Quello che la tecnoscienza può fare rispetto a quello che possiamo comprendere

Aperto da maral, 04 Aprile 2016, 16:18:03 PM

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maral

Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e  quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile. 


albert

Citazione di: maral il 04 Aprile 2016, 16:18:03 PM
Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e  quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.
Non sono del tutto d'accordo con la premessa. La filosofia può e deve comprendere qualsiasi sviluppo scientifico, come quelli delle biotecnologie. Come lo possa fare non lo sappiamo, ma secondo me è inevitabile che prima o poi ci riesca

maral

Citazione di: albert il 05 Aprile 2016, 07:47:35 AM
Non sono del tutto d'accordo con la premessa. La filosofia può e deve comprendere qualsiasi sviluppo scientifico, come quelli delle biotecnologie. Come lo possa fare non lo sappiamo, ma secondo me è inevitabile che prima o poi ci riesca
La premessa è ciò che l'attuale biologia mostra di saper fare sul vivente, che mette in discussione il senso di individualità umana con tutte le dicotomie che parevano poter prestabilire delle mappature di riferimento sensato: vivente-non vivente, naturale-artificiale, sessuato- asessuato ecc.). E' in relazione a questo poter fare sempre crescente e alla necessità di farlo che, a fronte della manifesta impotenza della filosofia a stare al passo del progresso biotecnologico, il biologo rivendica a sé il diritto e dovere di stabilire la propria filosofia, proprio sulla sulla base di ciò che sa fare: una filosofia che, nei significati che stabilisce, non sia altro che un'emanazione della capacità e della prospettiva tecnologica.
Sicuramente la rivoluzione tecnologica del prossimo futuro riguarderà proprio la biologia (basti pensare a quello che si può fare con le cellule staminali, alle modifiche che si possono introdurre nelle cellule somatiche, agli sviluppi della biomedicina e della diagnostica biomedica), il problema è che questa rivoluzione viene ben più di quelle che l'hanno preceduta, a interessare direttamente il senso dell'essere vivente umano, dunque il senso profondo di ciò che siamo.

Garbino

Un saluto a tutti e speriamo che tutto riprenda alla meglio, anche se il fardello che ci si lascia alle spalle è veramente pesante e difficilmente sostituibile.

X Maral. Sinceramente sono dell' opinione che sia tutto un grave errore. Intervenire sulla biologia degli organismi significa purtroppo rendere molto più difficile qualsiasi futuro per la specie umana. 
Gli scienziati sanno? Sanno quello che fanno? Non credo proprio. Loro non sanno proprio niente di ciò che innescano, sanno soltanto che innescano qualcosa, ma cosa? 
E d' altronde non si può neanche pensare di impedirlo. Chi rispetterebbe questo divieto? Come purtroppo da diverso tempo continuo a sostenere, siamo alla follia. E non c' è scienza o filosofia che possa salvarci. Come può un filosofo conoscere se anche gli operatori ( gli scienziati ) non sanno minimamente cosa stanno innescando e quali potranno essere i possibili risultati e le possibili implicazioni? 
A mio avviso, questa non è Scienza. Perciò come può parlarsi di gap quando non c' è conoscenza ma soltanto follia o arbitrarietà? 
Il gap culturale a livello tecnologico c' è naturalmente ed è enorme. Ed è difficile che possa essere colmato. Questo naturalmente per l' uomo comune. Ma un filosofo che voglia ritenersi tale dovrebbe comunque conoscere anche la tecnologia in tutti i suoi risvolti. Non è che non è possibile che ciò avvenga, è che filosofi attualmente proprio non ve ne sono. 

Un saluto cordiale a te e a tutto lo staff.

Garbino Vento di Tempesta.

maral

Citazione di: Garbino il 05 Aprile 2016, 20:10:17 PM
Sinceramente sono dell' opinione che sia tutto un grave errore. Intervenire sulla biologia degli organismi significa purtroppo rendere molto più difficile qualsiasi futuro per la specie umana...
Ma un filosofo che voglia ritenersi tale dovrebbe comunque conoscere anche la tecnologia in tutti i suoi risvolti. Non è che non è possibile che ciò avvenga, è che filosofi attualmente proprio non ve ne sono.
Ricambio il tuo cordiale saluto Garbino, benvenuto nel nuovo forum.

Preciso che è proprio con lo scopo di creare una transdisciplinarietà tra filosofia e scienze biologiche che il gruppo culturale Mechrì ha promosso a Milano un seminario di biologia-filosofia, che conta della partecipazione come figure di spicco di Carlo Alberto Redi (illustre biologo, accademico e saggista) e Carlo Sini (il famoso filosofo). Lo scopo degli incontri è da una parte creare un linguaggio comune sulla base del quale intendersi e dall'altro mostrare le nuove possibilità delle biotecnologie per assicurare salute e benessere, i problemi che sollevano e le resistenze che incontrano. Ho partecipato al seminario e sono rimasto impressionato sia dalle possibilità che la biotecnologia mette in campo soprattutto per la bio medicina, sia della portata dei problemi filosofici che solleva e scompiglia: cos'è la vita, se ha ancora senso parlare di naturale e artificiale, in cosa potrà consistere la sessualità e la procreazione in un futuro già presente in cui le due cose appaiono sempre più disgiunte, il senso antiquato di appartenenza del proprio corpo, gli effetti sull'ambiente e così via, tutto questo in ragione delle conoscenze genomiche andate maturate negli ultimi anni a partire dalla scoperta di LUCA (Living Unit Common Ancestor, corrispondente al DNA originario, fonte prima della vita).
A fronte dell'enorme gap che si è creato tra ciò che si può fare e il suo significato, il biologo rivendica al suo poter fare la base per istituire ogni significato in merito ai temi basilari per l'esistenza, ricusando ogni tentativo filosofico (o religioso) di rallentare o porre limiti alla capacità tecnica acquisita, al massimo è disposto a concedere al filosofo un ruolo di aiuto specialistico per costruire una semantica efficace per il "mondo nuovo" che egli sa tecnologicamente costruire.
Sini parte dalla concezione che è sempre stato il lavoro dell'uomo, gli strumenti materiali che egli è venuto usando a determinare la visione del mondo e di se stessi, ma sottolinea sempre come questo riconoscimento è sempre culturale e dunque, per l'essere umano, la natura, fondamentalmente riflessa dal lavoro umano, resta il prodotto di situazioni culturali. Questa è una posizione che pur andando incontro alle esigenze del biologo, non pare lo soddisfi, perché forse avverte in essa una resistenza a quel concetto di oggettività scientifica basata sull'evidenza sperimentale incontrovertibile del funzionare.
Il problema allora è: possiamo essere sicuri che un mondo il cui significato resta dettato dalle biotecnologie, funzioni davvero?

     
 

sgiombo

Citazione di: maral il 04 Aprile 2016, 16:18:03 PM
Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e  quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.
A fronte dell'enorme gap che si è creato tra ciò che si può fare e il suo significato, il biologo rivendica al suo poter fare la base per istituire ogni significato in merito ai temi basilari per l'esistenza, ricusando ogni tentativo filosofico (o religioso) di rallentare o porre limiti alla capacità tecnica acquisita, al massimo è disposto a concedere al filosofo un ruolo di aiuto specialistico per costruire una semantica efficace per il "mondo nuovo" che egli sa tecnologicamente costruire.
Sini parte dalla concezione che è sempre stato il lavoro dell'uomo, gli strumenti materiali che egli è venuto usando a determinare la visione del mondo e di se stessi, ma sottolinea sempre come questo riconoscimento è sempre culturale e dunque, per l'essere umano, la natura, fondamentalmente riflessa dal lavoro umano, resta il prodotto di situazioni culturali. Questa è una posizione che pur andando incontro alle esigenze del biologo, non pare lo soddisfi, perché forse avverte in essa una resistenza a quel concetto di oggettività scientifica basata sull'evidenza sperimentale incontrovertibile del funzionare. 
Il problema allora è: possiamo essere sicuri che un mondo il cui significato resta dettato dalle biotecnologie, funzioni davvero? 

Sono un veteromarxista, lo so, e inoltre mi rendo conto di ripetere quanto già più volte da me sostenuto nel vecchio forum, ma (a parte il fatto che quanto qui riferito (da parte di Maral) del filosofo Carlo Sini mi sembra inequivocabilmente  "marxiano", come preferiscono dire i politicamente corretti), penso che il "fare" della biologia (contrariamente al suo "sapere") non sia scienza (casomai tecnica), e dipenda innanzitutto dagli assetti sociali dominanti (capitalistici e secondo me "in avanzato stato di putrefazione").

La biologia in quanto scienza conosce, e le applicazioni tecniche che consente a rigore non sono necessarie, né inevitabili in linea di principio, ma casomai soltanto di fatto; e a mio parere a causa della struttura sociale capitalistica dominante, che imponendo oggettivamente la concorrenza nella ricerca del massimo profitto a qualsiasi costo e a breve termine cronologico fra unità produttive, proprietarie private dei mezzi di produzione, reciprocamente indipendenti, non può che ignorare il concetto eminentemente razionalistico di "limite" (infatti il modo di produzione capitalistico é eminentemente irrazionale): limite oggettivamente ineliminabile innanzitutto della quantità e della qualità della vita umana, individuale e di specie, limite delle risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente) disponibili e della capacità dell' ambiente naturale di "metabolizzare" gli inevitabili (in qualche misura finita) effetti nocivi delle produzioni e dei consumi delle merci (tutte, anche dei "servizi" pretesi più "immateriali"), limite delle conoscenze scientifiche reali di fatto e possibili, ecc. 
Non é la scienza biologica, bensì la società capitalistica "in avanzato stato di putrefazione" a imporre di ignorare irrazionalisticamente i limiti dell' agire umano e non sono, secondo me, la filosofia o l' etica che potrebbero imporle di rispettarli, bensì unicamente nuovi, più avanzati, più oggettivamente adeguati, più razionali  rapporti sociali di produzione.
Circa la realizzazione dei quali nella nostra storia umana di specie parlante, pensante, "culturale" naturalmente (naturalisticamente) comparsa per evoluzione biologica su questo nostro pianeta, credo ci sia da essere assai pessimisti. Il che non giustifica secondo me alcuna accettazione pavida e vigliacca dello stato di cose presente e inevitabilmente della conseguente "estinzione prematura e di sua propria mano" dell' umanità stessa: per chiunque abbia una corretta concezione etica e una corretta visione della realtà di fatto lottare, anche "disperatamente" é un' ineludibile imperativo categorico!

cvc

Ben ritrovati a tutti!

Credo che tecnoscienze e comprensione  (di un senso della vita) viaggino parallelamente in senso euclideo. Il metodo scientifico sperimentale funziona bene nei confronti dell'ambiente (e dell'uomo inteso come parte dell'ambiente), ma non riesce a replicare i suoi successi nell'ambito del senso dell'interiorità umana.  Se esiste lo spirito, unica cosa che può dare un senso all'accozzaglia di materia organica destinata a deperire che siamo, deve essere una realtà non assoggettabile alle pratiche scientifico sperimentali. Si tratta di consapevolizzare socraticamente che la scienza umana ha dei limiti, quale appunto l'imperscrutabilità dello spirito e del divino. Invece la scienza contemporanea pare considerarsi illimitata nelle sue potenzialità. Ma il senso (profondo) che l'uomo da alla vita e alle cose non può essere il risultato di un esperimento.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

paul11

La filosofia,soprattutto morale, necessariamente condiziona le scelte e gli indirizzi, perchè ragiona su premesse ontologiche e intenzionalità. Il suo limite è la difficoltà nel saper fare, nel rendere protocollare un'attività, che vorrebbe dire passare dalle coscienze alle prassi attraverso la legge positiva. Dall'altra la scienza essendo legata al rapporto finanziario dove la ricerca è commissionata e alla fine veicolata da interessi (commerciali,militari,ecc.) reclama libertà d'invenzione e di attività.
Intanto abbiamo visto soprattutto negli ultimi decenni che le coscienze di massa se unite e numericamente consistenti, possono per ragioni speculative(il voto politico) far mutare o riconoscere dei diritti;pensiamo alle battaglie ambientaliste ad esempio,delle coppie di fatto od omosessuali,ecc. 
Infine oggi il ruolo del filosofo non è quello di alcuni secoli fa. Con la società di massa è l'anchor man, "l'opinionista", i mass media a veicolare l'informazione che ha spodestato il ruolo del filosofo.Quest'ultimo può semmai adattarsi a scrivere un editoriale,
Quello che fu il rapporto fra il ruolo del principe e del filosofi, oggi è un rapporto fra governo istituzionale(poco o nulla), ma soprattutto proprietari dei mass media o responsabile editoriale e filosofo..
Nella problematica specifica del filosofo sul bios contro il biotech scientifico è la definizione di vita, identità, autenticità nei loro relati,Da ciò ne deriva ciò che viene ritenuto manipolabile oppure immodificabile.Il filosofo non può che limitare,condizionare poichè la scienza non si pone premesse, ma obiettivi in questo caso assolutamente suadenti:debellare malattie ereditarie,allungare la vita.E' importante la contraddizione dell'opinione pubblica su questo argomento, che ha un ruolo decisivo fra il filoso e lo scienziato: chiede diritti agli animali, è contro gli organismi geneticamente modificati;ma si chiede cosa sia la vita,identità, autenticità e aggiungerei dignità? E' la stessa opinione pubblica che chiede alla scienza...."avanti tutta"
Daccapo ,l'opinione pubblica è a sua volta la manipolazione delle menti per indirizzare un pensiero di massa.
Adatto che alla fine sono le persone e le organizzazioni dei ruoli dirigenti a tutti i livelli che veicolano la cultura, facciamoci un'idea della loro"consistenza"e abbiamo davanti l'immediato futuro generazionale.
L'unico isituto che è contrario alla manipolazione della vita è la Chiesa: è ovvio.Ma non solo nei contenuti, ma nel metodo, perchè la fermezza dogmatica non può a sua volta diventare opinione, quindi il paradigma morale teologico si scontra con la pretesa di una libertà di intraprendenza. Andrebbe definito quindi anche il concetto di libertà che vale per la scienza e l'economia e sempre meno per il singolo individuo dentro le organizzazioni sociali di quella cultura.

Hai giustamente spiegato anche gli allontanamenti e specificità di ruoli e funzioni nel biotech, come la separazione di sessualità e riproduzione. Si evince infatti che dalla modernità ad oggi per i rami specialistici che hanno ruolificato la conoscenza in scienze hanno contribuito anche alla separazione medica del concetto di corpo fisico , mente e spirito.
Se la natura ha accompagnato nelle tassonomie nei rami più evoluti alla riproduzione gamica accompagnandola ad un rapporto sessuale piacevole, separando i due concetti in due funzioni diverse si vuol separare la problematica così da poterla risolvere in maniera diversa. Questo approccio è fortemente ambiguo.Se la vita è un insieme inseriamo innumerevoli sottoinsiemi che complicano l'approccio, volutamente deviano i contesti dal vero problema:cosa intendiamo per vità non solo  in termini biologici?
Cosa vieta costruire corpi fisici atti a compiti militari, a innesti organici con materiali nanotecnologici,ecc.
Dove il biotech può alleviare sofferenze e dolore senza compromettere identità, autenticità, dignità? La cellula di un corpo umano è una cellula singola se vista al microscopio, ma è parte funzionale di un organismo che pensa riflette agisce.

acquario69

Citazione di: cvc il 06 Aprile 2016, 21:09:39 PM
Ben ritrovati a tutti!

Credo che tecnoscienze e comprensione  (di un senso della vita) viaggino parallelamente in senso euclideo. Il metodo scientifico sperimentale funziona bene nei confronti dell'ambiente (e dell'uomo inteso come parte dell'ambiente), ma non riesce a replicare i suoi successi nell'ambito del senso dell'interiorità umana.  Se esiste lo spirito, unica cosa che può dare un senso all'accozzaglia di materia organica destinata a deperire che siamo, deve essere una realtà non assoggettabile alle pratiche scientifico sperimentali. Si tratta di consapevolizzare socraticamente che la scienza umana ha dei limiti, quale appunto l'imperscrutabilità dello spirito e del divino. Invece la scienza contemporanea pare considerarsi illimitata nelle sue potenzialità. Ma il senso (profondo) che l'uomo da alla vita e alle cose non può essere il risultato di un esperimento.


infatti secondo me il punto e' proprio questo.
la riduzione al solo dominio fisico inteso come unica realtà possibile,la negazione percio del fatto che l'uomo non può essere separato dai fenomeni,essendo anch'esso integrato a questi a tutti gli effetti.
significa più semplicemente che siamo ben altra cosa rispetto all'idea estremamente limitata,nonche dogmatica,che oggi predomina incontrastata.
disconoscendo questo si trasforma in un apprendista stregone che non trova ne il controllo e ne più il senso di cio che lui stesso ha scatenato in origine,portandolo al caos più completo e alla sua stessa autodistruzione

cvc

Citazioneacquario69



infatti secondo me il punto e' proprio questo.
la riduzione al solo dominio fisico inteso come unica realtà possibile,la negazione percio del fatto che l'uomo non può essere separato dai fenomeni,essendo anch'esso integrato a questi a tutti gli effetti.
significa più semplicemente che siamo ben altra cosa rispetto all'idea estremamente limitata,nonche dogmatica,che oggi predomina incontrastata.
disconoscendo questo si trasforma in un apprendista stregone che non trova ne il controllo e ne più il senso di cio che lui stesso ha scatenato in origine,portandolo al caos più completo e alla sua stessa autodistruzione


E' la pretesa, da parte di una visione esageratamente scientifica della realtà, che tutto sia fenomenico, che tutto sia manifesto. Sicuramente la scienza attraverso la suddivisione e specializzazione (nonché frammentazione) del sapere ha messo in luce parecchi fenomeni che apparivano oscuri, ed ha offerto all'uomo nuove opportunità di adattamento. Però le più che secolari questioni dell'antichità rimangono ancora aperte: Come mai la vita? Da dove veniamo? Esiste una realtà trascendente? Esiste Dio? Corpo e spirito sono realtà distinte? Il senso della vita. Il senso della morte. Di fronte a tutte queste questioni la mia misera e insignificante opinione ha altrettanta validità di quella del più eminente scienziato. Non credo che le manipolazioni biologiche della scienza debbano cambiare la nostra visione del mondo, almeno finchè gli interrogativi millenari di cui sopra rimangono insoluti e attuali.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

acquario69

Citazione di: cvc il 07 Aprile 2016, 12:21:41 PM
Citazioneacquario69



infatti secondo me il punto e' proprio questo.
la riduzione al solo dominio fisico inteso come unica realtà possibile,la negazione percio del fatto che l'uomo non può essere separato dai fenomeni,essendo anch'esso integrato a questi a tutti gli effetti.
significa più semplicemente che siamo ben altra cosa rispetto all'idea estremamente limitata,nonche dogmatica,che oggi predomina incontrastata.
disconoscendo questo si trasforma in un apprendista stregone che non trova ne il controllo e ne più il senso di cio che lui stesso ha scatenato in origine,portandolo al caos più completo e alla sua stessa autodistruzione







Non credo che le manipolazioni biologiche della scienza debbano cambiare la nostra visione del mondo, almeno finchè gli interrogativi millenari di cui sopra rimangono insoluti e attuali.

secondo me non sono tanto gli interrogativi a rimanere attuali quanto cio che li "produce" in radice,ossia la loro essenza perenne ed immutabile,quindi il rischio a mio avviso e' che questi interrogativi si rendano in un certo senso "autonomi" cioè separati appunto dal loro principio fondativo e la tecnoscienza diventa nel caso il suo strumento ideale perché quest'opera venga compiuta.
il rischio dicevo e' che questi interrogativi a quel punto non saranno nemmeno più tali e se non vengano deformati o che scompaiono addirittura del tutto dal nostro orizzonte speculativo..ho il timore più o meno fondato che sia proprio la nostra visione del mondo a farne le conseguenze,come se non si avvertisse più ne il pericolo implicito e ne la percezione stessa della realtà...un po potrei fare anche l'esempio,secondo me calzante di quell'articolo di aldo giannulli che ho postato su cultura e società

InVerno

Stephen Hawkings non molto tempo fa aveva destato molta indignazione asserendo che la filosofia era morta, e che i soldi che si spendevano nelle scuole per insegnarla andrebbero reindirizzati. Ci furono molte repliche, la più autorevole in Italia probabilmente di Eco, che onestamente non mi convinse più di tanto, non più di quanto mi aveva convinto Hawkings. Rinunciare alla filosofia intesa in maniera etimologica, come semplice amore per la conoscenza, sembra ovviamente una scemenza, da quel punto di vista anche Hawkings è un filosofo prima di un fisico (come in un certo senso disse Eco) ma non credo che Hawkings si riferisse a questo, per di più accostando al discorso la questione scolastica. Onestamente bisogna anche guardarsi intorno e vedere la realtà. In un mondo ad altissima specializzazione figure "newtoniane" che accostano fisica, alchimia, teologia, filosofia in un unico calderone sono ormai inaccettabili, perchè per forza di cose non riescono a competere con i colleghi specializzati. A questo si aggiunge la constatazione pacifica che la filosofia, ha perso da tempo la sua qualità pionieristica, sopratutto in campo scientifico. I filosofi devono nella maggior parte dei casi accontentarsi di arrivare sempre secondi "sul pezzo" e commentare ed elucubrare a riguardo. Roba da poco ? No di certo, almeno in teoria. Tuttavia salvo rari casi, spesso fanno anche un pessimo lavoro, se non altro di interpretazione e\o divulgazione. Perlomeno della stessa qualità che viene raggiunta dalle arti sensoriali, che però hanno il vantaggio dell'immediatezza, del pathos, e della multimedialità. Insomma, da amante della conoscenza, sentir dire che la filosofia è morta sulle prime mi ha lasciato urtato. Tuttavia sempre più spesso mi guardo intorno e vedo gli amici "filosofi" coloro i quali hanno intrapreso un percorso di studi nella materia e hanno raggiunto diversi gradi, e vedo in loro spesso e volentieri, più una volontà nevrotica di differenziarsi tramite perniciose dispute semantiche che una sana passione per la verità, un continuo riverbero di concetti, ampollose reminiscenze, citazioni autodifensive, che a fine giornata il tutto trasuda di un imperioso "e vabbè, anche oggi non si è combinato niente". D'accordo o meno con l'asserzione di Hawkings, sono perlomeno d'accordo che la filosofia è in un momento di grande confusione e dovrebbe trovare una stella polare al più presto, per non svelare il risentimento e la nostalgica ammissione di impotenza che a mio avviso spesso stanno alla base delle argomentazioni filosofiche moderne.

memento

Citazione di: maral il 04 Aprile 2016, 16:18:03 PM
Le frontiere che le biotecnolgie stanno aprendo sembrano sempre più venire a sfidare la concezione che abbiamo dell'individuo vivente. Appare evidente che ciò che il biotecnologo sa di poter fare travalica di gran lunga il significato di quello che possiamo comprendere e  quanto, soprattutto le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica.
La questione che qui pongo alla vostra attenzione è quale rimedio si può porre a questo "dislivello prometeico" (secondo la felice espressione di Gunther Anders) e quindi se la filosofia può ancora dire qualcosa in merito o non le resta che affidarsi alla biologia, lasciando alla sua capacità di fare (e che comunque farà) il compito di istituirsi come unica filosofia possibile.
Innanzitutto ben ritrovati a tutti in questo forum nuovo di zecca,speriamo abbia la fortuna del primo.
Che la Scienza possa stabilire una propria filosofia,ossia dei valori propri,è fuorviante. La conoscenza scientifica non si dà scopi che non gli siano stati già precostituiti,ma pone all'uomo uno sguardo per comprendere la realtà cosi come lo circonda,il modo in cui si organizza e si disfa,si trasforma. Ma non fa filosofia; L'uso distorto che si può fare delle biotecnologie,anche se non sei entrato troppo nel merito,non è imputabile alla disciplina stessa. Ma,al contrario,denota un grosso limite della ricerca filosofica moderna.
Come si pone rimedio a questo dislivello? Senza dubbio riportando la filosofia a guardare la VITA per saperla poi affrontare,per scoprire ragioni non in enti trascendenti e assoluti ma insite nell'uomo e nella sua natura. Se la filosofia osserva le nuove teorie delle scienze con indifferenza,fondamentalmente è perché guarda la realtà con la stessa indifferenza. Quanto può valere una filosofia che tratti di principi ultimi e non del qui e ora,una filosofia della morte? Potrà mai essere amica della conoscenza?

Donalduck

Francamente non capisco proprio in che modo "le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica".
A me sembra che le scoperte della biologia non intacchino in alcun modo il pensiero filosofico, tantomeno quello etico in generale e non ne influenzino neppure le prospettive.
Tutt'al più, forse, possono mettere in crisi ALCUNE posizioni filosofiche.
Sarebbe forse il caso di spiegare meglio...

maral

#14
Citazione di: Donalduck il 07 Aprile 2016, 20:38:37 PM
Francamente non capisco proprio in che modo "le biotecnologie, rendano tragicamente antiquato l'uomo nel suo modo di sentirsi e di pensarsi, di stabilire un'etica".
A me sembra che le scoperte della biologia non intacchino in alcun modo il pensiero filosofico, tantomeno quello etico in generale e non ne influenzino neppure le prospettive.
Tutt'al più, forse, possono mettere in crisi ALCUNE posizioni filosofiche.
Sarebbe forse il caso di spiegare meglio...
Ciò che viene messo in discussione dall'ingegneria genetica è il concetto di natura del vivente e in particolar modo il concetto di natura umana, nonché l'idea di individualità tramite processi di clonazione (realizzabili da cellule embrionali - con tutti i problemi etici sull'uso di embrioni- o anche a partire da nuclei di cellule somatiche introdotti in un oocita denucleato); di partenogenesi (la filiazione a partire dal solo oocita femminile), di ritrasformazione di cellule somatiche in cellule pluri o totipotenti o delle stesse in cellule sessuali, la selezione in laboratorio di una doppia elica genomica originaria da riprodurre indefinitivamente senza i fenomeni degenerativi dell'invecchiamento, la fabbricazione di OGM e cibridi (organismi con DNA misto di specie diverse), la possibilità di realizzare raccolte dati in continuo su tutti gli esseri umani tramite banche dati elettroniche (Google, Yahoo ecc.). Tutto questo solleva ovviamente un grosso problema etico che il biologo (e su questo sono d'accordo) propone di risolvere pragmaticamente sulla base di un'etica operativa della responsabilità, anziché sulle vecchie etiche facenti perno su controversi principi morali.

Riporto un passo di un articolo di C.A. Redi e M. Monti ("Clonazione e cellule staminali") che forse può chiarire meglio la questione dal punto di vista del biologo. Scrivono gli autori (le sottolineature e le evidenziazioni sono mie):
CitazioneL'enorme quantità di conoscenze che in modo rapidissimo la ricerca biologica va accumulando sta cambiando profondamente persino la nostra concezione di cosa sia l'essere umano, della salute e della malattia con accesi dibattiti in merito a se, come e quanto utilizzare questo patrimonio di conoscenze per modificare aspetti della vita umana che potrebbero contribuire ad un miglioramento della qualità della vita stessa, in particolare dei senescenti (stante l'attuale tasso demografico occidentale), delle nuove generazioni (grazie alle tecniche di diagnosi prenatale) e dell'ambiente (grazie alle biotecnologie ambientali ed alimentari). Purtroppo siamo dinnanzi ad una generale profonda ignoranza del sapere scientifico, in particolare di quello biologico, da parte dei testimoni più rilevanti della società civile (decisori politici, magistrati, operatori dei media) con un sistema autoreferenziale di ispirazione pseudofilosofica che ben si presta a creare una confusione di ruoli inaccettabile: politici, filosofi, teologi e pensatori di varia estrazione che si occupano di natura umana (cosa che dovrebbe competere al solo biologo) e non, come dovrebbero, della sola condizione umana; con la grave conseguenza che i cittadini tutti finiscono con il recepire come fatto naturale, cosa normale, la produzione di significanti alieni alla Biologia (es. il concepito, la persona) da parte di costoro.
Nello stesso articolo si entra in polemica con la tesi di Habermas (ultimo esponente della famosa "Scuola di Francoforte") il quale nel suo libro "Il futuro della natura umana (i rischi di una genetica liberale)" mette in guardia dalle biotecnologie e "suggerisce di smetterla di pasticciare con il genoma umano, anzi col genoma di tutti gli esseri viventi"

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