C'era una volta un Dio...

Aperto da iano, 12 Maggio 2024, 02:48:00 AM

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Ipazia

#15
Direi che apeiron è pure la prima intuizione del concetto di universo e di entropia sganciati da disegni intelligenti e antropomofismi creazionistici vari. Cosa peraltro già contenuta nella koinè ionia dei quattro elementi aria-acqua-terra-fuoco in cui Anassimandro, Leucippo, Democrito,... erano immersi.

Anassimandro sistematizza il tutto, ma purtroppo con l'idealismo platonico l'episteme prenderà un'altra via e ci cucchiamo l'Essere e l'ontologia metafisica, variamente feticizzata, fino ai nostri giorni.

Senza peraltro risolvere la questione del significato della nostra vita e dei ta panta, già così cristallinamente chiaro alla riflessione presocratica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

Citazione di: Ipazia il 13 Maggio 2024, 08:18:05 AMAnassimandro sistematizza il tutto, ma purtroppo con l'idealismo platonico l'episteme prenderà un'altra via e ci cucchiamo l'Essere e l'ontologia metafisica, variamente feticizzata, fino ai nostri giorni.

Dividere la realtà in due mondi, quello delle perfette idee, e quello delle cose fisiche imperfette, in fondo è una trovata geniale, ma si è prestata a trasformare l'umanità in tifosi per l'uno o l'latro mondo, con l'aggravante che Platone è il primo dei tifosi.
La soluzione alternativa è mantenere l'unità del mondo cercando di far convivere tutte le sue apparentemente diverse sostanze.
Se poi si riesce a dar conto di queste apparenze, ancora meglio.
Ma finché  si rimane all'apeiron, senza introdurre l'altro attore principale, che è l'osservatore, come ci suggerisce di fare la fisica dei nostri giorni, non si riesce ad andare oltre Platone.


 
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#17
L'aperiron di Anassimandro  potrebbe corrispondere a ciò che ho chiamato  realtà, spostando la realtà dal primo piano a dietro le quinte.
E' cio' che resta celato, ma che rende possibile la rappresentazione.
In primo piano c'è un nuovo attore, ed è l'osservatore.
Non è dall'apeiron che nascono le cose, ma dal rapporto fra osservatore ed osservabile.
L'apeiron/realtà è l'indefinito da cui nasce il finito, il senza confini da cui nasce ciò che ha confine, ma essendo relativo il rapporto fra osservatore ed osservabile, relativi sono i suoi prodotti, che non sono propriamente astrazioni, come estratti momentaneamente dalla realtà , creando un disequilibrio in essa secondo Anassimandro, che può essere ristabilito solo riposando al suo posto il mal tolto.
Non c'è nessun disequilibrio, non si è commessa alcuna ingiustizia cui porre rimedio.
Attuo una specie di ribaltamento fra fisica e metafisica, ma più precisamente non mi faccio problemi di trattarli alla pari, senza privilegiare l'uno o l'altro, perchè in ogni cosa che il rapporto di cui sopra produce, mi sembra ci sia parte dell'uno e dell'altro.
Il concreto se lo guardi da sempre più vicino diventa sfuggente, e il suo contrario a furia di considerarlo sembra materializzarsi.
Questi prodotti non sono pezzi estratti dalla realtà, come il quadro pittorico non viene estratto dai pigmenti colorati . L'osservatore non è colui che li estrae, ma ha un ruolo attivo nella loro produzione.
Un ruolo che può essere più o meno consapevole, e in ragione di ciò questi prodotti saranno un mix di concreto e di evanescente, laddove è l'inconsapevolezza ha contribuire alla concretezza, e la consapevolezza a contribuire all'evanescenza.
Il prodotto puramente teorico di cui dice Rovelli viene prodotto in modo del tutto consapevole.
Quando questa consapevolezza manca il prodotto si presenta come immanente, cioè come ciò che tradizionalmente chiamiamo realtà fisica.
Il mondo in cui viviamo ci manca sempre più sotto i piedi non perchè il bau bau nichilistico è alle porte della città, ma perchè ciò rende conto dell'aumento di consapevolezza.
Ma allora come farebbe un astrazione a reggere il nostro peso?
Come facciamo a stare ancora in piedi e non sprofondare?
La risposta l'ha data per primo Anassimandro a quanto pare.
Noi ci reggiamo sulla terra che si regge da sola...allo stesso modo in cui da sole si reggono le idee.

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iano

Commettendo lo stesso errore di Platone, e tifando per le astrazioni, da non confondere con le indebite estrazioni di Anassimandro, di cui poi dovremo pagare il fio, il mondo in cui viviamo è una astrazione non del tutto consapevole che fà l'osservatore, ed è concreto nella misura in cui non sa di farla.
Quindi è un mondo relativo quello in cui viviamo, relativo a noi non meno che alla realtà, dove la realtà fa un passo indietro per far posto all'osservatore.
Questa relatività comporta che il mondo in cui viviamo cambia con noi, senza che ciò comporti necessariamente di dover accantonare i vecchi mondi.
Si può vivere contemporaneamente in vecchi e nuovi mondi senza  necessariamente praticare fra essi una scissione chirurgica platonica, ed è in effetti quello che facciamo. Non c'è una stretta necessita di ridurre questi diversi mondi ad uno, per quanto ciò resti sempre desiderabile dal punto di vista operativo, perchè nessuno di questi mondi passati presenti e futuri intaccherà mai l'unità dell'apeiron di Anassimandro.
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iano

Ma parlare dei prodotti di cui sopra riferendosi ad oggetti non esaurisce la questione di come questi siano cause reciproche di azioni.
Non può esercitarsi una forza far corpi se prima non ci sino i corpi.
Dunque prima i corpi e poi le forze che rendono conto della loro natura dinamica.
Però in effetti non c'è un prima e un dopo, e le forze sono contemporanee ai corpi.
Le forze quindi nascerebbero insieme ai corpi, e quindi, se pure i corpi venissero estratti dall'apeiron creando disequilibrio, le forze stesse annullerebbero questo disequilibrio già in partenza.
perchè allora facciamo venire prima i corpi e le forze dopo come conseguenza?
Per via dell'immanenza dei corpi dovuta alla inconsapevolezza contenuta nella loro creazione.
Le forze vengono dopo, ma nel senso che le dobbiamo ricavare in modo consapevole,  ed  è perciò che non possoggono le stessa concretezza dei corpi.
Non solo, ma più le indaghiamo, meglio le conosciamo, più si fanno astratte.
All'inizio della storia le forze agivano solo localmente, cioè per contatto dei corpi, e per l'intimità che avevano coi corpi stessi sembravano condividerne, seppur indirettamente, la concretezza.
Poi con l'azione non locale della forza di gravità di Newton ( la forza di gravità agisce a distanza, quindi non più localmente) la foglia di fico di concretezza cade dalla forze, che aumentano il loro grado di astrazione.
Come dire che , più se ne sà, e più le cose diventano sfuggenti, e meno ci sembra di capire.
Quindi di fatto nel tempo si è attuata una separazione fra sapere e comprensione.
Più ne sappiamo e meno ci capiamo. :))
 
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iano

Anche qui sembra quindi che nostro malgrado, due mondi si siano separati, quello del sapere e quello della comprensione, ed alla loro ricomposizione che adesso dovremo dedicarci, inadgandone neglio la natura.
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Ipazia

Se l'idealismo non è ancora morto é perché non siamo una colonia di coralli. E mentre ci arrovelliamo la mente nel dubbio amletico se non sia tutto un sogno creato dal fantomatico osservatore (perché dovrebbe essere più reale della realtà che nega ?), la realtà ci punisce con una serie infinita di dolorosi accidenti, che sembrano inventati apposta per punirci della nostra miscredenza.

Quesito per topolini intelligenti:

Se la totalità di osservatori osserva l'esito della caduta della totalità delle mele quando si staccano dall'albero possiamo ritenere oggettiva - pure quando gli osservatori dormono - una cosa che abbiamo chiamato "forza di gravità", corredandola di formula e calcoli ?

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iano

#22
Citazione di: Ipazia il 13 Maggio 2024, 17:00:13 PMSe la totalità di osservatori osserva l'esito della caduta della totalità delle mele quando si staccano dall'albero possiamo ritenere oggettiva - pure quando gli osservatori dormono - una cosa che abbiamo chiamato "forza di gravità", corredandola di formula e calcoli ?


Quando un osservatore dorme sogna le mele che salgono in cielo, e ci crede.
Questo non dimostra che le mele salgono in cielo, ma che l'osservatore ha la capacità di credere.
Se da svegli gli osservatori vedono cadere le mele, questo non dimostra che le mele cadono, ma che gli osservatori hanno la capacità di condividere ciò che credono, comportandosi di conseguenza come un tutt'uno.
Un solo individuo con un solo credo, ma molto più potente, e questo è il potere della scienza, non la sua capacità di oggettivare.

Quello che ho scritto è volutamente provocatorio, per spostare l'attenzione dal concetto metafisico di oggettività, alla pratica del fare, dove conta credere in ciò che si fa e collaborare.
Più credo in ciò che faccio meglio lo faccio fino ad arrivare ad attribuire oggettività a ciò che faccio, cioè  fino al punto di credere, se sono un falegname, che il mondo sia fatto di seghe.
Noi non manipoliamo oggettività, ma deve esserci un oggettività dietro le quinte, se noi così riusciamo ad operare.
Ma non essendoci un solo modo di fare, se a nessuno di questi vogliamo rinunciare, non dobbiamo legare l'oggettività ad uno solo di essi.
Lasciamola allora dietro le quinte di modo che tutti i diversi modi di fare possano trovarvi parimenti giustificazione.
Eviteremo così l'imbarazzo di dover manipolare le onde di probabilità come fossero oggettività, pretendendo di poterle trattare come mele, anche se ciò comporterà dover rinunciare all'oggettività delle mele, senza perciò dover rinunciare a vivere nel mondo in cui le mele sono oggettive.
Non è un problema moltiplicare i mondi in cui viviamo, se tutti sono garantiti dalla stessa realtà, realtà che a nessuno di quei mondi si può assimilare.
Noi agiamo nella realtà, e i diversi mondi in cui viviamo sono diversi modi di agire nella realtà.



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iano

#23
Siccome siamo noi ad agire, i modi/mondi in cui agiamo ci riguardano non meno di quanto riguardano la realtà, e questo non dovrebbe sembrare strano, essendone noi parte.

E' il passo che traccia il sentiero.
Ma se non siamo stati noi a tracciarlo oppure ne abbiamo perso memoria, allora il sentiero ci apparirà in tutta la sua oggettività, assimilandolo alla terra di cui è fatto, così che la terra diventerà una molteplicità di sentieri, cosa su cui concorderanno tutti quelli che ci passano.
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Ipazia

A questo punto, per onestà metafisica, bisognerebbe innovare anche il linguaggio e chissà che complicazioni ne deriverebbero. La lingua è realista: distingue il reale da sogno, teatro, narrazione. Se non altro perché da sogno, teatro e narrazione si resuscita, dalla morte reale, no. E se sì, si finisce in un'altra realtà, diversa dall'eventuale immaginario che la abiti.
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iano

#25
Citazione di: Ipazia il 13 Maggio 2024, 19:52:26 PMA questo punto, per onestà metafisica, bisognerebbe innovare anche il linguaggio e chissà che complicazioni ne deriverebbero. La lingua è realista: distingue il reale da sogno, teatro, narrazione. Se non altro perché da sogno, teatro e narrazione si resuscita, dalla morte reale, no. E se sì, si finisce in un'altra realtà, diversa dall'eventuale immaginario che la abiti.
Il linguaggio ha la sua inerzia e io nel bene e nel male viaggio con poco bagaglio.

Si resuscita anche dalla vita, se è vero come oggi dovrebbe meglio apparire rispetto a ieri, che viviamo più vite in una.
Poi nella misura in cui è importante il condividere, più che concordare su  oggettività sempre più problematiche, non cambia se ci passiamo il testimone da soli o lo passiamo ad altri. L'importante è avere dato nella corsa tutto ciò che potevamo, in modo da lasciare possibilmente il paradiso meglio di come lo abbiamo trovato.

Si, perchè, quando ci arrivi, come fai a sapere di essere paradiso?
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