Realtà e rappresentazione

Aperto da Apeiron, 18 Ottobre 2016, 19:39:34 PM

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Apeiron

Citazione di: green demetr il 27 Ottobre 2016, 02:16:37 AMPer Apeiron. A mio parere invece il punto non è quello di stabilire la verità del noumeno. Ci si avvicina abbastanza l'interpretazione di Phil, quando appunto parla della funzione di limite del noumeno, che appunto è la mai compresa trascendentalità Kantiana. Solo che dissento da Phil, nel senso che il suo obiettivo è quello di stare nello scetticismo avanzando strane ipotesi sull'infinito e il mistico. Io invece sono dentro il fenomeno. Mi pare di capire che il tuo problema sia quello linguistico. Dunque apperecchiamo la tavola al punto in cui siamo. noumeno=x fenomeno=limite di x (lascio da stare per ora la parte trascendente, non serve nella discussione) conoscenza=inferenza del limite di x dunque il fenomeno è descrivibile lingusticamente come la funzione del limite di x Questo funziona se noi stabiliamo che stiamo parlando di " come se esistesse qualcosa" (e attenzione le teorie del senso dato partono da questa premessa). Credo infine di aver capito che però il tuo problema è ancora a monte. E cioè se quella x, se quel "qualcosa di come ci fosse dato", Esista effettivamente o no. Vorrei puntualizzare questa tua idea, nel senso che secondo te è un problema linguistico, ma la lingua è essa stessa la risposta al tuo domandare, in quanto per definizione è la forma che si da come Nominazione (di qualcosa appunto). Tu forse però intendi proprio invece il contenuto di verità sotteso, a quella domanda/nominazione stessa. Ovviamente al di là di Severino o il pensiero eleatico, non vi sono altre formulazioni che io conosca. Ossia la verità è la stessa esistenza, l'esistere in quanto esistere. In quella posizione il fenomeno è dunque la copia, l'idea platonica che domina l'occidente ancora oggi. Fenomeno come apparenza. A mio modo di vedere invece, la questione stà a valle, appunto come hai inteso bene, sul fenomeno, che essendo in contatto col noumeo dice qualcosa del noumeno stesso. Al contrario di Sgiombo dunque credo che la forma inferenziale abbia un valore, proprio nel suo valore di limite. Se fosse per fede, allora tutto potremmo pensare: pure che esistano gli unicorni. Il prospettivismo è dunque la regola vivente, dinamica, cangiante a cui siamo sempre costretti a rispondere. Linguisticamente si configura come scienza da Newton ( e prima ancora Galilei) in poi. Lingua matematica ovvio.

Dunque: il problema è linguistico in questo senso. Sia x un fatto, un avvenimento. F(x) una proposizione dell'avvenimento. Ora F è la "funzione linguaggio" che associa un "fatto" alla sua descizione. Chiaramente ci sono anche altre cose oltre ai fatti, ad esempio l'esperienza cosciente. E anche qui possiamo usare y per le esperienze e G(y) per il linguaggio relativo. Ora la collezione di tutte le "frasi" F(x),G(y) ecc formano il linguaggio. Cos'hanno in comune tutte queste? Bene o male che si riferiscono all'esperienza ("interna",esterna...). Nel caso del noumeno tu vorresti descrivere qualcosa di cui non puoi avere esperienza. Mi dirai: ok posso parlare dei draghi anche se non ci sono. La differenza è che i draghi li descrivi come "fenomeni" e ammesso che siano compatibili con "le leggi del mondo e del pensiero" sono possibili esperienze (se non lo sono tuttavia la loro esistenza è impossibile ma le proposizioni si riferirebbero a possibili esperienze, ergo sarebbero false ma insensate). Il noumeno invece è qualcosa che è "oltre" l'esperienza, quindi a rigore non può essere descritto. E qui prova a pensare alla dottrina del Dio creatore: fintantochè riesci a immaginarti  ad esempio un Dio che "crea" le cose in modo simile ad un artigiano allora ok. Quando però dici "Dio crea dal nulla" beh credo che questa proposizione sia per così dire priva di senso, perchè appunto la parola "creazione" si riferisce all'esperienza ordinaria e la parola "nulla" è maldefinita. E se poi ti chiedi se Dio è un fenomeno o un noumeno non ne esci.

Riprendendo Wittgenstein: Non come il mondo è, è il mistico ma che esso è.

Citazione di: Phil il 26 Ottobre 2016, 20:41:27 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMI problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala" [...] ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno?
Il senso delle mie osservazioni è proprio che l'oggetto è un postulato (o un "mito"?) necessario al "funzionamento" della nostra logica comune, ma non potremmo mai stabilire se esiste con certezza, proprio perchè è esso stesso il limite fondante della nostra logica (praticamente è la versione gnoseologica dell'"indecidibilità" di Godel ;) ). Non credo si possa uscire dalla nostra ragione interpretante senza perdere al contempo la ragione stessa (d'altronde, o si sta sulla scala, o si sta "fuori" dalla scala...). Sarebbe come cercare di vedere con i propri occhi (senza strumenti!) cosa succede nel buio pesto, in assenza di luce: bisogna ammettere che se possiamo vedere è perchè c'è la luce, come sia il mondo quando non è illuminato dalla luce, i nostri occhi non potranno mai saperlo (ovviamente è solo una metafora... niente cavilli sui visori notturni ;D ). Se si sta dentro la rappresentazione non si può sapere esattamente cosa c'è fuori (e se c'è); se invece si sta fuori allora non c'è più (bisogno di) rappresentazione...
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMUna volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala.
Non ne sono convinto, se l'esistenza del noumeno fosse verificata e dimostrata, allora si potrebbe stare fieramente in cima alla scala (finalmente giunti al noumeno!), ma se si buttasse via la scala si butterebbe via anche il percorso che porta al noumeno e forse il noumeno stesso... per questo gettare la scala senza noumeno (come suggerisce Wittgenstein) apre ad altri orizzonti in cui il problema del noumeno non si pone (essendo andati oltre... o almeno oltre la settima proposizione!).
Quando ho finito il Tractatus mi sembrava di essere libero e di aver risolto tutti i problemi. Col tempo tuttavia mi sono accorto che il Problema rimaneva e quindi non ho smesso di ricercare: il Silenzio non mi soddisfa in quanto suggerisce che tutta la mia ricerca è stata inutile. Che senso ha un percorso filosofico se poi ti porta al solo silenzio? Purtroppo sono uno che vuole capire e non riesco ad accontentarmi di risposte del tipo "qui non puoi indagare". Ci vorrebbe o il noumeno o un altro tipo di pensiero completamente diverso.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#61
Apeiron scrive:

Quando ho finito il Tractatus mi sembrava di essere libero e di aver risolto tutti i problemi. Col tempo tuttavia mi sono accorto che il Problema rimaneva e quindi non ho smesso di ricercare: il Silenzio non mi soddisfa in quanto suggerisce che tutta la mia ricerca è stata inutile. Che senso ha un percorso filosofico se poi ti porta al solo silenzio? Purtroppo sono uno che vuole capire e non riesco ad accontentarmi di risposte del tipo "qui non puoi indagare". Ci vorrebbe o il noumeno o un altro tipo di pensiero completamente diverso.

Personalmente invece ho bisogno proprio di quel silenzio che non ti soddisfa. Ma se sei un serio ricercatore perché escludi che il silenzio possa alla fine essere la risposta? E' porti un pre-concetto irrazionale, che formula già un giudizio negativo su di un'esperienza senza averla conosciuta. Non è che alla fine vorresti che la famosa "Verità" fosse una formula verbale, o un algoritmo, o una formula matematica e rifiuti anche solo l'idea che non lo sia? Non potrebbe nascondersi il desiderio che la "Verità" dia appagamento?  Un'esperienza in più da godere da parte dell'Io ?
Il silenzio non è morte, è qualcosa di estremamente vivo e pulsante. Essendo vivo lo puoi solo vivere. Nel silenzio non c'è dualità ( Sarebbe più esatto dire che "rimane sullo sfondo" non essendo più l'attore principale).  :) Siamo su un terreno "mistico" ( termine orribile che richiama apparizioni, statue che piangono e amenità varie, quindi ASSOLUTAMENTE da non usare)e quel terreno non è adatto a tutti perché MOLTO pericoloso ( si possono fare strani incontri nel silenzio... ;D). Può essere una benedizione oppure un'autentica maledizione...Come uno nasce musicista, un altro matematico, così si nasce con tendenze "buffonesche"( non so che termine usare per...) ,purtroppo non ci si può far niente . E' il nostro karma (pali: kamma ) ::) ::)...

P.S: Che poi la "mistica" è solo un altro modo ( pochissimo conosciuto ed esplorato) di funzionare della nostra mente...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Phil

#62
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMil Silenzio non mi soddisfa in quanto suggerisce che tutta la mia ricerca è stata inutile. Che senso ha un percorso filosofico se poi ti porta al solo silenzio?
Se non erro, il silenzio di Wittgenstein non è il silenzio dell'assenza di risposta o il silenzio che non sa che dire, è invece un silenzio come rispota e un silenzio che non può e non deve dire nulla ("si deve tacere" dice il Tractatus, se non ricordo male).
Il silenzio rigorso che testimonia il raggiungimento della soglia del limite è un "silenzio deontologico" per il ricercatore: quel silenzio dà voce proprio a tutto ciò che non è silenzio, e che è quindi il "dicibile" della ricerca. Un percorso/discorso filosofico che non ha zone di silenzio o è una (improbabile) onniscienza oppure non ha uno statuto epistemologico ben definito (ovvero limitato, ovvero circondato dal silenzio...).

Come osserva Sariputra, se si decide aprioristicamente di non accettare un tipo di risposta, la ricerca non è autentica, perchè si è disposti ad ammettere solo il tipo di risposta che si è già deciso di ottenere (e ciò vizia irrimediabilmente sia il ricercare che il rispondere...).

Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMPurtroppo sono uno che vuole capire e non riesco ad accontentarmi di risposte del tipo "qui non puoi indagare".
Il capire che "qui non puoi indagare" è una "tappa" utilissima perchè richiede o di cambiare il metodo/strumento di ricerca (così da poter indagare anche qui) oppure indica semplicemente che si sta cercando la risposta nel "posto" sbagliato.
D'altronde, se usando la logica formale volessimo indagare la poesia, la sua risposta non sarebbe esattamente un serafico "qui non puoi indagare" seguito da un "quindi devi restare in silenzio"?

Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PMCi vorrebbe o il noumeno o un altro tipo di pensiero completamente diverso.
Quel "ci vorrebbe" allude ad una necessità: si tratta di un'esigenza logica, psico-logica, onto-logica o esistenziale?


P.s.
@sariputra: il mistico di cui parla Wittgenstein è il mistero inteso come rebus irrisolvibile per la logica razionale, non tanto il mistico di matrice religiosa, spiritualistica o folkloristica... e concordo appieno sul fatto che sia comunque una "parolaccia"!  ;D
@green demetr: quando parlo del "mistico", parlo della prospettiva di Wittgenstein, non della mia  :)

Sariputra

@ Phil
Sì, ma non mi riferivo nello specifico al silenzio di Wittgenstein.  Mi riferivo al "silenzio" inteso come esperienza ( a cui, a rigor di termine, non si può nemmeno dare una connotazione religiosa, spirituale, ecc. anche se queste si servono del termine per indicare qualcos'altro...). Anche se...se non ricordo male...lo stesso W. si è avvicinato alla spiritualità per un certo periodo della sua vita ( o ricordo male? ::)...).
Mah...beviamoci sopra... :-[
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#64
Il Silenzio mistico/religioso/spirituale è un silenzio "reverenziale" in cui appunto si tace perchè la cosa su cui non si dice nulla è "assolutamente più grande di noi". Ok, è una prospettiva che calma l'animo. Tuttavia è anti-filosofica questa prospettiva perchè "pone un veto". Ma anche qui il senso "mistico", la meraviglia, in realtà paradossalmente ha fatto nascere la filosofia (come dicevano i greci). Che sia tipo un cerchio che si chiude nella meraviglia?

Ad oggi il silenzio "non mi piace" perchè sinceramente non ho ancora "dimostrato" che ci deve essere. Perchè se il silenzio entra la filosofia deve finire... E ancora nessun "silenzio" mi ha convinto. Pur chiaramente essendo la "pace". Il problema che ogni "silenzio" che ho incontrato non mi sembra pienamente soddisfacente.... Quello "trovato" da W. sembra una sorta di "nulla".

@Sariputra: usa pure il sanscrito, il Pali l'ho usato io per denotare i concetti propri del Buddismo più vicino (forse) all'originale, il Theravada :)

INIZIO OT ("off-topic") :

Comunque ammiro  Buddha, Wittgenstein, Anassimandro (Apeiron :) ), Kant, Berkeley, Schopenhauer, Nietzsche ecc, tuttavia secondo me sono tutti "perfezionabili".

Nietzsche: " Noi, aeronauti dello spirito! - Tutti questi temerari uccelli che volano là in lontananza, in estrema lontananza, - di sicuro! a un certo punto non potranno più andar oltre e si appollaieranno sull'albero di una nave o su un piccolo scoglio - e grati per giunta di questo misero rifugio! Ma a chi sarebbe lecito trarne la conclusione che dinanzi a loro non c'è nessuna immensa, libera via, che essi sono volati tanto lontano quanto si può volare! Tutti i nostri grandi maestri e precursori hanno finito per arrestarsi, e non è il gesto più nobile e leggiadro quello con cui la stanchezza si arresta: anche a me e a te accadrà così! Ma cosa importa di me e di te! Altri uccelli voleranno oltre! Questa nostra consapevolezza e fiducia spicca il volo con essi facendo a gara nel volare in alto, sale a picco sul nostro capo e oltre la sua impotenza, lassù in alto, e di là guarda nella lontananza, antivede stormi d'uccelli molto più possenti di quel che siamo noi, che aneleranno quel che noi anelammo, in quella direzione dove tutto è ancora mare, mare, mare! - E dove vogliamo dunque arrivare? Al di là del mare? Dove ci trascina questa potente brama, che per noi è più forte di qualsiasi altro desiderio? Perché proprio in questa direzione, laggiù dove fino ad oggi sono tramontati tutti i soli dell'umanità? Si dirà forse un giorno di noi che, volgendo la prua a occidente, anche noi speravamo di raggiungere le Indie, - ma che nostro destino fu quello di naufragare nell'infinito? Oppure, fratelli miei? Oppure? -"

Wittgenstein si è avvicnato alla religione fin dal 1912 (quando ancora era studente di Russell, prima della guerra e del Tractatus) e poi è sempre stato "quasi religioso" per tutta la vita.

FINE OT
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 12:49:36 PM
Citazione di: Jean il 27 Ottobre 2016, 12:39:48 PMEh, Sari... complimenti per il punto 4, si potrebbe dire reale (in quanto una delle ipotesi) ma non rappresentato... Certo che se il suocero di sgiombo si chiamava Teseo... (Il vino di Teseo... suona bene) si complicherebbe ancor più la faccenda del tuo topic... con la presenza che perdura nonostante l'assenza...

Il suocero di Sgiombo è come il noumeno: Non c'èma nello stesso tempo c'è, ma possiamo rappresentarcelo sotto forma del vino novello... ;D
CitazioneFra l' altro ne sarebbe (o ne é? Beh fate voi...) contento

davintro

Green demetr scrive

"Per me la trascendenza non può venire dal "DAS DING" alias l'oggetto prima che si dia alla percezione.
La tua teoria della sintesi passiva husserliana oggi va molto di moda.

Di certo concordiamo fortemente sul carattere di sintesi, ci discostiamo su quale sia il ruolo del percetto, passivo come nella tua teoria, o attivo come nella teoria classica dell'idealismo da Kant in poi.

Per noi metafisici essendo la trascendenza Dio (un Dio inconoscibile sia chiaro) la sintesi non potrà essere che epifania dello svolgimento del mondo storico reale. (Hegel)

In Husserl o in te sembra quasi ribaltato il procedimento per cui è lo scontro dialettico col reale, a determinare il valore della sintesi, e non quello esperenziale.
E per cui appunto l'esperenziale è questo scontro cieco con la Natura in fin dei conti.("




In realtà, nella "mia posizione" la percezione non è un vissuto passivo, ma attivo. Anzi, proprio il carattere attivo, o meglio intenzionale, della percezione, rende possibile il discorso realista sull'autonomia degli oggetti percepiti rispetto all'Io percepiente, anche se capisco che messo così il discorso può apparire paradossale. L'autonomia è costituita dalla capacità degli oggetti di comunicare stimoli all'Io, che si trova  costretto, come nel mio esempio del signore che corregge la sua percezione sulla persona davanti a lui coi capelli lunghi, a modificare gli schemi associativi che regolano le sintesi percettive. Ma perchè ci siano modifiche occorre che ci sia qualcosa che subisce tale modifica, nello specifico, la "presunzione" da parte della percezione della corrispondenza tra il proprio contenuto fenomenico e la realtà oggettiva trascendente. Cioè, non ci sarebbe alcuna necessità di modificare i nostri schemi associativi che la percezione utilizza se quest'ultima si limitasse a registrare passivamente ciò che la sensazione comunica. Al contrario la modifica degli schemi diviene necessaria nel momento in cui quegli schemi si sono rivelati inefficaci al fine dell'apprensione della realtà oggettiva, e tale rivelazione si riferisce al tentativo del soggetto percepiente di operare una sintesi anticipativa, di unire sinteticamente il lato dell'oggetto che cade attualmente sotto i nostri occhi, con i lati dell'oggetto nascosti, come il volto di una persona di cui per ora vediamo di spalle, ma che nel futuro, modificando la posizione spaziale del nostro corpo nei confronti dell'oggetto percepito o dell'oggetto percepito stesso, diverebbero contenuti percettivi attuali. Io riconosco che gli schemi associativi erano inadeguati perchè essi hanno portato a elaborare delle anticipazioni sulla forma complessiva e unitaria dell'oggetto che i nuovi dati sensitivi hanno mostrato come inadeguati. Se invece la percezione fosse passività, mera risultante o sommatoria passiva dell'accumulo di sensazioni provenienti dall'esterno che entrano in contatto con la nostra soggettività, allora essa dovrebbe limitarsi ad un'espansione quantitativa, qualcosa che s'ingrandisce quanto più le sensazioni presentano nuovi dati, mentre resterebbe inspiegata la necessità, che invece riconosciamo come costante e concreta, di una riformulazione qualitativa dei nostri schemi associativi ed aspettative sulla realtà fenomenica. Noi modifichiamo le nostre aspettative perchè queste aspettative le abbiamo, le abbiamo perchè la percezione non si limita ad apprendere il lato dell'oggetto che abbiamo sotto gli occhi, ma lo trascende elaborando la visione dell'oggetto nella sua interezza, comprendente anche i lati per ora nascosti, e questa tensione verso il trascendimento del "qui e ora" è un'attiva presa si posizione del soggetto sulla realtà, cioè ciò che va inteso come "intenzionalità".

Dunque la percezione è attività intenzionale, ma proprio perchè tale, cioè rivolta a dare un senso oggettivo all'esperienza del reale non può essere arbitrarietà, ma motivazionalità regolata dalla passività delle sensazioni che l'oggetto ci comunica. Ragion per cui, trovo fuori luogo le posizioni di tutti coloro che hanno visto la dottrina husserliana fenomenologica della coscienza intenzionale come il ritorno a un idealismo soggettivo, invece penso che sia un realismo critico la posizione gnoseologia più coerente con tale dottrina, almeno per quello che mi è sembrato di comprendere della fenomenologia husserliana

sgiombo

#67
Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PM
Citazione di: green demetr il 27 Ottobre 2016, 02:16:37 AM
N. B.:

QUESTA CITAZIONE E' DA APEIRON, NON DA GREEN DEMETR (sono imbranato e non riesco a togliere l' intestazione. Abbiate pazienza)

Dunque: il problema è linguistico in questo senso. Sia x un fatto, un avvenimento. F(x) una proposizione dell'avvenimento. Ora F è la "funzione linguaggio" che associa un "fatto" alla sua descizione. Chiaramente ci sono anche altre cose oltre ai fatti, ad esempio l'esperienza cosciente. E anche qui possiamo usare y per le esperienze e G(y) per il linguaggio relativo. Ora la collezione di tutte le "frasi" F(x),G(y) ecc formano il linguaggio. Cos'hanno in comune tutte queste? Bene o male che si riferiscono all'esperienza ("interna",esterna...). Nel caso del noumeno tu vorresti descrivere qualcosa di cui non puoi avere esperienza. Mi dirai: ok posso parlare dei draghi anche se non ci sono. La differenza è che i draghi li descrivi come "fenomeni" e ammesso che siano compatibili con "le leggi del mondo e del pensiero" sono possibili esperienze (se non lo sono tuttavia la loro esistenza è impossibile ma le proposizioni si riferirebbero a possibili esperienze, ergo sarebbero false ma insensate). Il noumeno invece è qualcosa che è "oltre" l'esperienza, quindi a rigore non può essere descritto.


CitazioneMa se é per questo, allora anche parlando delle (presunte, credibili ma non dimostrabili né tantomeno mostrabili) esperienze coscienti "altre" (oltre la "propria" effettivamente avvertita) vorremmo descrivere qualcosa di cui non possiamo avere esperienza.

Anche  le (presunte, credibili ma non dimostrabili né tantomeno mostrabili) esperienze coscienti "altre" (oltre la "propria" effettivamente avvertita) sono qualcosa che è "oltre" l'esperienza praticabile e descrivibile, quindi a rigore non può essere descritto.

Considera il famoso esperimento mentale dello "spettro cromatico invertito": perché ciò che io vedo come rosso nella tua esperienza cosciente non potrebbe essere verde e viceversa? Se così fosse non cambierebbe proprio nulla nella nostra comunicazione verbale (e dunque non si può verificare e stabilire se lo é o meno).
Ma anche questo esperimento mentale é solo un modo di alludere a qualcosa di non dicibile letteralmente: semplicemente, come mi piace dire, "non si può sbirciare in altre esperienze fenomeniche coscienti" (oltre la "propria" effettivamente apparente) per vedere se, in che misura, limitatamente a che sono uguali o no alla propria.
Dunque, oltre a non essere dimostrabile né mostrabile (ma credibile solo per fede, per quanto questa parola possa dispiacere) la loro reale esistenza, non ha senso chiedersi se i loro contenuti materiali, considerabili (e non dimostrabili né mostrabili nemmeno limitatamente a ciò) intersoggettivi siano uguali o diversi dai "nostri propri".
Perché la conoscenza scientifica (vera) sia possibile é necessario che siano reciprocamente corrispondenti (questo significa "intersoggetivi"): per una certa sfumatura di rosso e una certa forma di un certo oggetto nella mia propria esperienza fenomenica cosciente esiste una e una sola certa sfumatura di rosso e una e una sola certa forma di uno e un solo certo oggetto nella tua esperienza fenomenica cosciente e in quella di chiunque altro si collochi nelle opportune condizioni così da poterlo vedere; ma non é possibile accostare il mio "rosso" di tale oggetto al tuo nel modo (nel senso) in cui nella coscienza di ciascuno di noi é possibile, accostando gli oggetti, confrontarlo al "rosso, uguale, oppure un po' più chiaro o più scuro o più tendente all' arancione o al viola" di un altro oggetto: ciò che io chiamo "rosso" corrisponde biunivocamente a ciò che tu e chiunque altro non daltonico chiama "rosso", punto e basta. Confrontarli non é possibile, parlare a loro proposito di uguaglianza o meno non ha senso.

Se non ritieni sensato parlare del noumeno, allora inevitabilmente dovresti allo stesso modo non ritenere sensato parlare nemmeno dei contenuti di altre esperienze fenomeniche oltre alla "propria", le quali é possibile (non dimostrabile né mostrabile) ritenere esistere (oltre che ritenere -sempre arbitrariamente, fideisticamente- che quelli materiali fra di essi siano intersoggettivi) e che comunque più né meno del noumeno, se reali, sono trascendenti la "propria", l' unica effettivamente esperita, sentita, constata.

Phil

Credo sia anche lecito chiedersi (forse è una radicalizzazione di quanto osserva sgiombo): gli altri esseri umani non fanno parte del noumeno? Non sono essi stessi qualcosa che identifico (parlandone), percepisco (mi vengono rappresentati dai sensi), interpreto (relazionandomici), esattamente come faccio con altri oggetti esterni ed estranei alla mia autocoscienza?

L'intersoggettività (che vuole slanciarsi oltre il solipsismo) mette in salvo "gli altri umani" dall'inattingibilità del noumeno, ma come dimostrare che in fondo non siano anch'essi "noumenici"?

green demetr

Citazione di: davintro il 27 Ottobre 2016, 18:35:14 PM
Green demetr scrive

"Per me la trascendenza non può venire dal "DAS DING" alias l'oggetto prima che si dia alla percezione.
La tua teoria della sintesi passiva husserliana oggi va molto di moda.

Di certo concordiamo fortemente sul carattere di sintesi, ci discostiamo su quale sia il ruolo del percetto, passivo come nella tua teoria, o attivo come nella teoria classica dell'idealismo da Kant in poi.

Per noi metafisici essendo la trascendenza Dio (un Dio inconoscibile sia chiaro) la sintesi non potrà essere che epifania dello svolgimento del mondo storico reale. (Hegel)

In Husserl o in te sembra quasi ribaltato il procedimento per cui è lo scontro dialettico col reale, a determinare il valore della sintesi, e non quello esperenziale.
E per cui appunto l'esperenziale è questo scontro cieco con la Natura in fin dei conti.("




In realtà, nella "mia posizione" la percezione non è un vissuto passivo, ma attivo. Anzi, proprio il carattere attivo, o meglio intenzionale, della percezione, rende possibile il discorso realista sull'autonomia degli oggetti percepiti rispetto all'Io percepiente, anche se capisco che messo così il discorso può apparire paradossale. L'autonomia è costituita dalla capacità degli oggetti di comunicare stimoli all'Io, che si trova  costretto, come nel mio esempio del signore che corregge la sua percezione sulla persona davanti a lui coi capelli lunghi, a modificare gli schemi associativi che regolano le sintesi percettive. Ma perchè ci siano modifiche occorre che ci sia qualcosa che subisce tale modifica, nello specifico, la "presunzione" da parte della percezione della corrispondenza tra il proprio contenuto fenomenico e la realtà oggettiva trascendente. Cioè, non ci sarebbe alcuna necessità di modificare i nostri schemi associativi che la percezione utilizza se quest'ultima si limitasse a registrare passivamente ciò che la sensazione comunica. Al contrario la modifica degli schemi diviene necessaria nel momento in cui quegli schemi si sono rivelati inefficaci al fine dell'apprensione della realtà oggettiva, e tale rivelazione si riferisce al tentativo del soggetto percepiente di operare una sintesi anticipativa, di unire sinteticamente il lato dell'oggetto che cade attualmente sotto i nostri occhi, con i lati dell'oggetto nascosti, come il volto di una persona di cui per ora vediamo di spalle, ma che nel futuro, modificando la posizione spaziale del nostro corpo nei confronti dell'oggetto percepito o dell'oggetto percepito stesso, diverebbero contenuti percettivi attuali. Io riconosco che gli schemi associativi erano inadeguati perchè essi hanno portato a elaborare delle anticipazioni sulla forma complessiva e unitaria dell'oggetto che i nuovi dati sensitivi hanno mostrato come inadeguati. Se invece la percezione fosse passività, mera risultante o sommatoria passiva dell'accumulo di sensazioni provenienti dall'esterno che entrano in contatto con la nostra soggettività, allora essa dovrebbe limitarsi ad un'espansione quantitativa, qualcosa che s'ingrandisce quanto più le sensazioni presentano nuovi dati, mentre resterebbe inspiegata la necessità, che invece riconosciamo come costante e concreta, di una riformulazione qualitativa dei nostri schemi associativi ed aspettative sulla realtà fenomenica. Noi modifichiamo le nostre aspettative perchè queste aspettative le abbiamo, le abbiamo perchè la percezione non si limita ad apprendere il lato dell'oggetto che abbiamo sotto gli occhi, ma lo trascende elaborando la visione dell'oggetto nella sua interezza, comprendente anche i lati per ora nascosti, e questa tensione verso il trascendimento del "qui e ora" è un'attiva presa si posizione del soggetto sulla realtà, cioè ciò che va inteso come "intenzionalità".

Dunque la percezione è attività intenzionale, ma proprio perchè tale, cioè rivolta a dare un senso oggettivo all'esperienza del reale non può essere arbitrarietà, ma motivazionalità regolata dalla passività delle sensazioni che l'oggetto ci comunica. Ragion per cui, trovo fuori luogo le posizioni di tutti coloro che hanno visto la dottrina husserliana fenomenologica della coscienza intenzionale come il ritorno a un idealismo soggettivo, invece penso che sia un realismo critico la posizione gnoseologia più coerente con tale dottrina, almeno per quello che mi è sembrato di comprendere della fenomenologia husserliana


A mio parere fai il solito errore su cosa sia l'idealismo, che non è una posizione rappresentazionalista monista, ma piuttosto una RIVELAZIONE STORICA.

Infatti la posizione critica gnoseologica dell'intenzionalità, è identica, e concordiamo totalmente.

Non concordiamo, o io non concordo su Husserl (visto che in realtà mi sembri anche tu d'accordo sul carattere positivo della sintesi), sul carattere passivo della sintesi. Per Husserl l'oggetto chiede di essere visto in un determinto delta di tempo. Questa mossa, insensata a mio parere, serve al filosofo proprio per evitare una forma trascendente, in cui anche l'io si formi in quanto "proiezione divina", e dunque per stare in una dimensione totalmente anti-metafisica, di sospensione del mondo.

Questo trascendentismo idealista probabilmente viene scambiato come solispsimo percettivo, quando invece è il contrario.
Il trascendente viene dato come epifania proprio nel suo scontro con il reale. Quindi tra Noumeno (cosa in sè) e Dio si situerebbe l'uomo, con la sua intenzionalità attiva.

Per Husserl non esistendo alcun Dio fra L'uomo e il noumeno si porrebbe una dimensione (non so quanto critica, a me pare ugualmente metafisica) intenzionale ribaltata, come se fosse l'oggetto a volersi far conoscere, e non come se l'uomo volesse conoscersi tramite la negazione storica delle sue intezioni.(ma allora dico io è come se fosse l'oggetto DIO. non so se mi spiego).

Ora io non so se questo sia anche il tuo caso, non riesco a desumerlo dalla tua posizione, che mi sembre "semplicemente" quella di salvare il reale in maniera critica. Se la limitiamo solo a quello, senza aprire appunto il problema del trascendente o metafisico che sia, siamo in totale accordo.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Apeiron il 27 Ottobre 2016, 15:49:49 PM

Dunque: il problema è linguistico in questo senso. Sia x un fatto, un avvenimento. F(x) una proposizione dell'avvenimento. Ora F è la "funzione linguaggio" che associa un "fatto" alla sua descizione. Chiaramente ci sono anche altre cose oltre ai fatti, ad esempio l'esperienza cosciente. E anche qui possiamo usare y per le esperienze e G(y) per il linguaggio relativo. Ora la collezione di tutte le "frasi" F(x),G(y) ecc formano il linguaggio. Cos'hanno in comune tutte queste? Bene o male che si riferiscono all'esperienza ("interna",esterna...). Nel caso del noumeno tu vorresti descrivere qualcosa di cui non puoi avere esperienza. Mi dirai: ok posso parlare dei draghi anche se non ci sono. La differenza è che i draghi li descrivi come "fenomeni" e ammesso che siano compatibili con "le leggi del mondo e del pensiero" sono possibili esperienze (se non lo sono tuttavia la loro esistenza è impossibile ma le proposizioni si riferirebbero a possibili esperienze, ergo sarebbero false ma insensate). Il noumeno invece è qualcosa che è "oltre" l'esperienza, quindi a rigore non può essere descritto. E qui prova a pensare alla dottrina del Dio creatore: fintantochè riesci a immaginarti  ad esempio un Dio che "crea" le cose in modo simile ad un artigiano allora ok. Quando però dici "Dio crea dal nulla" beh credo che questa proposizione sia per così dire priva di senso, perchè appunto la parola "creazione" si riferisce all'esperienza ordinaria e la parola "nulla" è maldefinita. E se poi ti chiedi se Dio è un fenomeno o un noumeno non ne esci.

Riprendendo Wittgenstein: Non come il mondo è, è il mistico ma che esso è.



Esatto, quella che descrivi è la mia posizione. Tranne l'ultima, in cui parli di un DIO ex-machina alla Leibniz., Locke etc..

A mio avviso anche DIO è inconoscibile, ed esattamente come per l'oggetto noi possiamo DESUMERLO dal processo storico di RIVELAZIONE, come epifania però in questo caso, non rappresentazione, ma come apertura di senso, UGUALMENTE PER NEGAZIONE nel suo processo di somma cognitiva del manifestantesi, ora e adesso, nel qui. (essendo freudiano, per somma cognitiva intendo anche quella onirica, inconscia).


Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr


Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).

Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

Citazione di: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:08:28 AM Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).

Ah!...I pregiudizi, i pregiudizi...cosa dovremmo dire allora del buon Friedrich ?...Mah!  ;)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

green demetr

Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 11:14:29 AM
Citazione di: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:08:28 AM Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).

Ah!...I pregiudizi, i pregiudizi...cosa dovremmo dire allora del buon Friedrich ?...Mah!  ;)

Cosa intendi?  :)

Si insomma non avendolo ancora capito bene, mi astengo, però il dubbio allo stato attuale mi rimane.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Sariputra

Citazione di: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:28:48 AM
Citazione di: Sariputra il 28 Ottobre 2016, 11:14:29 AM
Citazione di: green demetr il 28 Ottobre 2016, 11:08:28 AM Wittgenstein....confesso che faccio fatica a capirlo pienamente. Ho il forte pregiudizio che la sua sia una forma di anti-storicismo radicale, dovuta al suo essere DENTRO al discorso ossessivo, bloccante, limitante (al fatto per dirla in termini orribilmente psichiatrici, che era un ossessivo compulsivo).
Ah!...I pregiudizi, i pregiudizi...cosa dovremmo dire allora del buon Friedrich ?...Mah! ;)
Cosa intendi? :) Si insomma non avendolo ancora capito bene, mi astengo, però il dubbio allo stato attuale mi rimane.

Intendo dire  che, se hai dei pregiudizi sul Wittgenstein filosofo perchè lo ritieni disturbato psichicamente, dovresti averli anche sul Nietzsche filosofo che non godeva umanamente di molta serenità mentale, per dirla con un eufemismo. Tutto qua.
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