Quesiti sull'Io puro di Husserl.

Aperto da Socrate78, 08 Dicembre 2020, 12:00:32 PM

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Lou

#15
Citazione di: viator il 15 Dicembre 2020, 13:29:16 PM
Salve Eutidemo. Citandoti : "Ed invero è fuori di dubbio il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza; il che è anche sperimentalmente documentato dai miraggi e dalle allucinazioni".
....


Le allucinazioni invece appartengono invece solamente al regno del CONCEPITO PSICHICAMENTE poichè sono interamente prodotte all'interno del nostro sistema nervoso anche in mancanza di stimoli esterni.Con "mancanza distimoli esterni" non intendo "mancanza di origine o cause esterne (esogene)".......infatti alcool, droghe ed altro sono consuete cause allucinatorie.Intendo il fatto che le immagini e gli stimoli sensorialmente sperimentabili durante gli stati allucinatori vengono generati tutti al nostro interno (dalla nostra memoria cosciente od onirica, da nostre fisiologie o patologie). Saluti.
Una allucinazione, in Husserl ( ma non solo ) è un fenomeno mentale: una percezione illusoria priva di riferimento oggettuale esterno esistente attualmente, ciò che non cambia è l'atto mentale e la sua intenzionalità diretta all'oggetto, oggetto che può essere caratterizzato da gradi di realtà differenti. A me pare sia questo il punto fenomenologico in questione, che si concentra sull'intenzionalità.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Eutidemo

Ciao Viator.
Hai perfettamente ragione, in quanto, nel caso dei miraggi, l'occhio "percepisce" ciò che la realtà fisica genera sulla base delle leggi della fisica atmosferica e dell'ottica (riflessione-rifrazione); tale percezione esteriore, poi, come tu molto correttamente spieghi, viene erroneamente "interpretata" dal nostro cervello come se la lontana immagine tremolante e lucente fosse "acqua", invece della semplice "sabbia" del deserto.
La "sabbia" c'è, ma l'"acqua" no!
Non ho mai inteso mettere in dubbio tale fenomeno naturale, però non c'è dubbio alcuno che, anche in tal caso, come io avevo scritto, noi percepiamo le cose -in questo caso l'"acqua"- indipendentemente dalla loro effettiva esistenza; ed infatti, in conseguenza di ciò che la realtà fisica genera sulla base delle leggi della fisica atmosferica e dell'ottica, noi "crediamo" di "percepire" davanti a noi qualcosa che, invece, "non esiste" affatto...cioè l'acqua!
Quanto alle "allucinazioni", allo stesso modo noi "crediamo" di "percepire" davanti a noi qualcosa che, invece, "non esiste"; l'unica differenza è che, a differenza dei "miraggi", si tratta di illusioni interamente prodotte all'interno del nostro sistema nervoso anche in mancanza di stimoli esterni.
***
Per cui, lungi da me il voler "omologare" i "miraggi" con le "allucinazioni", essendo pacifica la differenza "fenomenologica" tra gli uni e le altre; a nessuno verrebbe mai in mente di confondere le due cose!
Io volevo solo dire che, in entrambi i casi, noi crediamo di "percepire" qualcosa che, in realtà, non c'è (l'acqua); del tutto a prescindere da ciò che ha provocato l'illusione (cioè che esso sia esterno o interno)!
***
In ogni caso, sotto una prospettiva Husserliana, per non voler tornare indietro fino a Berkeley, a livello strettamente teorico noi non siamo in grado di dimostrare che esistono effettivamente oggetti esterni che sono la causa delle nostre percezioni (corrette o distorte), giacchè tutto l'universo potrebbe essere frutto della nostra mente; ma questo è un discorso molto più complesso, che esorbita dalla specifica -peraltro correttissima- eccezione di mero carattere "fenomenologico" da te sollevata.
***
Un saluto!
***

viator

Salve Eutidemo. Ma non era questa l'ottica in cui criticavo l'utilizzo improprio dei verbi "percepire" piuttosto che "concepire". Il punto di vista mia era fondamentalmente e semplicemente lessicale.

Percepire : "ricevere o sperimentare "per-....."", cioè "attraverso" cioè "per mezzo di qualcosa che separa il fuori di noi dal dentro di noi". QUINDI LA PERCEZIONE CONSISTE UNICAMENTE NEI MESSAGGI TRASMESSICI DA QUALCUNO DEI SENSI CORPORALI.


Concepire : "produrre o generare" ciò che è "con-......", cioè che risulta connesso unicamente alla nostra capacità di pensare, intesa come elaborazione autonoma di concetti i cui ingredienti avranno pure una indiretta origine a noi esterna (senza un qualche genere di memoria ed esperienza nessuno mai concepirà alcunchè), ma vengono da noi individualmente "assemblati" in modo da potersi integrare con quanto è già ospitato dalla nostra mente-psiche.QUINDI LA CONCEZIONE  CONSISTERA' UNICAMENTE NEI NOSTRI ELABORATI MENTALI.



Così secondo me è, e sono certo che a questo punto - condividendolo o meno - la tua vivida intelligenza avrà afferrato il mio "distinguo". Stammi bene.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

bobmax

Citazione di: viator il 13 Dicembre 2020, 19:14:38 PM
Salve Socrate78 e donalduck. Citando : "l'unico fondamento certo che rimane è il fatto che noi percepiamo le cose, indipendentemente dalla loro esistenza".

Piacevole ma irragionevole conclusione. Peccato che la percezione sia un meccanismo biologico-sensoriale ben solidamente esistente il quale non solo esiste, ma funge da tramite tra gli esistenti cause della percezione e gli esistenti effetti della percezione. Il tutto anche al di fuori della nostra craniopsicofilosofica capacità di concepire l'inesistente.

Infatti temo proprio proprio che, all'interno della citazione sopra richiamata, sia stata fatta confusione tra il percepire (attribuendogli un significato psichico del tutto inappropriato) ed il concepire. Saluti.

A mio parere, la percezione equivale alla presa di coscienza.
Sono cosciente di qualcosa = percepisco quel qualcosa.

Questo "qualcosa" è la forma intelligibile con cui viene interpretata la percezione. Ma è la percezione che compare nella coscienza, non quel qualcosa a cui si attribuisce la causa della percezione stessa.

Perciò la percezione è a prescindere da ogni possibile successiva considerazione.
Perché la percezione viene "prima" del qualcosa che pare originarla e quindi dell'attribuzione dell'ambito di esistenza di quello stesso qualcosa.
Cioè prescinde se quel qualcosa sia materiale, oppure mentale, o se sia un'allucinazione, un miraggio...
Non importa l'ambito di esistenza del qualcosa, e nemmeno cosa quel qualcosa sia. Perché ciò che esiste nella coscienza è la percezione di per sé.

Di modo che, pure le possibili "cause" del qualcosa che si percepisce, sono solo considerazioni successive, che non riguardano la percezione in sé, ma quel qualcosa che si ritiene ci sia "dietro" la percezione stessa.

La percezione non sottostà perciò alla legge di causa-effetto.
Questa legge scaturisce solo a valle della coscienza, e quindi delle sue percezioni. E nasce per dare un senso a ciò che si percepisce.
Che questa legge non sia originaria, lo possiamo verificare constatando come non vi sia alcuna "prova" definitiva della sua effettiva esistenza.

La legge di causa effetto potrebbe essere soltanto la manifestazione di un bisogno di senso. Un bisogno che agisce su ciò che si percepisce. E quindi a cascata sui qualcosa che dovrebbero stare "dietro" a quelle percezioni. Un bisogno di senso che agisce generando ciò che noi, convinti dell'esistenza dei qualcosa, riteniamo sia la realtà.

In un sogno, per esempio, non possiamo certo dire che vi sia una legge di causa-effetto che agisce dall'esterno sugli eventi... Eppure, se il sogno ha un minimo di senso, dovrebbe rispettarla.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

davintro

Quello che mi frena nel considerare l'allucinazione come "concezione", è che il concetto di concezione attiene all'ambito dei giudizi, delle opinioni, che però è un livello di relazione coscienza-mondo distinto da quello a cui la possibilità dell'allucinazione è riferita. L'allucinazione non implica di per sé un giudizio di esistenza attribuito al suo contenuto: posso giudicare l'oggetto dell'allucinazione come reale (errando, in questo caso), ma anche negarne l'esistenza, cioè riconoscere l'allucinazione come tale, oppure sospendere provvisoriamente tale giudizio di esistenza (per l'appunto, la riduzione fenomenologica). Si può dire che l'allucinazione inneschi una tendenza a far credere alla realtà del suo oggetto, in quanto in essa, a differenza che in una fantasia scientemente prodotta, il contenuto si presenta reale proprio come in un'autentica percezione, ma questa tendenza non determina necessariamente il giudizio di esistenza: l'Io resta libero di rielaborare il contenuto allucinatorio, valutando l'inerenza del predicato di esistenza al soggetto, cioè il contenuto allucinatorio. Nell'allucinazione questa rielaborazione non c'è, il contenuto  si presenta nella sua pura datità fisica (anche se in realtà non è fisicità in carne e ossa) senza la categoria, intelligibile, di esistenza che la ragione giudicante valuterà poi se attribuire o meno al contenuto nella sua unità, in quanto l'Io recepisce il contenuto dell'allucinazione ad un livello di passività che è lo stesso di ogni percezione di oggetto reale (anche se un certo margine di attività già qui comincia, e ciò distingue la percezione della sensazione). Il giudizio "ciò che sto vedendo esiste davvero oggettivamente" attiene a un livello successivo (non "successivo" nel senso cronologico, ma logicamente distinto, nel senso che da A "l'allucinazione" non discende necessariamente B "il giudizio di esistenza", cosicché perché si dia B è necessario introdurre una nuova specie di atti di coscienza, gli atti della ragione), un  livello in cui l'Io acquisisce una maggiore autonomia nei confronti dell'oggetto al punto da rielaborarne le visione, valutando se attribuire la categoria intelligibile di esistenza al contenuto manifestatosi come complesso di proprietà sensibili. Il giudizio implica una superiore libertà dell'Io che mette in relazione predicato e soggetto, mentre nell'allucinazione, come nella percezione, l'Io lascia che sia l'oggetto a presentarsi immediatamente con tutte le sue proprietà sensibili, essendo il concetto di esistenza intelligibile e non sensibile, la categoria di esistenza non viene valutata né nella percezione né nell'allucinazione: l'oggetto ci si presenta come fosse reale, ma non al punto da determinare necessariamente l'attribuzione dell'esistenza in un giudizio vero e proprio, la ragione giudicante segna un incremento qualitativo della libertà interpretativa della coscienza rispetto ai suoi oggetti.


In questo senso trovo molto illuminante e chiarificatore il messaggio 15 di Lou, al di là di voler definire la percezione come apprensione di una cosa reale e l'allucinazione come prodotto della fantasia, dal punto di vista dell'intenzionalità, che è quello che in fenomenologia interessa, la coscienza si rapporta in entrambi i casi allo stesso modo: si limita a visualizzare un contenuto sensibile, che nella percezione corrisponde a un oggetto realmente esterno che impatta sui campi sensoriali del corpo e nell'allucinazione no, ma che nell'intenzionalità, cioè nel modo in cui il fenomeno è vissuto nella coscienza dell'Io, è recepito allo stesso modo, un dato sensibile ancora privo di attribuzione di categorie intelligibili come l'esistenza, attribuzione che segna il sorgere del giudizio. In quest'ultimo senso l'allucinazione ha molto più a che fare con la percezione che con il giudizio o "concezione".


Tra l'altro, anche la possibilità di stimolare allucinazioni tramite semplice infusione di sostanze tossiche, mentre la manipolazione del giudizio implicherebbe tecniche di controllo mentale molto più sofisticate e complesse, conferma quanto l'allucinazione presenti una componente di passività della coscienza ben maggiore di quello dell'Io giudicante: le tecniche di manipolazione del giudizio, delle opinioni son più sofisticate perché debbono superare una resistenza soggettiva ben maggiore rispetto al puro provocare allucinazioni, senza che l'Io modifichi i suoi parametri consueti di valutazione.

Phil

Sul tema della «manipolazione del giudizio» e della «resistenza soggettiva», segnalo en passant (e molto border topic) un esperimento un po' datato (2015) ma interessante, sul rapporto fra ideologie e "manipolazione" neuroscientifica (qui un più recente approfondimento).

Jacopus

Sempre sul filo del border-topic, rispondendo a Phil. Gli esperimenti in questione se fatti bene, non dimostrano nulla, come giustamente viene sottolineato nell'articolo in inglese, visto che si tratta di un gruppo limitato di soggetti (24) e che i risultati sono tratti da questionari di auto-valutazione. Molto più ridondante il testo in italiano, che fa presumere che si sia trovato addirittura il centro di controllo delle ideologie, come se nel nostro cervello ci fosse un omino che ha il controllo della Computer Centrale. Un approccio che ha l'unico risultato di far odiare le neuroscienze e che non rende loro giustizia. E' evidente che nella cultura di massa è inconcepibile tenere insieme più cose, apparentemente confliggenti: quindi o il cervello è fatto di cellule e basta bombardarle con qualche scossa elettrica e lo possiamo far diventare quello che vogliamo, oppure "IO" sono il mio cervello e del mio cervello me ne posso anche disinteressare perchè il mio "IO" è altrove (magari nell'anima o nella ghiandola pineale o nel grande albero della vita). Le due dinamiche, in realtà coesistono, e l'importanza delle neuroscienze è dato dall'aver evidenziato il condizionamento del nostro comportamento a partire dalla struttura fisica del sistema nervoso centrale e periferico. Ma noi siamo quello che siamo, a causa dell'impatto di un complesso sistema neurale, con una storia culturale che dura decine di migliaia di anni e con una storia personale che retroagisce sulla stessa struttura del Sistema nervoso centrale. C'è un ontogenesi e una filogenesi culturale (comprensiva anche della credenza nell'anima e della credenza nelle neuroscienze) che si intreccia ad una ontogenesi e a una filogenesi biologica. Questi titoli ad effetto mi fanno pensare che davvero l'uomo abbia sempre bisogno di una entità superiore, prima la chiamava Dio/anima/coscienza religiosa, ora Sistema Nervoso Centrale/soggetto biologico/comportamenti automatizzati. Ma forse, molto meno romanticamente, si tratta solo di "sparare la notizia in prima pagina".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Lou

Citazione di: davintro il 15 Dicembre 2020, 20:53:00 PM
[...]dal punto di vista dell'intenzionalità, che è quello che in fenomenologia interessa, la coscienza si rapporta in entrambi i casi allo stesso modo: si limita a visualizzare un contenuto sensibile, che nella percezione corrisponde a un oggetto realmente esterno che impatta sui campi sensoriali del corpo e nell'allucinazione no, ma che nell'intenzionalità, cioè nel modo in cui il fenomeno è vissuto nella coscienza dell'Io, è recepito allo stesso modo, un dato sensibile ancora privo di attribuzione di categorie intelligibili come l'esistenza, attribuzione che segna il sorgere del giudizio. In quest'ultimo senso l'allucinazione ha molto più a che fare con la percezione che con il giudizio o "concezione"[...]
Esattamente:la percezione allucinatoria è vissuta internamente (a parte soggetto che la vive ) e realmente  in modo indistinguibile da una percezione non allucinatoria, indipendentemente dalla esistenza dell'oggetto, oggetto che si manifesta in una datità attuale. Posizione di esistenza che non può essere verificata dalla percezione, perchè è un grado di valutazione che non appartiene all'essenza del percepire, ma necessita di un'ulteriorità, come correttamente descrivi, nell'entrata in scena del giudizio, a parer mio.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Phil

@Jacopus

Considerando come il sensazionalismo del titolo del primo link fosse fuorviante, e il testo seguente povero di spiegazioni dettagliate, mi son sentito in dovere di postare anche il link all'articolo in inglese, meno digeribile, ma decisamente più calibrato ed intellettualmente onesto (non ho postato solo il secondo link perché non do per scontato che tutti siano in grado di capire l'inglese; almeno uno spunto sommario in italiano volevo darlo).
Gli snodi da considerare, pertinenti con il topic (seppur non strettamente con Husserl), potrebbero essere molteplici (li accenno solo perché comunque non voglio "spoilerare" le questioni husserliane d'antan):
- esperimenti come quello citato, pur con tutti i limiti ed incognite del caso, dimostrano la (possibilità della) manipolabilità del "io indifeso", non solo per via chimica (come alcuni psicofarmaci) o per via linguistica (come l'intramontabile retorica), ma direttamente per via locale-cerebrale, ad ulteriore conferma di come anche apparenti astrazioni e concettualizzazioni (come la tolleranza o la fede) abbiano comunque una radice fisiologica (manipolata la quale, cambia il vissuto connesso a tali "idee", il che aiuta a demistificare il "valore ontologico" di un vissuto, di un'ideologia, etc.)
- la "purezza" dell'Io meta-fisico parrebbe da pensare in bilico fra tali possibili condizionamenti fisiologici ed una "soggettività" ad essi superiore, eppure tale gerarchia superiore potrebbe essere a sua volta solo una risposta ideologica, o meglio "iodeologica" (magari di quelle condizionabili neurologicamente?); diventa quindi ancor più rilevante chiedersi che cosa ci consente di parlare di "io" (potremmo non parlarne?): la tradizione culturale, il vocabolario o un referente "reale" con cui non si può non fare i conti?
- il limite di queste ricerche (sostenere che «non dimostrano nulla» mi pare un po' troppo refrattario ai dati) è, come hai osservato, quello che non potendo fare misurazioni oggettive delle credenze (ma solo dei comportamenti), non resta che affidarsi a parametri tutt'altro che impeccabili e risposte di cui ci si deve fidare; nondimeno se emergono delle tendenze coerenti, potrebbe non essere una coincidenza (dovuta ad esempio alla cultura comune dei partecipanti, ad un gruppo non abbastanza eterogeneo o numeroso, etc.) e, a parer mio, tali esperimenti suggeriscono almeno che influenzando la "res" si influenza il suo "cogitare" anche concettuale, non solo l'output comportamentale (e magari persino l'identità del "sum"?). Se ciò significa che il cervello si rivela essere la "sedia elettrica" in cui vengono giustiziate credenze animiste e meta-fisiche, è arduo a dirsi, ma credo vada almeno rispettata l'asimmetria epistemologica fra ricerca scientifica ed inerzia culturale, teorie infalsificaibli, etc.
P.s.
La circolarità interpretativa, o forse semplicemente la dialettica, fra ontogenesi e filogenesi sovraindividuale, mi pare ben sintetizzata nella domanda aperta nella Conclusione dell'articolo: «Whether co-optation of the brain's alarm system for ideological shifts ref‌lects functional evolutionary adaptation in Homo sapiens (e.g., to spur cooperation related to shared ideology in the face of threat), or a by—product of the deployment of alarm systems in a mind capable of abstract ideological cognition, remains an open question» (tradotto).


P.p.s.
Concordo con davintro e Lou sulla constatazione che la percezione, essendo un fenomeno di ricettività soggettiva, non implica il giudizio di esistenza oggettiva del suo contenuto (apparente) per come viene identificato dalla coscienza (posso dubitare dell'oggettiva identità di ciò che vedo, ma non di vederlo).

Alexander

Posso dubitare anche di COME vedo l'oggetto.Una persona miope e rimasta senza occhiali dubiterà che l'ombra in lontananza sia una persona oppure qualcosa d'altro. Allo stesso modo il pensiero può dubitare della natura di  ciò che vede sfuocato (l'io). Potrebbe essere qualcosa d'altro alla fine, oppure avere caratteristiche diverse da quelle che suppone il pensiero.

Lou

#25
Certo, ma il dubitare del come vedo ipostatizza la nettezza percettiva del vedere e la sua modalità per poterli mettere in dubbio e il dubitare un atto del giudizio, non della percezione: il giudizio ne verificherà la veridicità o meno, e della modalità e dell'oggetto visto, rinnovando eventualmente il senso di come il percepire si è presentato e di ció che ha presentato.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

viator

Salve jacopus. Citandoti : ".............quindi o il cervello è fatto di cellule e basta bombardarle con qualche scossa elettrica e lo possiamo far diventare quello che vogliamo, oppure "IO" sono il mio cervello e del mio cervello me ne posso anche disinteressare perchè il mio "IO" è altrove (magari nell'anima o nella ghiandola pineale o nel grande albero della vita). Le due dinamiche, in realtà coesistono, e l'importanza delle neuroscienze è dato dall'aver evidenziato il condizionamento del nostro comportamento a partire dalla struttura fisica del sistema nervoso centrale e periferico."

Ribadisco : nè tu nè io siamo il nostro cervello materialmente fondato e costituito: siamo ciò che resta di noi dopo che noi ci sia separati da tutto ciò che è separabile da noi.



Ciò che resta di noi - una volta eliminato e gettato in spazzatura (oppure trapiantato da altri corpi oppure anche impiantato e fatto rigenerare geneticamente (il tutto, fin qui, anche futuribilmente), oppure anche frutto del rinnovamento cellulare fisiologico del nostro corpo)...................ciò che resta di NOI, dicevo, è semplicemente LA FORMA DEI CONTENUTI DEL NOSTRO CERVELLO.



Ed essa forma altro non è che l'insieme delle relazioni neurologiche (cioè elettroneurali, cioè energetiche) che risultano presenti ed agenti encefalicamente, cioè l'insieme dei flussi neuroelettrici il cui generarsi, modularsi, variegarsi e concatenarsi nel tempo e nello spazio endocranico consiste appunto nella incessante mutevolezza della nostra FORMA NEUROLOGICA che da sempre viene chiamata usando pronomi personali (io, tu, noi, loro........) o, più genericamente, IDENTITA'. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

paul11

#27
 Anch'io tenderei  a identificare l'Io puro" con l'Essere (ma non primigenio).
Sarebbe un  io irriducibile interiore e immutabile, che inerisce ad un io empirico, esperienza nel mondo. La dialogia fra l'IO interiore "puro", ed esterno "empirico" costituisce il nucleo della consapevolezza di sé.
L'ousia, la sostanza, "dialoga", si confronta  con l' eidos (immagine), intesa come idea:forma e sostanza. E' la ricerca del proprio Essere che dà senso (modalità di essere e fare) all'esistenza.


...così mi parrebbe nel dialogo fra " io e io".


Sulla struttura fisica dell' IO: arriverà qualcuno a dire che siamo DNA, che l'IO risiede in una concatenazione di acidi nucleici, proteici, in un ribosoma o mitocondrio, magari in un retrovirus, .....nel covid-19

viator

Salve paul11. Citandoti: "Sulla struttura fisica dell' IO: arriverà qualcuno a dire che siamo DNA, che l'IO risiede in una concatenazione di acidi nucleici, proteici, in un ribosoma o mitocondrio, magari in un retrovirus, .....nel covid-19"

Certamente c'è già chi lo pensa e lo dice e si appresta a ripeterlo. Secondo me sbagliandosi di grosso poichè l'ipotesi materialistica (e qui sta il colossale equivoco tra materialismo (riduzione del mondo all'aspetto esclusivamente materico-massivo) e fisicismo (riduzione del mondo alla dualità fisica fondamentale costituita dall'aspetto materico e da quello energetico))..............l'ipotesi materialistica nel senso corrente confonde il substrato (tessuti, cellule, nervi) con la funzione che esso consente (la funzione psichica e cogitativa) e quindi poi trascura del tutto l'essenza di tale funzione (la FORMA della funzione psichica e cogitativa, consistente appunto nei flussi energetici neuroelettrici di cui ho parlato nel mio ultimo intervento).



LO SPIRITO DEL MONDO E' L'ENERGIA (il divenire), MENTRE IL CORPO DI ESSO E' LA MATERIA (lo stare). Questa è per me l'evidenza che riguarda, tra i contenuti del mondo, anche noi stessi. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: Eutidemo il 15 Dicembre 2020, 11:59:02 AM
Ma allora con che cosa sarebbe identificabile questo "Io puro"?
Secondo me, è  identificabile  con l'ESSERE che è il minimo comun denominatore di tutte le cose, coscienze individuali comprese; cioè, DIO, il quale appunto, secondo San Paolo, "est Omnia in omnibus!" (Cor.15).

Anche senza arrivare ai numi, penso anch'io che si tratti del solito tormentone dell'ontologia metafisica, tra le cui spire si sono avvinghiati tutti, compresi i più grandi pensatori.

L'io metafisico si trova schiacciato tra filosofia e psicologia e non c'è nessun Salomone che abbia il coraggio di segarlo in due per vedere alfine a chi appartiene veramente. Cosa che si potrebbe pure fare, visto che il pargolo è morto.

L'io individuale reale è un aggregato di tutte le impurezze genetiche, etologiche, culturali e ideologiche che si siano presentate alla ribalta del mondo antropologico. Già Freud aveva spazzato via l'illusione husserliana di un "io puro". Il prosieguo dell'indagine neuropsicologica ed etologica umana ne ha ancor più disintegrato ogni fondamento epistemico.

Certo rimane l'io impuro, con tutta la sua impudica bellezza.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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