Realtà e rappresentazione

Aperto da Apeiron, 18 Ottobre 2016, 19:39:34 PM

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Apeiron

#45
Citazione di: Duc in altum! il 25 Ottobre 2016, 21:36:36 PM** scritto da Apeiron:
CitazioneIl problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso.
Come privi di senso? ...io più leggo da Kant sul noumeno, più comprendo che se avesse avuto fede, sarebbe stato facile per lui identificarlo con lo Spirito Santo. Il noumeno è lo Spirito Santo, giacché non esiste un fenomeno nell'Universo che non dipenda da Lui.

Non ha potuto farlo per il semplice fatto che cercava risposte filosofiche e non religiose. La religione e la filosofia sono diverse: se anche un filosofo pensa che il cristianesimo è vero, non si "accontenta" di credere ma vorrebbe "provarlo" o comunque far vedere che è ragionevole. Perciò forse Kant non ha indentificato le cose per onestà intellettuale o forse semplicemente non credeva ad una interpretazione letterale della Bibbia oppure magari come dici tu non era credente (anche se la Critica della Ragion Pratica da MOLTA importanza alla religione). Insensatezza = proposizione i cui termini non sono ben definiti. Quello che continui a dire è "Dio ha creato tutto...", "Dio è il noumeno..." ecc senza portare dietro un'argomentazione per dire così. Almeno spiega perchè secondo te lo Spirito Santo è il noumeno. (Perdona il tono, non vuole essere polemico o offensivo, ma solo vuole puntualizzare che lo Spirito Santo non c'entra con questo problema - poi eh se trovi passi della Bibbia che parlano di questo problema, te ne sarò grato :) . Anzi daresti più "credibilità" alla religione cristiana se riuscissi a collegare questi argomenti)

Citazione di: green demetr il 25 Ottobre 2016, 23:20:40 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:43:30 PM@green demetr Non capisco il tuo punto di vista :D Rispondi a questa domanda: esiste qualche proprietà che è indipendente da ogni punto di vista? Se sì riesci a formulare un linguaggio/dei concetti... su di essa? P.S. Non sono un "monista" anche se non nego che quel tipo di filosofia mi affascina parecchio (es: Advaita Vedanta)
Non è difficile se ci pensi. Mettiamo che ogni senso ha un punto di vista, innegabile, soggettivo, eppure ogni punto di vista sensoriale, è slegato dagli altri. 8) E nel contempo, qui le idee cominciano a farsi ostiche, il mix di 2 sensi, udito e vista per esempio, crea un altro punto di vista slegato. Per ciò quando vedi una porta che sta per sbattere, è come se ascoltassi quella porta mentre ancora il suono non è pervenuto. Insomma la rappresentazione non è mai soggettivamente assoluta ma è in continua rimessa in discussione con la realtà. con il noumeno. Perciò stesso per inferenza, esattamente come diceva Hume possiamo azzardare che esista una realtà esterna slegata dal nostro punto di vista sensoriale. Questo significa che possiamo conoscere il fenomeno NON il noumeno, che rimane come una necessità sullo sfondo. (correggo così anche sgiombo per quel che riguarda Kant). NB con monismo non intedevo quello dell'advaita. che ripeto è un altro mondo. ma quello della coincidenza tra cervello e mentale.

Ok però fai conto che lo stesso concetto di "causa" deriva dall'esperienza e quindi dall'analisi del fenomeno. Concordo con Schopenhauer che non si può pensare che il fenomeno sia causato dal noumeno per il semplice fatto che il principio di causa "non si applica" al noumeno (così come non si applicano i concetti di "colore", "suono"...). L'esempio che tu fai del cieco che riacquista la vista non prova (o meglio: "non corrobora l'idea") che esista "una realtà oggettiva/noumeno" ma solo che qualcosa di oltre alla prospettiva del singolo. Al massimo prova che c'è una realtà "intersoggettiva", una prospettiva condivisa da più soggetti. Tuttavia quello che non prova è che esista qualcosa di "indipendente da ogni prospettiva". Qui faccio notare il problema è linguistico: ogni linguaggio necessita di un contesto. Non appena si va fuori dal contesto si arriva a insensatezze. Il nesso causale e l'inferenza si possono infatti fare solo sui fenomeni e non sul noumeno.

Citazione di: sgiombo il 25 Ottobre 2016, 21:42:29 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:41:26 PM@sgiombo Rispondo brevemente a te. L'unica realtà di cui abbiamo esperienza è quella fenomenica. Su questa ha senso parlare e costruire concetti. Sono d'accordo con te: il cieco ha una realtà fenomenica incolore, il vedente colorata. Il noumeno non è nè colorato nè senza colore in quanto il concetto di colore è provo di senso per il noumeno. Il problema è questo: visto che non possiamo parlare del noumeno perchè non abbiamo nessun criterio per dare significato alle nostre proposizioni , ne segue che tutti i concetti che facciamo su di esso sono privi di senso. Quindi è "ineffabile" (se c'è). Ora per dire che una cosa è "ineffabile" devi parlare di essa. Ma dell'ineffabile non si può parlare (cioè non si possono produrre concetti sul noumeno, visto che nessun linguaggio può descriverlo). Ma allora "il noumeno è ineffabile" è una proposizione priva di senso! Ergo: o la "logica normale" non si può applicare perchè il noumeno "trascende" la logica ("misticismo" nel senso di Wittgenstein) oppure non vi può essere il noumeno. Siccome il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" mi pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole") è alquanto singolare che alla fine si sviluppa questo problema. Il problema della filosofia di Kant, di Wittgenstein, di Berkeley, di Hume, del Buddha, dei Vedanta ecc è proprio che pur essendo "capolavori" (per lo meno per certi aspetti) sono tutte inconsistenti. TUTTAVIA se si può abbandonare la logica "classica" allora hanno certamente una speranza.
CitazioneNon capisco l' ultimo capoverso e come si possa conciliare con i primi due. Se il realismo secondo cui "esiste una realtà esterna, oggettiva" ti pare una prospettiva "sensata" (cioè "ragionevole"), allora anche tu parli (sensatamente) del noumeno e ne affermi l' esistenza reale. Di "esterno alla realtà fenomenica cosciente" (alla propria esperienza fenomenica cosciente di ciascuno (ammettendone altre oltre la "proria immediatamente percepita"; cosa indimostrabile; che credo) non può esservi che una realtà in sé non apparente (non fenomenica) ma solo congetturabile (noumeno), mentre qualsiasi cosa sia fenomeno è (questa è una sorta di sinonimia) "appartenente alla (a una) esperienza cosciente, sensibile". Kant, Berkeley e Hume (purtroppo Buddha e il Vedanta non li conosco per nulla e Wittgenstein pochissimo) cercano appunto di "elucubrare" qualcosa di sensato (e i primi due, in modi e su fondamenti molto diversi, secondo me si illudono di averne conoscenza certa) sul noumeno.  Secondo me il noumeno pur non potendosi ovviamente esperire, può essere oggetto di ipotesi indimostrabili ma sensate, per quanto ovviamente caratterizzate da un inevitabile "oscurità" (anche metaforica) e vaghezza (da qui l' abbondante uso di virgolette da parte mia nel parlarne).  Seconde me sono ipotesi che possono spiegare i seguenti fatti (essi stessi indimostrabili): a)l' intersoggettività (corrispondenza biunivoca, non uguaglianza: nessuno può "sbirciare nelle altrui esperienze coscienti" per verificare se i relativi fenomeni –esempio: il Monte Bianco visto da me e il Monte Bianco visto da te- siano uguali o meno a quelli della propria) delle componenti materiali ("extensae") delle diverse, reciprocamente trascendenti esperienze fenomeniche coscienti (che è una conditio sine qua non della -possibilità della- conoscenza scientifica vera), attraverso la corrispondenza di tutte e ciascuna per l' appunto con la (medesima) realtà in sé (in alternativa bisognerebbe ammettere fra di esse una sorta di, a mio parere ancora più vaga ed oscura, leibniziana "armonia prestabilita"); b)la corrispondenza biunivoca fra determinati eventi neurofisiologici cerebrali (in determinati cervelli; per lo meno indirettamente, e comunque potenzialmente nell' ambito delle esperienze fenomeniche di "osservatori"; per esempio del mio cervello nella tua esperienza cosciente) e determinate esperienze coscienti di "osservati" (per esempio della mia esperienza cosciente) e viceversa, secondo quanto sempre più ampiamente e fondatamente appurato dalle moderne neuroscienze, soprattutto mediante l' imaging neurologico funzionale (ma già fondato su antiche e "grossolane" osservazioni anatomopatologiche risalenti a Broca, Wernicke anche a prima): in un certo senso si può dire che gli stessi "enti ed eventi in sé" sono "fenomenicamente percepiti dall' esterno" come (corrispondono biunovocamente a) determinati eventi neurofisiologici (per esempio del mio cervello nella tua esperienza cosciente) e "fenomenicamente percepiti dall' interno" come (corrispondono biunovocamente a) determinate evenienze di determinate esperienze coscienti, materiali e mentali (per esempio della mia esperienza cosciente; e viceversa).

Anche tu però parli di "realtà condivisa da più soggetti" e non di "realtà indipendente da ogni soggetto" come invece sarebbe il noumeno.

Se dunque accettate (intendo tu e demetr) l'esistenza della "realtà esterna/cosa in sè" oltre le "prospettive" non vi sembra singolare che si arriva sempre al punto in cui si dice che "i nostri concetti qui non si applicano". Ok va bene togli tutte le proprietà sensoriali. Rimane la "materia"/"cosa in sé" ecc. Ma davvero si necessita di tale concetto se non è nemmeno possibile costruire proposizioni sensate su di esso? I continui riferimenti che fate alla scienza non aiutano perchè ti posso contraddire dicendo che al massimo mostrano un'interosggetività e non una pura oggettività. D'altronde ogni proprietà non è un concetto fatto da una "prospettiva"?

Per questo motivo a mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. A parte forse Wittgenstein:

La logica riempie il mondo; i limiti del mondo sono anche i suoi limiti.
Non possiamo dunque dire nella logica: Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no.
Ciò parrebbe infatti presupporre che noi escludiamo certe possibilità, e questo non può essere, poiché altrimenti la logica dovrebbe trascendere i limiti del mondo; cioè, se essa potesse contemplare questi limiti anche dall'altro lato.
Ciò, che non possiamo pensare, non possiamo pensare; né dunque possiamo dire ciò che non possiamo pensare. (Tractatus 5.61)


La proposizione non può rappresentare la forma logica; questa si specchia in quella.

Ciò che nel linguaggio si specchia, il linguaggio non può rappresentare.

Ciò che nel linguaggio esprime , noi non possiamo esprimere mediante il linguaggio.

La proposizione mostra la forma logica della realtà.

L'esibisce. (Tractatus 4.121)





Tuttavia e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile?  Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile". La prova per inferenza fallisce perchè l'inferenza è una tecnica che ha senso nell'ambito del fenomeno e non nel noumeno. Nel caso di Wittgenstein voleva dire che la forma logica "non può essere espressa". Tuttavia un concetto che non può essere espresso non è un concetto e quindi:




Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse - su esse - oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v'è salito).


Egli deve superare queste proposizioni; allora vede rettamente il mondo. (Tractatus 6.54)


P.S. Ripeto non nego che ci siano più prospettive e che ci sia oggettività tra le varie prospettive. Quello che mi da problemi è l'asserire che c'è una realtà "oggettiva" indipendente da OGNI prospettiva. Questo perchè sarebbe "oltre i limiti del linguaggio".

Edit: So di aver scritto in una forma orrenda ma spesso trovo difficoltà ad articolare il mio pensiero... Perdonate la confusione, spero non vi dia troppi grattacapi :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PMa mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. [...] e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile? Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile".
Il concetto di limite logico mi sembra sia il punto archimedeo della questione: ogni ambito d'indagine/azione ha bisogno di un limite entro cui agire, altrimenti non è possibile definire un "campo di indagine/azione" e dunque l'indagine/azione rischierebbe di essere dispersiva e caotica. 

Tale limite deve essere postulato ma insondabile, poichè se il limite non fosse insondabile verrebbe indagato dall'indagine stessa (seppur dall'interno) e potrebbe, in teoria, essere anche valicato, perdendo così la sua funzione stessa di limite (si rivelerebbe piuttosto solo un confine provvisorio).
Il limite "perfetto" è il limite che non può essere tematizzato, quindi non conosciuto e tantomeno "scavalcato".

In matematica c'è l'infinito, in religione c'è la divinità, in logica c'è il principio di identità, per la conoscenza c'è il reale/noumeno/mondo-in-sè, etc. ciascuno di questi ambiti presuppone il suo rispettivo limite insonsabile e proprio grazie ad esso può avere il suo ambito definito, grazie ad esso può strutturarsi, operare (e eventualmente indagare) all'interno del "terreno" che il limite delimita.

L'interrogarsi sul limite non trova "oggetto" abbastanza definito da poter essere indagato, per cui non può nemmeno delineare la sua risposta. Del limite si sa soltanto che delimita, che non può essere spostato né tematizzato (tantomeno conosciuto), ed è logicamente neccessario che sia così, altrimenti non sarebbe un vero limite. "Dare ragioni per cui è inconoscibile"(cit.) significa che dall'interno è possibile individuarlo come limite; e come facciamo a capire che non è semplicemente esterno, ma è esattamente il limite che sancisce l'interno e l'esterno? Perchè se fosse solamente esterno ed estraneo, non avrebbe ripercussioni fondamentali (e fondanti) su tutto il sistema interno (come accade invece nel caso del "mondo-in-sè" per la conocenza, della divinità per la religione, dell'identità per la logica, etc.), invece la constatazione che tale elemento non sia dentro il sistema, ma gli sia nondimeno estremamente pertinente, determinante eppure insondabile, lo individua adeguatamente come limite.

Superare il limite è comunque possibile teoreticamente con un gesto tanto ardito quanto radicale: rinunciare, andando oltre pur senza spostarsi, a quell'ambito di indagine ed alle "leggi" che lo governano... se mi astengo dal voler matematizzare il mondo, l'infinito non delimita più il mio ragionare; se rinuncio a formalizzare logicamente il mondo, l'identità non è più un limite; se non mi limito alla fede in una divinità, allora... (non concludo per non innescare le pure lecite considerazioni di chi è "dentro" quell'ambito  ;) ). Lo stesso vale per la gnoseologia.
Per questo Wittgenstein può alludere (non "tematizzare"!), al limite della sua "scala", al silenzio ed al mistico... chi resta sulla scala, non la usa davvero fino in fondo (se non erro Budda proponeva la stessa dinamica parlando della barca da cui bisognerebbe scendere dopo aver compiuto il viaggio...).

sgiombo

#47
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PM
Citazione di: sgiombo il 25 Ottobre 2016, 21:42:29 PM
Citazione di: Apeiron il 25 Ottobre 2016, 19:41:26 PMAnche tu però parli di "realtà condivisa da più soggetti" e non di "realtà indipendente da ogni soggetto" come invece sarebbe il noumeno.

CitazioneParlo solo di intersoggettività della componente materiale dei fenomeni, che non è dimostrabile né mostrabile empiricamente ma che è un postulato della conoscenza scientifica.
Non vedo dove possa avere scritto o anche indirettamente suggerito che per me il noumeno sarebbe "condiviso da più soggetti" e non invece "indipendente da ogni soggetto".




Se dunque accettate (intendo tu e demetr) l'esistenza della "realtà esterna/cosa in sè" oltre le "prospettive" non vi sembra singolare che si arriva sempre al punto in cui si dice che "i nostri concetti qui non si applicano". Ok va bene togli tutte le proprietà sensoriali. Rimane la "materia"/"cosa in sé" ecc. Ma davvero si necessita di tale concetto se non è nemmeno possibile costruire proposizioni sensate su di esso? I continui riferimenti che fate alla scienza non aiutano perchè ti posso contraddire dicendo che al massimo mostrano un'interosggetività e non una pura oggettività. D'altronde ogni proprietà non è un concetto fatto da una "prospettiva"?

CitazionePer forza: i nostri concetti nascono per astrazione da sensazioni fenomeniche, mentre la realtà in sé non è apparenza sensibile!
E per questo del noumeno si più parlare secondo me sensatamente, anche se con un irriducibile vaghezza (quanto ne ho scritto anche nell' ultimo intervento mi sembra ben comprensibile).

Mi sono sempre accuratamente astenuto dall' impiegare il termine "oggettività" (ti sfido amichevolmente a trovarlo in un qualsiasi mio intervento nel forum) per usare invece proprio quello di "intersoggettività" (peraltro sempre, immancabilmente sottolineata essere indimostrabile né empricamente mostrabile, constatabile) a proposito della parte materiale scientificamente conoscibile della realtà fenomenica (mi fai perfino veirne perfino il dubbio: non è che, non parlando arabo o cinese ma italiano, mi sono completamente rincoglionito e scrivo il contrario di ciò che penso?).

Sono costretto a ripetere che la necessità dell' "ipotesi noumeno" nasce per me dall' esigenza di spiegare appunto l' intersoggettività (indimostrabile né tantomeno mostrabile; e non affatto una pretesa oggettività, che può darsi unicamente del noumeno!) dei fenomeni materiali (contrariamente a quelli mentali), la quale altrimenti richiederebbe una sorta di ancor più oscura (a mio parare) "leibniziana armonia prestabilita".




Per questo motivo a mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. A parte forse Wittgenstein:

CitazioneTi sfido a trovare qualcosa di illogico in quanto ho scritto nel forum sul noumeno: dove mai mi sarei contraddetto???




La logica riempie il mondo; i limiti del mondo sono anche i suoi limiti.
Non possiamo dunque dire nella logica: Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no.
Ciò parrebbe infatti presupporre che noi escludiamo certe possibilità, e questo non può essere, poiché altrimenti la logica dovrebbe trascendere i limiti del mondo; cioè, se essa potesse contemplare questi limiti anche dall'altro lato.
Ciò, che non possiamo pensare, non possiamo pensare; né dunque possiamo dire ciò che non possiamo pensare. (Tractatus 5.61)


La proposizione non può rappresentare la forma logica; questa si specchia in quella.

Ciò che nel linguaggio si specchia, il linguaggio non può rappresentare.

Ciò che nel linguaggio esprime , noi non possiamo esprimere mediante il linguaggio.

La proposizione mostra la forma logica della realtà.

L'esibisce. (Tractatus 4.121)

CitazioneLa logica non riempie affatto il mondo (che c'era anche quando l' uomo, in grado di pensare logicamente, era ancora di là da venire e ci sarà anche quando l' uomo, con la sua logica non ci sarà più).


Il mondo è, diviene (realmente; non logicamente o meno).


La logica informa invece i discorsi umani corretti (sia sul mondo, sia anche del tutto fantastici, romanzeschi, ecc.).
Logico o meno può essere un discorso, non il mondo reale che può solo essere reale (divenire realmente).


Non possiamo casomai dire all' empiria (giudizi sintetici a posteriori): "Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no", in quanto è l' empiria a dircelo "a sua totale discrezione".
"Alla logica possiamo benissimo dire" tutto e (anzi: o) il contrario di tutto, di tutto di più (del tutto indipendentemente dalla realtà) purché non contraddittoriamente (almeno in questo dissento radicalmente dall' ultima affermazione citata di Wittgenstein: la proposizione mostra la sua propria forma logica, e non della realtà, della quale non ha senso cercare una forma logica o meno, ma solo ciò che vi accade realmente o –per negarlo, volendo avere conoscenza vera- ciò che non vi accade realmente).


Il resto di queste tue affermazioni non lo comprendo, non riesco ad attribuirvi una senso comprensibile.


Comunque ribadisco che ciò che ho detto del noumeno è del tutto logicamente corretto, anche se (ovviamente) non possiamo farcene immagini (=apparenze) mentali e questo ne limita (ma non ne inficia) la nostra comprensione.




Tuttavia e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile?  Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile". La prova per inferenza fallisce perchè l'inferenza è una tecnica che ha senso nell'ambito del fenomeno e non nel noumeno. Nel caso di Wittgenstein voleva dire che la forma logica "non può essere espressa". Tuttavia un concetto che non può essere espresso non è un concetto e quindi:

CitazioneNon ho mai preteso di provare, per inferenza o altrimenti il noumeno; ho anzi sempre chiaramente affermato, detto e ripetuto che non é dimostrabile (oltre che mostrabile) e che lo ipotizzo e ne credo -fideisticamente- la realtà onde spiegare intersoggettività dei fenomeni materiali e corrispondenze coscienza/cervello (scientificamente provate).

Noumeno =/= apparente, fenomeno, sensibile.

E  non:

Noumeno =/= conoscibile.





P.S. Ripeto non nego che ci siano più prospettive e che ci sia oggettività tra le varie prospettive. Quello che mi da problemi è l'asserire che c'è una realtà "oggettiva" indipendente da OGNI prospettiva. Questo perchè sarebbe "oltre i limiti del linguaggio".


CitazioneDissento: é oltre i limiti del sensibile, ovviamente, non del congetturabile.

Apeiron

Citazione di: Phil il 26 Ottobre 2016, 18:20:41 PM
Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 15:49:23 PMa mio giudizio o accettiamo che il noumeno non ci sia o accettiamo che la logica non si applichi al noumeno. Ma ciò vorrebbe dire accettare inconsitenze che proprio la filosofia occidentale non vuole. [...] e questo è ciò che tormentò a quel tempo Kant, Wittgenstein e anche me ora: è filosoficamente "legittimo" accettare l'esistenza di un "noumeno" inconoscibile? Il problema è che un noumeno "inconoscibile" non è "inconoscibile" in quanto vengono date ragioni per cui è "inconoscibile".
Il concetto di limite logico mi sembra sia il punto archimedeo della questione: ogni ambito d'indagine/azione ha bisogno di un limite entro cui agire, altrimenti non è possibile definire un "campo di indagine/azione" e dunque l'indagine/azione rischierebbe di essere dispersiva e caotica. Tale limite deve essere postulato ma insondabile, poichè se il limite non fosse insondabile verrebbe indagato dall'indagine stessa (seppur dall'interno) e potrebbe, in teoria, essere anche valicato, perdendo così la sua funzione stessa di limite (si rivelerebbe piuttosto solo un confine provvisorio). Il limite "perfetto" è il limite che non può essere tematizzato, quindi non conosciuto e tantomeno "scavalcato". In matematica c'è l'infinito, in religione c'è la divinità, in logica c'è il principio di identità, per la conoscenza c'è il reale/noumeno/mondo-in-sè, etc. ciascuno di questi ambiti presuppone il suo rispettivo limite insonsabile e proprio grazie ad esso può avere il suo ambito definito, grazie ad esso può strutturarsi, operare (e eventualmente indagare) all'interno del "terreno" che il limite delimita. L'interrogarsi sul limite non trova "oggetto" abbastanza definito da poter essere indagato, per cui non può nemmeno delineare la sua risposta. Del limite si sa soltanto che delimita, che non può essere spostato né tematizzato (tantomeno conosciuto), ed è logicamente neccessario che sia così, altrimenti non sarebbe un vero limite. "Dare ragioni per cui è inconoscibile"(cit.) significa che dall'interno è possibile individuarlo come limite; e come facciamo a capire che non è semplicemente esterno, ma è esattamente il limite che sancisce l'interno e l'esterno? Perchè se fosse solamente esterno ed estraneo, non avrebbe ripercussioni fondamentali (e fondanti) su tutto il sistema interno (come accade invece nel caso del "mondo-in-sè" per la conocenza, della divinità per la religione, dell'identità per la logica, etc.), invece la constatazione che tale elemento non sia dentro il sistema, ma gli sia nondimeno estremamente pertinente, determinante eppure insondabile, lo individua adeguatamente come limite. Superare il limite è comunque possibile teoreticamente con un gesto tanto ardito quanto radicale: rinunciare, andando oltre pur senza spostarsi, a quell'ambito di indagine ed alle "leggi" che lo governano... se mi astengo dal voler matematizzare il mondo, l'infinito non delimita più il mio ragionare; se rinuncio a formalizzare logicamente il mondo, l'identità non è più un limite; se non mi limito alla fede in una divinità, allora... (non concludo per non innescare le pure lecite considerazioni di chi è "dentro" quell'ambito ;) ). Lo stesso vale per la gnoseologia. Per questo Wittgenstein può alludere (non "tematizzare"!), al limite della sua "scala", al silenzio ed al mistico... chi resta sulla scala, non la usa davvero fino in fondo (se non erro Budda proponeva la stessa dinamica parlando della barca da cui bisognerebbe scendere dopo aver compiuto il viaggio...).

Nonostante l'oscurità di quanto ho scritto sei riuscito a capire il problema del limite (sgiombo spero che la lettura del post di Phil ti aiuti a capire il mio. Nei prossimi giorni comunque cercherò di esprimermi meglio). I problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala". Nel caso del noumeno credo che esista (non l'ho dimostrato...).

Il problema ribadisco è il seguente: ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno? Una volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala. Tuttavia in queste argomentazioni non trovo ancora una vera "dimostrazione" che c'è il noumeno (che sia necessario cioè) e che tale noumeno sia logicamente compatibile col resto dell'epistemologia.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMI problemi qui sono 2: stabilire se esiste e capire quando ha senso "smettere di salire la scala" [...] ogni proprietà di un oggetto sembra nascere da come lo si osserva (cioè da cosa osserva tale oggetto). Se è così le proprietà sono "rappresentazioni" "fatte" dal soggetto. A questo punto: come posso stabilire dall'interno della rappresentazione che c'è un noumeno? 
Il senso delle mie osservazioni è proprio che l'oggetto è un postulato (o un "mito"?) necessario al "funzionamento" della nostra logica comune, ma non potremmo mai stabilire se esiste con certezza, proprio perchè è esso stesso il limite fondante della nostra logica (praticamente è la versione gnoseologica dell'"indecidibilità" di Godel  ;) ). 
Non credo si possa uscire dalla nostra ragione interpretante senza perdere al contempo la ragione stessa (d'altronde, o si sta sulla scala, o si sta "fuori" dalla scala...). Sarebbe come cercare di vedere con i propri occhi (senza strumenti!) cosa succede nel buio pesto, in assenza di luce: bisogna ammettere che se possiamo vedere è perchè c'è la luce, come sia il mondo quando non è illuminato dalla luce, i nostri occhi non potranno mai saperlo (ovviamente è solo una metafora... niente cavilli sui visori notturni  ;D ).
Se si sta dentro la rappresentazione non si può sapere esattamente cosa c'è fuori (e se c'è); se invece si sta fuori allora non c'è più (bisogno di) rappresentazione...

Citazione di: Apeiron il 26 Ottobre 2016, 19:09:44 PMUna volta stabilita l'esistenza si può pensare di gettare via la scala. 
Non ne sono convinto, se l'esistenza del noumeno fosse verificata e dimostrata, allora si potrebbe stare fieramente in cima alla scala (finalmente giunti al noumeno!), ma se si buttasse via la scala si butterebbe via anche il percorso che porta al noumeno e forse il noumeno stesso... per questo gettare la scala senza noumeno (come suggerisce Wittgenstein) apre ad altri orizzonti in cui il problema del noumeno non si pone (essendo andati oltre... o almeno oltre la settima proposizione!).

green demetr

Per Apeiron.

A mio parere invece il punto non è quello di stabilire la verità del noumeno.

Ci si avvicina abbastanza l'interpretazione di Phil, quando appunto parla della funzione di limite del noumeno, che appunto è la mai compresa trascendentalità Kantiana.
Solo che dissento da Phil, nel senso che il suo obiettivo è quello di stare nello scetticismo avanzando strane ipotesi sull'infinito e il mistico.

Io invece sono dentro il fenomeno.

Mi pare di capire che il tuo problema sia quello linguistico.

Dunque apperecchiamo la tavola al punto in cui siamo.

noumeno=x

fenomeno=limite di x  (lascio da stare per ora la parte trascendente, non serve nella discussione)

conoscenza=inferenza del limite di x

dunque il fenomeno è descrivibile lingusticamente come la funzione del limite di x

Questo funziona se noi stabiliamo che stiamo parlando di " come se esistesse qualcosa" (e attenzione le teorie del senso dato partono da questa premessa).

Credo infine di aver capito che però il tuo problema è ancora a monte.

E cioè se quella x, se quel "qualcosa di come ci fosse dato", Esista effettivamente o no.

Vorrei puntualizzare questa tua idea, nel senso che secondo te è un problema linguistico, ma la lingua è essa stessa la risposta al tuo domandare, in quanto per definizione è la forma che si da come Nominazione (di qualcosa appunto).

Tu forse però intendi proprio invece il contenuto di verità sotteso, a quella domanda/nominazione stessa.

Ovviamente al di là di Severino o il pensiero eleatico, non vi sono altre formulazioni che io conosca.

Ossia la verità è la stessa esistenza, l'esistere in quanto esistere. In quella posizione il fenomeno è dunque la copia, l'idea platonica che domina l'occidente ancora oggi. Fenomeno come apparenza.


A mio modo di vedere invece, la questione stà a valle, appunto come hai inteso bene, sul fenomeno, che essendo in contatto col noumeo dice qualcosa del noumeno stesso. Al contrario di Sgiombo dunque credo che la forma inferenziale abbia un valore, proprio nel suo valore di limite.
Se fosse per fede, allora tutto potremmo pensare: pure che esistano gli unicorni.
Il prospettivismo è dunque la regola vivente, dinamica, cangiante a cui siamo sempre costretti a rispondere.
Linguisticamente si configura come scienza da Newton ( e prima ancora Galilei) in poi. Lingua matematica ovvio.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

#51
Citazione di: green demetr il 27 Ottobre 2016, 02:16:37 AM
Se fosse per fede, allora tutto potremmo pensare: pure che esistano gli unicorni.

CitazioneC' é credenza fideistica e credenza fideistica (altrimenti cadiamo nella famosa notte hegeliana).

Degli unicorni, se anche esistessero, non saprei che farmene, sono inutili orpelli che rado con Ockam.

Invece con il noumeno spiego intersoggettività dei fenomeni materiali e corrispondenze cervello/coscienza.

D' altra parte non trovo alcuna filosofia in grado di superare razionalmente (per dimostrazioni e/o osservazioni empiriche) lo scetticismo; ma se non ci si vuole rassegnare alla passività pratica (ed é il mio caso) bisogna per lo meno comportarsi come se a qualcosa di indimostrabile né constatabile empiricamente si credesse.

Trovo personalmente un importante elemento di razionalismo il rendersi conto di questo ineludibile limite (inevitabili credenze indimostrabili né mostrabili empiricamente, accantonamento fideistico dello scetticismo) di un razionalismo che sia compatibile con il non volersi rassegnare alla passività pratica.

Sariputra

Mi sembra corretto l'approccio scettico di Sgiombo sulla possibilità di dimostrare empiricamente e logicamente il famoso noumeno. Il fatto poi che Sgiombo non si rassegni alla passività pratica dimostra il salto che fa la mente, bypassando le contraddizioni logiche, rapportandosi "naturalmente" alla Bestia, al gioco del divenire, realtà non concepibile logicamente e aderendovi istintivamente, quindi riconoscendo implicitamente ( come lo riconosco anch'io) un valore superiore dell'intuizione immediata pre-logica, anche se questo poi non viene accettato, ovviamente, dalla forma mentis logica ( e allora si dice che "lo accetto per fede"). 
Un passo interessante:
Ma al livello del "discorso sul mondo", non siamo mai veramente in 
grado di rintracciare delle definizioni che soddisfino il requisito di 
esistere in sé e, al contempo, di "funzionare" nel sistema di relazioni 
che costituisce il mondo. Non siamo cioè capaci di far coesistere le 
conclusioni rigorose della logica formale (se una cosa esiste, allora 
devo poterla definire in modo univoco e completo una volta per tutte) 
con la mia descrizione dell'esperienza quotidiana (tutto è prodotto e 
condizionato). Ogni volta che analizzo il linguaggio con cui 
costruisco la mia descrizione del mondo, scopro che si tratta di uno 
strumento non adeguato, che dovrebbe soddisfare una logica 
inapplicabile al mondo. D'altra parte, però, non posso fare altro che 
ridurre il mondo ad un discorso, e, facendolo, accettare 
implicitamente il fatto che le regole di tale discorso non 
permetterebbero la loro applicazione al tipo di fenomeno che devo 
descrivere (il mondo in quanto legge di produzione condizionata).

Giacomo Foglietta
La pragmatica in Nagarjuna.
Dal giudizio di esistenza all'assenza di giudizio.

P.S. A Villa Sariputra  è arrivato il vino novello. Il vigneto ha prodotto ancora dell'ottimo prosecco. Siete tutti invitati virtualmente all'assaggio. In concreto assaggerò io a nome vostro... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 09:07:43 AM
Mi sembra corretto l'approccio scettico di Sgiombo sulla possibilità di dimostrare empiricamente e logicamente il famoso noumeno. Il fatto poi che Sgiombo non si rassegni alla passività pratica dimostra il salto che fa la mente, bypassando le contraddizioni logiche, rapportandosi "naturalmente" alla Bestia, al gioco del divenire, realtà non concepibile logicamente e aderendovi istintivamente, quindi riconoscendo implicitamente ( come lo riconosco anch'io) un valore superiore dell'intuizione immediata pre-logica, anche se questo poi non viene accettato, ovviamente, dalla forma mentis logica ( e allora si dice che "lo accetto per fede").
Un passo interessante:
Ma al livello del "discorso sul mondo", non siamo mai veramente in
grado di rintracciare delle definizioni che soddisfino il requisito di
esistere in sé e, al contempo, di "funzionare" nel sistema di relazioni
che costituisce il mondo. Non siamo cioè capaci di far coesistere le
conclusioni rigorose della logica formale (se una cosa esiste, allora
devo poterla definire in modo univoco e completo una volta per tutte)
con la mia descrizione dell'esperienza quotidiana (tutto è prodotto e
condizionato). Ogni volta che analizzo il linguaggio con cui
costruisco la mia descrizione del mondo, scopro che si tratta di uno
strumento non adeguato, che dovrebbe soddisfare una logica
inapplicabile al mondo. D'altra parte, però, non posso fare altro che
ridurre il mondo ad un discorso, e, facendolo, accettare
implicitamente il fatto che le regole di tale discorso non
permetterebbero la loro applicazione al tipo di fenomeno che devo
descrivere (il mondo in quanto legge di produzione condizionata).

Giacomo Foglietta
La pragmatica in Nagarjuna.
Dal giudizio di esistenza all'assenza di giudizio.

P.S. A Villa Sariputra  è arrivato il vino novello. Il vigneto ha prodotto ancora dell'ottimo prosecco. Siete tutti invitati virtualmente all'assaggio. In concreto assaggerò io a nome vostro... ;D

CitazioneNon che l' averne goduto attraverso la tua degustazione mi soddisfi granché (sarà meglio farmene dare un po' del suo da mio suocero).

Comunque complimenti e grazie ...per il pensiero.

Sariputra

#54
@ Sgiombo
Un terribile quesito filosofico e logico non mi lascia dormire da tempo:
Hai affermato più volte in questa sede che ormai sei "anziano". Adesso scrivi che ti farai dare del vino novello da tuo suocero...
Ho analizzato queste possibilità:
1- Tuo suocero ha 100 anni e produce ancora dell'ottimo vino.
2-Tua moglie ha vent'anni e quindi tuo suocero è persino più giovane di te.
3-Hai tu vent'anni ma ti senti filosoficamente anziano.
5- Tua moglie e tuo suocero sono tue designazioni mentali.
6-Sei solo come un cane randagio e ti immagini di avere una moglie ventenne con un padre viticoltore.
Sarei tentato di rappresentarti coerentemente con il punto 2.
Potresti definirti "noumenicamente"?  ??? ???

Sì, lo so...dovrei smetterla con queste pagliacciate...è che... non ci riesco! Sono proprio un buffone...adesso chissà cosa dirà Green  demetr... :-[ :-[ :-[
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:07:30 AM
@ Sgiombo
Un terribile quesito filosofico e logico non mi lascia dormire da tempo:
Hai affermato più volte in questa sede che ormai sei "anziano". Adesso scrivi che ti farai dare del vino novello da tuo suocero...
Ho analizzato queste possibilità:
1- Tuo suocero ha 100 anni e produce ancora dell'ottimo vino.
2-Tua moglie ha vent'anni e quindi tuo suocero è persino più giovane di te.
3-Hai tu vent'anni ma ti senti filosoficamente anziano.
5- Tua moglie e tuo suocero sono tue designazioni mentali.
6-Sei solo come un cane randagio e ti immagini di avere una moglie ventenne con un padre viticoltore.
Sarei tentato di rappresentarti coerentemente con il punto 2.
Potresti definirti "noumenicamente"?  ??? ???

Sì, lo so...dovrei smetterla con queste pagliacciate...è che... non ci riesco! Sono proprio un buffone...adesso chissà cosa dirà Green  demetr... :-[ :-[ :-[

CitazionePurtroppo non é il caso 2 ...ovviamente mia moglie non ha accesso al forun, altrimenti sarebbe "per fortuna" (sono di un opportunismo vergognoso, lo so; non per niente non ho buttato nel cesso Machiavelli).

In realtà mio suocero é morto ormai una ventina di anni fa e adesso il suo limitato (si sa mai che qualche raro compagno ancora in circolazione bazzichi per il forum) terreno é curato dai miei cognati (ma per me quello é sempre "il vino di mio suocero").


Sariputra

Citazione di: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 11:31:36 AM
Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:07:30 AM@ Sgiombo Un terribile quesito filosofico e logico non mi lascia dormire da tempo: Hai affermato più volte in questa sede che ormai sei "anziano". Adesso scrivi che ti farai dare del vino novello da tuo suocero... Ho analizzato queste possibilità: 1- Tuo suocero ha 100 anni e produce ancora dell'ottimo vino. 2-Tua moglie ha vent'anni e quindi tuo suocero è persino più giovane di te. 3-Hai tu vent'anni ma ti senti filosoficamente anziano. 5- Tua moglie e tuo suocero sono tue designazioni mentali. 6-Sei solo come un cane randagio e ti immagini di avere una moglie ventenne con un padre viticoltore. Sarei tentato di rappresentarti coerentemente con il punto 2. Potresti definirti "noumenicamente"? ??? ??? Sì, lo so...dovrei smetterla con queste pagliacciate...è che... non ci riesco! Sono proprio un buffone...adesso chissà cosa dirà Green demetr... :-[ :-[ :-[
CitazionePurtroppo non é il caso 2 ...ovviamente mia moglie non ha accesso al forun, altrimenti sarebbe "per fortuna" (sono di un opportunismo vergognoso, lo so; non per niente non ho buttato nel cesso Machiavelli). In realtà mio suocero é morto ormai una ventina di anni fa e adesso il suo limitato (si sa mai che qualche raro compagno ancora in circolazione bazzichi per il forum) terreno é curato dai miei cognati (ma per me quello é sempre "il vino di mio suocero").

Grazie. Allora è il punto 4 che avevo VOLUTAMENTE  8)  saltato, giusto per inserire la tua risposta.
Adesso posso finalmente riposare , alla notte...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:39:59 AM
Citazione di: sgiombo il 27 Ottobre 2016, 11:31:36 AM
Citazione di: Sariputra il 27 Ottobre 2016, 11:07:30 AM@ Sgiombo Un terribile quesito filosofico e logico non mi lascia dormire da tempo: Hai affermato più volte in questa sede che ormai sei "anziano". Adesso scrivi che ti farai dare del vino novello da tuo suocero... Ho analizzato queste possibilità: 1- Tuo suocero ha 100 anni e produce ancora dell'ottimo vino. 2-Tua moglie ha vent'anni e quindi tuo suocero è persino più giovane di te. 3-Hai tu vent'anni ma ti senti filosoficamente anziano. 5- Tua moglie e tuo suocero sono tue designazioni mentali. 6-Sei solo come un cane randagio e ti immagini di avere una moglie ventenne con un padre viticoltore. Sarei tentato di rappresentarti coerentemente con il punto 2. Potresti definirti "noumenicamente"? ??? ??? Sì, lo so...dovrei smetterla con queste pagliacciate...è che... non ci riesco! Sono proprio un buffone...adesso chissà cosa dirà Green demetr... :-[ :-[ :-[
CitazionePurtroppo non é il caso 2 ...ovviamente mia moglie non ha accesso al forun, altrimenti sarebbe "per fortuna" (sono di un opportunismo vergognoso, lo so; non per niente non ho buttato nel cesso Machiavelli). In realtà mio suocero é morto ormai una ventina di anni fa e adesso il suo limitato (si sa mai che qualche raro compagno ancora in circolazione bazzichi per il forum) terreno é curato dai miei cognati (ma per me quello é sempre "il vino di mio suocero").

Grazie. Allora è il punto 4 che avevo VOLUTAMENTE  8)  saltato, giusto per inserire la tua risposta.
Adesso posso finalmente riposare , alla notte...

CitazioneCaspita (non mi ero accorto della mancanza del nimero 4), ne sai una più del diavolo!

Prosit!

Jean

Eh, Sari... 

complimenti per il punto 4, si potrebbe dire reale (in quanto una delle ipotesi) ma non rappresentato...

Certo che se il suocero di sgiombo si chiamava Teseo... (Il vino di Teseo... suona bene)  si complicherebbe ancor più la faccenda del tuo topic... con la presenza che perdura nonostante l'assenza...

Sariputra

#59
Citazione di: Jean il 27 Ottobre 2016, 12:39:48 PMEh, Sari... complimenti per il punto 4, si potrebbe dire reale (in quanto una delle ipotesi) ma non rappresentato... Certo che se il suocero di sgiombo si chiamava Teseo... (Il vino di Teseo... suona bene) si complicherebbe ancor più la faccenda del tuo topic... con la presenza che perdura nonostante l'assenza...

Il suocero di Sgiombo è come il noumeno: Non c'è ma nello stesso tempo c'è, ma possiamo rappresentarcelo sotto forma del vino novello... ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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