Realtà e rappresentazione

Aperto da Apeiron, 18 Ottobre 2016, 19:39:34 PM

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green demetr

Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 15:44:44 PM
Riassumendo abbiamo queste posizioni:

4 Nichilismo (Nietzsche... Buddha? Wittgenstein?):

Non c'è un Sè, la realtà è quella che vediamo, non c'è sostanza da nessuna parte TUTTAVIA a differenza del Buddismo e di Wittgenstein (?) non c'è niente di meglio che la realtà che vediamo. Quello che dovremo fare è o "annullarsi" o "esprimersi". Ma visto che non c'è un Sé la cosa non è da prendersi sul "personale".

La (4) è di fatto una versione "negativa" della (1) in cui si è tolta la "sostanzialità" a tutto senza rimettere nulla (visto che poi "tutto è interpretazione" non si ha moralità,etica, conoscenza... perchè d'altronde non c'è una realtà vera).

Con l'ultima deriva religiosa, mi sottraggo al discorso, rispondendo solo: sciocchezze.

Ad Apeiron un particolare:

No! Nietzche non è questa cosa che dici...che pazienza!

Per Nietzche c'è la sostanza, eccome se c'è! E infatti dobbiamo dunque esprimerci. Che mi sembra che qui nessuno se la precluda.

Tutto è interpretazione si riferisce al problema del soggetto (del rappresentante, di chi parla) non della sostanza, dell'oggetto.(tra l'altro, non so se sia vero, non avendolo letto direttamente, si riferisce alle teorie del Boskovich, quindi potremmo quasi associarlo all'atomismo democriteo).

Della rappresentazione Nietzche se ne infischia, io sono qui non in veste Nietzchiana, ma come idealista (che si limita ai risultati kantiani).

Tra l'altro caro Sgiombo l'idealismo con l'oriente NON C'ENTRA niente, perchè devi sempre polemizzare??

Vai avanti tu che mi vien da ridere

davintro

#91
Green demetr scrive

"A mio parere fai il solito errore su cosa sia l'idealismo, che non è una posizione rappresentazionalista monista, ma piuttosto una RIVELAZIONE STORICA.

Infatti la posizione critica gnoseologica dell'intenzionalità, è identica, e concordiamo totalmente.

Non concordiamo, o io non concordo su Husserl (visto che in realtà mi sembri anche tu d'accordo sul carattere positivo della sintesi), sul carattere passivo della sintesi. Per Husserl l'oggetto chiede di essere visto in un determinto delta di tempo. Questa mossa, insensata a mio parere, serve al filosofo proprio per evitare una forma trascendente, in cui anche l'io si formi in quanto "proiezione divina", e dunque per stare in una dimensione totalmente anti-metafisica, di sospensione del mondo.

Questo trascendentismo idealista probabilmente viene scambiato come solispsimo percettivo, quando invece è il contrario.
Il trascendente viene dato come epifania proprio nel suo scontro con il reale. Quindi tra Noumeno (cosa in sè) e Dio si situerebbe l'uomo, con la sua intenzionalità attiva.

Per Husserl non esistendo alcun Dio fra L'uomo e il noumeno si porrebbe una dimensione (non so quanto critica, a me pare ugualmente metafisica) intenzionale ribaltata, come se fosse l'oggetto a volersi far conoscere, e non come se l'uomo volesse conoscersi tramite la negazione storica delle sue intezioni.(ma allora dico io è come se fosse l'oggetto DIO. non so se mi spiego).

Ora io non so se questo sia anche il tuo caso, non riesco a desumerlo dalla tua posizione, che mi sembre "semplicemente" quella di salvare il reale in maniera critica. Se la limitiamo solo a quello, senza aprire appunto il problema del trascendente o metafisico che sia, siamo in totale accordo.
"




La percezione è un atto di esperienza vissuta, un "Erleben", attivo, intenzionale, proprio in virtù del suo tendere alla visualizzazione anticipante dei lati nascosti dell'oggetto percepito, ed in questo visualizzare lati nascosti, in virtù di schemi associativi via via interiorizzati, il soggetto percepiente mostra un certo livello di autonomia dalla passività, che di per sè dovrebbe limitarlo alla ricezione del lato che l'oggetto gli mostra a livello di contatto meramente fisico. Tuttavia la percezione è fattore necessario ma non sufficiente per il darsi della cosa come "fenomeno". Se fosse sufficiente allora si dovrebbe parlare di "sintesi attiva". Invece la percezione, senza un contenuto fenomenico che riceve dagli stimoli della sensazione, resterebbe solo un'intenzionalità vuota, astratta, indeterminata, essa ha bisogno della sensazione, nella quale il soggetto subisce passivamente il contatto con l'oggetto, che offre i contenuti concreti della sintesi e costringe la percezione a un costante riorientamento dei suoi schemi associativi, che devono essere aggiornati in relazione ai nuovi stimoli che l'oggetto ci comunica. In fin dei conti anche la dicitura "sintesi passiva" la trovo scorretta, perchè non c'è pura passività nè pura attività, ma interrelazione di passività e attività, attività sintetica dell'io che collega il lato della cosa attualmente percepita con i lati nascosti, passività di fronte all'oggetto che disvelandosi mostra aspetti nuovi di sè che costringono l'io a modificare le sue strutture interpretative. Interessante è che tutto ciò prepara le basi dal passaggio dalla pura gnoseologia all'ontologia, o meglio alla contestualizzazione della prima all'interno della seconda. Perchè questa unità di attività e passività altro non è che il correlato gnosologico di una condizione ontologica dell'essere umano, caratterizzato dalla sintesi da un lato, di coscienza e libertà (che porta a rivolgerci intenzionalmente verso l'oggetto, a dargli un senso), corporeità e finitezza dall'altro, che rende necessario il contatto fisico con l'oggetto di fronte al quale l'Io è passivo. Cioè l'autonomia seppur relativa degli oggetti rispetto al soggetto rispecchia la condizione ontologica di finitezza (in termini scolastici potremmo dire anche "imperfezione") dell'uomo, il suo non essere ente assoluto. Come giustamente notato, la teoria fenomenologia dell'intenzionalità presuppone come fondamentale la temporalità: la percezione di un oggetto è sempre diacronica, l'apprensione di un singolo lato accade in un certo istante temporale, e gli schemi associativi di cui la percezione si serve sono residuo di esperienze passate conservate nella memoria. La finitezza ontologica dell'uomo fà sì che la sua coscienza sia strutturata come temporale e ciò vuol dire che la necessità di un substrato gnoseologico di passività è data da tale temporalità, gli schemi soggettivi vanno modificati in quanto il passato va adeguato alla conoscenza dell'oggetto reale, cioè presente (agostinianamente, solo il presente è reale).

Al contrario, ipotizzando l'esistenza di una mente divina, assoluta, sovratemporale come soggetto rappresentazionale, allora la passività dovrebbe scomparire, perchè gli oggetti non potrebbe mostrare lati nuovi, inizialmente nascosti, che modificherebbe la struttura della soggettività, perchè tale soggettività avrebbe una visione IMMEDIATAMENTE assoluta e perfetta dei suoi oggetti. Tutto ciò mostra come l'autonomia dell'oggetto che sembra quasi per un'intenzionalità "al contrario"  muoversi attivamente volendo farsi conoscere da noi, non deve farci pensare ad un'indipendenza metafisica del mondo esterno, dell'oggettività, un realismo metafisico, come implicazione della teoria dell'intenzionalità. Tale autonomia dell'oggetto rispetto al soggetto non è un'autonomia assoluta ma solo, in nome della relativizzazione della gnoseologia all'interno dell'ontologia, conseguenza della limitatezza del soggetto in questione, l'uomo, mentre non potrebbe esserci autonomia di un mondo oggettivo in relazione ad un Soggetto, una Coscienza divina assoluta (a prescindere dal supporla esistente o meno). Cioè la diatriba idealismo- realismo va risolta non sul terreno meramente gnoseologico, dove pure sorge, ma su quello ontologico e metafisico che chiarifica la natura del soggetto conoscente in questione. Ogni filosofia, compresa la fenomenologia a prescindere dalla lettera esplicita di Husserl, è satura di potenzialità metafisica (perchè a mio avviso qualunque critica della metafisica è pur sempre metafisica). Ma nella fenomenologia, che pone la messa in rilievo della coscienza soggettiva come base evidente di ogni discorso sul reale, tale metafisica a mio avviso non potrà essere una metafisica di tipo naturalistico o cosmologico, tesa a considerare il mondo esterno come realtà privilegiata d'osservazione, ma personalistico o interioristico, che dall'analisi dei vissuti della coscienza cercherà di far emergere le componenti fondamentali della persona, quell' essere che supporta in modo esistenziale e concreto l'attività della coscienza. L'ontologia fenomenologica trova nell'antropologia il suo perno

Sariputra

#92
Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 18:17:22 PMSariputra, Ho letto piacevolmente quello che hai scritto e devo dire che mi è stato utile. In realtà quello che dicevo prima non voleva essere un affronto al buddismo. In effetti come dici tu se non si leggono come trattati di filosofia le sutras sono eccellenti. Anzi ritengo il Buddha la persona più geniale mai esistita (o almento una delle più geniali). L'errore che vedo però è il seguente: aver trasformato il buddismo in una religione dogmatica. Di modo che si è creato un "attaccamento" alla sua "filosofia". Sono d'accordissimo sulla coproduzione condizionata e sull'asserire che tutte le cose condizionate sono impermanenti, sono "dolorose" e sono senza un Sé e che la sofferenza nasce dal fatto che noi rappresentiamo (consciamente e inconsciamente) le cose condizionate come "aventi un Sé", "permanenti", nostre ecc... Tuttavia il problema che ho io è che l'anatman invece non ha fondamento filosofico: infatti mentre l'impermanenza "dimostra" l'anatman nel caso di ciò che è prodotto condizionalmente, non c'è nessuna dimostrazione per cui debba valere l'anatman anche per ciò che non è condizionato (non ho trovato una "dimostrazione" secondo la quale sia in effetti così). Infatti la dimostrazione per le cose "impermanenti" è come segue: è impermanente quindi è "dukkha" e perciò non puoi dire che è "tuo, c'è un Sè...". Questa intuizione ci fa capire che "rappresentiamo" male le cose condizionate come permanenti ecc e invece non lo sono. Ma perchè mai l'incondizionato non può essere un Sé? Qui il buddismo mi sembra irrazionale in quanto assume che non sia un Sé senza dimostrarlo. E qui arriva il problema: noi occidentali non diamo troppa importanza alla pratica meditativa quindi vogliamo capire il messaggio ultimo di un insegnamento. Personalmente la meditazione non la vedo come una tecnica che ci fa capire le cose di più ma la vedo come una "tecnica per migliorare la propria vita". Posso capire che gli indiani avendo questo come obiettivo si siano per così dire "accontentati". Tuttavia noi occidentali siamo molto più "attaccati" al capire le cose razionalmente e quindi secondo me finchè qualcuno non dimostrerà la teoria dell'anatman anche per le cose incondizionate il buddismo rimarrà come un "lavoro di un genio" ma non come "la soluzione di tutti i problemi". Personalmente sono propenso a credere in un "atman" in modo simile a Spinoza, Eckhart, Bruno, Shankhara ecc. Tuttavia nemmeno loro hanno risolto tutti i problemi come ho scritto nel punto (1) del mio post precedente. Quindi in realtà non mi sento di accettare nemmenno le loro dottrine in quanto se vuoi le ritengo forse più erronee di quella buddista. Quest'ultima però mi lascia sempre un senso di "incompletezza". Ergo continuo a cercare ecc. Riassumendo: come filosofia, per quanto ammirevole e geniale, il buddismo ormai è superato secondo me. Così come le altre dottrine. Ti invito a leggerti l'aforisma "noi areonauti dello spirito" di Nietzsche che ho citato qualche post fa.

Non so se questo topic sia il luogo adatto per approfondire una riflessione sul buddhismo ( il rischio è che personalità profondamente filosofiche trovino il tutto rivoltante e si irritino oltremodo... ;D).
In parte ho dato una specie di risposta al tuo primo interrogativo. Credo che il buddhismo dogmatico abbia poco a che fare con l'insegnamento originale, è una deriva storica, forse inevitabile. Più volte il Buddha ha spiegato che il Dharma è una zattera. Una volta raggiunta l'altra sponda, non dobbiamo mettercela sulle spalle o, peggio ancora, adorarla. L'insegnamento è figurato come una medicina prescritta da un abile medico. Ma quando sei guarito ha senso continuare a prendere la medicina o metterla su un altare e , in ginocchio adorarla o pregarla? Puoi portare un enorme rispetto per il medico e la medicina, punto ( questo non è da confondere con l'attaccamento ad un ideale). Sono anche molto perplesso sul cosiddetto Western Buddhism , che va molto di moda e che rischia di relegare l'insegnamento ad una specie di pratica anti-stress ridicola ( facendogli fare la fine dello Yoga, credo che ci capiamo...). Non puoi comprendere questo Insegnamento facendo affidamento solo sul suo lato filosofico, come non puoi comprendere Cristo  solamente leggendo Agostino d'Ippona o Tommaso d'Aquino. Il Buddhismo, come il Cristianesimo, sono religioni dell'esperienza ( Mircea Eliade e D.T. Suzuki docet) e quindi vanno vissute. Sta solo a te decidere se vuoi provare a viverle o maturare per esse, o per altre, un interesse squisitamente filosofico ( anche se la dialettica buddhista è veramente complessa e profonda). Dipende sempre da ciò che uno cerca e dall'intensità della propria sofferenza ( questo è poco filosofico, lo so, ma molto, molto concreto... ;))
Penso che Siddharta non si sia mai posto l'obiettivo di trovare una soluzione a tutti i problemi, come dici. Lui parla del problema del dolore interiore umano, del carattere insoddisfacente e impermanente dell'esistenza. Sia che ci sia un Buddha ,sia che non ci sia, la catena di produzione-cessazione condizionata prosegue indifferente.
Non esiste un incondizionato per il Buddha. Quindi non esiste il problema di attribuirgli un Sè sostanziale, sarebbe contradditorio. Tutto  è condizionato. L'unico elemento non condizionato, chiamiamolo così, è il NIbbana, ma il Nibbana è trascendente qualsiasi concetto, quindi anche alla definizione di condizionato o incondizionato. trascende qualunque definizione. E' indefinibile. Va vissuto.
La filosofia non può raggiungere il Nibbana. Può solo delineare quello che non è il Nibbana ( Non-nato, non divenuto, non composto, non soggetto a nascita e morte, ecc.). Lo scopo della meditazione non è quello di farci stare meglio, più rilassati ( per quello basta dell'ottimo prosecco di Villa Sariputra... ;D ) ma è una strada di comprensione vissuta dell'insegnamento. Non bisogna attaccarsi nemmeno a questa. E' sempre una medicina...non la guarigione.
Mi dispiace per Nietzsche, ma non l'ho mai preso in considerazione ( anch'io, non essendo un buddha, sono pieno di pregiudizi  ;D ;D ). Ho letto l'Anticristo, Così parlò Zarathustra, Ecce Homo, ma credo che non abbia realmente compreso la radice del Cristianesimo. Opinione mia s'intende. Del Buddhismo non ne parliamo. Le prime serie traduzioni del canone Pali sono posteriori a Nietzsche, datano 1903 e sono opera del grande indianista Karl Eugen Neumann. E poi troppo odio, gronda odio da ogni pagina. Chiaramente troppo disturbato. Non fa per me. Poi puoi ben immaginare uno come me, nelle mie condizioni, quando sente parlare di super-uomini...che risate che si fa!!! ;D ;D ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

#93
Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:47:55 PM


Tra l'altro caro Sgiombo l'idealismo con l'oriente NON C'ENTRA niente, perchè devi sempre polemizzare??


CitazioneNon mi sembra di polemizzare sempre né, ancor meno, di aver mai sostenuto che l' idealismo (occidentale; che fra l' altro non é per nulla di mio interesse) "c' entri" in qualche modo con l' oriente.

(E con questo ho polemizzato; stavolta).

sgiombo

Citazione di: davintro il 29 Ottobre 2016, 23:03:11 PM


La percezione è un atto di esperienza vissuta, un "Erleben", attivo, intenzionale, proprio in virtù del suo tendere alla visualizzazione anticipante dei lati nascosti dell'oggetto percepito, ed in questo visualizzare lati nascosti, in virtù di schemi associativi via via interiorizzati, il soggetto percepiente mostra un certo livello di autonomia dalla passività, che di per sè dovrebbe limitarlo alla ricezione del lato che l'oggetto gli mostra a livello di contatto meramente fisico. Tuttavia la percezione è fattore necessario ma non sufficiente per il darsi della cosa come "fenomeno". Se fosse sufficiente allora si dovrebbe parlare di "sintesi attiva". Invece la percezione, senza un contenuto fenomenico che riceve dagli stimoli della sensazione, resterebbe solo un'intenzionalità vuota, astratta, indeterminata, essa ha bisogno della sensazione, nella quale il soggetto subisce passivamente il contatto con l'oggetto, che offre i contenuti concreti della sintesi e costringe la percezione a un costante riorientamento dei suoi schemi associativi, che devono essere aggiornati in relazione ai nuovi stimoli che l'oggetto ci comunica. In fin dei conti anche la dicitura "sintesi passiva" la trovo scorretta, perchè non c'è pura passività nè pura attività, ma interrelazione di passività e attività, attività sintetica dell'io che collega il lato della cosa attualmente percepita con i lati nascosti, passività di fronte all'oggetto che disvelandosi mostra aspetti nuovi di sè che costringono l'io a modificare le sue strutture interpretative. Interessante è che tutto ciò prepara le basi dal passaggio dalla pura gnoseologia all'ontologia, o meglio alla contestualizzazione della prima all'interno della seconda. Perchè questa unità di attività e passività altro non è che il correlato gnosologico di una condizione ontologica dell'essere umano, caratterizzato dalla sintesi da un lato, di coscienza e libertà (che porta a rivolgerci intenzionalmente verso l'oggetto, a dargli un senso), corporeità e finitezza dall'altro, che rende necessario il contatto fisico con l'oggetto di fronte al quale l'Io è passivo. Cioè l'autonomia seppur relativa degli oggetti rispetto al soggetto rispecchia la condizione ontologica di finitezza (in termini scolastici potremmo dire anche "imperfezione") dell'uomo, il suo non essere ente assoluto. Come giustamente notato, la teoria fenomenologia dell'intenzionalità presuppone come fondamentale la temporalità: la percezione di un oggetto è sempre diacronica, l'apprensione di un singolo lato accade in un certo istante temporale, e gli schemi associativi di cui la percezione si serve sono residuo di esperienze passate conservate nella memoria. La finitezza ontologica dell'uomo fà sì che la sua coscienza sia strutturata come temporale e ciò vuol dire che la necessità di un substrato gnoseologico di passività è data da tale temporalità, gli schemi soggettivi vanno modificati in quanto il passato va adeguato alla conoscenza dell'oggetto reale, cioè presente (agostinianamente, solo il presente è reale).
CitazioneMi sembra che tu distingua "sensazione" come mero evento fenomenico (passivo; aggettivo che presuppone però già la realtà di un oggetto agente e un soggetto paziente che sarebbe da dimostrare; oppure da ammettere, come faccio io, che ci si crede arbitrariamente, letteralmente "per fede") e "percezione" come attenzionamento, considerazione teorica (attiva da parte del soggetto; sempre da dimostrarsi previamente o credersi fideisticamente), che per me è soltanto un' ulteriore sensazione fenomenica o un insieme di sensazioni fenomeniche (mentali in questo caso) che accadono "in aggiunta" alla mera sensazione (materiale o anche mentale).

sgiombo

#95
Citazione di: Sariputra il 30 Ottobre 2016, 00:55:43 AM
Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 18:17:22 PM
Non so se questo topic sia il luogo adatto per approfondire una riflessione sul buddhismo ( il rischio è che personalità profondamente filosofiche trovino il tutto rivoltante e si irritino oltremodo... ;D).
In parte ho dato una specie di risposta al tuo primo interrogativo. Credo che il buddhismo dogmatico abbia poco a che fare con l'insegnamento originale, è una deriva storica, forse inevitabile. Più volte il Buddha ha spiegato che il Dharma è una zattera. Una volta raggiunta l'altra sponda, non dobbiamo mettercela sulle spalle o, peggio ancora, adorarla. L'insegnamento è figurato come una medicina prescritta da un abile medico. Ma quando sei guarito ha senso continuare a prendere la medicina o metterla su un altare e , in ginocchio adorarla o pregarla? Puoi portare un enorme rispetto per il medico e la medicina, punto ( questo non è da confondere con l'attaccamento ad un ideale). Sono anche molto perplesso sul cosiddetto Western Buddhism , che va molto di moda e che rischia di relegare l'insegnamento ad una specie di pratica anti-stress ridicola ( facendogli fare la fine dello Yoga, credo che ci capiamo...). Non puoi comprendere questo Insegnamento facendo affidamento solo sul suo lato filosofico, come non puoi comprendere Cristo  solamente leggendo Agostino d'Ippona o Tommaso d'Aquino. Il Buddhismo, come il Cristianesimo, sono religioni dell'esperienza ( Mircea Eliade e D.T. Suzuki docet) e quindi vanno vissute. Sta solo a te decidere se vuoi provare a viverle o maturare per esse, o per altre, un interesse squisitamente filosofico ( anche se la dialettica buddhista è veramente complessa e profonda). Dipende sempre da ciò che uno cerca e dall'intensità della propria sofferenza ( questo è poco filosofico, lo so, ma molto, molto concreto... ;))
Penso che Siddharta non si sia mai posto l'obiettivo di trovare una soluzione a tutti i problemi, come dici. Lui parla del problema del dolore interiore umano, del carattere insoddisfacente e impermanente dell'esistenza. Sia che ci sia un Buddha ,sia che non ci sia, la catena di produzione-cessazione condizionata prosegue indifferente.
Non esiste un incondizionato per il Buddha. Quindi non esiste il problema di attribuirgli un Sè sostanziale, sarebbe contradditorio. Tutto  è condizionato. L'unico elemento non condizionato, chiamiamolo così, è il NIbbana, ma il Nibbana è trascendente qualsiasi concetto, quindi anche alla definizione di condizionato o incondizionato. trascende qualunque definizione. E' indefinibile. Va vissuto.
La filosofia non può raggiungere il Nibbana. Può solo delineare quello che non è il Nibbana ( Non-nato, non divenuto, non composto, non soggetto a nascita e morte, ecc.). Lo scopo della meditazione non è quello di farci stare meglio, più rilassati ( per quello basta dell'ottimo prosecco di Villa Sariputra... ;D ) ma è una strada di comprensione vissuta dell'insegnamento. Non bisogna attaccarsi nemmeno a questa. E' sempre una medicina...non la guarigione.
Mi dispiace per Nietzsche, ma non l'ho mai preso in considerazione ( anch'io, non essendo un buddha, sono pieno di pregiudizi  ;D ;D ). Ho letto l'Anticristo, Così parlò Zarathustra, Ecce Homo, ma credo che non abbia realmente compreso la radice del Cristianesimo. Opinione mia s'intende. Del Buddhismo non ne parliamo. Le prime serie traduzioni del canone Pali sono posteriori a Nietzsche, datano 1903 e sono opera del grande indianista Karl Eugen Neumann. E poi troppo odio, gronda odio da ogni pagina. Chiaramente troppo disturbato. Non fa per me. Poi puoi ben immaginare uno come me, nelle mie condizioni, quando sente parlare di super-uomini...che risate che si fa!!! ;D ;D ;D
CitazioneSe temi una mia irritazione, tranquillo: cercherò di leggere e capire (ora però vado a farmi -adeguatamente coperto!- un bel giro in bici che c' bel tempo e voglio arrivare a casa per tempo a pranzo senza fare aspettare mia pazientissima moglie, verso la quale ho già troppi rimorsi*).

Mannaggia!

Se non fosse che ho già una lunghissima lista di scritti da cercare di leggere almeno in parte prima di tirare le cuoia, ti chiedere qualche consiglio bibliografico sulla filosofia orientale.

__________________________________
* Prego tutti di astenersi da battute scontate su eventuali sorprese che potrei trovare nel caso arrivassi a casa prima del previsto (fra l' altro non credo accadrà: non sono in forma; ma lei non lo sa...).

Apeiron

@Sariputra,
Ti ringrazio nuovamente della tua spiegazione. La tua interpretazione è molto interessante pur non essendo "canonica" (almeno da quanto ho letto io la tua interpretazione è vicina a quella di Nagarjuna rispetto a quella theravada). Comunque sì direi di tornare a parlare di rappresentazioni. Capisco anche l'irritazione di alcuni utenti, se c'è stata.

Citazione di: green demetr il 29 Ottobre 2016, 22:47:55 PM
Citazione di: Apeiron il 29 Ottobre 2016, 15:44:44 PMRiassumendo abbiamo queste posizioni: 4 Nichilismo (Nietzsche... Buddha? Wittgenstein?): Non c'è un Sè, la realtà è quella che vediamo, non c'è sostanza da nessuna parte TUTTAVIA a differenza del Buddismo e di Wittgenstein (?) non c'è niente di meglio che la realtà che vediamo. Quello che dovremo fare è o "annullarsi" o "esprimersi". Ma visto che non c'è un Sé la cosa non è da prendersi sul "personale". La (4) è di fatto una versione "negativa" della (1) in cui si è tolta la "sostanzialità" a tutto senza rimettere nulla (visto che poi "tutto è interpretazione" non si ha moralità,etica, conoscenza... perchè d'altronde non c'è una realtà vera).
Con l'ultima deriva religiosa, mi sottraggo al discorso, rispondendo solo: sciocchezze. Ad Apeiron un particolare: No! Nietzche non è questa cosa che dici...che pazienza! Per Nietzche c'è la sostanza, eccome se c'è! E infatti dobbiamo dunque esprimerci. Che mi sembra che qui nessuno se la precluda. Tutto è interpretazione si riferisce al problema del soggetto (del rappresentante, di chi parla) non della sostanza, dell'oggetto.(tra l'altro, non so se sia vero, non avendolo letto direttamente, si riferisce alle teorie del Boskovich, quindi potremmo quasi associarlo all'atomismo democriteo). Della rappresentazione Nietzche se ne infischia, io sono qui non in veste Nietzchiana, ma come idealista (che si limita ai risultati kantiani). Tra l'altro caro Sgiombo l'idealismo con l'oriente NON C'ENTRA niente, perchè devi sempre polemizzare??

green demetr, permettimi di dissentire. Prima però mi devo scusare se ti ha dato fastidio la discussione palesemente off-topic di prima. Detto questo però fammi un secondo ripetere quello che intendo io per rappresentazione:
1) La rappresentazione sensoriale: cioè quell'immagine del mondo fornita dai cinque sensi;
2) La rappresentazione concettuale: cioè quella che deriva dalla concettualizzazione della precedente;
Ebbene Nietzsche (non ricordo più dove) dice chiaramente che è errato attribuire un'identità a noi stessi. Per questo anche Nietzsche in modo poi non così diverso dal Buddha (permettimi di citarlo ancora, solamente per far notare che sto discutendo non di religione ma di filosofia quando parla del buddismo...) asserisce che il Sé non esiste. E giustamente tu dici: beh era contrario al concetto di "soggetto" ma non aveva problemi a dare sostazialità all'oggetto. Ebbene qui ti sbagli per due motivi:
1) Il concetto stesso di oggetto è una "rappresentazione concettuale" che Nietzsche abbandona perchè appunto abbandona il soggetto (cosa che in realtà è fatta anche in parte da Schopenhauer);
2) Nietzsche critica ardentemente la concettualizzazione della realtà, dicendo che è solo un'interpretazione nostra. Anzi (e non trovo nuovamente la citazione) è contrario a dare dei nomi alle cose dicendo che sono arbitrari e convenzionali. Per questo motivo Nietzsche vuole liberarci da una sorta di "ignoranza" per la quale affidiamo un'essenza a cose che non la hanno (pensa al fiume di Eraclito; per Nietzsche il fiume non ha identità, ogni secondo è diverso). Il mondo di Nietzsche è senza nomi e senza identità. Essendo senza nomi e senza identità il mondo non può avere valori assoluti e quindi la moralità è relativa (anche se ciò non significa che le moralità sono tutte uguali per lui...). Perciò tutto è "interpetazione", scienza compresa. Chiaramente visto che non c'è nulla di fisso, immutabile ecc non hanno più senso la moralità, l'etica, la metafisica, l'ontologia...
Quello che rimane per lui è un "nichilismo attivo" in cui l'oltreuomo (l'artista creativo) nonostante il "flusso" crea valori e per così dire esprime al massimo livello la sua Volontà di Potenza (e qui lui usa la parola "craft", che è legata alla creatività).  Secondo Nietzsche il concetto di Essere nasce proprio da una visione sbagliata che abbiamo delle cose (c'è solo il Divenire e nel divenire non esistono sostanze). Spero dunque di essere stato chiaro.

Il problema che ho con i nichilisti "attivi" in generale è che non comprendono fino in fondo il dolore di questa esistenza ma invece fanno in modo che la "Lotta" (il Polemos di Eraclito, che Nietzsche considerava quasi giustamente un suo alter-ego) e quindi la sofferenza venga continuamente prodotta. Inoltre se Tutto è volontà di potenza e non ci sono assoluti cadi in assurdità: cosa proibisce di commettere reati se non una "sana coscienza", che tanto Nietzsche disprezzava?

Per Kant: come risolvi il problema della percezione? Come è possibili dire che il noumeno è inconoscibile se Kant stesso lo assume come condizione dei fenomeni e inoltre asserisce che tutti noi vediamo lo stesso fenomeno? Secondo me Kant pur di non finire in contraddizioni ha voluto limitarsi da solo cadendo a sua volta in contraddizione.

In ogni caso forse abbiamo esagerato nella discussione "religiosa" però comunque green demetr molte brillanti idee filosofiche le ho trovate in personalità religiose: anzi fino al novecento spesso era difficile dare una ciara linea di demarcazione. Se vuoi ti dico la mia: "religione" significa l'insieme di culti e credenze senza evidenza empirica che fanno da "fondamento" ad una società e che non hanno origine filosofico/razionale. Il fondamentalismo invece nasce dalla "fede cieca" in queste credenze.

@Sariputra,
Nietzsche certamente ha avuto i suoi difetti, tuttavia per molte cose lo trovo interessantissimo (e non molto distante da Buddha, Nagarjuna...).

P.S./O.T
sgiombo:
http://www.canonepali.net/ Qui trovi parte del Canone Pali buddhista in italiano;
http://www.accesstoinsight.org/ Qui in inglese trovi commenti e testi in inglese;
In generale non è difficile trovare materiale in rete su questi argomenti. Diffida in ogni caso di cavolate come "mente quantica", "legge di attrazione","la mente crea la realtà"... Questa non è filosofia orientale!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

green demetr

#97
Citazione di: davintro il 29 Ottobre 2016, 23:03:11 PM

La percezione è un atto di esperienza vissuta, un "Erleben", attivo, intenzionale, proprio in virtù del suo tendere alla visualizzazione anticipante dei lati nascosti dell'oggetto percepito, ed in questo visualizzare lati nascosti, in virtù di schemi associativi via via interiorizzati, il soggetto percepiente mostra un certo livello di autonomia dalla passività, che di per sè dovrebbe limitarlo alla ricezione del lato che l'oggetto gli mostra a livello di contatto meramente fisico. Tuttavia la percezione è fattore necessario ma non sufficiente per il darsi della cosa come "fenomeno". Se fosse sufficiente allora si dovrebbe parlare di "sintesi attiva". Invece la percezione, senza un contenuto fenomenico che riceve dagli stimoli della sensazione, resterebbe solo un'intenzionalità vuota, astratta, indeterminata, essa ha bisogno della sensazione, nella quale il soggetto subisce passivamente il contatto con l'oggetto, che offre i contenuti concreti della sintesi e costringe la percezione a un costante riorientamento dei suoi schemi associativi, che devono essere aggiornati in relazione ai nuovi stimoli che l'oggetto ci comunica. In fin dei conti anche la dicitura "sintesi passiva" la trovo scorretta, perchè non c'è pura passività nè pura attività, ma interrelazione di passività e attività, attività sintetica dell'io che collega il lato della cosa attualmente percepita con i lati nascosti, passività di fronte all'oggetto che disvelandosi mostra aspetti nuovi di sè che costringono l'io a modificare le sue strutture interpretative. Interessante è che tutto ciò prepara le basi dal passaggio dalla pura gnoseologia all'ontologia, o meglio alla contestualizzazione della prima all'interno della seconda. Perchè questa unità di attività e passività altro non è che il correlato gnosologico di una condizione ontologica dell'essere umano, caratterizzato dalla sintesi da un lato, di coscienza e libertà (che porta a rivolgerci intenzionalmente verso l'oggetto, a dargli un senso), corporeità e finitezza dall'altro, che rende necessario il contatto fisico con l'oggetto di fronte al quale l'Io è passivo. Cioè l'autonomia seppur relativa degli oggetti rispetto al soggetto rispecchia la condizione ontologica di finitezza (in termini scolastici potremmo dire anche "imperfezione") dell'uomo, il suo non essere ente assoluto. Come giustamente notato, la teoria fenomenologia dell'intenzionalità presuppone come fondamentale la temporalità: la percezione di un oggetto è sempre diacronica, l'apprensione di un singolo lato accade in un certo istante temporale, e gli schemi associativi di cui la percezione si serve sono residuo di esperienze passate conservate nella memoria. La finitezza ontologica dell'uomo fà sì che la sua coscienza sia strutturata come temporale e ciò vuol dire che la necessità di un substrato gnoseologico di passività è data da tale temporalità, gli schemi soggettivi vanno modificati in quanto il passato va adeguato alla conoscenza dell'oggetto reale, cioè presente (agostinianamente, solo il presente è reale).
Al contrario, ipotizzando l'esistenza di una mente divina, assoluta, sovratemporale come soggetto rappresentazionale, allora la passività dovrebbe scomparire, perchè gli oggetti non potrebbe mostrare lati nuovi, inizialmente nascosti, che modificherebbe la struttura della soggettività, perchè tale soggettività avrebbe una visione IMMEDIATAMENTE assoluta e perfetta dei suoi oggetti. Tutto ciò mostra come l'autonomia dell'oggetto che sembra quasi per un'intenzionalità "al contrario"  muoversi attivamente volendo farsi conoscere da noi, non deve farci pensare ad un'indipendenza metafisica del mondo esterno, dell'oggettività, un realismo metafisico, come implicazione della teoria dell'intenzionalità. Tale autonomia dell'oggetto rispetto al soggetto non è un'autonomia assoluta ma solo, in nome della relativizzazione della gnoseologia all'interno dell'ontologia, conseguenza della limitatezza del soggetto in questione, l'uomo, mentre non potrebbe esserci autonomia di un mondo oggettivo in relazione ad un Soggetto, una Coscienza divina assoluta (a prescindere dal supporla esistente o meno). Cioè la diatriba idealismo- realismo va risolta non sul terreno meramente gnoseologico, dove pure sorge, ma su quello ontologico e metafisico che chiarifica la natura del soggetto conoscente in questione. Ogni filosofia, compresa la fenomenologia a prescindere dalla lettera esplicita di Husserl, è satura di potenzialità metafisica (perchè a mio avviso qualunque critica della metafisica è pur sempre metafisica). Ma nella fenomenologia, che pone la messa in rilievo della coscienza soggettiva come base evidente di ogni discorso sul reale, tale metafisica a mio avviso non potrà essere una metafisica di tipo naturalistico o cosmologico, tesa a considerare il mondo esterno come realtà privilegiata d'osservazione, ma personalistico o interioristico, che dall'analisi dei vissuti della coscienza cercherà di far emergere le componenti fondamentali della persona, quell' essere che supporta in modo esistenziale e concreto l'attività della coscienza. L'ontologia fenomenologica trova nell'antropologia il suo perno



Grazie della delucidazione, alla distinzione ontologica - gnoseologica del problema non ci avevo ancora pensato.(mi hai risparmiato almeno 5 anni di studi! visto la mia lentezza).
Mi piace anche come risolvi la questione della passività, in effetti con questa nuova visione proposta, non serve tanto mettere in discussione il carattere passivo-attivo delle sintesi, lo facevo solo perchè nella discussione con amici, l'avevamo messa su quel piano.
Il problema del correlato come questione ontologica, in quanto l'uomo è metafisicamente (concordo) destinato al suo esser legato all'oggetto.

E non l'oggetto come principio metafisico, che farebbe appunto il paio con l'errore dell'uomo metafisico. Metafisica è solo la domanda, come Hegel e Heideger giustamente (eh eh) concordano.


Sul principio di DIO come ente immobile, invece non mi trovi d'accordo affatto. L'azione trascendente non è una questione dell'unarità (come in Hegel, visto che lo sto studiano parallalemante a questi scritti, tramite Zizek), ma appunto come testimonia il pensiero luterano, dalla negatività.
Che si dissolve come storia della morte del soggetto. Non è questione di aldilà, ma dello stare qui, sul momento presente, in cui dissolve ora ed ora ed ora ogni nostra velleità, intenzionale o rappresentazionale che sia.
Il senso che ne deriva secondo me è la questione del terrore metafisico, a cui la filosofia cerca di fare da Pharmacon, alemno fino al postmoderno, quando appunto la questione della modernità (chi siamo) andrebbe di nuovo posta come carattere sovversivo, negativo e non più positivista alla questione meravigliosamente indicata da Hegel e Heideger del Dasein.
A maggior ragione proprio da una posizione ontologica dell'uomo! che richiama al problema antropologico certo, nella accezione contemporanea, quasi tutti i filosofi contemporanei infatti si stanno dirigendo verso l'antropologico. (per fare un paio di esempi che conosco la cura del sè di focauldiana memoria, o il monachesimo di un Agamben).
Ma non è l'ennesimo abbaglio? A mio modo di vedere sì, infatti la filosofia è dentro al discorso del terrore, cioè a quello paranoico. Come se noi fossiamo già morti.
Ecco che allora l'antropologico diventa l'ennesimo scudo, (meglio qualitativamente, ma nè più nè meno che l'analitico della filosofia americana).
E invece il terrore va guardato negli occhi. Di modo da scoprire la sua fantasmatica, ossia la legge della madre (il fantasma materno).

Uscire da simile inpasse è impresa disperata per l'occidente schizoide. Purtroppo questa è la mia seconda intuzione di questo anno.

infatti il livello schizoide fa credere all'uomo di essere qualcosa d'altro, da quello che è. Lo fa tramite una legalizzazione del soggetto borghese, per via delle origini storiche bla bla bla....Di modo che sembra sia l'etica la questione fondante.

Ma nessuno, sottolineo nessuno puà stare in quella etica. Semplicemente perchè non esiste come naturale, quando la fanno passare come tale.
(l'opposizione politica, alla focault, o la rinuncia politica monacale-religiosa (agamben), sono opposizione e rinuncia contro qualcosa che non c'è, a livello antropologico.).

Dunque l'indagine ontologica, che risente del paranoico non è semplicemente doppiata, ma quadruplicata.


reale - fantasma

antropologia (fantasma del reale).  problema dell'uomo

reale - fantasma

sociologia (fantasma del fantasma del reale). problema comunitario

Per tornare all'ontologia fondamentale, idealista, di stampo hegeliano, bisogna dunque di nuovo interrogare il fenomeno e il suo carattere dissolvente.

Per questo se da una parte vi è una intenzionalità "dal basso" che di volta in volta si conforma all'oggetto, dall'altra ci DEVE essere una intenzionalità (criticità) che si conforma a quello che viene "dall'alto".

Se da un lato infatti il problema è gnoseologico-ontologico, dall'altro è linguistico-ontologico, infatti l'apertura al discorso è la stessa lingua, che come sempre meglio si va descrivendo, viene PRIMA del soggetto, non vi sarebbe apertura sul Mondo, senza la possibilità di descriverlo.

Per questo in Lacan, la dicotomia simbolico-reale va indagata in quanto linguistica, in quanto discorso.


Citazione di: davintro il 29 Ottobre 2016, 23:03:11 PM

Ma nella fenomenologia, che pone la messa in rilievo della coscienza soggettiva come base evidente di ogni discorso sul reale, tale metafisica a mio avviso non potrà essere una metafisica di tipo naturalistico o cosmologico, tesa a considerare il mondo esterno come realtà privilegiata d'osservazione, ma personalistico o interioristico, che dall'analisi dei vissuti della coscienza cercherà di far emergere le componenti fondamentali della persona, quell' essere che supporta in modo esistenziale e concreto l'attività della coscienza. L'ontologia fenomenologica trova nell'antropologia il suo perno



Siamo dunque totalmente d'accordo sull'errore naturalistico-cosmologico, ma non sul carattere esistenziale, che per me è appunto metafisico e per te antropologico.

(tra l'altro in cosa consisterebbe questo carattere antropologico tuo? forse lo scoprirò in futuri 3d, o forse ne hai già parlato e non ricordo...ehmmmm)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

1) La rappresentazione sensoriale: cioè quell'immagine del mondo fornita dai cinque sensi;
2) La rappresentazione concettuale: cioè quella che deriva dalla concettualizzazione della precedente;

Ebbene Nietzsche (non ricordo più dove) dice chiaramente che è errato attribuire un'identità a noi stessi.


Certo, lo dice sostanzialmente ad ogni pagina, in quanto è il suo tema principale, quello che fa da sfondo a tutto.

Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

Per questo anche Nietzsche in modo poi non così diverso dal Buddha (permettimi di citarlo ancora, solamente per far notare che sto discutendo non di religione ma di filosofia quando parla del buddismo...) asserisce che il Sé non esiste.





E infatti ci sono molti scritti sul parallelismo Nietzche - Buddismo, lo stesso Sini ha invitato più volte i suoi allievi ad approfondirne la questione.
Ma ricordiamoci è solo un parallelismo, sono d'accordo al 1000% con Sari sul carattere western delle considerazioni sulla filosofia buddista.
In quanto per loro indiani, non esiste qualcosa come la filosofia in senso congnitivo occidentalista.

Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

E giustamente tu dici: beh era contrario al concetto di "soggetto" ma non aveva problemi a dare sostazialità all'oggetto. Ebbene qui ti sbagli per due motivi:
1) Il concetto stesso di oggetto è una "rappresentazione concettuale" che Nietzsche abbandona perchè appunto abbandona il soggetto (cosa che in realtà è fatta anche in parte da Schopenhauer);
2) Nietzsche critica ardentemente la concettualizzazione della realtà, dicendo che è solo un'interpretazione nostra. Anzi (e non trovo nuovamente la citazione) è contrario a dare dei nomi alle cose dicendo che sono arbitrari e convenzionali. Per questo motivo Nietzsche vuole liberarci da una sorta di "ignoranza" per la quale affidiamo un'essenza a cose che non la hanno (pensa al fiume di Eraclito; per Nietzsche il fiume non ha identità, ogni secondo è diverso). Il mondo di Nietzsche è senza nomi e senza identità. Essendo senza nomi e senza identità il mondo non può avere valori assoluti

l fatto che il fiume che guardiamo non è mai lo stesso, non significa che non esista un fiume.



Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM
e quindi la moralità è relativa (anche se ciò non significa che le moralità sono tutte uguali per lui...). Perciò tutto è "interpetazione", scienza compresa. Chiaramente visto che non c'è nulla di fisso, immutabile ecc non hanno più senso la moralità, l'etica, la metafisica, l'ontologia...


Capisco dai tuoi interventi iniziali che tu voglia cogliere quel fiume a tutti i costi, ma non è certo volgendoti al'etica, alla morale, che puoi trovare punti fissi.


A meno che comincia a venirmi il dubbio, tu voglia salvare la morale e l'etica, avendola introiettata come Legge Paterna. E dunque è solo per preservare il Padre, che cerchi a tutti i costi di preservare il noumeno, come reale.

Va bene, per carità, ne va del nostro equilibrio preservare la moralità. E d'altronde tutti noi non possiamo che dirci cristiani. (a cui farebbe eco il nefasto moriremo tutti democristiani).

Ma criticamente non possiamo permettere che il lume fioco della ragione si spenga.(e per cui Nietzche guai a chi me lo tocca!!!).

La legge è una legalizzazione della morale, arbitraria, gratuita, frutto del potere gerarchico.
Fa quasi tenerezza vedere certi discorsi in questo periodo politico della nostra italietta, basti pensare al 3d di Garbino, che dice Nietzche della colpa introiettata????
Quella è un arma demagogica potentissima, in quanto radicata nel subconscio della gente. Infatti che dice lo slogan per il sì referendario ? (disastro dei disastri, al peggio non c'è mai fine, abrogare la nostra meravigliosa costituzione...che affronto!)..."se passa il no perdiamo l'occasione di migliorare" (alias SIETE COLPEVOLI SE VOTATE NO).

Sottigliezze (macchiavelliche) del discorso paranoico, usato dal politico (che è paranoico per definizione).

Non possiamo fare i chierichetti del MALE!


Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM
Per Kant: come risolvi il problema della percezione? Come è possibili dire che il noumeno è inconoscibile se Kant stesso lo assume come condizione dei fenomeni e inoltre asserisce che tutti noi vediamo lo stesso fenomeno? Secondo me Kant pur di non finire in contraddizioni ha voluto limitarsi da solo cadendo a sua volta in contraddizione.


Non conosco Kant così a fondo, quindi tecnicamente non so spiegartelo, per quanto riguarda il problema del vedere lo stesso fenomeno.

Sul fatto se esista un noumenico o meno, ti ripeto, Kant usa il metodo inferenziale, lo stesso di Hume, è arcinoto il debito del filosofo tedesco verso quello inglese.

Il noumeno è qualcosa "come se ci fosse". Esiste solo a livello formale. Ed ha contenuto reale solo a livello trascendentale come fenomeno, incontro tra senso dato e categorie mentali, apriori. Io per comodità uso il concetto di sintesi attiva. Dunque il noumeno non è reale. E infatti il noumeno è il DAS DING, non esiste per fare un esempio la sedia noumenica. E' un errore da matita rossa. (vedasi la figura imbarazzante che hanno fatto vattimo e ferraris, al cospetto del maestro Severino).

Sulla evoluzione dell'idealismo ti invito a riflettere sullo scritto di DAVINTRO, che scrive cento volte meglio di me.

Comunque capisco che l'idealismo non ti soddisfi. Forse Severino ti può aiutare a cercare quella oggettività verità che cerchi.


Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2016, 10:14:59 AM

In ogni caso forse abbiamo esagerato nella discussione "religiosa" però comunque green demetr molte brillanti idee filosofiche le ho trovate in personalità religiose: anzi fino al novecento spesso era difficile dare una ciara linea di demarcazione. Se vuoi ti dico la mia: "religione" significa l'insieme di culti e credenze senza evidenza empirica che fanno da "fondamento" ad una società e che non hanno origine filosofico/razionale. Il fondamentalismo invece nasce dalla "fede cieca" in queste credenze.


Rispondo a te e quindi anche al Sari.

Non ce l'ho col cristianesimo (che conosco pochissimo, avevo iniziato l'anno scorso sul vecchio forum un dialogo con DUC in ALTUM, ma mi sono arenato, ci vuole pazienza).

Figuriamoci con l'oriente! Non so se hai letto miei post precedenti, ma tutta la mia giovinezza è legata indissolubilmente col pensiero induista, nel senso proprio della pratica meditativa, sotto gli insegnamente del raja Yoga di Patanjali e gli insegnamenti del mio maestro, il celeberrimo Paramahansa Yogananda, si proprio quello adorato da steve job.
Proseguendo ho conosciuto le upanishad come le tramanda il centro hare krsna, non se mai avete visto quei libroni meravigliosamente illustrati e rilegati.(ricordo il "nettare della devozione")

Conservo ancora una memoria, come ogni cosa dell'infanzia, magica dell'incontro con quegli scritti.

Come dire non posso fare a meno di essere metafisico proprio per quelle radici.

Capisco benissimo il Sari quando parla di via pratica, e la distinzione western, come pratica intellettuale.
In realtà non mi dispiacciono entrambe. Sopratutto la variante Advaita, quella della non-dualità, intellettualizzata da Śaṇkara (nel medioevo indiano).
Che poi di fatto è la tradizione, la scuola più forte fra le sette sorelle, sia in oriente, sia in occidente, dove fondamentalmente conosciamo solo quella.
(essendo il tantra di origine himalayana, la considero fuori dal discorso).
Ultimamente ho conosciuto anche Nisargadatta, ma come dire, i maestri in India non mancano proprio.
Basta vedere la digitalizzazione fatta nelle università indiane, una mole mastodontica di scritti, di rotoli rinvenuti, tutta da scoprire.
Con polemica annessa, infatti sono più gli studi occidentali su quelle scritture, che non quelle indiane, sia in termini di traduzione (i codici sono in pali antico etc...) sia in termini di riflessione teorica.
Il fatto che l'occidente non capisce, e non capirà mai, è che l'India è veramente l'utima culla della tradizione orale, una tradizione che non vuole morire.
(cosa volete che gli importi della intellettualizzazione) Lo capisco benissimo.
Una tradizione che lotta contro la cultura islamica dilagante sopratutto in India (per ragioni storiche).(anche lì ci sono grossi problemi col fondamentalismo).

Ed è qui il punto: non si può sfuggire alla politicizzazione, e nessuna tradizione orale, riesce ad intenderla, in quanto è interna ai costumi stessi.

E' necessario una illuminazione laterale, appunto intellettuale, politica però, non semplicemente analitica, sebbene ne sia alla base.


Per quanto riguarda il buddismo: non lo conosco, dovrebbe essere il Sari a guidarci. Qualcosina ce lo fa sempre trapelare.


Sia chiaro siete liberi di associare pensiero orientale e occidentale.
(ci mancherebbe)

Il polemos, nasce da parte mia, solo perchè abbraccio la questione filosofica come una questione politica.
E' una semplice presa di posizione (per me salutare, valvola di sfogo, e spero anche per qualcun altro).

saluti.  ;)


Vai avanti tu che mi vien da ridere

Apeiron

green demetr la tua risposta è interessantissima, davvero.
Comunque vedo che su molte cose in realtà siamo d'accordo e la differenza è dovuta al fatto che nel mio caso non conosco in realtà bene l'idealismo e non conosco per nulla autori come Severino, Husserl ecc. D'altronde ho un background culturale un po' povero: di filosofi novecenteschi di fatto conosco solo Wittgenstein, non ho mai letto nulla di Aristotele ecc... quindi chiaramente a volte il mio linguaggio non è "canonico". D'altronde non ho scelto filosofia come università e quindi provo a fare il possibile ;) 


Per quanto riguarda la moralità credo che un qualche "assoluto etico" (il Valore etico) sia necessario e per questo motivo non riesco ad accettare il nichilismo. Credo tuttavia che il miglior metodo per conoscere (in parte) tale "valore" non sia quello di interiorizzare leggi esterne ma di studiare la propria coscienza morale. Perciò il discorso della "colpa introiettata" non c'entra con la "mia" concezione di "etica". Detto questo non voglio salvare il Padre ma l'etica stessa in quanto l'etica relativistica non è etica.

Infine per quanto riguarda il discorso del fiume: beh è la mia ossessione da mesi a questa parte  ;)  Io sono arrivato a dire che il fiume c'è come entità convenzionale, ma affidarli realtà significherebbe "astrarlo" dal resto del mondo e quindi di fatto non comprendere la sua (vera) natura. Tutte le cose perciò sono senza identità. Or come ora non so se dire la stessa cosa del "rappresentante", cioè di noi stessi.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

davintro

Sgiombo scrive

"Mi sembra che tu distingua "sensazione" come mero evento fenomenico (passivo; aggettivo che presuppone però già la realtà di un oggetto agente e un soggetto paziente che sarebbe da dimostrare; oppure da ammettere, come faccio io, che ci si crede arbitrariamente, letteralmente "per fede") e "percezione" come attenzionamento, considerazione teorica (attiva da parte del soggetto; sempre da dimostrarsi previamente o credersi fideisticamente), che per me è soltanto un' ulteriore sensazione fenomenica o un insieme di sensazioni fenomeniche (mentali in questo caso) che accadono "in aggiunta" alla mera sensazione (materiale o anche mentale)."



Esattamente, la penso così. La distinzione percezione-sensazione è la base fondamentale del mio discorso. In assenza di questa distinzione sarebbe a mio avviso impossibile giustificare la capacità che ha la sensazione di modificare il corso normale della percezione dell'oggetto. Quante volte ci sembra di percepire una figura e poi, con l'immissione di nuovi dati fenomenici riconosciamo che la figura corrisponde a un oggetto diverso da quello percepito inizialmente?  E tale situazione presuppone da un lato il protendersi della percezione al di là del contatto fisico del singolo lato con i campi sensoriali del corpo soggettivo, che immagina lati nascosti in sisntesi con quello appreso attualmente, ed è questa anticipazione che poi può venir confermata o "delusa, dall'altro l'esistenza di un'alterità esteriore che costringe l'io percepiente a modificare i prori schemi e regole percettive. Se l'Io percepiente fosse un Soggetto assoluto, divino, non limitato da alcunchè di esterno a lui, non troverebbe alcuna necessità di tale modifica, nè ovviamente sarebbero possibili degli errori da correggere, la realtà oggettiva conciderebbe pienamente con la visione soggettiva che l'uomo ne avrebbe. Ecco perchè, pur a mio avviso all'interno di una tesi secondo me errata, la soluzione teologica di Berkeley era perfettamente coerente e consequenziale internamente con i suoi presupposti. Una volta identificato il reale con i fenomeni, annullando la distinzione tra il soggetto ed un'oggettività che lo limita, occorreva ammettere la possibilità che il soggetto umano, cioè un soggetto imperfetto, contingente, scomparisse, e fosse allora necessario ammettere l'esistenza di un Soggetto percepiente eterno e che  non potrebbe scomparire, Dio, per salvaguardare l'esistenza del reale. Almeno per come mi pare di aver capito Berkeley, pur non essendo d'accordo con le premesse, la conclusione religiosa è coerente con essa. Volendo fare una battuta si potrebbe dire, citando il Polonio di Shakespeare, "è follia ma c'è del metodo"!







Green demetr scrive

"Siamo dunque totalmente d'accordo sull'errore naturalistico-cosmologico, ma non sul carattere esistenziale, che per me è appunto metafisico e per te antropologico.

(tra l'altro in cosa consisterebbe questo carattere antropologico tuo? forse lo scoprirò in futuri 3d, o forse ne hai già parlato e non ricordo...ehmmmm)"




Sicuramente ne riparlemo o perlomeno me lo auguro. Per ora ci tengo a puntualizzare che nulla è più lontano da me che contrapporre una centralità dell'antropologia rispetto all'esplicitazione dello sfondo metafisico di ogni possibile questione ontologica. Proprio il fatto che la gnoseologia presuppone la considerazione della categorie fondamentali che costituiscono l'essere umano, coscienza, corpo, psiche ecc. ed in particolare il concetto di intenzionalità, e dunque di libertà dell'Io che trova nella percezione la prima, parziale, manifestazione, stanno per me a mostrare che l'uomo soggetto della conoscenza possiede una complessità, che lo rende sfuggente ad ogni riduzionismo che lo considera come mera oggettività fisica,  ignorando che proprio l'intenzionalità apre alla necessità di ammettere una dimensione spirituale, dunque metafisica, fondamentale per capire tale complessità. Ricordiamo sempre che la fenomenologia, e questo è proprio l'aspetto che la rende ai miei occhi così fondamentale e convincente, nasce in polemica con l'assolutizzazione positivista ed empirista delle scienze di fatto naturalistiche, naturalismo che di fronte a cose come "visione d'essenza" griderebbe scandalizzato al ritorno della metafisica classica e medioevale

sgiombo

Citazione di: davintro il 06 Novembre 2016, 17:25:41 PM
Sgiombo scrive

"Mi sembra che tu distingua "sensazione" come mero evento fenomenico (passivo; aggettivo che presuppone però già la realtà di un oggetto agente e un soggetto paziente che sarebbe da dimostrare; oppure da ammettere, come faccio io, che ci si crede arbitrariamente, letteralmente "per fede") e "percezione" come attenzionamento, considerazione teorica (attiva da parte del soggetto; sempre da dimostrarsi previamente o credersi fideisticamente), che per me è soltanto un' ulteriore sensazione fenomenica o un insieme di sensazioni fenomeniche (mentali in questo caso) che accadono "in aggiunta" alla mera sensazione (materiale o anche mentale)."



Esattamente, la penso così. La distinzione percezione-sensazione è la base fondamentale del mio discorso. In assenza di questa distinzione sarebbe a mio avviso impossibile giustificare la capacità che ha la sensazione di modificare il corso normale della percezione dell'oggetto. Quante volte ci sembra di percepire una figura e poi, con l'immissione di nuovi dati fenomenici riconosciamo che la figura corrisponde a un oggetto diverso da quello percepito inizialmente?  E tale situazione presuppone da un lato il protendersi della percezione al di là del contatto fisico del singolo lato con i campi sensoriali del corpo soggettivo, che immagina lati nascosti in sisntesi con quello appreso attualmente, ed è questa anticipazione che poi può venir confermata o "delusa, dall'altro l'esistenza di un'alterità esteriore che costringe l'io percepiente a modificare i prori schemi e regole percettive. Se l'Io percepiente fosse un Soggetto assoluto, divino, non limitato da alcunchè di esterno a lui, non troverebbe alcuna necessità di tale modifica, nè ovviamente sarebbero possibili degli errori da correggere, la realtà oggettiva conciderebbe pienamente con la visione soggettiva che l'uomo ne avrebbe. Ecco perchè, pur a mio avviso all'interno di una tesi secondo me errata, la soluzione teologica di Berkeley era perfettamente coerente e consequenziale internamente con i suoi presupposti. Una volta identificato il reale con i fenomeni, annullando la distinzione tra il soggetto ed un'oggettività che lo limita, occorreva ammettere la possibilità che il soggetto umano, cioè un soggetto imperfetto, contingente, scomparisse, e fosse allora necessario ammettere l'esistenza di un Soggetto percepiente eterno e che  non potrebbe scomparire, Dio, per salvaguardare l'esistenza del reale. Almeno per come mi pare di aver capito Berkeley, pur non essendo d'accordo con le premesse, la conclusione religiosa è coerente con essa. Volendo fare una battuta si potrebbe dire, citando il Polonio di Shakespeare, "è follia ma c'è del metodo"!

CitazioneConcordo che la conclusione teistica di Berkeley è coerente (compatibile; ma secondo me –in questo dissento- non necessaria) con la sua critica della realtà del mondo materiale (l' "esse est percipi"), e che citando Shakespeare si può dire che "è follia ma c'è del metodo"; e anche se personalmente non lo seguo in tale conclusione per me possibile ma non necessaria (compatibile ma non inevitabile) perché trovo più soddisfacenti, cioè più razionalistiche secondo il principio del rasoio di Ockam, altre ipotesi). 
 
E' vero che se l'Io percipiente fosse un Soggetto assoluto, divino, non limitato da alcunchè di esterno a lui, non troverebbe alcuna necessità di adeguare i suoi giudizi errati circa le sensazioni per adeguarli ad esse.
Però in alternativa a un simile Soggetto idealistico (hegeliano? Punto interrogativo necessario per la mia "atavica allergia" ad Hegel e conseguente ignoranza in materia) credo sia sempre ammissibile un semplice solipsismo poiché, come notava Phil in risposta a Sariputra nella risposta #79 di questa discussione:
"Distinguerei l'essere-percipiente, l'essere-"ingegnere della percezione" e l'essere-causa: percepisci qualcosa e di questa tua percezione non dubiti (puoi invece dubitare della realtà dell'esterno alla percezione o di quanto tale percezione sia affidabile), ma ciò non significa che tu possa progettarla e decidere che tipo di percezione essa debba essere (piacevole o spiacevole), tantomeno che tu sia la causa della percezione".


green demetr

Citazione di: davintro il 06 Novembre 2016, 17:25:41 PM

Sicuramente ne riparlemo o perlomeno me lo auguro. Ricordiamo sempre che la fenomenologia, e questo è proprio l'aspetto che la rende ai miei occhi così fondamentale e convincente, nasce in polemica con l'assolutizzazione positivista ed empirista delle scienze di fatto naturalistiche, naturalismo che di fronte a cose come "visione d'essenza" griderebbe scandalizzato al ritorno della metafisica classica e medioevale

Bene credo che allora siamo d'accordo anche sul lato metafisico della questione, che è appunto il trascendente.

Il problema però è nella sua continuazione che hai già dato rispondendo a Sgiombo.

Citazione di: davintro il 06 Novembre 2016, 17:25:41 PM
Esattamente, la penso così. La distinzione percezione-sensazione è la base fondamentale del mio discorso. In assenza di questa distinzione sarebbe a mio avviso impossibile giustificare la capacità che ha la sensazione di modificare il corso normale della percezione dell'oggetto. Quante volte ci sembra di percepire una figura e poi, con l'immissione di nuovi dati fenomenici riconosciamo che la figura corrisponde a un oggetto diverso da quello percepito inizialmente?  E tale situazione presuppone da un lato il protendersi della percezione al di là del contatto fisico del singolo lato con i campi sensoriali del corpo soggettivo, che immagina lati nascosti in sisntesi con quello appreso attualmente, ed è questa anticipazione che poi può venir confermata o "delusa, dall'altro l'esistenza di un'alterità esteriore che costringe l'io percepiente a modificare i prori schemi e regole percettive. Se l'Io percepiente fosse un Soggetto assoluto, divino, non limitato da alcunchè di esterno a lui, non troverebbe alcuna necessità di tale modifica, nè ovviamente sarebbero possibili degli errori da correggere, la realtà oggettiva conciderebbe pienamente con la visione soggettiva che l'uomo ne avrebbe. Ecco perchè, pur a mio avviso all'interno di una tesi secondo me errata, la soluzione teologica di Berkeley era perfettamente coerente e consequenziale internamente con i suoi presupposti. Una volta identificato il reale con i fenomeni, annullando la distinzione tra il soggetto ed un'oggettività che lo limita, occorreva ammettere la possibilità che il soggetto umano, cioè un soggetto imperfetto, contingente, scomparisse, e fosse allora necessario ammettere l'esistenza di un Soggetto percepiente eterno e che  non potrebbe scomparire, Dio, per salvaguardare l'esistenza del reale. Almeno per come mi pare di aver capito Berkeley, pur non essendo d'accordo con le premesse, la conclusione religiosa è coerente con essa. Volendo fare una battuta si potrebbe dire, citando il Polonio di Shakespeare, "è follia ma c'è del metodo"![/font][/color]

Sulla teodicea di Berkley non so veramente nulla, mi affido semplicemente a quel che scrivi.
Lo faccio velocemente in quanto si è fatto veramente tardi, e dormire solo 4 ore al giorno comincia a diventare difficile. Ne parleremo ancora suppongo.

Il punto è che se ammettiamo che esiste un DIO senziente, poniamo il lato alle critiche di SGIOMBO, che si contrappone col suo delirante (per me) solipsismo. Critiche che concordo (formalmente) allora nel rivoltarti contro, perchè deve esistere un agente esterno e non un soggetto assoluto? (si tratterebbe come dice lui, di addizioni o sottrazioni fenomeniche, del tutto arbitrarie).


Il fatto è invece come la diatriba che ci accompagna dal vecchio forum (più che altro vissuta da Maral), derivi dal fatto che il soggetto non è assolutamente sopprimibile, pena la dimenticanza di chi parla: e cioè chi fa il discorso che non esiste un "soggetto che fa il discorso"????

Direi che invece la trascendenza derivi più che altro (come dice Levinas mi pare di aver capito da un recentissimo intervento di Organisti (il Curatore NL VBA - 16_10_29 - Ambrosiana. J. Organisti legge Levinas_ Sapere su Dio 1-5" reperibile su youtube), dal discorso della negatività all'interno stesso del soggetto.
Ossia alle modalità in cui DIO si sottrae alla nostra intenzionalità. (e non come dice il prete Organisti, alla coincidenza della intenzionalità seppure etica cristiana con DIO, perchè quello sarebbe soggetto assoluto).
D'altronde è poi intervenuto il medievalista (non ricordo il nome) che ha bacchettato il professore.
Capovolgendo il problema da Metafisico-Morale, a Morale-Metafisico, che poi sarebbe anche il problema di Nietzche, con cui esordisce Organisti.(e di tutto il medioevo, ossia la teologia negativa, di cui so ancora troppo poco).

E' interessante anche la questione che l'epoca moderna starebbe viaggiando verso una idea di soppressione dell'antropologico, a favore di un transumananesimo. Ossia di una sopressione del soggetto.
(non vorrei ti iscrivessi in questo spiacevole, per me, fraintendimento)


Ora tutto questo che ho scritto dovrei ripensarlo in base alle tue stesse delucidazioni del poste precedente.

Devo dire che c'è qualcosa che mi sfugge. Intanto però magari aggiungi qualcosa o Sgiombo o a me. Di modo di chiarire ulteriormente questa concettualizzazione.

Grazie, e buonanotte a tutti. ;)  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 01:14:14 AM


Sulla teodicea di Berkley non so veramente nulla, mi affido semplicemente a quel che scrivi.
Lo faccio velocemente in quanto si è fatto veramente tardi, e dormire solo 4 ore al giorno comincia a diventare difficile. Ne parleremo ancora suppongo.

Il punto è che se ammettiamo che esiste un DIO senziente, poniamo il lato alle critiche di SGIOMBO, che si contrappone col suo delirante (per me) solipsismo. Critiche che concordo (formalmente) allora nel rivoltarti contro, perchè deve esistere un agente esterno e non un soggetto assoluto? (si tratterebbe come dice lui, di addizioni o sottrazioni fenomeniche, del tutto arbitrarie).


CitazioneMi dispiace, ma anche qui mi fraintendi completamente:

Non sostengo il solipsismo ma solo (cosa ben diversa!) la non confutabilità logica né falsificabilità empirica del solipsismo (e più in generale la insuperabilità razionale -logica e/od empirica- dello scetticismo).

Non sono un solipsista (e se lo fossi mi considerei anch' io "delirante"; fra l' altro non discuterei in alcun forum con interlocutoiri ritenuti inesistenti), sono un crirìtico razionalista del significato, delle condizioni (in ultima analisi indimostrabli né empiricamente constatabili), dei limiti delle mie credenze.


green demetr

Citazione di: sgiombo il 07 Novembre 2016, 08:10:50 AM
Citazione di: green demetr il 07 Novembre 2016, 01:14:14 AM


Sulla teodicea di Berkley non so veramente nulla, mi affido semplicemente a quel che scrivi.
Lo faccio velocemente in quanto si è fatto veramente tardi, e dormire solo 4 ore al giorno comincia a diventare difficile. Ne parleremo ancora suppongo.

Il punto è che se ammettiamo che esiste un DIO senziente, poniamo il lato alle critiche di SGIOMBO, che si contrappone col suo delirante (per me) solipsismo. Critiche che concordo (formalmente) allora nel rivoltarti contro, perchè deve esistere un agente esterno e non un soggetto assoluto? (si tratterebbe come dice lui, di addizioni o sottrazioni fenomeniche, del tutto arbitrarie).


CitazioneMi dispiace, ma anche qui mi fraintendi completamente:

Non sostengo il solipsismo ma solo (cosa ben diversa!) la non confutabilità logica né falsificabilità empirica del solipsismo (e più in generale la insuperabilità razionale -logica e/od empirica- dello scetticismo).

Non sono un solipsista (e se lo fossi mi considerei anch' io "delirante"; fra l' altro non discuterei in alcun forum con interlocutoiri ritenuti inesistenti), sono un crirìtico razionalista del significato, delle condizioni (in ultima analisi indimostrabli né empiricamente constatabili), dei limiti delle mie credenze.


Lo so, fai bene a specificarlo.

Ma sempre per polemos:

Il fatto è che se io credo che razionalmente è dimostrabile (mostrabile) che il soggetto esista, ecco che allora per me tu diventi un solipsista o monista radicale, che poi è peggio, quando ti richiami al buon senso.
Come diceva il buon Carmelo Bene. Il caro buon senso da CONDOMINIO.


Vai avanti tu che mi vien da ridere

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