Realtà e rappresentazione

Aperto da Apeiron, 18 Ottobre 2016, 19:39:34 PM

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Apeiron

"Il mondo è una mia rappresentazione" (Schopenhauer).



Una delle più grandi questioni dell'epistemologia è la seguente: distinguere cosa è oggettivo da cosa invece è soggettivo nelle'esperienza. Nessuno di noi (o quasi, a parte certi realisti "naive") ha difficoltà ad accettare che colori, suoni, sensazioni tattili, odori e gusti esistano solo come "rappresentazione" che la nostra mente produce della realtà. Ben diverso il discorso è quando si discute dell'oggettività delle regolarità della natura e dell'esistenza della materia (perfino Schopenhauer diceva che il cervello produceva la rappresentazione). Eppure la cosa a me è sempre suonata un po' sospetta. Cosa è dunque che ci fa veramente distinguere ciò che è soggettivo da ciò che invece è oggettivo?


Un'ipotesi di comodo è che ad esempio la matematica e la logica descrivano sia il funzionamento della nostra mente che quello della materia e quindi la descrizione matematica della natura è in linea di principio esatta. Tuttavia questa è un'assunzione forte e sinceramente vedo una forte contingenza sul particolare linguaggio usato in matematica, tanto da rendere alcune cose di essa arbitrarie (tipo il come noi sciriviamo le leggi della fisica...). Ma anche se accettiamo che la "materia" è oggettiva e segue leggi matematiche, l'unico modo per stabilirlo è l'esperienza. Tuttavia l'esperienza ci da informazioni sulla rappresentazione e non sulla realtà. D'altronde noi ad esempio diciamo che il Sole è (quasi) sferico utilizzando ciò che sappiamo dall'esperienza.



L'unica alternativa sarebbe quella di non passare per l'esperienza e di indagare il "rappresentante" MA questo metodo è chiaramente soggettivo. Detto questo: secondo voi esiste un metodo che ci permetta di dare una comprensione oggettiva della realtà?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

#1
CitazioneRitengo che il solipsismo (e più generalmente lo scetticismo) non sia superabile razionalmente ma solo assumendo fideisticamente la verità di alcune tesi indimostrabili, né direttamente constatabili empiricamente.

Possiamo solo arbitrariamente, fideisticamente assumere -non dimostrare, né tantomeno constatare empiricamente- che altre esperienze coscienti oltre la "propria" direttamente esperita accadono realmente (come di fatto fanno -o almeno si comportano come se lo credessero- tutte le persone comunemente ritenute sane di mente).

E che la parte materiale – naturale (pressappoco la cartesiana "res extensa", intesa, contrariamente a Cartesio, come insieme e successione di mere sensazioni fenomeniche coscienti: "esse est percipi"!) sia poliunivocamente corrispondente fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti (sempre come di fatto fanno -o almeno si comportano come se lo credessero- tutte le persone comunemente ritenute sane di mente).

E lo stesso dicasi (con David Hume!) per il divenire ordinato, secondo regolarità o "leggi" universali e costanti esprimibili mediante formule matematiche ed empiricamente falsificabili nelle specifiche formulazioni che se ne possono ipotizzare.

La nostra conoscenza certa é quindi inevitabilmente limitata alle sensazioni fenomeniche (materiali – naturali e mentali o di pensiero) della "nostra esperienza fenomenica cosciente (e per ciascun effimero istante in cui sono in atto: già la memoria delle passate è degna di dubbio).

Onde spiegare la (indimostrabile) intersoggettività (= corrispondenza poliunivoca) delle componenti materiali – naturali delle diverse (a loro volta indimostrabili) esperienze fenomeniche coscienti, nonché la corrispondenza biunivoca fra (ciascuna) esperienza cosciente e (ciascun) cervello (dimostrata -alla condizione dell' indimostrabile verità dei necessari assunti indimostrabili, né constatabili empiricamente- dalle moderne neuroscienze) si possono poi ipotizzare determinate relazioni fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti e fra queste e una realtà in sé non apparente (non fatta di fenomeni) ma solo congetturabile (noumeno).
Personalmente lo spiego ipotizzando (e credendo per fede, indimostrabilmente, né men che meno mostrabilmente; le ripetute virgolette a segnalare che parlando del noumeno non si può evitare un' irriducibile incertezza e vaghezza dei termini usati) che nel "divenire" del noumeno accada l' esistenza di determinati "enti" a ciascuno dei quali corrisponde (è correlata) una determinata esperienza fenomenica cosciente.
E che allorché questi "enti" si trovano in determinate "relazioni estrinseche" con "altri, da essi distinti determinati enti ed eventi del noumeno", allora  essi "si vengono a trovare in determinate condizioni" alle quali nell' ambito della "loro propria" (la corrispondente, ad essi correlata) esperienza fenomenica cosciente corrispondono biunivocamente certe determinate sensazioni materiali – naturali; mentre allorché essi si trovano in determinate "relazioni intrinseche" con se stessi, allora  essi "si vengono a trovare in determinate condizioni" alle quali nell' ambito della "loro propria" (la corrispondente) esperienza fenomenica cosciente corrispondono biunivocamente certe determinate sensazioni mentali o di pensiero.
Così quando nella "mia" esperienza fenomenica cosciente vi sono determinate sensazioni (materiali e/o mentali) esse corrispondono biunivocamente a "determinate circostanze" del noumeno, riguardanti i "rapporti fra" la "entità in sé" che possiamo indicare come "me" e "altre entità noumeniche da essa diverse"; e che a determinate altre circostanze del noumeno contemporaneamente riguardanti "determinati rapporti estrinseci" fra altre "entità" cui corrispondano altre esperienze fenomeniche coscienti (per esempio quella che possiamo chiamare "te") e quella di cui sopra ("me"), allora in tali esperienze altre fenomeniche coscienti diverse dalla "mia" (correlate a queste altre "entità noumeniche" diverse da "me": per esempio la "tua", quella correlata all' "entità noumenica <te>") accada la visione del mio cervello (di solito di fatto indirettamente, per il tramite dell' imaging neurologico funzionale; e comunque in teoria e in potenza anche direttamente) in certe determinate circostanze funzionali biunivocamente corrispondenti alla di quest' ultimo (la "mia") esperienza fenomenica cosciente in corso (e alle "condizioni dell' entità noumenica <me>").

In sostanza propongo la seguente soluzione al problema dei rapporti mente/cervello (o pensiero/materia):

gli stessi "enti ed eventi in sé" (nell' ambito del noumeno), in quanto "percepiti fenomenicamente dall' esterno" -come oggetti di conoscenza da parte di soggetti altri, da essi diversi" sono le sensazioni fenomeniche materiali di un determinato cervello in un determinato stato funzionale (percepite nell' ambito delle esperienze coscienti di altri, di "osservatori"), in quanto "percepiti fenomenicamente dall' interno" -come oggetti di conoscenza coincidenti con il soggetto stesso di conoscenza- sono le sensazioni fenomeniche mentali (i pensieri) di un "osservato", cioé del "titolare" di tale cervello.

MI scuso con tutti coloro che hanno già letto ripetutamente queste teorie metafisiche.

Angelo Cannata

No, Apeiron, non esiste alcun metodo che ci permetta una comprensione oggettiva della realtà. I motivi sono tanti e si possono esprimere in diversi modi. Ne elenco qualcuno:

- non è possibile dimostrare che la realtà non sia un sogno; da tale impossibilità consegue che il concetto di "oggettività" non ha alcun significato, ma è solo frutto di una nostra immaginazione; tale mancanza di significato ci costringe a concludere che ciò che chiamiamo realtà è effettivamente un sogno e non può essere altrimenti per noi esseri umani; non ci è umanamente possibile immaginare alcunché se non come sogno, cioè come creazione da parte della nostra immaginazione; ciò che pensiamo di immaginare come realtà esterna al nostro cervello non può essere immaginato che come sogno; la nostra impressione di poterlo immaginare come realtà esterna è un'illusione, visto che il nostro cervello non ha alcuna possibilità di venire a contatto con idee, percezioni, fenomeni o alcunché che non siano sua creazione, o come minimo (che poi è la stessa cosa), esperienze radicalmente condizionate da esso stesso;

- non abbiamo alcuna possibilità di dare un senso al verbo "essere", poiché è impossibile darne spiegazione senza fare ricorso ad esso stesso; ciò significa che tutte le volte che usiamo il verbo essere non ci è possibile sapere cosa stiamo dicendo;

- non ci è possibile pervenire ad alcuna verità, poiché qualsiasi cosa che chiamiamo con questo termine non può fare a meno di passare prima per il nostro cervello; e umanamente non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il nostro cervello ci inganna senza usare esso stesso; qualunque corrispondenza, qualunque conto matematico che torna, non può essere valutato come tale se non passando attraverso il nostro cervello, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato; non abbiamo alcuna possibilità di uscire dal nostro cervello.

Una volta mi dissero che una cosa è certa ed è il principio di non contraddizione e che io non avrei potuto dire tutte queste cose senza servirmi di esso. Ma in realtà, umanamente, non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il principio di contraddizione è un inganno del nostro cervello; qualunque metodo riusciamo ad escogitare per verificare ciò, alla fine esso non potrà fare a meno di passare per il nostro cervello per essere valutato.

Conclusione: come esseri umani non sappiamo fondamentalmente niente di niente, non ci è possibile affermare niente. Possiamo solo andare a tentoni, procedere con estrema modestia e umiltà, per tentativi. Altro che realtà oggettiva! Non esistono affermazioni a cui non si possano contrapporre critiche in grado di smentirle, le quali a loro volta potranno essere criticate e così via all'infinito. Anche tutte queste cose che ho detto sono incerte, ma ciò non serve a creare alcuna certezza, contribuisce soltanto ad accrescere il dubbio, l'incertezza, il disorientamento: dubitare del dubbio non fornisce certezze, non fa altro che accrescere ulteriormente il dubbio.

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 00:26:40 AM
No, Apeiron, non esiste alcun metodo che ci permetta una comprensione oggettiva della realtà. I motivi sono tanti e si possono esprimere in diversi modi. Ne elenco qualcuno:

- non è possibile dimostrare che la realtà non sia un sogno; da tale impossibilità consegue che il concetto di "oggettività" non ha alcun significato, ma è solo frutto di una nostra immaginazione; tale mancanza di significato ci costringe a concludere che ciò che chiamiamo realtà è effettivamente un sogno e non può essere altrimenti per noi esseri umani; non ci è umanamente possibile immaginare alcunché se non come sogno, cioè come creazione da parte della nostra immaginazione; ciò che pensiamo di immaginare come realtà esterna al nostro cervello non può essere immaginato che come sogno; la nostra impressione di poterlo immaginare come realtà esterna è un'illusione, visto che il nostro cervello non ha alcuna possibilità di venire a contatto con idee, percezioni, fenomeni o alcunché che non siano sua creazione, o come minimo (che poi è la stessa cosa), esperienze radicalmente condizionate da esso stesso;

- non abbiamo alcuna possibilità di dare un senso al verbo "essere", poiché è impossibile darne spiegazione senza fare ricorso ad esso stesso; ciò significa che tutte le volte che usiamo il verbo essere non ci è possibile sapere cosa stiamo dicendo;

- non ci è possibile pervenire ad alcuna verità, poiché qualsiasi cosa che chiamiamo con questo termine non può fare a meno di passare prima per il nostro cervello; e umanamente non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il nostro cervello ci inganna senza usare esso stesso; qualunque corrispondenza, qualunque conto matematico che torna, non può essere valutato come tale se non passando attraverso il nostro cervello, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato; non abbiamo alcuna possibilità di uscire dal nostro cervello.

Una volta mi dissero che una cosa è certa ed è il principio di non contraddizione e che io non avrei potuto dire tutte queste cose senza servirmi di esso. Ma in realtà, umanamente, non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il principio di contraddizione è un inganno del nostro cervello; qualunque metodo riusciamo ad escogitare per verificare ciò, alla fine esso non potrà fare a meno di passare per il nostro cervello per essere valutato.

Conclusione: come esseri umani non sappiamo fondamentalmente niente di niente, non ci è possibile affermare niente. Possiamo solo andare a tentoni, procedere con estrema modestia e umiltà, per tentativi. Altro che realtà oggettiva! Non esistono affermazioni a cui non si possano contrapporre critiche in grado di smentirle, le quali a loro volta potranno essere criticate e così via all'infinito. Anche tutte queste cose che ho detto sono incerte, ma ciò non serve a creare alcuna certezza, contribuisce soltanto ad accrescere il dubbio, l'incertezza, il disorientamento: dubitare del dubbio non fornisce certezze, non fa altro che accrescere ulteriormente il dubbio.
CitazioneRammento il noto paradosso "antipseudoscettico" per il quale se "non ci è possibile pervenire ad alcuna verità", allora nemmeno questa affermazione fra virgolette può essere vera, nemmeno essa è vera (scrivo "antipseudoscettico perché lo scetticismo autentico non è l' affermare che non è possibile conoscere -veramente- alcunché, bensì che non ci può essere certezza -e non: verità- di alcunché, è sospendere il giudizio; col che il paradosso è brillantemente superato).
 
Ribadisco la mia convinzione già espressa nel precedente intervento in questa discussione, che lo scetticismo non è superabile razionalmente.
Ma come non si può avere certezza razionalmente fondata di alcuna conoscenza, così non la si può avere nemmeno della non conoscenza di alcunché: qualsiasi cosa (sensatamente) si creda potrebbe benissimo essere falsa; ma potrebbe anche altrettanto bene essere vera.
Di qui le ipotesi indimostrabili logicamente e non constatabili empiricamente da me avanzate (con qualche imprecisione per la pretesa di essere troppo sintetico) nel suddetto precedente intervento.
Seconde me essere scettici conseguentemente, fino in fondo, significa condannarsi all' inerzia pratica, cosa che -in modo non conseguentemente razionalistico- non sono disposto ad accettare; se si hanno interessi e aspirazioni che ci spingono ad agire in qualche modo, allora per lo meno ci si comporta "come se" si fosse sicuramente convinti di almeno qualcosa. E volendo (irrazionalisticamente) essere il più razionalistici possibile senza condannarsi all' inerzia pratica ("ragionevoli", se così vogliamo dire; invero non del tutto conseguentemente "razionalisti") si può applicare limitatamente (non fino in fondo) il fondamentale principio razionalistico del rasoio di Ockam, e dunque credere al minor numero possibile di tesi indimostrabili compatibile con il coltivare interessi e aspirazioni, nella consapevolezza dell' infondatezza, arbitrarietà di tali tesi (del fatto che letteralmente le si crede "per fede" irrazionale).
D' altra parte di fatto si constata (ammessa la verità di talune tesi indimostrabili né constatabili empiricamente) che tutte le persone comunemente ritenute sane di mente per lo meno si comportano "come se" credessero in qualcosa (per esempio -fra gli innumerevoli possibili- gettarsi dal centesimo piano di un grattacielo perché, non credendo alla costanza della legge di gravità, è indubbio che prima o poi si potrebbe finire per essere sfracellati contro il soffitto, e comunque la probabilità che ciò accada è uguale a quella che ci si sfracelli al suolo gettandosi e dunque tanto vale prima o poi provare, non è un comportamento da persona comunemente ritenuta sana di mente).
 
Sull' insensatezza del concetto di "essere" non sono d' accordo: esso si definisce (arbitrariamente, come qualsiasi altro concetto) attraverso la negazione, come ciò che nelle stesse circostanze (di tempo e di luogo per lo meno) non è compatibile con il, non può accadere insieme al, "non essere" (è una regola generale che i concetti hanno significati stabiliti arbitrariamente per definizione ed espressi, costituiti da locuzioni, ovvero mettendo in determinati rapporti sintattici determinati altri concetti. "Omnis determinatio est negatio", Spinoza; i concetti di "essere" e di "non essere" sono i più generali, i più astratti, i meno determinarti di tutti e si definiscono unicamente attraverso il rapporto di negazione reciproca).
Ma certamente con la logica e applicando il principio di identità – non contraddizione e quello del terzo escluso si possono proporre solo giudizi analitici a priori, che propriamente non aggiungono conoscenze o verità a quelle ipotizzate nelle premesse -non "producono" conoscenza- ma si limitano ad esplicitarne talune in esse di già implicite: "poco più che tautologie".
E quanto ai giudizi sintetici a posteriori, stante la critica humeiana della causalità, la certezza della loro verità deve essere limitata alle singole, particolari constatazioni empiriche; e inoltre, poiché nulla garantisce della veridicità della memoria, solo nell' effimero istante presente nel quale sono in atto (accadono; se accadono).

cvc

L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Angelo Cannata

Citazionequalsiasi cosa (sensatamente) si creda potrebbe benissimo essere falsa; ma potrebbe anche altrettanto bene essere vera
L'ipotesi che potrebbe essere vera presuppone che sia chiaro il significato di "vera". Il dubbio però non mette in questione non solo l'esistenza della verità; ne mette in questione anche il significato: se la verità potrebbe non essere mai esistita, se essa potrebbe essere stata nella nostra mente nient'altro che un inganno, non è più possibile dare per scontato che il suo significato sia chiaro; e se il suo significato non è chiaro non ha senso ipotizzare che essa potrebbe anche esistere.
CitazioneSeconde me essere scettici conseguentemente, fino in fondo, significa condannarsi all'inerzia pratica
Questo vale per chi ha deciso di far guidare la propria vita pratica da certi presupposti appartenenti a certa filosofia. Ma nel mondo non esiste né solo la filosofia, né solo certa filosofia. Un mare di gente di una vita significativa senza alcun bisogno di farsi guidare da una filosofia o da certa logica filosofica.
Citazioneesso si definisce (arbitrariamente, come qualsiasi altro concetto) attraverso la negazione, come ciò che nelle stesse circostanze (di tempo e di luogo per lo meno) non è compatibile con il, non può accadere insieme al, "non essere"
Mi sembra che così hai confermato ciò che avevo detto: per definire l'essere hai dovuto far riferimento al "non essere", il quale a sua volta non è definibile se non facendo riferimento all'essere.

Angelo Cannata

Citazione di: cvc il 19 Ottobre 2016, 13:55:39 PM
L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
Non mi sembra che il senso dato da Apeiron al discorso fosse quello di discutere di oggettività non assoluta. Che senso ha dire che l'oggettività si può dimostrare e dopo aggiungere che però la intendi in modo diverso? Io posso dire che un cane è un gatto e poi aggiungere: sì, ma io attribuivo alla parola "cane" il significato di "gatto". Mi sembra che procedere in questo modo serva solo a cambiare le carte in tavola, creare confusione che non serve a nessuno.

cvc

Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 14:10:34 PM
Citazione di: cvc il 19 Ottobre 2016, 13:55:39 PM
L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
Non mi sembra che il senso dato da Apeiron al discorso fosse quello di discutere di oggettività non assoluta. Che senso ha dire che l'oggettività si può dimostrare e dopo aggiungere che però la intendi in modo diverso? Io posso dire che un cane è un gatto e poi aggiungere: sì, ma io attribuivo alla parola "cane" il significato di "gatto". Mi sembra che procedere in questo modo serva solo a cambiare le carte in tavola, creare confusione che non serve a nessuno.
Si parlava comunque di oggettività. Il senso di quello che ho detto è che l'oggettività è una convenzione del linguaggio. Non mi sembra di aver confuso niente.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 00:26:40 AMNo, Apeiron, non esiste alcun metodo che ci permetta una comprensione oggettiva della realtà. I motivi sono tanti e si possono esprimere in diversi modi. Ne elenco qualcuno: - non è possibile dimostrare che la realtà non sia un sogno; da tale impossibilità consegue che il concetto di "oggettività" non ha alcun significato, ma è solo frutto di una nostra immaginazione; tale mancanza di significato ci costringe a concludere che ciò che chiamiamo realtà è effettivamente un sogno e non può essere altrimenti per noi esseri umani; non ci è umanamente possibile immaginare alcunché se non come sogno, cioè come creazione da parte della nostra immaginazione; ciò che pensiamo di immaginare come realtà esterna al nostro cervello non può essere immaginato che come sogno; la nostra impressione di poterlo immaginare come realtà esterna è un'illusione, visto che il nostro cervello non ha alcuna possibilità di venire a contatto con idee, percezioni, fenomeni o alcunché che non siano sua creazione, o come minimo (che poi è la stessa cosa), esperienze radicalmente condizionate da esso stesso; - non abbiamo alcuna possibilità di dare un senso al verbo "essere", poiché è impossibile darne spiegazione senza fare ricorso ad esso stesso; ciò significa che tutte le volte che usiamo il verbo essere non ci è possibile sapere cosa stiamo dicendo; - non ci è possibile pervenire ad alcuna verità, poiché qualsiasi cosa che chiamiamo con questo termine non può fare a meno di passare prima per il nostro cervello; e umanamente non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il nostro cervello ci inganna senza usare esso stesso; qualunque corrispondenza, qualunque conto matematico che torna, non può essere valutato come tale se non passando attraverso il nostro cervello, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato; non abbiamo alcuna possibilità di uscire dal nostro cervello. Una volta mi dissero che una cosa è certa ed è il principio di non contraddizione e che io non avrei potuto dire tutte queste cose senza servirmi di esso. Ma in realtà, umanamente, non abbiamo alcuna possibilità di verificare se il principio di contraddizione è un inganno del nostro cervello; qualunque metodo riusciamo ad escogitare per verificare ciò, alla fine esso non potrà fare a meno di passare per il nostro cervello per essere valutato. Conclusione: come esseri umani non sappiamo fondamentalmente niente di niente, non ci è possibile affermare niente. Possiamo solo andare a tentoni, procedere con estrema modestia e umiltà, per tentativi. Altro che realtà oggettiva! Non esistono affermazioni a cui non si possano contrapporre critiche in grado di smentirle, le quali a loro volta potranno essere criticate e così via all'infinito. Anche tutte queste cose che ho detto sono incerte, ma ciò non serve a creare alcuna certezza, contribuisce soltanto ad accrescere il dubbio, l'incertezza, il disorientamento: dubitare del dubbio non fornisce certezze, non fa altro che accrescere ulteriormente il dubbio.

Parto dalla logica. Il dubbio della logica non ha senso, perchè il dubbio, il metodo del dubitare si fonda su di essa. La logica perciò è appunto apriori, altrimenti nessuna proposizione ha significato. Per il resto concordo con te: non possiamo fare nient'altro che chiarificare meglio il contenuto della nostra esperienza. Ti faccio un esempio: quando si parla ad esempio di "entità necessaria" quello che stiamo facendo è creare un concetto con cui proviamo ad analizzare la realtà. Il fatto che nella nostra esperienza non ci sia nulla di non-contingente, non-condizionato ci porta a capire che non dovremmo "attaccarci troppo ad essa".

Detto ciò ho errato nel post inziale a non distinguere tra "oggettività" intesa come inter-soggettività, cioè oggettività intesa come ciò su cui più osservatori sono d'accordo e "oggettività assoluta", indipendente dall'osservatore. Ebbene non nego che si possa conoscere qualcosa di oggettivo nel primo significato (ammesso di avere abbastanza fede per rifiutare il solipsismo  ;D ), nego che sia possibile conoscere il secondo tipo di oggettività, cioè il "noumeno". Ora se è possibile parlare del noumeno, allora è anche possibile averne esperienza. Il problema è che ciò non è possibile in quanto per definizione tutto ciò che conosco è per sua natura soggettivo e io posso parlare solo di ciò che conosco. Quindi dire "c'è un noumeno", "la realtà in sé e per sé è tale" è insensato.

@sgiombio,

Il problema è che se di una cosa non puoi avere esperienza non puoi nemmeno parlarne. Tu puoi avere esperienza degli esseri, ma non dell'essere. Parlare dell'essere/noumeno è insensato, eppure siamo tentati a farlo perchè sarebbe "oggettività pura". Quindi anche secondo me non è possibile avere una conoscenza veramente oggettiva della realtà: se una cosa è veramente indipendente dall'esperienza come può essere descritta da un linguaggio nato per l'esperienza?

@cvc,

non nego come ho già detto l'oggettività inter-soggettiva o convenzionale. Quello che nego è che non si può conoscere nulla di oggettivo in senso stretto, cioè indipendente dall'esperienza. Ciò si mostra che ogni proposizione ch esi può fare su ciò che è al di là dell'esperienza possibile è insensatezza.

In ogni caso continuate a parlare di cervello, come se fosse il noumeno, una cosa oggettiva in modo assoluto. Ma d'altronde io ho la conoscenza del cervello tramite l'esperienza. Non è una conoscenza come quella  del principio di non-contraddizione.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Dalle nebbie dei secoli rispunta il lungimirante Gorgia:
- nulla c'è (e non "il nulla c'è"... problema della definizione logica dell'identità vs esperienza del divenire)
- se ci fosse non sarebbe conoscibile (problema della congettura del noumeno e della realtà-in-sè)
- se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile (problema dell'influenza della mediazione linguistica e della rappresentazione...).

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 13:58:09 PM
Citazionequalsiasi cosa (sensatamente) si creda potrebbe benissimo essere falsa; ma potrebbe anche altrettanto bene essere vera
L'ipotesi che potrebbe essere vera presuppone che sia chiaro il significato di "vera". Il dubbio però non mette in questione non solo l'esistenza della verità; ne mette in questione anche il significato: se la verità potrebbe non essere mai esistita, se essa potrebbe essere stata nella nostra mente nient'altro che un inganno, non è più possibile dare per scontato che il suo significato sia chiaro; e se il suo significato non è chiaro non ha senso ipotizzare che essa potrebbe anche esistere.
CitazioneSignificato di "vero" (per definizione; cui non pertiene il dubbio o la credenza, non trattandosi di predicato): "affermazione che qualcosa é o accade, essendo o accadendo realmente tale qualcosa o che qualcosa non é o non accade non essendo o accadendo tale qualcosa".

Il dubbio mette in discussione  la verità ma anche la falsità di qualsiasi affermazione a cui sui applichi (é diverso dalla negazione -perentoria, certa- della verità).


CitazioneSeconde me essere scettici conseguentemente, fino in fondo, significa condannarsi all'inerzia pratica
Questo vale per chi ha deciso di far guidare la propria vita pratica da certi presupposti appartenenti a certa filosofia. Ma nel mondo non esiste né solo la filosofia, né solo certa filosofia. Un mare di gente di una vita significativa senza alcun bisogno di farsi guidare da una filosofia o da certa logica filosofica.
CitazioneSi, certo.
Ma costoro generalmente non sono scettici, bensì credono più o meno acriticamente a un sacco di cose (o almeno ad alcune cose, più o meno numerose).
Non é il mio caso nè -credo- di chi, come me, si considera un filosofo (e dunque bazzica per i forum di filosofia).



Citazioneesso si definisce (arbitrariamente, come qualsiasi altro concetto) attraverso la negazione, come ciò che nelle stesse circostanze (di tempo e di luogo per lo meno) non è compatibile con il, non può accadere insieme al, "non essere"
Mi sembra che così hai confermato ciò che avevo detto: per definire l'essere hai dovuto far riferimento al "non essere", il quale a sua volta non è definibile se non facendo riferimento all'essere.
CitazioneOvvio!
Qualsiasi concetto si definisce così: mettendo in determinate relazioni sintattiche determinarti altri concetti.


sgiombo

Citazione di: cvc il 19 Ottobre 2016, 14:24:05 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Ottobre 2016, 14:10:34 PM
Citazione di: cvc il 19 Ottobre 2016, 13:55:39 PM
L'esistenza dell'oggettività si può dimostrare per assurdo. Se non esistesse nulla di oggettivo, non potrebbero esistere le strade, le case, le città, in generale niente di ciò per cui sia necessaria la collaborazione e la reciproca comprensione. Non esisterebbe il linguaggio. Il problema sorge quando si vuole dare all'oggettività un significato assoluto. L'oggettività è più una convenzione che un principio inattaccabile. Probabilmente l'oggettività esiste solo all'interno del linguaggio, dove si è generata. Quindi non possiamo osservarla nel mondo esterno se non indirettamente. Vale a dire, è perché gli uomini reputano, attraverso il linguaggio, alcune cose oggettive che esistono strade, case, ecc.
Non mi sembra che il senso dato da Apeiron al discorso fosse quello di discutere di oggettività non assoluta. Che senso ha dire che l'oggettività si può dimostrare e dopo aggiungere che però la intendi in modo diverso? Io posso dire che un cane è un gatto e poi aggiungere: sì, ma io attribuivo alla parola "cane" il significato di "gatto". Mi sembra che procedere in questo modo serva solo a cambiare le carte in tavola, creare confusione che non serve a nessuno.
Si parlava comunque di oggettività. Il senso di quello che ho detto è che l'oggettività è una convenzione del linguaggio. Non mi sembra di aver confuso niente.
Citazione


Quello di "oggettività", come qualsiasi altro concetto, é definito arbitrariamente ed accettato (da chi l' accetta) convenzionalmente.

Ma il suo significato (arbitrariamente e convenzionalmente stabilito) é quello di una condizione reale (della realtà) indipendente da chi eventualmente la conosca o meno, tale sia che sia conosciuta veracemente, sia che sia misconosciuta falsamente, sia che sia ignorata (tale a prescindere dall' eventuale accadere o meno di pensieri circa la realtà stessa  e dagli eventuali "contenuti" di tali pensieri).

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 19 Ottobre 2016, 15:31:07 PM


@sgiombo,

Il problema è che se di una cosa non puoi avere esperienza non puoi nemmeno parlarne. Tu puoi avere esperienza degli esseri, ma non dell'essere. Parlare dell'essere/noumeno è insensato, eppure siamo tentati a farlo perchè sarebbe "oggettività pura". Quindi anche secondo me non è possibile avere una conoscenza veramente oggettiva della realtà: se una cosa è veramente indipendente dall'esperienza come può essere descritta da un linguaggio nato per l'esperienza?

CitazioneCredo che si possa parlare (comunque sensatamente; casomai vagamente, oscuramente) di cose di cui non si ha esperienza: tantissimi parlano sensatamente di Dio (magari per dirne che non se ne può dimostrare l' esistenza), di Ippogrifi, centauri, chimere e chi più ne ha più ne metta (quelle della verità e della certezza di questi discorsi sono altre questioni).

Della realtà in sé o noumeno non può aversi certezza; essa sarebbe effettivamente oggettiva in senso forte, non meramente intersoggettiva, cioé puntualmente ed univocamente corrispondente fra diversi soggetti, come si può ritenere (comunque né mostrare né dimostrare nemmeno questo!) siano i fenomeni materiali - naturali (non quelli mentali) .
Ma credo se ne possa sensatissimamente parlare come -fra l' altro- di ciò che (forse: incertezza ineliminabile!) continua ad esserci anche allorchè chiudo gli occhi e non vedo più la montagna che ho davanti a me (e dunque i fenomeni costituenti la visione della montagna non accadono più) e fa sì che ogni volta che li riapro (o che ritorno qui e guardo nella giusta direzione) puntualmente la rivedo.



In ogni caso continuate a parlare di cervello, come se fosse il noumeno, una cosa oggettiva in modo assoluto. Ma d'altronde io ho la conoscenza del cervello tramite l'esperienza. Non è una conoscenza come quella  del principio di non-contraddizione.
CitazioneSono stato eccessivamente stringato nel primo intervento in questa discussione, ma tu non l' hai capito per nulla (poco male, non pretendo certo di salire in cattedra!). 

Ho infatti sostenuto che il mio cervello in un certo determinato stato funzionale (che é fatto di sensazioni fenomeniche nell' ambito delle esperienze coscienti di chi -direttamente o indirettamente- lo osserva) corrisponde agli stessi eventi in sé a cui corrisponde la mia propria esperienza cosciente con certi suoi determinati contenuti (e transitivamente certi miei determinati contenuti di coscienza corrispondono biunivocamente a certi determinati stati fisiologici del mio cervello, per lo meno potenzialmente e indirettamente nell' ambito delle esperienze coscienti di eventuali osservatori: tutti fenomeni, sia quelli costituenti la mia esperienza cosciente, sia quelle costituenti -perlomeno potenzialmente e indirettamente- il mio cervello nell' ambito dell' esperienza cosciente di eventuali osservatori).

Non é la coscienza ad essere nel cervello (come credono i monisti materialisti; nel cervello ci sono solo neuroni, assoni, sinapsi, ecc, costituiti da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc,: tutt' altra cosa che il verde albero che sto guardando, il teorema di Pitagora che sto dimostrando, il pensiero di mio figlio che mi sta passando per la mente, ecc. e che costituiscono -in momenti diversi- la mia esperienza fenomenica cosciente).

E' invece il cervello ad essere nella coscienza di che ha percezione (diretta; o più spesso di fatto indiretta, per il tramite dell' imaging neurologico) del cervello stesso: senza compiere questa rivoluzione copernicana non si può risolvere il problema dei rapporti coscienza/cervello.

green demetr

Previa le considerazioni che ho espresso qui.http://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/l'irrilevanza-del-filosofo-(-non-della-filosofia-)/

rispondo in successione sotto ad Apeiron Sgiombo Angelo Cvc Phil

PREMESSE

Reiniziamo il discorso che avevamo lasciato nel vecchio forum.

La mia posizione è quella della metafisica che io chiamo del "fondamento", quella iniziata da Kant e portata alla perfezione da Hegel in ambito europeo e da Peirce in

ambito americano analitico, ribaltata da Heideger e infine confutata magistralmente da Severino.

Vedo che a parte Maral non c'è ancora qualcuno che porti una posizione almeno simile nel forum, dunque accetto lo scontro analitico, che per l'appunto dimentica Hegel,

lapus freudiano non da poco nella civiltà del disagio contemporaneo, e invece si confronta con Kant, Locke e Berkely, essendo Hume, nella maggioranza dei casi incluso

(non so fino a che punto giustamente) nelle tesi riferite a Kant.

Avevo iniziato a leggere https://it.wikipedia.org/wiki/Sulla_quadruplice_radice_del_principio_di_ragion_sufficiente ma mi sono subito fermato, in quanto lo stesso

Schopenuer ammetteva di riprendere (nella introduzione all'opera) alla lettera il pensiero kantiano, anzitutto sfrondandolo dai preconcetti dell'epoca, e poi

criticandolo per via della mancanza della non considerazione della forza vitale che tutto sorregge, e che leggendo la wiki dovrebbe corrispondere al principio agendi.
Ovviamente a Kant sarebbe preso un colpo, in quanto tutta la sua opera è proprio un tentativo di sottrarsi alla metafisica medievale del principio dell'Uno, alias Dio.

Dunque avendo sistemato schopenauer rimane la questione della rappresentazione e dell'oggetto.

Già perchè bisogna correggere subito Apeiron, il dibattito non riguarda l'oggettività, quella è una questione della scienza, in qualunque libro analitico americano lo

si troverà come postilla finale, come monito ad andare oltre la questione filosofica. (già perchè sennò che senso avrebbe una catterdra di filosofia?se già c'è quella

di scienza?)

La domanda non è dunque se l'oggetto è oggettivo, nè se sia vero o no, quello spetta alla logica, ma se è reale o meno: Il che mi sembra molto ragionevole.

E salvo future smentite credo sia quello che interessi e interessa la maggiorparte degli utenti dediti alla filosofia.

Qui ovviamente il campo degli interventi diventa abbastanza variegato, ma visto l'interesse, proverò a ricimentarmici.

Le posizioni sono quelle dualiste ( "mente-oggetto reale") o quelle moniste ( "mente reale/oggetto non reale", o "mente non reale/oggetto reale")
Ovviamente tutte hanno nemico comune lo scetticismo (mente e oggetto non reali).
L'esercizo contro lo scetticismo è ovviamente il più gettonato.
Ma le lotte fra le altre fazioni non sono meno virulente.

Anche perchè poi vi sono le sottocategorie riguardanti la mente reale: mente (cervello reale-ambiente non reale) mente (cervello non reale-ambiente reale).
Con cervello si intende la capacità dello stesso di creare categorie senza bisogno o con bisogno di impulsi esterni.
Le categorie che si richiamano a questo monismo radicale si chiamano riduzioniste (il cervello nella vasca), e sono nella lora eccezione debole (si ammettono impulsi

esterni) la punta di diamante dell'intero movimento analitico.

Possiamo annoverare fra essi il buon sgiombo credo, con la sua particolare variante dualista nella impossibilità di constatare se questo monismo sia vero o meno.(per

questo probabilmente avrà come suoi interlocutori i monisti non riduzionisti, posizione difficile da difendere, e infatti sgiombo parla di atto di fede, ma forse

qualcuno in giro c'è che prova ad argomentare in altro modo, non è il caso di sgiombo, ma quelli hanno un cattedra da proteggere).

DISCUSSIONE



PER APEIRON

Ciao, diciamo che sono d'accordo con l'introduzione, le nostre sono rappresentazioni, questione di puro buon senso, e comunque a me basta l'argomento principe contro

gli scettici quello che li liquida in 2 secondi, e che per questo, dai filosofi analitici, è ritenuto volgare: lo stesso parlare di scetticismo comporta che esista

qualcuno che lo sta dicendo, fine! partita chiusa punto e capo. Il resto sono illazioni.
Ma volendo possiamo ancora parlarne. Ma per me è un puro gioco argomentativo, questo nel caso qualcuno si offenda.


Il punto proseguendo è dunque se l'oggetto sia reale. Francamente non capisco quale utilità noi possiamo trovarne, le questioni sono altre.
Il problema del rappresentazionalismo (così chiamato) sarebbe quello di dimostrare che in fin dei conti l'apparato nostro mentale sia verosimile con quello reale.

Nel caso Kantiano (e quindi quello da me difeso) la questione invece è che il mentale si configura come qualcosa che nel trascendentale, ossia nelle categorie spazio-

tempo-sensoriale, si configura come sintesi dell'intelletto fra noumenico (il reale) e il sublime (l'artistico, o metafisico o trascendente).

In Kant dunque il reale è meramente formale, in quanto si situerebbe un attimo prima dello scontro tra noumeno e trascendentale. In quanto sulla scorta di Hume il

noumeno è inconoscibile, nemmeno come reale dunque, e il reale come noi lo intendiamo, è una mera rappresentazione intellettuale, sì ma sintetica.

Il problema si sposta dunque dal noumeno al soggetto, come anche tu hai segnalato. E' una questione sintetica che poi prenderà la piega delirante degli imperativi

categorici (a mio parere).

Il tuo problema però risale a prima, e cioè secondo te essendo la questione soggettiva, non esiste possibilità di conoscenza del reale.

In realtà però non consideri la questione del sintetico che viene dal basso, direi quasi, kantiana. Ossia che appunto il reale è testimoniato proprio dalla attività

attiva dell'intelletto.(molto semplice)

In ambito analitico la questione è divisa tra qualità primarie (passive) come peso, calore, colore e secondarie che sono quelle della vera e propria attività

rappresentazionale in cui riempiamo di connotati le qualità primarie, dateci in natura come in sè.
Sono quelle chiamate così intuizioni primarie, che sono come dire la base per qualsiasi discorso successivo.

Dunque in un realismo ingenuo queste intuizioni primarie esistono, senza bisogno di argomentazioni successive.(ossia negano che il mentale si possa correlare a queste

intuzioni primarie).

Argomentazioni che invece esistono per i rappresentazionalisti che fanno notare che calore, colore e persino peso sono influenzabili dall'intelletto, in quanto abbiamo

capacità di resitenza al dolore diverse, e quindi anche il calore è percepito in maniera diversa da persone diverse. Come nel caso del daltonismo il colore è percepito

in maniera diversa. E per il peso basta pensare ai sistemi inerziali, vedo la mosca ferma dentro la nave, ma dall'esterno essa si muove con la nave, o agli esperimenti

della piuma e della pietra senza aria.

Si è dunque passati ad interrogarsi sull'oggetto in sè, esattamente come fai, tu.
Da qui le posizioni berkleiane hanno preso il sopravvento, l'oggetto chiede di essere visto da più posizioni, in quanto noi lo vediamo sempre e solo da un solo punto

di vista.(Come dici tu è la questione dell'esperienza che porta a volgere lo sguardo altrove)

Alla maggiore va in voga la posizione husserliana delle sintesi passive, ossia è l'oggetto stesso in sè che ha la proprietà di chiedere all'osservatore di essere

esaminata.
Si tratta dell'emergere delle posizioni più moderne e meno intendibili da un pubblico casuale, sullo spazio primario, che consente una prima osservabile operazione

mentale ossia PRIMA viene lo sfondo, e poi viene a definirsi lentamente un oggetto, sempre e in costante riferimento a quello sfondo.

Gli esperimenti della gestalt dimostrano che questa operazione sfondo-oggetto è però a sua volta influenzabile. Basta pensare a quei disegnini dove possiamo vedere una

vecchia o una giovane a seconda che mettiamo a fuoco ora questo, ora quell'elemento.

Siamo dunque al solito problema mentale-oggettuale. In linea di massimo però i rappresentazionalisti risolvono la questione con il prospettivismo, ossia, sì ammettono

che si può hackerare la percezione dello spazio primario, ma una volta inteso il tranello, la mente registra l'errore e tende a non ripeterlo più. Per cui una volta

rivisto il disegnino, vedrà sia la vecchia che la giovane (laddove prima vedeva solo una cosa).

Dunque il prospettivismo è una sorta di darwinismo evolutivo mentale, che non rinuncia all'analisi di cosa accade primariamente con l'oggetto primario.
Che come abbiamo capito non è il tavolo, ma la stanza in cui quel tavolo risiede.

Si potrebbe azzardare che dunque il reale è esattamente lo spazio. (questa è posizione continentale analitica maggiore, a mio avviso).

Dunque rispondendo alla tua questione sì il reale anche da un rappresentazionalista, è possibile intenderlo.

Siamo nel dualismo.(mente-oggetto)

Ora andiamo nel monismo, che invece considera l'esperienza assolutamente secondaria, e che si concentra dunque sul mentale.

PER SGIOMBO

Il problema caro sgiombo è come puoi descrive questa presunta coincidenza tra stato funzionale della mente e il noumenico?
D'altronde anche le recenti scoperte neuroscientifiche dovrebbero aiutarti a capire che l'ambiente è essenziale nello stesso processo cognitivo.

Che poi è (per me) anche il problema del monismo relativo o assoluto che sia: come far coincidere in un rapporto 1:1 la questione del reale?

Certo forse per quelli relativisti si concede la questione sensoriale, ma l'esperienza non è la sensorialità.

E il tempo cosa sarebbe per tutti voi????? una funzione? una variabile?? si ma di cosa????? visto che partite dal presupposto che è il cervello a stabilirla.
Eppoi non dimentichiamo proprio del termini esperienza....cosa sarebbe una funzione "uscita male"? un black out neuronale??? perchè ci ostiniamo a voler credere di

essere esseri storici????un mero traviamento dei sensi, un loro non prenderli troppo sul serio?????

e sopratutto come conciliare la questione del materialismo storico presente nel pensiero marxista?????

PER ANGELO CANNATA

buonasera professore. il punto del monismo radicale a parte le domande che solleva esattamente come quello relativo (vedi sopra), è ancora più grave.

Non solo si manifesterebbe come impossibilità all'azione (che poi le voglio ricordare è proprio quello che vuole il pensiero unico dominante) come concordo con

Sgiombo, ma poi c'è anche il problema di come lei distigua un unicorno da un cavallo.
Il monismo radicale sebbene lotti contro il relativismo scettico, rischia di cadere a piedi uniti in quello che loro stessi argomentano come inaccettabile.
Inacettabile perchè negherebbe anche qualsiasi attività neuronale, e quindi le nostra capacità di argomentare.
Ora rischiamo di cadere nelle idee di MONDO COME SOGNO, e altre sciocchezze simili.

Siccome so che lei è un sostenitore del pensiero debole, la metterei in guardia  nel mettersi nella scomoda posizione di promiscuità tra dualismo, benchè non

rappresentazionale(come di fatto per un analitico è il pensiero relativista), e monismo riduzionista o radicale, in cui il cervello determina tutto (e dunque già lì, e

allora quale relativismo?).
A mio parere queste soluzioni intermedie portano di solito ad un realimso ingenuo (non quello di ferraris, che è sociale, capitolo a parte) che si determina come

disgiuntivismo, o è reale (cavallo) o è mentale (unicorno). Scusi la mia domanda sarebbe allora: e cosa ci sarebbe di relativo dunque???????????(e notare che le

abbuono il problema del cervello in sè, d'altronde non c'è mai questa domanda nell'ambito della discussione, come dire che quello è principio.)

PER CVC

Ovviamente concordo al cento per cento, ma effettivamente come ho cercato di spiegare nella premessa, la questione non è tanto dell'oggetivismo, ma dell'oggetto.
Ovviamente insomma esistono strade case etc...il punto è se queste cose che percepiamo appartengano all'ambito del reale o del mentale.
E' l'intelletto che governa il mondo o è l'oggetto???essere attivi o essere passivi questo è il contenzioso.


Nel corso degli anni si è plasmato come il problema del sensorialismo e della sua sottocategoria il problema del riduzionismo (che a scanso di equivoci NON E' il

riduzionismo scientifico, che invece è un modello di ricerca sperimentale, stiamo invece appunto parlando del famoso cervello nella vasca).

PER PHIL

mi sa che siamo un pò fuori tema, comunque torniamo alla filosofia fondamentale, nulla c'è è un frase senza senso, se ci fosse il nulla sarebbe inesistente il concetto

di essere, e se ci fosse allora sarebba comunque qualcosa e dunque qualcosa ci sarebbe, e dunque il nulla non ci sarebbe.
certo l'essere è incomunicabile, ma non per questo non dovrebbe esserci, questo è il tipico errore della parte per il tutto!!!!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Citazione di: green demetr il 19 Ottobre 2016, 19:07:40 PM
Le categorie che si richiamano a questo monismo radicale si chiamano riduzioniste (il cervello nella vasca), e sono nella lora eccezione debole (si ammettono impulsi

esterni) la punta di diamante dell'intero movimento analitico.

Possiamo annoverare fra essi il buon sgiombo credo, con la sua particolare variante dualista nella impossibilità di constatare se questo monismo sia vero o meno.(per

questo probabilmente avrà come suoi interlocutori i monisti non riduzionisti, posizione difficile da difendere, e infatti sgiombo parla di atto di fede, ma forse

qualcuno in giro c'è che prova ad argomentare in altro modo, non è il caso di sgiombo, ma quelli hanno un cattedra da proteggere).

CitazioneLungi da me qualsiasi atteggiamento egocentrico, tuttavia non posso esimermi (si, anche stavolta: sono un' "anesimiente") dal rigettare la qualifica di "monista radicale" -materialista mi par chiaramente di capire- sia pure in un' accezione "debole" (che fra l' altro mi pare un concetto alquanto incoerente: come si fa ad essere "radicali" in un' accezione "debole"? Mi sembra un po' come dire "estremisti" in un' accezione "moderata").
A questo proposito mi sento costretto a copiare/incollare dal mio intervento precedente (forse non l' avevi letto: poco male, almeno chiarisco la mia convinzione) queste telegrafiche considerazioni:

"Non é la coscienza ad essere nel cervello (come credono i monisti materialisti; nel cervello ci sono solo neuroni, assoni, sinapsi, ecc, costituiti da molecole, atomi, particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc,: tutt' altra cosa che il verde albero che sto guardando, il teorema di Pitagora che sto dimostrando, il pensiero di mio figlio che mi sta passando per la mente, ecc. e che costituiscono -in momenti diversi- la mia esperienza fenomenica cosciente).

E' invece il cervello ad essere nella coscienza di che ha percezione (diretta; o più spesso di fatto indiretta, per il tramite dell' imaging neurologico) del cervello stesso: senza compiere questa rivoluzione copernicana non si può risolvere il problema dei rapporti coscienza/cervello".

Inoltre scusate il narcisismo, ma pur considerando la filosofia analitica infinitamente migliore degli epigoni "continentali" di Heidegger (credo basti ben poco per esserlo!), sono un "filosofo fai da te", un "cane sciolto". E mi richiamo (fra l' altro) direttamente all' empirismo classico (che pure, riguardo alla filosofia analitica, ne può lecitamente essere considerata una delle principali "radici teoriche", ma per me né più né meno; e comunque la mia formazione non è questa).



Il problema caro sgiombo è come puoi descrive questa presunta coincidenza tra stato funzionale della mente e il noumenico?
D'altronde anche le recenti scoperte neuroscientifiche dovrebbero aiutarti a capire che l'ambiente è essenziale nello stesso processo cognitivo.

Che poi è (per me) anche il problema del monismo relativo o assoluto che sia: come far coincidere in un rapporto 1:1 la questione del reale?

Certo forse per quelli relativisti si concede la questione sensoriale, ma l'esperienza non è la sensorialità.

E il tempo cosa sarebbe per tutti voi????? una funzione? una variabile?? si ma di cosa????? visto che partite dal presupposto che è il cervello a stabilirla.
Eppoi non dimentichiamo proprio del termini esperienza....cosa sarebbe una funzione "uscita male"? un black out neuronale??? perchè ci ostiniamo a voler credere di

essere esseri storici????un mero traviamento dei sensi, un loro non prenderli troppo sul serio?????

e sopratutto come conciliare la questione del materialismo storico presente nel pensiero marxista?????
CitazioneLungi da me il sostenere una presunta coincidenza fra "stato funzionale della mente e il noumenico".
Per me gli stati funzionali del cervello (e non della mente!) corrispondono biunivocamente (e non coincidono!) al noumeno; precisamente a determinati "enti ed eventi" in sé, non fenomenici, i quali corrispondono biunivocamente anche a una determinata esperienza cosciente; e transitivamente determinati stati funzionali di un determinato cervello corrispondono biunivocamente a una determinata esperienza fenomenica cosciente.
Questo mi sembra in perfetta compatibilità e coerenza con le recenti (e anche per niente recenti: anche risalenti a Broca e Wernicke!) scoperte neuroscientifiche.
 
Non sono in grado di comprendere le righe successive.
 
Posso solo dire che il tempo é per me un' aspetto del mutamento, del divenire (non stabilito di certo dal cervello, ma constato empiricamente).
E che il materialismo storico è per me una teoria scientifica, nel senso "largo" delle "scienze umane", confermata da un' infinità di osservazioni; che trovando il tempo come manifesto dato empirico non pone alcun problema in proposito.
 
Quello di Angelo Cannata non mi sembra un monismo ma uno scetticismo (secondo me, se posso permettermi, malinteso).
 

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