza a pretendere che chi, come me, lo crede rendendosi invece conto che é indimostrabile né mostrabile sia, contro il significato comunemente accettato delle parole in lingua italiana, un solipsista.
Il "monismo radicale", poi, non vedo che ci azzecchi.

davintro

Credo che, nel momento in cui di dice che la pretesa di una corrispondenza tra il contenuto fenomenico e le "cose in sè" oggettive è sempre arbitraria ed oggetto di un atto di fede, e che qualunque discorso sulla realtà deve sempre partire dall'analisi dei vissuti soggettivi della coscienza, si sia già concesso tantissimo al solipsismo, o più precisamente, all'ammissione della considerazione della possibilità del solipsismo come presupposto indispensabile di una valutazione il più possibile critica e razionale della realtà. Quello che per me è importante è riconoscere la distinzione tra l'idea di poter razionalmente "saturare" la conoscenza del reale con tutte le nostre concrete e particolari manifestazioni fenomeniche delle nostre rappresentazioni, pensando ad una piena aderenza tra fenomeno e cosa in sè, e l'ammissione razionale dell'esistenza di un mondo oggettivo, in senso molto più vuoto e indeterminato, cioè ammettiamo che una realtà oggettiva genericamente intesa esiste in modo razionale, mentre lasciamo alla fede (o al limite ad una ragionevolezza probabilistica non apodittica) il ritenere di poter riempire la X con tutto ciò che noi pensiamo e percepiamo di essa. Solo la prima ipotesi va iscritta al realismo ingenuo del senso comune, la seconda è realismo critico, perchè la realtà viene riconosciuta a partire dalla certezza della coscienza, e trascendentale, perchè di questa realtà oggettiva ci si limita a parlarne entro precisi limiti, i limiti della giustificazione dei vissuti soggettivi della coscienza, il punto di partenza indubitabile. Il problema che voglio sollevare è: qual'è il rapporto del solipsismo con la seconda posizione? Cosa si intende per solipsismo?  "Solipsismo" è una declinazione di "solus", solo.  Ma la solitudine è qua un concetto ambiguo, e l'ambiguità determina due diverse acccezioni di solipsismo. La prima, più "moderata", considera la non esistenza di altri soggetti. Io sono solo nel senso che sono l'unico Io percepiente o cosciente al mondo. La seconda, ancora più, dal punto di vista del  senso comune, delirante ed estrema, pone tale solitudine non come assenza di alter ego, ma  di qualunque cosa altra differente dal mio Io, non solo altri soggetti, ma anche la natura meramente fisica, non esiste alcuna altra cosa al mondo che il mio pensiero con il suo contenuto fenomenico. Quest'ultima posizione non può che dedurre l'assolutizzazione, la divinizzazione dell'Io. Inteso in questo modo il solipsismo non può che porre l'Io, non solo come "l'unico e solo", ma anche come Dio non limitato da altro da sè, perchè nulla esisterebbe di fuori di sè (tutto ciò a conferma che le questioni filosofiche finiscono sempre col dover trovare una soluzione entrando nel campo delle affermazioni metafisiche, cioè la metafisica non è un ramo della filosofia tra gli altri, ma lo sfondo necessario di ogni sua espressione, ma il discorso ci porta troppo lontano da qui, mi fermo). L'ipotesi moderata invece è assolutamente conciliabile con il realismo critico. Infatti negando l'esistenza di altri soggetti da me, ma non di una realtà oggettiva in generale, il solipsismo inteso così respinge la pretesa della coincidenza tra determinate rappresentazioni e realtà (la percezione di altre coscienze, l'empatia, rientra certamente nei miei fenomeni eppure il suo contenuto non sarebbe realtà oggettiva ma illusione), ma salverebbe una realtà oggettiva di cui riconosco l'esistenza, ma le cui proprietà non coincidono con le qualità fenomeniche dei miei vissuti su essa. Insomma, a me pare che una discussione sul solipsismo debba per forza risolvere la questione e stabilire di quale solipsismo si sta parlando, a quale delle due accezioni ci riferiamo quando parliamo di esso. O almeno, questa è la mia esigenza personale di chiarimento...

sgiombo

Citazione di: davintro il 10 Novembre 2016, 23:01:05 PM
Credo che, nel momento in cui di dice che la pretesa di una corrispondenza tra il contenuto fenomenico e le "cose in sè" oggettive è sempre arbitraria ed oggetto di un atto di fede, e che qualunque discorso sulla realtà deve sempre partire dall'analisi dei vissuti soggettivi della coscienza, si sia già concesso tantissimo al solipsismo, o più precisamente, all'ammissione della considerazione della possibilità del solipsismo come presupposto indispensabile di una valutazione il più possibile critica e razionale della realtà.

CitazioneD' accorrdo.
Ma non vedo una dimostrazione della falsità del solipsismo.
Ergo: sono costretto a fare queste concessioni (se qualcuno mi dimostrasse come uscire con certezza razionalmente o empiricamente fondata dal solipsismo sarei ben lieto di evitarle).




Quello che per me è importante è riconoscere la distinzione tra l'idea di poter razionalmente "saturare" la conoscenza del reale con tutte le nostre concrete e particolari manifestazioni fenomeniche delle nostre rappresentazioni, pensando ad una piena aderenza tra fenomeno e cosa in sè, e l'ammissione razionale dell'esistenza di un mondo oggettivo, in senso molto più vuoto e indeterminato, cioè ammettiamo che una realtà oggettiva genericamente intesa esiste in modo razionale, mentre lasciamo alla fede (o al limite ad una ragionevolezza probabilistica non apodittica) il ritenere di poter riempire la X con tutto ciò che noi pensiamo e percepiamo di essa. Solo la prima ipotesi va iscritta al realismo ingenuo del senso comune, la seconda è realismo critico, perchè la realtà viene riconosciuta a partire dalla certezza della coscienza, e trascendentale, perchè di questa realtà oggettiva ci si limita a parlarne entro precisi limiti, i limiti della giustificazione dei vissuti soggettivi della coscienza, il punto di partenza indubitabile.

CitazioneMi sembra che sia quanto vado sostenendo anch' io (a parte una certa mia diffidenza verso l' aggettivo "trascendentale" che mi ricorda  Kant, col quale non concordo in toto; e salvo la precisazione che ritengo i nostri discorsi circa la realtà oggettiva, in sé o noumeno, "riempibili" con tutto ciò che noi pensiamo di esso, ma da nulla di percepito o percepibile ovviamente; ma forse questa é una precisazione pleonastica).

Fra l' altro non riesco a cogliere un senso all' espressione "aderenza tra fenomeno e cosa in sè"; la cosa in sé non può che essere tutt' altro rispetto ai fenomeni, anche solo per definizione, per il fatto che si intende essere reale -se lo é, come credo indimostrabilmente- anche indipendemntememnte dall' accadere realmente dei fenomeni, anche se e quando questi ultimi non sono reali; secondo me la parola più adatta a suggerire le relazioni fra noumeno e fenomeni è "corrispondenza biunivoca".
Per me il realismo ingenuo é appunto il confondere fenomeni e cose in sé: credere che questo albero qui davanti che vedo quando lo vedo, che é costituito unicamente di sensazioni fenomeniche (determinate forme e colori) esiste anche quando non lo vedo (e duque tali forme e colori -ergo: tale albero- non esistono), il non rendersi conto che "esse est percipi".

Inoltre ci terrei aprecisare che per "giustificazione dei vissuti soggettivi della coscienza" secondo me si può intendere solo "spiegazione" (ipotesi esplicativa) di alcune loro caratteristiche, come l' intersoggettività delle loro componenti materiali e la corrispondenza biunivoca fra coscienza (certi determinati "contenuti fenomenici di" certe determinate esperienze coscienti) e cervello (certi determinati eventi neurofisiologici in certi determinati cervelli), non dimostrazione; non invece "dimostrazione di tale ipotesi": per me di "indubtabile" c' é solo il "punto di partenza fenomenico".




Il problema che voglio sollevare è: qual'è il rapporto del solipsismo con la seconda posizione? Cosa si intende per solipsismo?  "Solipsismo" è una declinazione di "solus", solo.  Ma la solitudine è qua un concetto ambiguo, e l'ambiguità determina due diverse acccezioni di solipsismo. La prima, più "moderata", considera la non esistenza di altri soggetti. Io sono solo nel senso che sono l'unico Io percepiente o cosciente al mondo. La seconda, ancora più, dal punto di vista del  senso comune, delirante ed estrema, pone tale solitudine non come assenza di alter ego, ma  di qualunque cosa altra differente dal mio Io, non solo altri soggetti, ma anche la natura meramente fisica, non esiste alcuna altra cosa al mondo che il mio pensiero con il suo contenuto fenomenico. Quest'ultima posizione non può che dedurre l'assolutizzazione, la divinizzazione dell'Io. Inteso in questo modo il solipsismo non può che porre l'Io, non solo come "l'unico e solo", ma anche come Dio non limitato da altro da sè, perchè nulla esisterebbe di fuori di sè

CitazioneLa seconda forma più radicale di solipsismo che consideri (che ammette l' esistenza reale seolo di me e dei contenuti fenomenici, sia "di pensiero" o mentali che materiali, della mia coscienza) secondo me non implica comunque l' identificazione dell' "io" con Dio, almeno nell' accezione più comune del concetto, implicante l' onnipotenza.
Concordo infatti con quanto Phil ha obiettato a Sariputra circa la differenza fra l'essere-percipiente, l'essere-"ingegnere della percezione" e l'essere-causa (Risposta #79 di questa discussione).


Inoltre considererei una terza forma ancor più radicale e delirante di solipsismo (che invero più correttamente sarebbe da denominare "scetticismo"; o per lo meno "solfenomenismo"): il limitare la credenza all' accadere dei fenomeni, senza (nemmeno) un soggetto in sé (oltre che senza oggetti in sé) di essi.




L'ipotesi moderata invece è assolutamente conciliabile con il realismo critico. Infatti negando l'esistenza di altri soggetti da me, ma non di una realtà oggettiva in generale, il solipsismo inteso così respinge la pretesa della coincidenza tra determinate rappresentazioni e realtà (la percezione di altre coscienze, l'empatia, rientra certamente nei miei fenomeni eppure il suo contenuto non sarebbe realtà oggettiva ma illusione), ma salverebbe una realtà oggettiva di cui riconosco l'esistenza, ma le cui proprietà non coincidono con le qualità fenomeniche dei miei vissuti su essa. Insomma, a me pare che una discussione sul solipsismo debba per forza risolvere la questione e stabilire di quale solipsismo si sta parlando, a quale delle due accezioni ci riferiamo quando parliamo di esso. O almeno, questa è la mia esigenza personale di chiarimento...
CitazioneNon vedo perché, se ammetto l' esistenza di una realtà oggettiva di cui riconosco l'esistenza, ma le cui proprietà non coincidono con le qualità fenomeniche dei miei vissuti su essa, e dunque seguo un realismo critico, non dovrei spingermi anche a credere alla verità e sensatezza di quanto mi dicono gli altri uomini (superare il dubbio non confutabile trattarsi di mere coincidenze, un po' come le rocce che in Sardegna sembrano sculture intenzionali di elefanti e non eventi casuali) e dunque uscire dal solipsismo. Certo, in teoria non é strettamente necessario, tuttavia trovo che, per arrivarci, "il passo é breve").
D' altra parte soggettivamente trovo che faccia ben poca differenza credere che ci sono solo io con i fenomeni della mia coscienza o invece credere che oltre a ciò esiste una realtà in sé (eccedente il mio io cosciente) e tuttavia meramente "inerte", materiale, non implcante altri soggetti di sensazioni coscienti simili al mio "io" (a me): tra solipsismo compatibile con realismo critico e realismo critico implicante la credenza nell' esistenza di altri soggetti di esperienza fenomenica cosciente trovo -beninteso soggettivamente- molta più differenza che tra solipsismo "forte" senza realismo critico e solipsismo "debole" con realismo critico ma senza altri soggetti di esperienza cosciente).

Phil

Qualche osservazione sulle due forme di solipsismo proposte da davintro:
Citazione di: davintro il 10 Novembre 2016, 23:01:05 PMLa prima, più "moderata", considera la non esistenza di altri soggetti. Io sono solo nel senso che sono l'unico Io percepiente o cosciente al mondo [...] negando l'esistenza di altri soggetti da me, ma non di una realtà oggettiva in generale, il solipsismo inteso così respinge la pretesa della coincidenza tra determinate rappresentazioni e realtà (la percezione di altre coscienze, l'empatia, rientra certamente nei miei fenomeni eppure il suo contenuto non sarebbe realtà oggettiva ma illusione), ma salverebbe una realtà oggettiva di cui riconosco l'esistenza, ma le cui proprietà non coincidono con le qualità fenomeniche dei miei vissuti su essa 
Quindi la percezione dell'esistenza di altri soggetti circostanti non rimanda ad una realtà oggettiva ma è illusione, invece la realtà oggettiva priva di altre coscienze è postulata realmente esistente (nonostante  i miei vissuti non la colgano adeguatamente)?
Come è possibile discriminare fra le due percezioni (quella dell'altro uomo e quella dell'oggetto "reale"), fino a riconoscere una come totalmente illusoria e l'altra come interpretazione soggettiva di qualcosa che tuttavia esiste?
L'altro uomo che mi "affronta" e parla è inesistente, mentre l'oggetto inerte che tace esiste anche se lo colgo solo come fenomeno di coscienza?
Quel "salvataggio della realtà oggettiva"(semi-cit.) è una concessione fatta al/dal solipsista da parte del realismo critico al paradossale prezzo di sacrificare l'altro-uomo-come-oggetto-fenomenico?


Citazione di: davintro il 10 Novembre 2016, 23:01:05 PMLa seconda [...] pone tale solitudine non come assenza di alter ego, ma  di qualunque cosa altra differente dal mio Io, non solo altri soggetti, ma anche la natura meramente fisica, non esiste alcuna altra cosa al mondo che il mio pensiero con il suo contenuto fenomenico.
Per quanto estrema, questa posizione di solipsismo radicale è forse la più logicamente coerente: se arriviamo a dubitare che ci siano gli altri (di cui uno verosimilmente ci ha generato e molti altri con cui ci relazioniamo), allora può ben essere illusorio (fino all'inesistenza) persino il restante palcoscenico, ormai privo di attori, ad eccezione del monologhista che si chiede come fa ad essere lì da solo  ;)


Proporrei poi una quarta forma di solipsismo (la terza, piuttosto interlocutoria, l'ha già proposta sgiombo), quella in cui l'autocoscienza è l'unica certezza (cartesiana) che porta a sospendere il giudizio di esistenza per quanto riguarda la realtà (altri umani compresi), riconoscendola non come inesistente, ma al massimo come ipotesi di giustificazione dei fenomeni di coscienza, come supposizione la cui esistenza reale è asintoticamente insondabile e, quindi, in fin dei conti, irrilevante...

sgiombo

Citazione di: Phil il 11 Novembre 2016, 17:54:20 PM

Proporrei poi una quarta forma di solipsismo (la terza, piuttosto interlocutoria, l'ha già proposta sgiombo), quella in cui l'autocoscienza è l'unica certezza (cartesiana) che porta a sospendere il giudizio di esistenza per quanto riguarda la realtà (altri umani compresi), riconoscendola non come inesistente, ma al massimo come ipotesi di giustificazione dei fenomeni di coscienza, come supposizione la cui esistenza reale è asintoticamente insondabile e, quindi, in fin dei conti, irrilevante...

CitazioneTrovo (soggettivamente) rilevante il fatto che possa spiegare, sia pure ipoteticamente, indimostrabilmente, i fenomeni (alcune importanti -sempre soggettivamente- caratteristiche attribuibili -anche queste almeno in parte indimostrabilmente- ai fenomeni).

maral

#110
Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere alla contradizione nichilistica ontologica.
L'assunzione di un me stesso come unico soggetto cosciente del mondo si limita a negare la dimensione altra della coscienza, ma non tiene conto che la coscienza (la mia coscienza) è un fatto relazionale determinato da altre coscienze che la fondano, affidandomi il significato originario di ciò di cui via via divento cosciente. La mia coscienza si presenta solo nel mutare dei segni ad essa dati da altre coscienze, non è originaria.
La totale negazione dell'altro (indicata come seconda più radicale posizione), sia come soggetto che come oggetto, pone il problema di un pensare del tutto soggettivo e privo di oggetto. Cosa sente e pensa questo "io che sento, penso, dubito e rappresento"? Il nulla o me stesso? O il nulla che è me stesso, dunque ciò che avevo presupposto come tutto? Si noti che anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui.
L'autocoscienza (richiamata da Phil) come interiore coscienza di se stessi ha già presupposto quel soggetto autocosciente autore di ogni pensare, dubitare, interpretare; quindi non lo dimostra (il cogito cartesiano non dimostra il sum, ma lo presuppone e lo mostra come un prestigiatore che teneva nascosto il coniglio nel doppio fondo del cappello).
La posizione più radicale e coerente è appunto quella, indicata da Sgiombo, in cui non vi è più ne soggetto né oggetto, ma un puro accadere fenomenico: accade il pensare, il percepire e via dicendo. E' una posizione ambigua, senza dubbio nichilistica se si ritiene che questo è tutto quello che accade, mentre non lo è se ci si rende conto che questo accadere implica l'accadere sempre insieme di qualcuno (soggetto) e qualcosa (oggetto) nella loro singolare diversità di volta in volta presentata. L'accadere di me e di un altro insieme e inseparabilmente uniti dall'alterità che ci lega reciprocamente. Il pensiero filosofico attuale è giunto proprio a questo bivio e ha davanti a sé da un lato quel puro accadere che può solo essere l'accadere del nulla e quindi il nulla dello stesso accadere (per cui in realtà nulla accade), dall'altro l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano. La realtà accadendo lascia segni che giocano giochi simbolici e questi giochi simbolici sono la sua autentica rappresentazione di cui siamo parte a nostra volta come segni per ogni altro.

sgiombo

Citazione di: maral il 13 Novembre 2016, 21:59:54 PM
Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere alla contradizione nichilistica ontologica.
L'assunzione di un me stesso come unico soggetto cosciente del mondo si limita a negare la dimensione altra della coscienza, ma non tiene conto che la coscienza (la mia coscienza) è un fatto relazionale determinato da altre coscienze che la fondano, affidandomi il significato originario di ciò di cui via via divento cosciente. La mia coscienza si presenta solo nel mutare dei segni ad essa dati da altre coscienze, non è originaria.
CitazioneTutto questo, e dunque la falsità del solipsismo, non é dimostrabile: nulla dimostra che "questa" coscienza immediatamente esperita" (non in relazione con alcun altra coscienza) non sia tutto ciò che realmente accade.

(Mi scuso pe rl' ignoranza) Qual' é la contraddizione nichilistica ontologica?


La totale negazione dell'altro (indicata come seconda più radicale posizione), sia come soggetto che come oggetto, pone il problema di un pensare del tutto soggettivo e privo di oggetto. Cosa sente e pensa questo "io che sento, penso, dubito e rappresento"? Il nulla o me stesso? O il nulla che è me stesso, dunque ciò che avevo presupposto come tutto? Si noti che anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui.

CitazioneL' affermazione "anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro" mi sembra autocontraddittoria.
In lingua italiama "penso me stesso" significa che io stesso sono sia il soggetto che l' oggetto del pensiero e non un altro (di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui).


L'autocoscienza (richiamata da Phil) come interiore coscienza di se stessi ha già presupposto quel soggetto autocosciente autore di ogni pensare, dubitare, interpretare; quindi non lo dimostra (il cogito cartesiano non dimostra il sum, ma lo presuppone

CitazioneSu questo invece concordo.

La posizione più radicale e coerente è appunto quella, indicata da Sgiombo, in cui non vi è più ne soggetto né oggetto, ma un puro accadere fenomenico: accade il pensare, il percepire e via dicendo. E' una posizione ambigua, senza dubbio nichilistica se si ritiene che questo è tutto quello che accade, mentre non lo è se ci si rende conto che questo accadere implica l'accadere sempre insieme di qualcuno (soggetto) e qualcosa (oggetto) nella loro singolare diversità di volta in volta presentata. L'accadere di me e di un altro insieme e inseparabilmente uniti dall'alterità che ci lega reciprocamente. Il pensiero filosofico attuale è giunto proprio a questo bivio e ha davanti a sé da un lato quel puro accadere che può solo essere l'accadere del nulla e quindi il nulla dello stesso accadere (per cui in realtà nulla accade), dall'altro l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano. La realtà accadendo lascia segni che giocano giochi simbolici e questi giochi simbolici sono la sua autentica rappresentazione di cui siamo parte a nostra volta come segni per ogni altro.

CitazioneHo evidenziato "ci si rende conto" per chiederne spiegazione: significa "si crede per fede" che? "Si dimostra (ma come?)" che? O cos' altro?

Mi sembra evidentemente autocontraddittoria anche l' affermazione "quel puro accadere che può solo essere l'accadere del nulla e quindi il nulla dello stesso accadere (per cui in realtà nulla accade)" se per "puro accadere" si intende l' accadere di qualcosa (e in particolare "un puro accadere fenomenico: accade il pensare, il percepire e via dicendo").

"l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano" lo credo vero.
Ma non vedo come possa (mi rendo conto che non può) essere dimostrato logicamente né constatato empiricamente


maral

#112
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2016, 09:05:06 AM
Tutto questo, e dunque la falsità del solipsismo, non é dimostrabile: nulla dimostra che "questa" coscienza immediatamente esperita" (non in relazione con alcun altra coscienza) non sia tutto ciò che realmente accade.
Il punto è che nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine. Ovviamente si potrebbe anche dire che questa storia che mi consegna il significato di un mondo e di qualsiasi cosa all'interno di esso è una mia creazione dal nulla, ma questo non è ciò che immediatamente si presenta alla mia coscienza. Ciò che si presenta in principio alla mia coscienza infatti non è la mia coscienza, ma l'essere di me cosciente da parte di qualcun altro che mi guarda e mi considera mentre per lui accado. La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere e solo su questa base posso anche arrivare follemente a pensare che quella coscienza che l'altro ha avuto originariamente di me non è mai esistita e vivere il delirio di un'autocoscienza perfettamente autocratica.  

Citazione(Mi scuso pe rl' ignoranza) Qual' é la contraddizione nichilistica ontologica?
che niente è.

CitazioneL' affermazione "anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro" mi sembra autocontraddittoria.
In lingua italiama "penso me stesso" significa che io stesso sono sia il soggetto che l' oggetto del pensiero e non un altro (di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui).
In lingua italiana e probabilmente in molte altre lingua, ma questo non toglie che sia una sorta di astrazione presa per comodità, ma concretamente falsa. L'io che pensa non può coincidere con l'io pensato dall'io che pensa, anche se lo pensa e lo vuole intendere come sé medesimo, uno è soggetto e l'altro è oggetto del pensare e questo non è per nulla indifferente alle caratteristiche specifiche concretamente differenzianti.

CitazioneHo evidenziato "ci si rende conto" per chiederne spiegazione: significa "si crede per fede" che? "Si dimostra (ma come?)" che? O cos' altro?
Lo intendo come un "appare evidente che" ogni accadere è l'accadere di qualcosa a qualcuno e non un accadere che sta da solo, ossia un accadere di nulla a nessuno.
L'accadere è sempre l'accadere di qualcosa (pensare, percepire ecc.), ma se qualcosa in qualche modo accade l'accadere non è auto sussistente (necessita cioè di qualcosa che accade), questa impossibile perfetta auto sussistenza isolata è quella che identificavo come caratteristica di un "puro accadere" che quindi altro non è che un accadere di nulla a nessuno, totalmente disincarnato.


Citazione"l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano" lo credo vero.
Ma non vedo come possa (mi rendo conto che non può) essere dimostrato logicamente né constatato empiricamente
Bè, la proposizione "il soggetto crea il mondo pensandolo" si può dimostrare insoddisfacente nel momento in cui ci si domandi che cosa crea il soggetto, e contraddittoria se si pensa il mondo come tutto quello che c'è e quindi il soggetto creatore come fuori dal mondo, da qualche parte che non c'è, dato che non è al mondo, ma lo precede.
Empiricamente penso che constatiamo tutti i giorni (sogni compresi, che non sono forme solipsistiche) che non siamo mai assolutamente soli (forse lo siamo solo nel sonno profondo, perfettamente incosciente), nemmeno quando siamo con noi stessi. L'altro si dà sempre alla coscienza e, proprio alla luce della coscienza, mi pare che solo dall'esperienza dell'altro può fare apparire di riflesso un me stesso differente da lui e pertanto in necessario e originario rapporto con lui.

sgiombo

Citazione di: maral il 14 Novembre 2016, 16:01:04 PM
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2016, 09:05:06 AM
Tutto questo, e dunque la falsità del solipsismo, non é dimostrabile: nulla dimostra che "questa" coscienza immediatamente esperita" (non in relazione con alcun altra coscienza) non sia tutto ciò che realmente accade.
Il punto è che nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine. Ovviamente si potrebbe anche dire che questa storia che mi consegna il significato di un mondo e di qualsiasi cosa all'interno di esso è una mia creazione dal nulla, ma questo non è ciò che immediatamente si presenta alla mia coscienza. Ciò che si presenta in principio alla mia coscienza infatti non è la mia coscienza, ma l'essere di me cosciente da parte di qualcun altro che mi guarda e mi considera mentre per lui accado. La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere e solo su questa base posso anche arrivare follemente a pensare che quella coscienza che l'altro ha avuto originariamente di me non è mai esistita e vivere il delirio di un'autocoscienza perfettamente autocratica.  
CitazioneMa che significa "nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine"?
Del mondo constatato empiricamente "esse est percipi": l' esperirlo non è altro che insieme e successione di sensazioni fenomeniche.
 
Nemmeno capisco che cosa possa significare che "La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere"; e comunque la "mia" coscienza (la coscienza immediatamente esperita) può anche essere pensata del tutto logicamente, senza alcuna contradizion che nol consente, come tutto ciò che accade realmente senza alcuna altra coscienza nell' ambito della quale si prenda atto dell' accadere della "mia" coscienza stessa (esistenza di "altre" coscienze che dunque pare indimostrabile, né mostrabile empiricamente).




Citazione(Mi scuso pe rl' ignoranza) Qual' é la contraddizione nichilistica ontologica?
che niente è.
Citazione"Niente è" mi sembra evidentemente un' affermazione falsa, ma non contraddittoria (sarebbero contraddittorie "niente è e inoltre è qualcosa" o "qualcosa è niente").

Non vedo comunque come potresti dimostrare l' affermazione che "Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere a sostenere che niente è [= la contraddizione nichilistica ontologica]": il solipsismo, anche inteso nell' accezione più radicale, ammette comunque l' esistenza di "qualcosa che è": (per lo meno) l' esperienza fenomenica cosciente immediatamente esperita (se non anche il suo soggetto).




CitazioneL' affermazione "anche affermando che "penso me stesso pensante" o "dubito di me stesso dubitante" o "interpreto me stesso interpretante" quel me stesso (pensato, dubitato, interpretato) in oggetto, non è quell'io soggetto che pensa, dubita, interpreta, quindi è un altro" mi sembra autocontraddittoria.
In lingua italiama "penso me stesso" significa che io stesso sono sia il soggetto che l' oggetto del pensiero e non un altro (di cui il solipsista indebitamente si appropria credendo di essere sempre lui).
In lingua italiana e probabilmente in molte altre lingua, ma questo non toglie che sia una sorta di astrazione presa per comodità, ma concretamente falsa. L'io che pensa non può coincidere con l'io pensato dall'io che pensa, anche se lo pensa e lo vuole intendere come sé medesimo, uno è soggetto e l'altro è oggetto del pensare e questo non è per nulla indifferente alle caratteristiche specifiche concretamente differenzianti.
CitazioneMa perché mai "L'io che pensa" non dovrebbe poter "coincidere con l'io pensato dall'io che pensa", ovvero perché mai il soggetto del pensare non potrebbe esserne anche l' oggetto?
Mi capita spessissimo di pensare a me stesso (anche se la mia esistenza in sé come soggetto e/o oggetto di sensazione fenomenica è indimostrabile, la credo), e in tali circostanze il mio essere sia soggetto del pensiero sia suo oggetto non mi fa diventare ontologicamente due diverse cose per il fatto di esercitare due diverse funzioni epistemologiche; non più che il fatto di essere sia italiano sia medico, o sia marito sia padre (se non é contraddittoria ciascuna di queste due coppie di diverse caratteristiche ontologiche della medesima entità -io- non vedo come potrebbe esserla quella fra le diverse caratteristiche gnoseologiche della stessa entità).




CitazioneHo evidenziato "ci si rende conto" per chiederne spiegazione: significa "si crede per fede" che? "Si dimostra (ma come?)" che? O cos' altro?
Lo intendo come un "appare evidente che" ogni accadere è l'accadere di qualcosa a qualcuno e non un accadere che sta da solo, ossia un accadere di nulla a nessuno.
L'accadere è sempre l'accadere di qualcosa (pensare, percepire ecc.), ma se qualcosa in qualche modo accade l'accadere non è auto sussistente (necessita cioè di qualcosa che accade), questa impossibile perfetta auto sussistenza isolata è quella che identificavo come caratteristica di un "puro accadere" che quindi altro non è che un accadere di nulla a nessuno, totalmente disincarnato.
CitazioneDato che non ne dai dimostrazione logica alcuna né lo ostenti empiricamente, ne deduco che lo credi per fede (come me).
Dunque l' impossibilità di questa "perfetta auto sussistenza isolata" ecc. la credi per fede, dal momento che essa è pensabile sensatissimamente, senza alcuna contradizion che nol consente, e cioè non dimostrabile essere impossibile.
 
Ma un accadere che sta da solo, non é un accadere di nulla, bensì un accadere di qualcosa che non è accadere di alcunché ad alcuno(la lingua italiana con l' illogicissima ammissione di due negazioni che negano anziché affermare può creare fraintendimenti), ma non un non accadere di alcunché (in assoluto): affermarlo significherebbe cadere nella contraddizione ("nichilistica ontologica"?) pretendendo che qualcosa accada e anche contemporaneamente non accada.




Citazione"l'accadere sempre di un soggetto e di un oggetto e della pluralità di questi, l'accadere di un mondo che continuamente accade nei suoi sempre diversi soggetti e oggetti di cui io faccio parte; soggetti e oggetti l'uno verso l''altro pensanti e pensati, interpretanti e interpretati, dubitanti e dubitati la cui totalità singola e collettiva può solo essere simbolica a partire dai segni che l'un l'altro reciprocamente e continuamente si inviano" lo credo vero.
Ma non vedo come possa (mi rendo conto che non può) essere dimostrato logicamente né constatato empiricamente
Bè, la proposizione "il soggetto crea il mondo pensandolo" si può dimostrare insoddisfacente nel momento in cui ci si domandi che cosa crea il soggetto, e contraddittoria se si pensa il mondo come tutto quello che c'è e quindi il soggetto creatore come fuori dal mondo, da qualche parte che non c'è, dato che non è al mondo, ma lo precede.
CitazioneMa il solipsismo non è l'affermazione che "il soggetto crea il mondo pensandolo" (questo è casomai idealismo), bensì al massimo che "esiste solo il soggetto con la sua esperienza fenomenica (che non crea ad libitum; vedi risposta #79 di Phil) in un accezione "debole"; o magari addirittura che esiste solo l' esperienza fenomenica cosciente (senza soggetto) in una più "forte" o più "scettica".


Empiricamente penso che constatiamo tutti i giorni (sogni compresi, che non sono forme solipsistiche) che non siamo mai assolutamente soli (forse lo siamo solo nel sonno profondo, perfettamente incosciente), nemmeno quando siamo con noi stessi. L'altro si dà sempre alla coscienza e, proprio alla luce della coscienza, mi pare che solo dall'esperienza dell'altro può fare apparire di riflesso un me stesso differente da lui e pertanto in necessario e originario rapporto con lui.
CitazioneNon lo constatiamo empiricamente bensì lo crediamo fideisticamente interpretando indimostratamente ciò che constatiamo empiricamente.

maral

#114
Citazione di: sgiombo il 14 Novembre 2016, 20:12:18 PM
Ma che significa "nel momento in cui esperiamo il mondo (i "segni" direbbe Sini) nel suo significato questa esperienza del significato non mi appare come una mia creazione dal nulla, ma mi appare data da una storia che coinvolge innumerevoli altre coscienze di cui il mio stesso essere cosciente è il risultato piuttosto che l'origine"?
Significa che i significati che ci appaiono accadendo in forma di enti reali non ci si presentano originariamente come inventati da noi dal nulla, ma come dati dalla storia della coscienza umana che ingloba miliardi di altri soggetti.
CitazioneDel mondo constatato empiricamente "esse est percipi": l' esperirlo non è altro che insieme e successione di sensazioni fenomeniche.
L'esperire è sempre esperire un significato, non una cosa, non un fenomeno puro e senza alcun significato, ma qualcosa che ha già significato nel momento stesso in cui lo esperisco.
CitazioneNemmeno capisco che cosa possa significare che "La mia coscienza può apparirmi solo come riflesso della coscienza di un altro che prende atto del mio accadere";
significa che originariamente la mia coscienza è generata da un altro che prende coscienza di me come individuo.

Citazionee comunque la "mia" coscienza (la coscienza immediatamente esperita) può anche essere pensata del tutto logicamente, senza alcuna contradizion che nol consente, come tutto ciò che accade realmente senza alcuna altra coscienza nell' ambito della quale si prenda atto dell' accadere della "mia" coscienza stessa (esistenza di "altre" coscienze che dunque pare indimostrabile, né mostrabile empiricamente).
Sì, è possibile postularla in tal modo, ma questo non spiega perché originariamente il mondo mi si dia abitato da altri individui coscienti quanto me (a me simili in fatto di coscienza). Non solo, ma quanto più la cultura è "primitiva", quanto più l'uomo è vicino alla sua infanzia, tanto più questa coscienza altra appare estesa. Il solipsismo appare piuttosto come un punto di arrivo acquisito da una lunga storia di interpretazioni che sottraggono via via coscienza, piuttosto che come un punto di partenza originario ove ogni forma fenomenica appare piuttosto dotato di una forma di coscienza sua propria, altra dalla mia ancora embrionale e, come forma embrionale, contenuta nell'altro.  

Citazione"Niente è" mi sembra evidentemente un' affermazione falsa, ma non contraddittoria (sarebbero contraddittorie "niente è e inoltre è qualcosa" o "qualcosa è niente").
Da un punto di vista logico il falso è autocontaddittorio (non vi è alcun altro falso logico che non sia una contraddizione). Se niente è allora "il niente" è, proprio perché tutto è niente.
CitazioneNon vedo comunque come potresti dimostrare l' affermazione che "Il solipsismo, comunque lo si intenda, è la negazione dell'altro (ne risolve la problematica postulandone la negazione) ed è ovvio che, se coerentemente portato avanti alle sue estreme conseguenze, non possa che giungere a sostenere che niente è [= la contraddizione nichilistica ontologica]": il solipsismo, anche inteso nell' accezione più radicale, ammette comunque l' esistenza di "qualcosa che è": (per lo meno) l' esperienza fenomenica cosciente immediatamente esperita (se non anche il suo soggetto).
No, ammette l'esistenza solo del soggetto, che sono io stesso che esperisco creando dal nulla l'oggetto. Ma questo soggetto originario che precede il suo oggetto non può esserci da solo senza l'oggetto che pretende di creare, dunque non è l'assoluto originario.

CitazioneMa perché mai "L'io che pensa" non dovrebbe poter "coincidere con l'io pensato dall'io che pensa", ovvero perché mai il soggetto del pensare non potrebbe esserne anche l' oggetto?
Proprio perché essere soggetto del pensare è l'opposto dell'esserne oggetto, l'oggetto e il soggetto del pensare sono tenuti insieme da quel pensare che accade, ma sono posti ai due poli estremi dal pensare che li lega. Essere contemporaneamente italiano e medico nella stessa identità è possibile, perché non rappresentano polarità opposte come il pensante e il pensato (fermo restando che è ancora possibile pensare Sgiombo solo come italiano o solo come medico e in questo caso le due entità parimenti non coincidono).
CitazioneDunque l' impossibilità di questa "perfetta auto sussistenza isolata" ecc. la credi per fede, dal momento che essa è pensabile sensatissimamente, senza alcuna contradizion che nol consente, e cioè non dimostrabile essere impossibile.
No, non è per nulla sensatissima, dato che risulta auto contraddittoria e si mostra autocontraddittoria in quanto l'accadere senza che nulla accada equivale al nulla dell'accadere. Ed è proprio per questo che il solipsismo, esattamente come il puro oggettivismo è una tappa verso il nichilismo ontologico di cui sopra: il nulla è assoluto (nulla del soggetto, nulla dell'oggetto, nulla dello stesso accadere in quanto ognuno di questi elementi preso in origine separato è nulla e non per fede, ma per logica)  

CitazioneMa un accadere che sta da solo, non é un accadere di nulla, bensì un accadere di qualcosa che non è accadere di alcunché ad alcuno(la lingua italiana con l' illogicissima ammissione di due negazioni che negano anziché affermare può creare fraintendimenti), ma non un non accadere di alcunché (in assoluto): affermarlo significherebbe cadere nella contraddizione ("nichilistica ontologica"?) pretendendo che qualcosa accada e anche contemporaneamente non accada.
Va vene, diciamo che "l'accadere accade per l'accadere", ma anche in questo caso abbiamo posto un accadere che è soggetto del proprio accadere e un accadere che è oggetto del proprio accadere e, come sopra si è detto non sono la stessa cosa essendo uno il soggetto e l'altro l'oggetto e non possono esserlo contemporaneamente.




CitazioneMa il solipsismo non è l'affermazione che "il soggetto crea il mondo pensandolo" (questo è casomai idealismo), bensì al massimo che "esiste solo il soggetto con la sua esperienza fenomenica (che non crea ad libitum; vedi risposta #79 di Phil) in un accezione "debole"; o magari addirittura che esiste solo l' esperienza fenomenica cosciente (senza soggetto) in una più "forte" o più "scettica".
solipsismo significa solo io stesso: io solo sono e faccio tutto, penso, percepisco e creo mentre penso e percepisco. Le radici del solipsismo stanno negli aspetti assoluti del cogito cartesiano e certo, anche dell'idealismo. Come poi possa sussistere un'esperienza fenomenica cosciente senza una coscienza resta un grande mistero, un vero mistero della fede.


CitazioneNon lo constatiamo empiricamente bensì lo crediamo fideisticamente interpretando indimostratamente ciò che constatiamo empiricamente.
Lo constatiamo proprio empiricamente in ogni istante anche minimamente cosciente della nostra esistenza, mentre fideisticamente si può giungere a credere il contrario, ossia di essere coincidenti con la totalità dell'esistente, senza nessun altro che me in giro, e al limite nemmeno me stesso, proprio in quanto tutto.

Ma mi sa che stiamo imbarcandoci in un'altra delle nostre discussioni senza fine caro Sgiombo (da cui ogni altro partecipante a ragione subito rifugge), quindi non aggiungerò altro se non che a me l'autocontraddizione logica del solipsista (del "solo me stesso") e la contraddizione rispetto all'esperienza primaria della realtà appare quanto mai evidente e chiara, prendo atto che per te non lo è altrettanto.

sgiombo

Citazione di: maral il 14 Novembre 2016, 23:19:07 PM
Ma mi sa che stiamo imbarcandoci in un'altra delle nostre discussioni senza fine caro Sgiombo (da cui ogni altro partecipante a ragione subito rifugge),
CitazioneConcordo unicamente con quest' ultima affermazioine, mentre tutte le altre le trovo evidentissimamente postulate senza alcuna dimostrazione (potrebbero essere vere o anche false), in parte evidentemente false, in qualche caso addirittura autocontraddittorie (concetti, fra l' altro, per me assai diversi l' uno dall' altro).

E conseguentemente, onde evitare l' imbarco anche da te il deprecato, non entro nei dettagli , anche perché dovrei ripetere argomentazioni già sviluppate in precedenza.

maral

Che vuoi che dica Sgiombo, se non che proprio tutti i miei infruttuosi tentativi di mostrarti che sia logicamente che empiricamente l'esistenza di "io" implica quella reale dell' "altro" e i tuoi per negarne il fondamento, mostrino la nostra irriducibile e reale alterità, che tu non sei né una creazione della mia mente né della mia percezione (per quanto per di più mediata dallo schermo di un computer). E non è per fede che lo credo, non ho fede che tu esista come altro da me, so che tu esisti come altro da me e per questo anch'io posso esistere realmente come altro da te (e sono convinto che pure tu lo sai e non ci credi per fede).
Con l'altro a volte ci si intende e altre no, a volte si condivide ed altre ci si oppone e in modo diverso con ogni altro a cui ci si trova legati da un accadere insieme e proprio questo manifesta che il reale comincia sempre da 2 (anzi, per la precisione da 3 visto che c'è pure la relazione che collega i 2, con tre gambe la realtà sta in piedi) e mai da 1, comunque lo si intenda.

sgiombo

Citazione di: maral il 15 Novembre 2016, 14:21:56 PM
Che vuoi che dica Sgiombo, se non che proprio tutti i miei infruttuosi tentativi di mostrarti che sia logicamente che empiricamente l'esistenza di "io" implica quella reale dell' "altro" e i tuoi per negarne il fondamento, mostrino la nostra irriducibile e reale alterità, che tu non sei né una creazione della mia mente né della mia percezione (per quanto per di più mediata dallo schermo di un computer). E non è per fede che lo credo, non ho fede che tu esista come altro da me, so che tu esisti come altro da me e per questo anch'io posso esistere realmente come altro da te (e sono convinto che pure tu lo sai e non ci credi per fede).
Con l'altro a volte ci si intende e altre no, a volte si condivide ed altre ci si oppone e in modo diverso con ogni altro a cui ci si trova legati da un accadere insieme e proprio questo manifesta che il reale comincia sempre da 2 (anzi, per la precisione da 3 visto che c'è pure la relazione che collega i 2, con tre gambe la realtà sta in piedi) e mai da 1, comunque lo si intenda.

CitazioneNon per insistere inutilmente sulle nostre reciproche, irriducibili divergenze, ma non vedo come queste possano mostrare o dimostrare a me la tua esistenza (in cui ovviamente credo; ma rendendomi ben conto della non fondatezza razionale di questa credenza) e consentirmi di superare razionalmente (per dimostrazione logica o constatazione empirica) il solipsismo.
Dunque io al contrario di te e di ciò di cui tu sei convinto a proposito di me, ho fede (irrazionale; e non certezza razionalmente fondata) che tu esista come altro da me, e per questo anch' io posso esistere realmente come altro da te (ma comprendo bene che invece tu sei convinto -anche se non posso comprendere come di fatto, effettivamente; e dunque credo erroneamente- di saperlo razionalmente e dunque, contrariamente a me, di non crederlo per fede).

Dunque che con l'altro a volte ci si intende e altre no, a volte si condivide ed altre ci si oppone e in modo diverso con ogni altro a cui ci si trova legati da un accadere insieme, e anche che si nasce in società e si comincia a pensare credendo alla presenza di altri (che solo dopo un' attenta riflessione critica si può mettere in dubbio), lo credo per fede, ma non perché sia manifestato da alcuna esperienza sensibile o dimostrazione logica.

(Se così non fosse, vorrebbe dire che mi hai convinto, cosa di cui credo tu sia consapevole non sia accaduta, malgrado gli sforzi generosamente profusi, esattamente come io sono consapevole di non aver convinto te).

Donalduck

Apeiron ha scritto:
Citazionenon nego che ci siano più prospettive e che ci sia oggettività tra le varie prospettive. Quello che mi da problemi è l'asserire che c'è una realtà "oggettiva" indipendente da OGNI prospettiva. Questo perchè sarebbe "oltre i limiti del linguaggio"
Credo che questa frase centri il problema più di tutto il resto.

1) Secondo me cercare qualsiasi tipo di "verità ultima" o "assoluta" attraverso la logica (ossia il linguaggio) è futile. O meglio lo è se si pensa di poter arrivare a una conclusione. Il linguaggio non può mai superare i limiti del relativo, pretendere di usarlo per "definire" l'assoluto (ammesso che questa parola abbia un referente in qualche modo esperibile) lo trovo fallimentare in partenza.

2) Trovo che pensare di poter separare del tutto l'oggettivo dal soggettivo sia semplicemente un'assurdità. Oggettivo e soggettivo si presuppongono a vicenda e non possono avere alcuna forma di esistenza indipendente. Per questo motivo ritengo che parlare di una realtà esistente indipendente dalla coscienza (o viceversa) sia un nonsenso.

3) Tuttavia soggetto e oggetto hanno una loro relativa indipendenza, il che ci consente di pensarli e studiarli separatamente. Quel che possiamo verificare è che sia il soggetto che l'oggetto fanno la loro parte nella costruzione dell"esistenza" (che risulta appunto dalla relazione soggetto-oggetto)

4) A proposito di questi temi trovo molto interessanti le speculazioni epistemologiche legate alla fisica quantistica e ai suoi paradossi, in particolare quelle di David Bohm e altri che seguono un simile linea di pensiero. In estrema sintesi, la tesi di fondo (secondo la mia interpretazione) è che ci sia un "ordine implicito" di natura virtuale, potenziale, "non locale" (ma non per questo "non reale") che guida il "flusso indiviso" dell'esistenza, flusso (quindi processo, divenire) da cui trae origine la "realtà", che sarebbe una manifestazione indotta dall'osservazione (ossia dalla relazione, o meglio una catena di relazioni che all'estremità è connessa a un soggetto). La differenza principale rispetto alla "cosa in sé" kantiana è costituita dal suo carattere potenziale (strettamente imparentato con concetto di "campo" nella fisica) e dal fatto che costituisce solo una componente della realtà (un lato della medaglia) e non una realtà a sé stante. In questa prospettiva non c'è esistenza senza conoscenza, e soggetto e oggetto fanno entrambi parte di questo flusso indiviso (una sorta di monismo dinamico).

5) Diverse tendenze di pensiero della recente epistemologia (con i suoi risvolti ontologici) portano a mettere in primo piano (fino a considerarlo il concetto più fondamentale che possiamo raggiungere a proposito dell'"essenza dell'esistenza") il concetto di informazione. E, se ci riflettiamo, ci rendiamo conto che in effetti possiamo "tradurre" qualunque elemento dela nostra esperienza in termini di informazione. E l'informazione presuppone un emittente, un ricevente e un codice (una "trinità" in stretta relazione con quella della semiotica, particolarmente evidente nei concetti di Peirce di "primità", "secondità" e "terzità")

Tutto ciò non esclude la possibilità di esperienze extrarazionali come il Nirvana o altro, che possano rendere l'"esperienza dell'assoluto", ma si tratterebbe comunque di dimensioni dell'esperienza inafferrabili per il linguaggio, riferibili solo attraverso allusioni e metafore.

green demetr

A me caro DonalDuck pare che manchi il problema del soggetto.

Qualsiasi delirio sull'oggetto quantistico, è un atto paranoico, come se il soggetto non esistesse.
E invece bisognerebbe chiedersi perchè film sempre più fantasmagorici fanno del reale qualcosa per pochi eletti (filosofi e qualche intellettuale), (e i cari film noir (hollywood '50) non se ne vedono più. :'(  )

Tra l'altro seguendo il filo di Maral, che condiviso al 100% (e che mi rende ancora più stupito di come possa seguire il suo 3d su verità come pratica...ma va bè, è un altra questione), ho riletto la posizione di DAVINTRO, ed effettivamente credo che il problema sia ANCORA sempre quello, ossia che caro DAVINTRO sei un solipsita, in filosofia analitica saresti sotto l'etichetta di DUALISTA RADICALE, in quanto accetti che esiste l'oggetto come conoscibile, ma non che lo sia il SOGGETTO (almeno credo  :P  *).


Ma come già ampiamente spiegato da Maral (nella sua diatriba infinita con il pessimo ;)  Sgiombo) il soggetto si dà solo come negazione rispetto ad un oggetto (sempre Spinoza omnis determinatio est negatio).

Se vogliamo pensarlo in termini trascendenti il carattere ontologico della sottrazione si presenta solo come problema del soggetto. (questione religiosa e non filosofica).
In termini psicanalitici purtroppo vedo sempre il fantasma paranoico, ossia io non posso conoscermi, e quindi non  esisto.

E dunque se non esisto, io sono DIO. (che poi sarebbe la solita posizione paranoide dell'occidentale tipo cattolico-borghese).

Sarebbe il caso di tornare a vederci come ancora vivi (per lo meno), ridarci un minimo di dignità filosofica come soggetti, a me sta bene pure tornare a Cartesio, anzi comincio seriamente a pensare che la gente senta un bisogno di tornarci.

Diciamo pure che esiste un soggetto frutto di un algebra matematizzante. Solo allora forse possiamo capire quale sia l'importanza dell'oggetto.

Perchè altrimenti qua le prolusioni del discorso fantasmatico rischiano di creare una inflazione virtuale mica da ridere.

Dio non esiste, figuriamoci l'oggetto frutto di un soggetto che si crede DIO.....POVERO ME! (lo dicevo io, il discorso schizoide, sta obnubilando la filosofia in maniera definitiva....AHIME'!....mmm posizione paranoica pure la mia EH!  ;) )

NB
(* sono un genio c'ho azzeccato! https://it.wikipedia.org/wiki/Dualismo sotto la voce dualismo epistemologico).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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