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Questione sulla critica.

Aperto da Lou, 13 Settembre 2018, 18:37:45 PM

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Lou

#15
Amen Viator, che sia tutto riassunto nel mirabolante detto "predicar bene e razzolare male" ?🤩
Il punto che pongo è che "pare" che per predicare bene occorra razzolar male.;)
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Kobayashi

Non mi convince per niente l'idea di predicare bene e razzolare male.
Sì forse ci saranno anche situazioni in cui convivere nel sistema significa poterne sfruttare il suo potenziale di diffusione per veicolare al meglio le idee critiche, ma la domanda che mi pongo è questa: chi è profondamente coinvolto in un'istituzione, coinvolto a livello di sostentamento, è realmente in grado di partorire pensieri veramente critici nei confronti di quella istituzione?
Dubito che Nietzsche se fosse rimasto all'università, o a Bayreuth, o avesse cercato di costruirsi un pubblico, sarebbe riuscito a elaborare un pensiero così radicalmente critico. Voglio dire, quelle idee non potevano che originarsi da una totale autonomia.
Finora in questi interventi si è discusso dell'efficacia della critica, se sia opportuno o meno rimanere all'interno del sistema etc., io mi chiedo invece quale sia la distanza necessaria a elaborare pensieri che siano veramente critici e non solo semplici sfumature (un po' più scure) già previste dai meccanismi di autosostentamento del sistema stesso.

epicurus

Citazione di: Lou il 19 Settembre 2018, 18:43:18 PM
Ciao epicurus.

Sull'esempio uno.
Anche.
Sull'esempio due.
Come sopra.

Ora però pongo io un esempio.
Mettiamo che io scriva un libro e ne dica di peste e di corna su, per esemplificare, una rete di vendita che si chiama, facciamo "Abbason"  [...]

Dal tuo intervento posso allora dire che la domanda iniziale del topic è troppo generale, cioè comprende casi molto diversi e ogni di questi deve essere considerato nella sua specificità.

Riguardo il mio primo esempio, mi pare un comportamento normale e democratico. E riguardo al secondo esempio, anche qui non ci vedo nessun problema, la dimostrazione per assurdo è una tecnica di dimostrazione legittima.

Mentre, riguardo il tuo ultimo esempio, io direi che tale persona sarebbe un ipocrita. Non capisco però come, dal punto di vista filosofico, vuoi sviluppare la discussione.

Lou

Da un punto di vista filosofico/etico, se non esiste una stretta coerenza tra quel che la critica afferma e l'azione pratica che ne consegue, cosa rimane del valore di quel che è affermato, senza un'azione che lo pratica?
Ci sono innumerevoli esempi di filosofi che ci han lasciato le penne o perseguirono un comportamento anche rischioso in linea alle posizioni che proponevano per non divenire incoerenti con le critiche che essi stessi mossero verso il sistema, disdegnando e non usufruendo di quegli strumenti che esso metteva a disposizione.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Lou

Citazione di: Kobayashi il 20 Settembre 2018, 08:37:38 AM
Non mi convince per niente l'idea di predicare bene e razzolare male.
Sì forse ci saranno anche situazioni in cui convivere nel sistema significa poterne sfruttare il suo potenziale di diffusione per veicolare al meglio le idee critiche, ma la domanda che mi pongo è questa: chi è profondamente coinvolto in un'istituzione, coinvolto a livello di sostentamento, è realmente in grado di partorire pensieri veramente critici nei confronti di quella istituzione?
Dubito che Nietzsche se fosse rimasto all'università, o a Bayreuth, o avesse cercato di costruirsi un pubblico, sarebbe riuscito a elaborare un pensiero così radicalmente critico. Voglio dire, quelle idee non potevano che originarsi da una totale autonomia.
Finora in questi interventi si è discusso dell'efficacia della critica, se sia opportuno o meno rimanere all'interno del sistema etc., io mi chiedo invece quale sia la distanza necessaria a elaborare pensieri che siano veramente critici e non solo semplici sfumature (un po' più scure) già previste dai meccanismi di autosostentamento del sistema stesso.
No, appunto non convince, io mi chiedo, oltre ai pensieri, quali azioni devono seguire perchè una critica possa davvero dirsi tale.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

viator

Salve. Per Lou : Certo. Il razzolar male è necessario èer acquisire  l'abilità nel predicar meglio il suo opposto. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

green demetr

Mi scuso per non aver letto i post intermedi. Avevo dimenticato di postare il mio.

cit Lou
"La questione appare banale eppure oggi ci ri-riflettevo: chi critica un sistema e gli strumenti che esso (pro)pone e mette a disposizione, pur stando al medesimo tempo dentro quel sistema e usufruendo di quegli stessi strumenti criticati, messi in discussione e denunciati come è da valutare?"

Brava Lou, le tue intuizioni sono sempre precise.

Probabilmente però non c'è il coraggio di tirarne le somme conseguenti, ossia che la valutazione di una critica sociale, deve controllare in maniera sistemica, e cioè dialettica, le proprie proposizioni, cioè proponimenti.

Se nemmeno Hegel, che questa dialettica l'ha perfezionata (a partire da quella Kantiana), è riuscito a sfuggire alla sua morsa (e cioè al contrapasso fantasmtatico di dominio), siamo messi male, anche se ho parecchi dubbi che fosse un sostenitore della stato assoluto, come molti autori dicono. (in quel caso, qualche meccanismo di difesa ha bloccato la dialettica, che di per sè è infinita?).

Bisogna riflettere sulle modalità in cui avviene! Di solito è tramite una MIMESI dei fini, che si risolve però nei diktat di non guardare oltre le mura costituite. Ma una rivoluzione infra-moenia non avverrà mai! perchè vi sono i guardiani.
Siano essi reali o totemici.

Per fini pratici, come anche Sgiombo spesso invita alla riflessione, possiamo fare l'esempio, tra necessita di scelta tra società mercantile e società ecologica (essendo l'uomo parte dell'ecologia). Scelta che mai nessuno fa.

All'interno dei modelli ideologici imperanti, però c'è prima da risolvere la questione del liberale, che usando lo stato come nemico, inficia qualsiasi possibilità di consenso reale. Vale a dire che non c'è nemmeno la possibilità reale di (non) fare le scelte.

Usare le argomentazioni liberali, costituisce la mimesi più visibile da parte dell'intellighenzia europea.

Usare le argomentazioni liberali significa però sancire la presupposta superiorità della dignità umana, del cristianesimo etc....

Ma tutto questo apparato che è anche leggibile nella carta dei diritti universali, serve in realtà a bloccare qualsiasi tentativo di vera rivoluzione, perchè si impedisce di guardare da altre parti.


Il sistema liberale, di presunte dignità, tutte puntualmente disattese, tutte sottomesse da un potere di sorveglianza asfissiante, è poi tanto diverso dal sistema antiliberale di uno stato religioso come quello iraniano?
Teheran ha 20 milioni di abitanti, che abitano civilmente, con una grande dedizione etica alla pulizia, alla cordialità, mi sembra quasi (quasi perchè per la mia sensibilità la questione della donna è inacettabile, e pure il potere degli imam, ma quale fa coppia cpon il potere dei sacerdoti nostri) un isola felice.  E Cioè per evitare inutili polemiche: uno stato ultragerarchico e chiuso, invivibile per un occidentale, è di fatto più futuribile di qualunque altro stato di matrice occidentale, che mi pare irrevocabilmente corrotto. (ripeto in quel "mi pare" c'è parte della mia fantasmatica: ad ognuno il compito di dissipare la propria).

Ma a parte dissidenti come Said, e altri che gravitano nelle orbite delle scritture della diaspora, quale intellettuale farebbe a meno del suo presunto saccente moralismo europeo??

Purtroppo solo in inglese, ma vedetevi i video dell'intellettuale Said, che vive tragicamente l'isolazionismo terrifico a cui l'intellighenzia europea lo ha costretto negli anni.

Certo non  capisco come uno come lui, si aspettasse di essere compreso, figuriamoci accettato! (umanamente penso che si illuse dei successi iniziali, che come sappiamo sono sempre frutto del marketing, non della sostanza).
I suoi piagnistei, per quanto insopportabili, valgono comunqe più di qualsiasi aberrazione alla Habermas, che vanno di modo, in questo tristi tempi.

E rendono "sensibile" la tua intuizione Lou, visibile, tangibile nelle parole e nella sua ricaduta accademica.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

baylham

La critica è una modalità di evoluzione del sistema di cui è parte.
La critica del mezzo di comunicazione del sistema è trasmessa inevitabilmente dallo stesso mezzo criticato.
Se la critica è esterna, allora il sistema è parte di un sistema superiore.

Lou

#23
In soldoni no sistema, no critica. Per dirla alla Clooney. Ma questa idea che la critica sia per forza di cose possibile se e solo se è inserita in un sistema o sistema sovrasistemico an so on da dove nasce? Perchè l'origine della critica deve soggiacere all'esistenza di un sistema e in forza di esso e non viceversa? O quantomeno una a-sistemacità ha cittadinanza tra gli spettri critici?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Kobayashi

Secondo me una riflessione critica è efficace se:
Primo, è realmente critica, ovvero contiene effettivamente del pensiero anziché la riproduzione di contenuti culturali innocui veicolati dallo stesso sistema; ma qui si apre la questione di che cosa significa pensare; io seguo la tradizione secondo cui pensare è differente dal conoscere, quindi non riguarda la verità ma i significati, il senso; qui sta la distinzione tra una riflessione di tipo scientifica (interessata alla verità del fenomeno) e una riflessione filosofica.
Da questo punto di vista l'esercizio filosofico diventa la base imprescindibile da cui solo può prendere avvio il cambiamento (ma allora, all'interno della filosofia stessa diventa fondamentale la coscienza che ridurre l'approccio ad essa a semplice studio di tradizioni significa neutralizzarne il carattere sovversivo e fare il gioco del sistema).

Secondo, diventa efficace e quindi porta ad un reale cambiamento quando si fa azione politica.
È stato citato Carl Schmitt. Secondo Schmitt l'essenza della politica è determina dalla presenza della distinzione amico-nemico. Quindi il punto è: coloro che elaborano separatamente la critica sono capaci di riconoscersi in un raggruppamento e portare avanti la lotta fino alla realizzazione di mutamenti reali?
Osservando che fine fa la quasi totalità delle esperienze comunitarie (prendendo queste esperienze come un tentativo di critica potenzialmente efficace nei confronti del sistema politico-sociale-economico attuale) mi sembra di poter rispondere di no...

green demetr

Citazione di: baylham il 21 Settembre 2018, 18:57:25 PM
La critica è una modalità di evoluzione del sistema di cui è parte.
La critica del mezzo di comunicazione del sistema è trasmessa inevitabilmente dallo stesso mezzo criticato.
Se la critica è esterna, allora il sistema è parte di un sistema superiore.

Non ho capito come desumi, che il sistema è superiore, superiore a cosa poi?

La critica come modalità di evoluzione, è vera solo se fa a meno delle modalità di trasmissione, o meglio di veicolazione del messaggio. Ossia ogni critica, fatta in maniera liberale, sotto l'etica liberale, è solo un ennesimo rafforzamento della liberalità, che frattanto riconoscendosi questo "merito" di camuffamento dei messaggi, ha reso l'intera sinistra europea del dopoguerra, un branco di arlecchini e pantaloni. Una pantomima, senza alcun pensiero, figuriamoci fondamento, e ormai sono alla deriva. Sono una esperienza finita.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Lou il 21 Settembre 2018, 20:03:11 PM
In soldoni no sistema, no critica. Per dirla alla Clooney. Ma questa idea che la critica sia per forza di cose possibile se e solo se è inserita in un sistema o sistema sovrasistemico an so on da dove nasce? Perchè l'origine della critica deve soggiacere all'esistenza di un sistema e in forza di esso e non viceversa? O quantomeno una a-sistemacità ha cittadinanza tra gli spettri critici?

Bravissima di nuovo Lou, le tue intuizioni sono sempre felici.

Il problema non è tanto essere dentro un sistema, quanto come dici tu, sapersi svincolare da esso, essere anti-sistemici: a mio parere dovrebbe voler dire, non essere anarchici, come molti confondono, ma esseri consapevoli delle veicolazioni del messaggio.
Solo allora si può fare una politica di testa e non di pancia.


Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Kobayashi il 23 Settembre 2018, 08:40:16 AM
Secondo me una riflessione critica è efficace se:
Primo, è realmente critica, ovvero contiene effettivamente del pensiero anziché la riproduzione di contenuti culturali innocui veicolati dallo stesso sistema; ma qui si apre la questione di che cosa significa pensare; io seguo la tradizione secondo cui pensare è differente dal conoscere, quindi non riguarda la verità ma i significati, il senso; qui sta la distinzione tra una riflessione di tipo scientifica (interessata alla verità del fenomeno) e una riflessione filosofica.
Da questo punto di vista l'esercizio filosofico diventa la base imprescindibile da cui solo può prendere avvio il cambiamento (ma allora, all'interno della filosofia stessa diventa fondamentale la coscienza che ridurre l'approccio ad essa a semplice studio di tradizioni significa neutralizzarne il carattere sovversivo e fare il gioco del sistema).

Secondo, diventa efficace e quindi porta ad un reale cambiamento quando si fa azione politica.
È stato citato Carl Schmitt. Secondo Schmitt l'essenza della politica è determina dalla presenza della distinzione amico-nemico. Quindi il punto è: coloro che elaborano separatamente la critica sono capaci di riconoscersi in un raggruppamento e portare avanti la lotta fino alla realizzazione di mutamenti reali?
Osservando che fine fa la quasi totalità delle esperienze comunitarie (prendendo queste esperienze come un tentativo di critica potenzialmente efficace nei confronti del sistema politico-sociale-economico attuale) mi sembra di poter rispondere di no...

Il punto del comunitarismo Kobayashi, è che non Pensa filosoficamente.

E' inutile proporre un sistema contro un altro, pensando che basti la mera proposta per differenziarsi, quando esiste una infoSfera, per dirla con Sloterdijk, che oggi domina il globo.
A me basta e avanza sapere che alcune usanze giapponesi sono state lasciate, per evitare che l'opinione pubblica, come al solito funtore disgregativo di se stesso, fosse troppo lontana portata dal bombardamento mediatico americano.

La contro-risposta russa, è debole, nessuno sa il russo. Forse bisogna attendere quella cinese, che invece è studiata da tutto il globo est. A partire dal Giappone fino alla Thailandia.

Lo stesso Schmitt, parlava di dominio dei mari, controllo delle rotte, e profetizzava l'avvento del controllo dell'etere. Profezia facile visto che fu proprio il nazismo a usarlo per primo.

La sua proposta però, ossia il regno della terra, non può che portare al populismo contemporaneo, figlio di una politica di destra. (giustamente di destra, al contrario delle sciocchezze della sinistra).

Ovviamente non funzionerà, poichè non si rendono conto delle veicolazioni, in primis quelle dell'assetto liberale, che come noto si basano sui reprimenda, e giammai sull'idea di progresso.

Una politica del futuro deve urgentemente (come per me, se mi rimanesse un pò di voglia di studio) rileggere Schmitt, che queste cose le aveva capite...e se a detta del filosofo politico Gallo/i, egli è il più grande e ultimo maestro della politica, io mi fido assolutamente.

Ora e qui sta il punto, quale politica fa meno del liberalismo? Liberalismo che è strettamente a contatto con il concetto di democrazia. Siamo in una galassia misconosciuta di Segni, che incide di fatto sulla testa della stragrande maggioranza delle persone, incluse filosofi e appassionati di filosofia come in questo forum.


Prima di arrivare a parlare di comunitarismo, si devono aprire gli spazi, di azione sociale.
Dunque come ne abbiamo già parlato tante volte, sì ogni comunitarismo è destinato al fallimento, ma non necessariamente! semplicemente prima c'è da abbattere il muro politico prima di vedere la collina leopardesca dell'infinito. (dove la vera discussione filosofica e teologica possa avvenire).











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