Quello che la tecnoscienza può fare rispetto a quello che possiamo comprendere

Aperto da maral, 04 Aprile 2016, 16:18:03 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

cvc

Citazione di: acquario69 il 15 Aprile 2016, 15:34:01 PM
Citazione di: cvc il 15 Aprile 2016, 15:25:55 PM
Citazione di: acquario69 il 15 Aprile 2016, 15:17:50 PM

non lo so ma al tempo stesso non ne sarei così convinto,ne che vi fosse solo pura sopravvivenza (forse agli occhi di noi moderni può fare sicuramente questo effetto ma anche per ragioni di chi scrive la storia stessa che tende troppo spesso a vedere - e difendere -solo quello che rientra nello stesso dogma dominante)
e ne che fossero così ignoranti come immaginiamo..la loro magari era una sapienza che non veniva stabilita da quanti libri si leggono oppure dalla iper-specializzazione che di fatto ti rende un ignorante istruito, ma aveva a che fare con la vita stessa che e' il "libro" per eccellenza..
per il resto sono perfettamente d'accordo con te
Non lo sapremo mai. La storia la raccontano i sopravvissuti. La storia di chi è morto di stenti a venti o trent'anni non la racconta nessuno.

ma anche i "vincitori"...e chi muore di stenti a venti trent'anni ci sono anche ora
Effettivamente la questione è interessante, immaginare cioè, per esempio, se ai tempi di Cesare la gente comune avesse delle concezioni, delle opinioni autonome di ciò che fosse il periodo, la realtà che stavano vivendo. Oppure se erano totalmente manovrati dalla propaganda dei potenti. Che opinione aveva di Roma e di Cesare o Pompeo il cittadino medio? Era in grado di farsi un'opinione dell'andamento politico del tempo e immaginare quali sarebbero state le cose giuste da fare? Oppure si preoccupano solo di sostenere chi assicurasse i rifornimenti di grano?
Di sicuro a Roma le opinioni della gente aavevano il loro peso e i personaggi influenti dovevano tenerne conto perché per regnare serviva anche il favore del popolo. Ma qui siamo in democrazia, la non proprio.
Comunque mi sa che stiamo scivolando fuori tema.......
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

MEMENTO HA SCRITTO:

La filosofia scevra da discorsi metafisici non deve postulare alcun ente o evento che contraddica la versione scientifica o che interferisca con la realtà naturale cosi conosciuta. È ovvio che metafisica e Scienza non possano interferire l'una con la materia dell'altra,ma questo per me è lontano dall'essere una vera conciliazione,quanto invece una "separazione consenziente".

Sul problema della morale:se tu intendi la coscienza morale come tendenza comportamentale radicata nel singolo,come mi pare di capire,allora non capisco come possa tu considerare una sua contravvenzione,altresì se appartiene alla coscienza collettiva questa morale "universale" non può non mostrarsi. In ogni caso l'universalità della morale è cosa più sostenuta che dimostrata (e questo l'hai detto anche tu,ma mi chiedo se possiamo riferirci a un concetto cosi arbitrario).

Per me benessere collettivo e benessere individuale non solo non coincidono ma divergono necessariamente,per propria natura,ostacolandosi quando possibile. Nel momento in cui si decide di fondere i due "sentimenti" in un unico grande ideale ,"benessere dell'umanità",questo rappresenta già di per sé una forzatura. Nessuna delle discipline scientifiche sarà mai in grado di garantire questo scenario cosi astratto e fuori dal mondo.


RISPONDO:

Riibadisco che una filosofia che comprenda una metafisica trascendente la realtà fisica (naturale materiale) oggetto di conoscenza scientifica può benissimo coesistere con la conoscenza scientifica in quanto non contraddice la chiusura causale del modo fisico.
Fra essa e le scienze può benissimo darsi a mio parere una integrazione come fra parti diverse, non reciprocamente escludentisi ma armonicamente complementari del sapere.

Veramente non riesco a trovare nulla di problematico nella possibilità di contravvenzione alla morale, intendendola come tendenza comportamentale radicata nel singolo (in tutti i singoli della specie umana) in conseguenza dell' evoluzione biologica: esistono pure altre tendenze (e controtendenze, rispetto a quelle etiche) comportamentali.
Non mi risulta che nessuna teoria dell' etica abbia mai implicato l' impossibilità dell' azione malvagia o immorale.

Sui rapporti fra benessere collettivo e individuale, e in particolarità sulla realizzabilità di una ragionevole (ovviamente limitata, relativa, come tutto ciò che é umano) armonia fra di essi abbiamo convinzioni evidentemente diversissime e per lo meno in larga misura contrarie.
Non sto ovviamente a ribadire le mie.   

                                                                                                                                           (Sgiombo)

maral

#62
Citazione di: sgiombo il 15 Aprile 2016, 09:18:31 AM
Mi stupisce, Maral, questo tuo (attuale; che prima non mi avevi mai fatto questa impressione!) pessimismo disperato (così mi pare: una sorta di resa senza condizioni al nichilismo).
Non so, può essere che il mio discorso dia questa impressione, ma il fatto che ricusi un'etica basata sui principi (perché la ritengo di fatto, soprattutto oggi impraticabile), non lo sento come un pessimismo disperato o una resa senza condizioni al nichilismo, come se rinunciando al valore dei principi etici non restasse niente a cui affidare una speranza.
Trovo che abbia ragione paul11 quando scrive:
CitazioneHo visto persone poco più che alfabetizzate ottenere dei diritti perchè credevano nell'etica  anche se non conoscevano la parola ,perchè la praticavano con dignità.
Sussiste ancora un sentimento morale e non certo tra chi lavora sui massimi sistemi e al di sotto di ogni pensiero etico razionalmente pianificato, un sentimento morale che abita (forse come per una sorta di antiquata abitudine da cui non ci si può separare) nel proprio agire e che dà a volte ancora senso al proprio agire (scienziati compresi).
La razionalità calcola e soppesa, il sentimento no questo è il punto. La razionalità da sola è sterile e non può dare speranza, il sentimento da solo si disperde, suscita illusioni a cui si vuol credere, non speranze. Il punto è trovare l'equilibrio tra questi due fattori, senza fare di nessuno dei due un assoluto, e può non essere facile. Come Gramsci, quando vede il pessimismo della ragione critica e l'ottimismo della volontà dettata dal proprio sentire. La volontà è sempre ottimista, altrimenti non può sussistere, ma la ragione non può supinamente accettare questo ottimismo senza negarsi, la ragione deve costantemente essere critica verso l'ottimismo della volontà, perché è la ragione che filosoficamente istituisce il limite. Un limite che oggi non può che essere ascritto all'agire stesso, perché mai come prima nella storia umana, il poter fare ha di tanto oltrepassato ogni capacità di poter davvero comprendere quanto si può (e si deve) fare e dunque la volontà appare senza limiti, giacché sappiamo come fare, come restituire ogni cosa alla sua completa trasformabilità. Noi, che lo vogliamo o meno, comprendiamo ancora con categorie del pensiero pre industriale, anche se non valgono più e sentiamo che non valgono più.
Il pessimismo è il pessimismo del filosofo che, alla luce di una capacità critica, prende atto di quanto accade e non intende offrire, come Prometeo, vane e illimitate speranze e non perché esistono Dei che prefissano limiti per l'uomo, ma perché esiste l'uomo, con la sua umana necessità, con la sua coscienza che si rende cosciente del suo limite e se ne assume la piena responsabilità, rifiutando ogni sovrumana rivelazione e ogni infinita meravigliosa promessa (del mito o della tecnica fattasi mito poco importa).
E forse anche questa è una speranza, che spero non sia vana e illusoria. Ma in fondo, anche se lo fosse, sento che vale la pena di sperarci.

memento

Citazione di: sgiombo il 15 Aprile 2016, 17:15:01 PMVeramente non riesco a trovare nulla di problematico nella possibilità di contravvenzione alla morale, intendendola come tendenza comportamentale radicata nel singolo (in tutti i singoli della specie umana) in conseguenza dell' evoluzione biologica: esistono pure altre tendenze (e controtendenze, rispetto a quelle etiche) comportamentali.
Non mi risulta che nessuna teoria dell' etica abbia mai implicato l' impossibilità dell' azione malvagia o immorale.

La mia era una semplice perplessità al fatto che un comportamento derivante dall'evoluzione biologica (spiegazione molto minimalista che non tiene conto dei contesti storici e sociali in cui una varietà enorme di moralità e costumi si è potuta affermare) possa avere delle contro-tendenze: se l'organismo si ribella alla morale da cui esso stesso è connotato forse la sua origine non è propriamente naturale. O essere amorale è contronatura? Almeno Kant collocava la dimensione morale oltre la realtà del mondo fenomenico,perché sapeva che il libero arbitrio che ne era alla base non poteva spiegarsi con la necessità delle leggi di natura.

Donalduck

Memento ha scrtitto:
CitazioneO essere amorale è contronatura?
Quello che non riesco a capire, in questi dibattiti (attaulmente piuttosto diffusi) sulla "natura", è in che modo e con quali criteri si definisce il dominio del "naturale" e di conseguenza quello del "non naturale". E anche con quali criteri si attribuisce alla natura una direzione, una sorta di volontà che può essere contrastata andando "contro natura".

memento

Citazione di: Donalduck il 16 Aprile 2016, 18:12:22 PM
Memento ha scrtitto:
CitazioneO essere amorale è contronatura?
Quello che non riesco a capire, in questi dibattiti (attaulmente piuttosto diffusi) sulla "natura", è in che modo e con quali criteri si definisce il dominio del "naturale" e di conseguenza quello del "non naturale". E anche con quali criteri si attribuisce alla natura una direzione, una sorta di volontà che può essere contrastata andando "contro natura".

In questo caso si parlava di natura presa in senso stretto,ossia biologica. Da parte mia considero innaturali quei comportamenti che contrastano con le necessità dell'organismo. Se la morale fa parte di queste necessità,chiedo io,l'essere amorale è una condotta che va contro natura?

sgiombo

Citazione di: maral il 16 Aprile 2016, 09:37:42 AM

Non so, può essere che il mio discorso dia questa impressione, ma il fatto che ricusi un'etica basata sui principi (perché la ritengo di fatto, soprattutto oggi impraticabile), non lo sento come un pessimismo disperato o una resa senza condizioni al nichilismo, come se rinunciando al valore dei principi etici non restasse niente a cui affidare una speranza.
Trovo che abbia ragione paul11 quando scrive:
CitazioneHo visto persone poco più che alfabetizzate ottenere dei diritti perchè credevano nell'etica  anche se non conoscevano la parola ,perchè la praticavano con dignità.
Sussiste ancora un sentimento morale e non certo tra chi lavora sui massimi sistemi e al di sotto di ogni pensiero etico razionalmente pianificato, un sentimento morale che abita (forse come per una sorta di antiquata abitudine da cui non ci si può separare) nel proprio agire e che dà a volte ancora senso al proprio agire (scienziati compresi).
La razionalità calcola e soppesa, il sentimento no questo è il punto. La razionalità da sola è sterile e non può dare speranza, il sentimento da solo si disperde, suscita illusioni a cui si vuol credere, non speranze. Il punto è trovare l'equilibrio tra questi due fattori, senza fare di nessuno dei due un assoluto, e può non essere facile. Come Gramsci, quando vede il pessimismo della ragione critica e l'ottimismo della volontà dettata dal proprio sentire. La volontà è sempre ottimista, altrimenti non può sussistere, ma la ragione non può supinamente accettare questo ottimismo senza negarsi, la ragione deve costantemente essere critica verso l'ottimismo della volontà, perché è la ragione che filosoficamente istituisce il limite. Un limite che oggi non può che essere ascritto all'agire stesso, perché mai come prima nella storia umana, il poter fare ha di tanto oltrepassato ogni capacità di poter davvero comprendere quanto si può (e si deve) fare e dunque la volontà appare senza limiti, giacché sappiamo come fare, come restituire ogni cosa alla sua completa trasformabilità. Noi, che lo vogliamo o meno, comprendiamo ancora con categorie del pensiero pre industriale, anche se non valgono più e sentiamo che non valgono più.
Il pessimismo è il pessimismo del filosofo che, alla luce di una capacità critica, prende atto di quanto accade e non intende offrire, come Prometeo, vane e illimitate speranze e non perché esistono Dei che prefissano limiti per l'uomo, ma perché esiste l'uomo, con la sua umana necessità, con la sua coscienza che si rende cosciente del suo limite e se ne assume la piena responsabilità, rifiutando ogni sovrumana rivelazione e ogni infinita meravigliosa promessa (del mito o della tecnica fattasi mito poco importa).
E forse anche questa è una speranza, che spero non sia vana e illusoria. Ma in fondo, anche se lo fosse, sento che vale la pena di sperarci.
Non capisco cos' altro resterebbe, rinunciando al valore dei principi etici, a cui affidare una speranza di giusta regolazione dei rapporti personali e sociali fra gli uomini; secondo me resterebbe inevitabilmente l' hobbesiano "homo homini lupus", ovvero il dostoiewskiano "dio è morto e dunque tutto è lecito".
 
Paul11 afferma di aver visto  persone poco più che alfabetizzate che hanno ottenuto dei diritti perchè credevano nell'etica anche se non conoscevano la parola, perchè la praticavano con dignità. Dunque non si riferisce a persone il cui atteggiamento, le cui azioni fossero prive di etica, ma anzi che a un' etica si conformavano "con dignità", pur non chiamandola in questo modo, cioè con la parola "etica" (non erano certo "moralisti" o cultori di teorie etiche, ma erano indubbiamente agenti morali).
Almeno io non riesco ad intendere in altro modo le sue parole.
D' altra parte tu stesso affermi che Sussiste ancora un sentimento morale, sia pure "non certo tra chi lavora sui massimi sistemi e al di sotto di ogni pensiero etico razionalmente pianificato" (locuzione per me alquanto oscura; ma se ti riferisci alla generalità dei ricercatori scientifici, allora sono d' accordo), e dunque l' impressione di "resa al nichilismo" che mi avevi dato era sbagliata (ma secondo me appariva inevitabile dal tuo precedente intervento; che dunque credo vada inteso come un' espressione, a mio parere esagerata e tale da generare inevitabilmente un siffatto fraintendimento, del gramsciano pessimismo della ragione, da non disgiungersi mai dall' ottimismo della volontà; e allora si che sono perfettamente d' accordo!).
 
E sono perfettamente d' accordo anche su quanto affermi in generale circa razionalità e sentimento e circa la necessità drammaticamente ineludibile di acquisire da parte dell' umanità un ("razionalistissimo") senso del limite, credo sostanzialmente la stessa cosa che intendo io con la necessità di un "salto di qualità" nello sviluppo della razionalità umana, difficile, alquanto improbabile (pessimismo della ragione), ma nel quale è comunque necessario sperare, per il quale è comunque necessario lottare, e lo sarebbe anche nel caso finisse per rivelarsi illusorio (ottimismo della volontà).

sgiombo

Citazione di: memento il 16 Aprile 2016, 17:41:18 PM
Citazione di: sgiombo il 15 Aprile 2016, 17:15:01 PMVeramente non riesco a trovare nulla di problematico nella possibilità di contravvenzione alla morale, intendendola come tendenza comportamentale radicata nel singolo (in tutti i singoli della specie umana) in conseguenza dell' evoluzione biologica: esistono pure altre tendenze (e controtendenze, rispetto a quelle etiche) comportamentali.
Non mi risulta che nessuna teoria dell' etica abbia mai implicato l' impossibilità dell' azione malvagia o immorale.

La mia era una semplice perplessità al fatto che un comportamento derivante dall'evoluzione biologica (spiegazione molto minimalista che non tiene conto dei contesti storici e sociali in cui una varietà enorme di moralità e costumi si è potuta affermare) possa avere delle contro-tendenze: se l'organismo si ribella alla morale da cui esso stesso è connotato forse la sua origine non è propriamente naturale. O essere amorale è contronatura? Almeno Kant collocava la dimensione morale oltre la realtà del mondo fenomenico,perché sapeva che il libero arbitrio che ne era alla base non poteva spiegarsi con la necessità delle leggi di natura


E infatti ho sempre asserito che a tendenze comportamentali universali biologicamente condizionate se ne sovrappongono e intrecciano altre storicamente condizionate e dunque variabili nel tempo e nello spazio e transeunti (dei contesti [font='Times New Roman', serif]storici e sociali in cui una varietà enorme di moralità e costumi si è potuta affermare ho sempre tenuto ben conto!)[/font].
 
E perché mai (in generale in natura, non solo –ma anche- nell' uomo- non dovrebbero potersi avere istinti comportamentali contrastanti: la vita è un continuo destreggiarsi fra Scilla e Cariddi!
 
Preferisco evitare i concetti molto problematici e quantomeno poco chiari e distinti (per dirla a la Descartes) di "secondo natura " e "contro natura". Essere amorale non è (di fatto) la condizione generale dell' umanità: tutt' altro! Può accadere, come possono accadere tanti altri comportamenti "eccezionali" (che confermano le rispettive regole) nei più disparati campi, anche non eticamente rilevanti (per esempio nell' estetica).
Come ho più volte argomentato nel vecchio forum per me (contro e completamente al contrario di Kant) il determinismo, cioè la negazione del libero arbitrio, è una conditio sine qua non perché possa darsi significato etico al comportamento umano (e in generale di soggetti di azione liberi da coercizioni estrinseche): il libero arbitrio è (sarebbe, ammesso e non concesso) incompatibile con l' etica.

memento

Citazione di: sgiombo il 16 Aprile 2016, 20:20:10 PME infatti ho sempre asserito che a tendenze comportamentali universali biologicamente condizionate se ne sovrappongono e intrecciano altre storicamente condizionate e dunque variabili nel tempo e nello spazio e transeunti (dei contesti [font='Times New Roman', serif]storici e sociali in cui una varietà enorme di moralità e costumi si è potuta affermare ho sempre tenuto ben conto!)[/font].

E perché mai (in generale in natura, non solo –ma anche- nell' uomo- non dovrebbero potersi avere istinti comportamentali contrastanti: la vita è un continuo destreggiarsi fra Scilla e Cariddi!

Preferisco evitare i concetti molto problematici e quantomeno poco chiari e distinti (per dirla a la Descartes) di "secondo natura " e "contro natura". Essere amorale non è (di fatto) la condizione generale dell' umanità: tutt' altro! Può accadere, come possono accadere tanti altri comportamenti "eccezionali" (che confermano le rispettive regole) nei più disparati campi, anche non eticamente rilevanti (per esempio nell' estetica).
Come ho più volte argomentato nel vecchio forum per me (contro e completamente al contrario di Kant) il determinismo, cioè la negazione del libero arbitrio, è una conditio sine qua non perché possa darsi significato etico al comportamento umano (e in generale di soggetti di azione liberi da coercizioni estrinseche): il libero arbitrio è (sarebbe, ammesso e non concesso) incompatibile con l' etica.

Ricordo il tuo discorso sulle condizioni socio-economiche/storiche come fattori da tenere in considerazione. Minimalista per il sottoscritto è l'idea di una morale universale posta su basi biologiche. A proposito,in cosa consisterebbe? Anche se solo vagamente dovresti avere un suo abbozzo di definizione (tanto più se è biologicamente determinata).

Confermi parzialmente quello che ho scritto due post fa: la contravvenzione ad una norma morale è possibile,ma come comportamento eccezionale,e mai regolarmente (sei molto ottimista a mio parere). La perplessità che ho prima espresso era legata proprio al fatto che,quando si presentano due tendenze opposte e contrastanti,si rende necessaria la scelta e,quindi,il concetto di libero arbitrio. Spero ci siamo intesi. Sull'ultima frase dissentirebbero in molti,si potrebbe anche aprire un topic al riguardo.

maral

Citazione di: sgiomboNon capisco cos' altro resterebbe, rinunciando al valore dei principi etici, a cui affidare una speranza di giusta regolazione dei rapporti personali e sociali fra gli uomini; secondo me resterebbe inevitabilmente l' hobbesiano "homo homini lupus", ovvero il dostoiewskiano "dio è morto e dunque tutto è lecito".
Resterebbe quel senso morale che nasce dall'assunzione della responsabilità verso l'altro del proprio agire. Senso morale che non è prestabilito come principio, ma fa parte del proprio vivere e agire, di un sentire.
L'hobbesiano "homo homini lupus"  in realtà lo sento come un'arbitraria impostura per giustificare un atteggiamento esclusivamente predatorio presente negli uomini ben di più che non tra i lupi. Tra l'altro una società in cui ciascuno è animato solo da intenzioni predatorie verso gli altri avrebbe ben poca durata.
La morale operativa è quindi a mio avviso una morale che non si basa su principi a priori, su dettati trascendenti, ma semplicemente nasce dal sentire l'altro collocandolo in una dimensione di assoluto rispetto, tale da sospendere i nostri intenti su di lui,  e non perché c'è una norma o un principio che obbliga a farlo.

sgiombo

CitazioneMemento ha scritto:
Ricordo il tuo discorso sulle condizioni socio-economiche/storiche come fattori da tenere in considerazione. Minimalista per il sottoscritto è l'idea di una morale universale posta su basi biologiche. A proposito,in cosa consisterebbe? Anche se solo vagamente dovresti avere un suo abbozzo di definizione (tanto più se è biologicamente determinata).

Rispondo:
Per esempio in quanto scrive Maral nell' intervento immediatamente successivo al tuo:
"La morale operativa è quindi a mio avviso una morale che non si basa su principi a priori, su dettati trascendenti, ma semplicemente nasce dal sentire l'altro collocandolo in una dimensione di assoluto rispetto, tale da sospendere i nostri intenti su di lui, e non perché c'è una norma o un principio che obbliga a farlo".
Che personalmente (non mi stupirei se in disaccordo con Maral stesso) ritengo conseguenza della (perfettamente spiegata dalla) evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale.
Oppure l' antico concetto del comportarsi verso gli altri come si vorrebbe che gli altri si comportassero verso noi stessi, il volere il benessere degli altri non meno del benessere di noi stessi (in generale. Senza evitare di volere la giusta punizione di chi fa del male agli altri, poiché esiste ovviamente anche la possibilità di trasgressione dell' etica, e quest' ultima implica sia aspirazione al benessere di tutti sia alla giustizia per tutti; difficile conciliarle? Beh, così é la vita...).


Memento ha scritto:
Confermi parzialmente quello che ho scritto due post fa: la contravvenzione ad una norma morale è possibile, ma come comportamento eccezionale, e mai regolarmente (sei molto ottimista a mio parere). La perplessità che ho prima espresso era legata proprio al fatto che,quando si presentano due tendenze opposte e contrastanti,si rende necessaria la scelta e,quindi,il concetto di libero arbitrio. Spero ci siamo intesi. Sull'ultima frase dissentirebbero in molti,si potrebbe anche aprire un topic al riguardo.

Rispondo:
Ritengo di aver la fortuna di essere ottimista in generale (e non lo fossi, senza voler esagerare le difficoltà che ho incontrato nella vita, credo che mi sarei già dato molte volte l' eutanasia).
Comunque la vita impone tante scelte, quasi continuamente, certo. Si possono osservare oppure contravvenire i valori indimostrabili ma di fatto universalmente avvertiti (in parte; in parte diversamente declinati secondo le circostanze sociali in cui si vive: l' umanità è dialettica di natura e cultura); per me solo se le scelte libere da condizionamenti estrinseci sono intrinsecamente condizionate (da come si è: più o meno magnanimi "buoni", "virtuosi" oppure più o meno malvagi, gretti e meschini), allora sono eticamente valutabili (come appunto più o meno buone o cattive), mentre se non sono conseguenza deterministica di come si è bensì indeterminate,  casuali (=liberoarbitrarie), allora non sono eticamente valutabili ma meramente fortuite (conseguenza e dimostrazione non di migliori o peggiori qualità morali ma di maggiore o minor fortuna).
Sono perfettamente d' accordo che è una tesi alquanto anticonformistica; e pure che meriterebbe una discussione "apposita" (e già ce ne sono state nel vecchio forum).


Maral ha scritto:
Resterebbe quel senso morale che nasce dall'assunzione della responsabilità verso l'altro del proprio agire. Senso morale che non è prestabilito come principio, ma fa parte del proprio vivere e agire, di un sentire.
L'hobbesiano "homo homini lupus"  in realtà lo sento come un'arbitraria impostura per giustificare un atteggiamento esclusivamente predatorio presente negli uomini ben di più che non tra i lupi. Tra l'altro una società in cui ciascuno è animato solo da intenzioni predatorie verso gli altri avrebbe ben poca durata.
La morale operativa è quindi a mio avviso una morale che non si basa su principi a priori, su dettati trascendenti, ma semplicemente nasce dal sentire l'altro collocandolo in una dimensione di assoluto rispetto, tale da sospendere i nostri intenti su di lui,  e non perché c'è una norma o un principio che obbliga a farlo.

Non posso che esprimere il mio accordo.

Discussioni simili (5)