Menu principale

Quell'Astrattista di Kant

Aperto da Voltaire, 12 Dicembre 2016, 20:10:41 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

paul11

#15
Maral, Davintro.......e chi vuole intervenire.

Dipende se si vuole fare scienza contemporanea o filosofia e per me rimangono ancora due distinzioni fondamentali, anche se molti filosofi contemporanei sono più scienza che filosofia ormai.

Se esistono leggi scientifiche universali, enunciate in equazioni e quindi calcolabili, un procedimento logico gnoseologico è stato compiuto. Se lì'osservazioni di particolari è stato riassunto in un calcolo dove vi sono, variabili e costanti, ma il procedimento logico/matematico rimane indipendentemente dallo spazio/tempo, significa che quella legge  spiega in qualche modo una parte di un dominio e se quella legge vale ieri, oggi e domani e in qualunque latitudine geografica, allora si presuppone che esista un ordine all'interno di un dominio.
Se la scienza compie un processo induttivo dei particolari e li riassume in un calcolo di equazioni, signiifca che la mente umana nel dominio fisico naturale ha comunque compiuto un processo logico.

L'errore è sostenere che poichè il dominio è fisico e naturale allora la legge e il procedimento logico è esatto non solo come forma procedurale ,ma come risultato "empirico". Non è vero: perchè la logica e la matematica non sono prodotti dal mondo empirico ,ma dalla mente umana..E' quindi la mente umana che proietta una forma gnoseologica/epistemica nel mondo empirico della fisica naturale. Adatto, quindi che è applicazione del mondo fisco, vale a dire l' equazione è un procedimento logico/matematico con significati del mondo empirico, se le percezioni sensoriali danno risposta affermativa con il procedimento logico /matematico applicativo, allora è giusto(teniamo presente che anche le strumentazioni automatiche sono analogiche rispetto alla percezione sensoriale/cervello, affinchè siano leggibili.

Se questo processo è vero ,non capisco se scrivo ad esempio la sequenza  3-5-7-........ quale sarà il prossimo numero?
Non c'è il numero da trovare nel mondo "fisco/naturale", lo troverà però il processo logico/matematico.Se così non fosse non si capirebbe nemmeno perchè procede la conoscenza scientifica, si arresterebbe .

E' così difficile pensare che se la mente umana conosce con procedimenti logico/matematici il mondo fisico naturale  perchè non può applicare lo stesso procedimento in quello' stesso ordine che permette al dominio naturale di essere conosciuto? 
Ma non più in maniera induttiva, ma deduttiva

I problemi diventano altri. Il procedimento razionale logico/matematico ha necessità di una verifica formale tanto più "esce" dal mondo empirico fisico/naturale affinchè l'illusione non diventi realtà e viceversa.

davintro

Citazione di: maral il 05 Gennaio 2017, 09:55:48 AM
Citazione di: davintro il 04 Gennaio 2017, 23:22:07 PMIn ciò trovo diversi punti di dissenso. I limiti della mente umana, come scritto prima, impediscono certamente di giungere allo stesso livello del sapere di una mente divina e assoluta, ma non impediscono di giungere a una visione parziale ed imperfetta di tale mente.
E pertanto errata, ma sempre con la pretesa di essere quella giusta. Chi dice che tale mente è sovraspaziale e sovratemporale si trova comunque nel tempo e nello spazio, altrimenti non potrebbe dire assolutamente nulla, dunque la mente sovraspaziale e sovratemporle è comunque stabilita dalle dimensioni spaziali e temporali dalle quali (temporalmente e spazialmente) ci si immagina la loro assenza
CitazioneIl punto è che accanto alla constatazione dei limiti, si potrebbe anche riconoscere un legame analogico tra l'uomo e Dio,che permette all'uomo di poter speculare sulla natura divina pur restando in una posizione inferiore e subordinata. Questa analogia è data dal fatto che ciò che si può predicare dell'uomo lo si può predicare anche di Dio, ma in misura, nell'uomo, depotenziata rispetto a Dio.
Ma anche questa è una concezione posta a priori dall'uomo: c'è analogia tra me, uomo, e Dio; e chi lo dice? Io, uomo che sono certo finito, ma grazie a questa analogia con differenze solo quantitative posso parlare a proposito dell'infinito! L'infinito non ha solo una differenza solo quantitativa rispetto al finito, non è che tanto finito, faccia l'infinito.
Citazionetra Dio e logica non ci può essere contrapposizione, perchè la logica è solo, per così dire, un concetto, un insieme di regole formali con cui il pensiero considera la realtà non una realtà che potrebbe entrare in concorrenza con Dio.
E chi lo dice: l'uomo, Dio? La logica stessa? "La logica è solo un insieme di regole formali", e dici poco! le regole formali sono quelle che danno forma, che ci permettono di vedere, concepire e definire le cose, Dio compreso quando pretendiamo di rappresentarcelo! Già Aristotele aveva capito che nella forma c'è la sostanza. Questo Dio, principio primo dell'essere, che è la realizzazione somma della ragione, è creato dalla ragione, dunque è la ragione (ovviamente umana, dato che non ne conosciamo altre) che diventa così il principio primo dell'essere, Dio compreso. Ma lo fa di nascosto, perché ovviamente la ragione sa del suo limite e dunque non può presentarsi per quello che è, ma con una maschera divina sì, proprio come il ventriloquo che fa parlare il pupazzo.
Citazionesaremo 4 gatti a pensare che molti assunti dei sistemi metafisici della classicità o del medioevo siano tuttora validi.
Ma per forza che sono cambiati! E' cambiato il mondo che li concepisce, sono cambiati i modi di pensare, di sentire, di vivere! Forse che quei 4 gatti riescono a sentire e pensare come si sentiva e si pensava nel mondo classico e medioevale? Forse che si trovano fuori dal tempo così da vedere le cose come stanno e senza tempo, sub specie aeternitatis? Se tutti noi siamo figli del passato è ancor più vero che il passato è figlio del presente, è figlio del nostro modo di pensare e sentire che adesso e solo adesso così lo concepisce e se lo immagina. Quei "quattro gatti" non sostengono idee di secoli e millenni passati, ma idee di adesso che si agganciano con tanta nostalgia a un passato immaginato adesso per raffigurarsele eterne. E questo è inevitabile, perché nessuno sta fuori dal mondo in cui vive, non c'è specula o eremo che possa isolarlo, anche se vivendoci può immaginarsi di godere di uno sguardo che tutto sovrasta. E questa pretesa ce l'ha sia lo scientismo moderno, che chi si fissa sulle eterne verità teologiche di Agostino e Tommaso, perché questo pretendere di essere nella verità oggettiva è comunque un pretendere "umano, troppo umano", a testimonianza del suo umano non poter esserci mai. La differenza solo è che, dati i tempi e i contesti, il primo, nonostante si appoggi sulla stessa superstizione della verità in oggetto, appare ora ben più credibile dei secondi, a eccezione forse, che per quei quattro gatti.


Perchè una visione parziale dovrebbe essere in quanto tale errata? Se una persona conosce il mio nome e la mia città di provenienza, ma non conosce la mia famiglia, i miei amici, le mie idee, il mio stato d'animo, si può dire che certamente ha una visione parziale ed imperfetta del mio essere complessivo, ma non per questo, entro i limiti di tale parzialità non potrebbe formulare giudizi veri su ciò che di me conosce, il mio nome, la mia città. I limiti spaziotemporali sono costitutivi dell'uomo, ma l'uomo non si identifica del tutto con essi,altrimenti sarebbe solo un nulla, negatività. Invece l'uomo ha una sua positività, un insieme di potenzialità conoscitive, pratiche che lo rende partecipe dell' Essere e in quel modo simile, non identico, all'Essere nel senso pieno e perfetto del termine, Dio. I limiti spaziotemporali impediscono alla mente umana di accedere alla visione "sub specie aetarnitatis", quella dove in un solo istante si coglierebbero tutti gli eventi della storia, passato, presente, futuro, ma in virtù delle potenzialità positive possiamo comunque sapere qualcosa di Dio. Tommaso mi pare chiaro e inceppibile su questo punto all'inizio della Summa: ci sono degli aspetti della natura di Dio che la ragione può conoscere e dimostrare autonomamente (teologia naturale) e altri che restano misteriosi e che possiamo solo accettare per fede nella rivelazione (teologia rivelata)  Questo paradigma del "o tutto o niente", tipico della teologia negativa, non lo condivido...

Tanti finiti non fanno l'infinito, ma la totalità dei finiti invece lo fa. E perciò la distinzione finito-infinito resta meramente quantitativa, la visione infinita, comprendente la totalità dei finiti, si distingue dalla visione di un singolo soggetto finito per essere (infinitamente appunto), più ampia, "più", dunque una superiorità quantitativa che non produce differenze qualitative, non muta l'univocità semantica della categoria (potenza, conoscenza, amore...) a cui applichiamo questi predicati, finitezza o infinità. Il pennello di Van Gogh non cessa di essere un pennello se mi metto ad usarlo io, resta inalterato il suo senso, la sua funzionalità, la sua capacità di imprimere colori su una tela. Cambia certamente la modalità di utilizzo, abissalmente più raffinata, efficace, abile se usata da Van Gogh che da me...ma resta pur sempre un pennello. Vero che la totalità dei finiti segna un confine discreto, ben preciso, tra stadio della finitezza e dell'infinito, che non si tratta di un semplice "più o meno" ma non tutte le distinzioni discrete corrispondono a distinzioni qualitative. Dunque finita, o infinita, divina o umana,la potenza, la conoscenza restano qualitativamente tali, e tale costanza qualitativa, semantica permette di  impostare il discorso analogico, per il quale possiamo emettere giudizi su alcuni aspetti, non tutti, di Dio, in virtù del fatto che le categorie del giudizio mentengono lo stesso significato, sia in Dio che nell'uomo. Pensare che tali categorie siano unicamente appannaggio dell'uomo, sì che sarebbe un discorso antropocentrico, "umano troppo umano"...

Certamente il mondo cambia, ma bisogna chiarire il rapporto tra la mutevolezza del mondo e il tipo di verità a cui ci si riferisce. I giudizi sulla teologia si riferiscono a dei concetti che (a prescindere dal giudicare gli enti esistenti o meno) corrispondono a degli enti il cui significato rimanda a un piano di trascendenza rispetto alla contingenza spaziotemporale. La sfera dei principi fondamentali dell'essere, a prescindere dall'effettiva esistenza degli oggetti  con cui possiamo"riempire" questo piano, Dio, l'anima ecc. attiene a un piano sovratemporale (altrimenti non sarebbero principi) e dunque non può mutare col mutare con i tempi. Un conto è l'ovvia constatazione di quanto il contesto storico-culturale influenza le nostre opinioni un conto la pretesa che esistano tante verità quante siano i contesti. La verità  non è adeguazione alle opinioni, alla doxa, ma alle cose stesse oggettive, e segue la natura di tali cose, la verità riguardo i principi fondamentali del reale ne condivide i caratteri di necessità ed eternità, mentre la verità sulle cose relative e mutevoli saràessa stessa soggetta a contestualizzazione e mutamento. Proprio in questo consiste il compito della razionalità filosofica: rendere la conoscenza sempre meno vincolata ai pregiudizi storici soggettivi, che legano l'uomo alla contingenza per lasciar essere con meno filtri possibile il darsi fenomenico delle "cose stesse" nella loro oggettività. Il legame storicamente impossibile da spezzare con la contingenza fa sì che la visione delle cose stesse nella loro essenza non pervenga mai al massimo livello, alla visione "sub specie aeternitatis", fa sì che tale sforzo di aderenza all'oggettività sia una spinta inesausta, uno "streben" direbbero i romantici tedeschi, ma la verità così intesa, il sapere assoluto resta l'ideale regolativo della ricerca, l'orizzonte teleologico, mai adeguabile, ma meta ideale verso cui la conoscenza cerca di essere più possibile adeguata. C'è una differenza abissale tra la posizione della verità assoluta come ideale regolativo della ricerca filosofica e la presunzione dell'effetivo possesso nella storia di tale verità. E se la verità assoluta coincide con lo stadio della conoscenza divina, bene dice Edith Stein che  "chi cerca la verità cerca Dio senza saperlo"

maral

Paul, anche la mente umana è un prodotto del mondo empirico, non è qualcosa che sta fuori di esso, quindi anche la logica e la matematica fanno parte del mondo empirico e le leggi universali sono rese vere (concretamente vere) dai contesti empirici in cui possono apparire vere, quindi non sono entità eterne, nel senso che possono apparire e valere in ogni tempo e in ogni luogo o occasione, ma sono specificate da un dove, da un quando e soprattutto dai modi di pensare, di fare, di dire.
Il problema è che si tende a confondere sempre i modelli che il linguaggio produce con la fenomenologia del mondo (come rilevi anche tu), la tentazione è irresistibile, la mappa con il territorio. La mappa è nel territorio, ma il territorio non è mai davvero nella mappa ed è per questo che le mappe sono tante (mentre il territorio è uno solo) e più sono meglio è, ogni mappa reca il suo errore e la sua verità, il territorio no, è quello che è, né vero né falso, il territorio è sempre quello che è, ma solo nelle mappe lo si può vedere. Le mappe non nascono a caso, nascono dal territorio e lo rappresentano in parte, ma proprio poiché lo rappresentano non si possono rappresentare come quegli elementi del territorio che sono, si immaginano nel momento in cui pongono in atto la loro funzione rappresentativa (la loro "performance") al di sopra di esso. Ed è per questo che ogni mappa ha un inevitabile errore, non può vedersi nel territorio per vedere in sé il territorio.
Anch'io, ora che parlo in questo modo sto tracciando una mappa, usando gli strumenti di conoscenza e di pratica che so usare e che il mondo mi dà come disponili e mi ha insegnato a usare. E questa mappa mi convince, erroneamente di essere nel giusto. Erroneamente, perché nel momento in cui parla del mondo, di come è, non può che immaginarsi fuori dal mondo per parlarne. L'unico modo di rimediare forse all'errore è rimettere idealmente la mappa nel territorio, considerandone l'inevitabile parzialità e fallacia, fallacia che non è sintattica (cioè una mancanza rispetto alla regola logico deduttiva che mi è stata insegnata per costruire la mappa coerentemente), ma fondamentalmente semantica.
Ma come posso fare a ricollocare la mia mappa nel mondo se pretendo che essa sia la "mappa del mondo intero"? come posso fare a rimettere la mappa nel mondo se pretendo che mi dia addirittura ragione di Dio, l'essere infinito? Che me lo rappresenti per come "deve" essere (e non può non essere) secondo le regole della mappa? Non è allora una totalità panoramica ed eterna che vado a rappresentare in queste super mappe, ma è solo un mio sogno, per come il mondo (non io) adesso lo produce, il sogno che mi trovo ad abitare e ad esistere.

paul11

#18
Citazione di: maral il 05 Gennaio 2017, 20:45:50 PMPaul, anche la mente umana è un prodotto del mondo empirico, non è qualcosa che sta fuori di esso, quindi anche la logica e la matematica fanno parte del mondo empirico e le leggi universali sono rese vere (concretamente vere) dai contesti empirici in cui possono apparire vere, quindi non sono entità eterne, nel senso che possono apparire e valere in ogni tempo e in ogni luogo o occasione, ma sono specificate da un dove, da un quando e soprattutto dai modi di pensare, di fare, di dire. Il problema è che si tende a confondere sempre i modelli che il linguaggio produce con la fenomenologia del mondo (come rilevi anche tu), la tentazione è irresistibile, la mappa con il territorio. La mappa è nel territorio, ma il territorio non è mai davvero nella mappa ed è per questo che le mappe sono tante (mentre il territorio è uno solo) e più sono meglio è, ogni mappa reca il suo errore e la sua verità, il territorio no, è quello che è, né vero né falso, il territorio è sempre quello che è, ma solo nelle mappe lo si può vedere. Le mappe non nascono a caso, nascono dal territorio e lo rappresentano in parte, ma proprio poiché lo rappresentano non si possono rappresentare come quegli elementi del territorio che sono, si immaginano nel momento in cui pongono in atto la loro funzione rappresentativa (la loro "performance") al di sopra di esso. Ed è per questo che ogni mappa ha un inevitabile errore, non può vedersi nel territorio per vedere in sé il territorio. Anch'io, ora che parlo in questo modo sto tracciando una mappa, usando gli strumenti di conoscenza e di pratica che so usare e che il mondo mi dà come disponili e mi ha insegnato a usare. E questa mappa mi convince, erroneamente di essere nel giusto. Erroneamente, perché nel momento in cui parla del mondo, di come è, non può che immaginarsi fuori dal mondo per parlarne. L'unico modo di rimediare forse all'errore è rimettere idealmente la mappa nel territorio, considerandone l'inevitabile parzialità e fallacia, fallacia che non è sintattica (cioè una mancanza rispetto alla regola logico deduttiva che mi è stata insegnata per costruire la mappa coerentemente), ma fondamentalmente semantica. Ma come posso fare a ricollocare la mia mappa nel mondo se pretendo che essa sia la "mappa del mondo intero"? come posso fare a rimettere la mappa nel mondo se pretendo che mi dia addirittura ragione di Dio, l'essere infinito? Che me lo rappresenti per come "deve" essere (e non può non essere) secondo le regole della mappa? Non è allora una totalità panoramica ed eterna che vado a rappresentare in queste super mappe, ma è solo un mio sogno, per come il mondo (non io) adesso lo produce, il sogno che mi trovo ad abitare e ad esistere.



La mente umana è correlata al mondo fisico naturale dal cervello analogico con le sue proprietà innate  al mondo in cui ad esempio si possono analizzare fisicamente neuroni, attività, ecc, ma la mente i non si "vede" sperimentalmente e nemmeno i pensieri.Trovo che sia proprio il rapporto fra mente e cervello il trascendente, il luogo in cui i linguaggi prendono forma e costruiscono le sintassi e le semantiche.La mente, come la logica, la matematica, i linguaggi, non sono il prodotto del dominio fisico/naturale, ma li trascende e li correla come nel rapporto cervello-mente.
E' proprio in questo sta la qualità umana, la possiblità di vivere fisicamente nel mondo fisico ,ma di trascenderlo linguisticamente.
La logica non è ontologicamente del dominio fisico, ma lo "legge", lo interpreta, lo modella sintatticamente.
la contraddizione, ripeto è sostenere che essendo l'uomo costruito e costituito nel mondo fisico, tutte le sue qualità appartengano ontologicamente al mondo fisico per cui l'episteme è da ricercare nel mondo fisico.
D'altra parte quale animale potrebbe sostenere il concreto e l'astratto, la realtà e la fantasia?
Se linguisticamente sono descrivibili  è la prova che esiste comunque l'astrazione e la fantasia.

L'uomo è quindi il "ponte" fra dominio fisico/naturale e domino trascendente/metafisico.
Il problema quindi non è tanto nell'accettare i due domini in cui l'uomo mentalmente è parte, ma linguisticamente come individuare la verificabilità della forma sintattica e semantica che descriva il dominio trascendente, così come l'uomo lo compie con le scienze fisico/naturali
In altre parole, più mi allontano trascendendo linguisticamente dal dominio fisico/naturale e mi inoltro nel trascendente/metafisico e più entro nelle nebbie del contrasto realtà/illusione.

Kant, per rimanere nel topic, dichiara il noumeno.Non nega la possibilità umana del trascendere, ma vivendo nel tempo del razionalismo cartesiano, dell'empirismo e illuminismo, non si inoltra nelle nebbie metafisiche e arrestando il pensiero della ragion pura dichiara appunto il noumeno.

Infine, è proprio l'uomo fisicamente vivente nel dominio fisco/naturale a rappresentare, a incarnare la contraddizione esistenziale dei due modelli : fisica e metafisica, ma accomunati dal linguaggio logico formale,anche se non so se questo sia da solo idoneo.

maral

Citazione di: davintro il 05 Gennaio 2017, 20:14:48 PM
Perchè una visione parziale dovrebbe essere in quanto tale errata?
Perché esclude il contesto di cui è parte e che la determina per come si manifesta vera, ossia esclude proprio la ragione della sua verità, ponendosi nella sua parzialità fuori e sopra il contesto che ne costituisce la radice per immaginare di poter vedere la verità in oggetto. E qui è proprio la verità di una totalità la questione, ma la verità della totalità ovviamente non può essere colta da alcuna versione parziale, non è qualcosa che si costruisce pezzo per pezzo spostandosi da una parte all'altra e poi sommando il tutto, non è una questione additiva proprio perché il rapporto tra parti e tutto non è semplicemente quantitativo, ma è dato da una qualità radicalmente diversa. Proprio il concetto di "totalità dei finiti" è qualitativamente diverso da un numero espresso per sommatoria contabile.
Per questo l'infinito non è solo qualcosa di quantitativamente diverso da finito, ha una qualità e un significato diverso anche se riferito allo stesso tipo di cose, esprime una qualità diversa che si riferisce a quell' "oggetto" qualitativamente diverso che è appunto la totalità di quelle cose.
E non trovo nemmeno vero che il pennello di Van Gogh resti lo stesso se lo usi tu o Van Gogh, resta lo stesso solo nei termini di una pura astrazione, ossia prendendo l'idea-significato di quel pennello come del tutto separabile dal modo di usarlo e da chi in un determinato momento della giornata, del tempo e dello spazio (fisico e culturale) lo usa. Beninteso, questo di considerare le cose come oggetti perfettamente separabili, anziché come modi di accadere, è quello che facciamo sempre, automaticamente ogni volta che le concepiamo, ma proprio per tale motivo restiamo, pur partecipandovi, estranei alla reale totalità che in esse si presenta.
I confini discreti sono fondamentali per poter pensare, ma fanno parte delle mappe, della lettura e utilizzo della realtà (ovvero del sogno di poterla utilizzare in questo o quel modo), non della realtà.
Ed è proprio questa realtà che si colloca sopra il piano spazio temporale che è il piano della mappa perché solo su questo piano ogni mappa può essere e viene tracciata, ma ciò che in essa è tracciato non è la realtà, ma appunto le sue infinite rappresentazioni di significato e queste variano continuamente per poter dare ragione della realtà che è la loro eterna, immutabile, sempre presente (un presente che non è semplicemente il presente che sta all'incrocio tra passato e futuro), totale e unica (che non è l'unicità contrapposta ai molti, ma l'unicità che è i molti, plurale) entità.
Per questo il mondo cambia e nulla in esso è definitivo e ogni definizione presa in sé, per quanto utile, lo falsifica arbitrariamente, per questo non vi è altro mondo al di fuori di questo: immutabile nel suo essere, ma sempre mutevole nel suo venire a rappresentarsi nella forma dei suoi tanti significati e dei suoi tanti simboli (divinità comprese).
   




maral

Citazione di: paul11 il 05 Gennaio 2017, 22:46:01 PM
La mente umana è correlata al mondo fisico naturale dal cervello analogico con le sue proprietà innate  al mondo in cui ad esempio si possono analizzare fisicamente neuroni, attività, ecc, ma la mente i non si "vede" sperimentalmente e nemmeno i pensieri. Trovo che sia proprio il rapporto fra mente e cervello il trascendente, il luogo in cui i linguaggi prendono forma e costruiscono le sintassi e le semantiche.La mente, come la logica, la matematica, i linguaggi, non sono il prodotto del dominio fisico/naturale, ma li trascende e li correla come nel rapporto cervello-mente.
E' proprio in questo sta la qualità umana, la possiblità di vivere fisicamente nel mondo fisico ,ma di trascenderlo linguisticamente.
La logica non è ontologicamente del dominio fisico, ma lo "legge", lo interpreta, lo modella sintatticamente.
la contraddizione, ripeto è sostenere che essendo l'uomo costruito e costituito nel mondo fisico, tutte le sue qualità appartengano ontologicamente al mondo fisico per cui l'episteme è da ricercare nel mondo fisico.
D'altra parte quale animale potrebbe sostenere il concreto e l'astratto, la realtà e la fantasia?
Se linguisticamente sono descrivibili  è la prova che esiste comunque l'astrazione e la fantasia.
In realtà mi pare che anche quello che intendiamo come mondo fisico naturale sia solo una mappa. I cervelli e i neuroni non sono cose, ma parole che esprimono significati che il linguaggio scientifico attuale presenta e indica nelle modalità con cui si esprime. Dire cervello o dire mente, o anima è questione di mappature linguistiche che indicano ciò a cui si riferiscono in ambiti di riferimento delimitati in cui si manifestano delle evidenze secondo una consequenzialità che quel linguaggio presenta e verifica seguendo le proprie regole esplicite o implicite, affinché la mappa si mantenga utilmente affidabile. La realtà primaria possiamo anche chiamarla "noumeno", ma anche noumeno è solo una parola, un modo con cui la si vuole dire, mantenendola nell'indeterminatezza inaccessibile al pensiero, così da esserne la matrice, oppure in un senso del tutto tautologico, come l'ente di Severino, che è definito solo dalla perfetta tautologia del suo essere per cui, qualsiasi cosa sia, è sempre quello che è e dunque non potrà mai diventare altro, per logica eternamente fedele a se stesso. Qualsiasi cosa sia, ma cosa è se non una dialettica infinita che può concludersi solo nell'astratto formale del principio logico?
Il mondo empirico a cui mi riferivo non è quindi tanto quello descritto dalla fisica o dalla fisiologia, quanto il primo segno di qualcosa che accade o forse l'ultimo segno che lascia l'interpretazione chiudendo il suo cerchio, è come un urlo o un respiro che ripetendosi in una primitiva modulazione performativa lascia tracce venendo a significare, ma ancora non sa dire cos'è o non lo sa più e non c'è ancora e non c'è più parola che possa dirlo, perché per dirlo occorre che la parola e la cosa si separino pur restando sempre tra loro legate, come desiderandosi. In questo modo si determinano continuamente delle polarità entro la quale il linguaggio può disegnare delle mappe e interpretare e trattenere dei segni che si presentano come simboli, creare significati per delle cose, distinguere sogni e fantasie dal reale accadere e illudersi di poter afferrare ciò che in sé è reale e ha effetto da ciò che è irreale e non ha effetto, salvo poi scoprire ogni volta che ciò che ora appare irreale, il sogno, ha avuto ben più effetto di ogni reale, che solo i sogni hanno effetti reali.
C'è un punto di rottura su cui l'uomo resta in bilico, ma questa rottura non è precedente all'uomo, non vi sono domini fisico/naturali e trascendenti/metafisici che siano prima di una forma di coscienza, è piuttosto la forma di coscienza stessa che sentiamo appartenere alla nostra forma, a essere nell'unità del tutto il punto di rottura, ma anche questo è solo una metafore, solo un modo di dire che tenta di cogliere quello che è impossibile cogliere. Prima non c'è nulla pur essendoci tutto e la prima parola separa il nulla dal tutto per poter dire qualcosa e dargli forma, quella forma che è, contrapposta alle altre che non è e in quella sua forma trattenerlo per goderne, afferrarlo o per respingerlo esorcizzandolo. La prima parola è una sorta di atto puro che si esprime in una negazione, un "non" che separa (A non è B, la fame non è la sazietà, io non sono tu e perciò sono io). L'uomo in questo senso è colui che può dire "non" e dirlo sempre meglio per trattenere dei segni ed evocare delle cose allontanandone altre, evocare anche quello che è prima del "non" e che sarà dopo il "non", perché anche il "non" che distingue e separa non è e quindi si cerca di trattenerlo.  
E' in virtù delle modulazioni del "non" che dei domini con i loro significati pertinenti possono apparire ed essere verificati secondo regole sintattiche e semantiche che appartengono a quei domini stessi e operano ulteriori distinzioni facendo emergere nuovi significati e quindi nuove distinzioni e così avanti all'infinito, finché non resta che la prima parola che è appunto solo una parola, primo e ultimo atto di una coscienza che divide. oltre il quale non c'è nulla perché c'è tutto, quello che c'è, è sempre stato e sempre sarà, né sogno né realtà, né parola né cosa.

paul11

Citazione di: maral il 06 Gennaio 2017, 18:19:03 PM
Citazione di: paul11 il 05 Gennaio 2017, 22:46:01 PM
La mente umana è correlata al mondo fisico naturale dal cervello analogico con le sue proprietà innate  al mondo in cui ad esempio si possono analizzare fisicamente neuroni, attività, ecc, ma la mente i non si "vede" sperimentalmente e nemmeno i pensieri. Trovo che sia proprio il rapporto fra mente e cervello il trascendente, il luogo in cui i linguaggi prendono forma e costruiscono le sintassi e le semantiche.La mente, come la logica, la matematica, i linguaggi, non sono il prodotto del dominio fisico/naturale, ma li trascende e li correla come nel rapporto cervello-mente.
E' proprio in questo sta la qualità umana, la possiblità di vivere fisicamente nel mondo fisico ,ma di trascenderlo linguisticamente.
La logica non è ontologicamente del dominio fisico, ma lo "legge", lo interpreta, lo modella sintatticamente.
la contraddizione, ripeto è sostenere che essendo l'uomo costruito e costituito nel mondo fisico, tutte le sue qualità appartengano ontologicamente al mondo fisico per cui l'episteme è da ricercare nel mondo fisico.
D'altra parte quale animale potrebbe sostenere il concreto e l'astratto, la realtà e la fantasia?
Se linguisticamente sono descrivibili  è la prova che esiste comunque l'astrazione e la fantasia.
In realtà mi pare che anche quello che intendiamo come mondo fisico naturale sia solo una mappa. I cervelli e i neuroni non sono cose, ma parole che esprimono significati che il linguaggio scientifico attuale presenta e indica nelle modalità con cui si esprime. Dire cervello o dire mente, o anima è questione di mappature linguistiche che indicano ciò a cui si riferiscono in ambiti di riferimento delimitati in cui si manifestano delle evidenze secondo una consequenzialità che quel linguaggio presenta e verifica seguendo le proprie regole esplicite o implicite, affinché la mappa si mantenga utilmente affidabile. La realtà primaria possiamo anche chiamarla "noumeno", ma anche noumeno è solo una parola, un modo con cui la si vuole dire, mantenendola nell'indeterminatezza inaccessibile al pensiero, così da esserne la matrice, oppure in un senso del tutto tautologico, come l'ente di Severino, che è definito solo dalla perfetta tautologia del suo essere per cui, qualsiasi cosa sia, è sempre quello che è e dunque non potrà mai diventare altro, per logica eternamente fedele a se stesso. Qualsiasi cosa sia, ma cosa è se non una dialettica infinita che può concludersi solo nell'astratto formale del principio logico?
Il mondo empirico a cui mi riferivo non è quindi tanto quello descritto dalla fisica o dalla fisiologia, quanto il primo segno di qualcosa che accade o forse l'ultimo segno che lascia l'interpretazione chiudendo il suo cerchio, è come un urlo o un respiro che ripetendosi in una primitiva modulazione performativa lascia tracce venendo a significare, ma ancora non sa dire cos'è o non lo sa più e non c'è ancora e non c'è più parola che possa dirlo, perché per dirlo occorre che la parola e la cosa si separino pur restando sempre tra loro legate, come desiderandosi. In questo modo si determinano continuamente delle polarità entro la quale il linguaggio può disegnare delle mappe e interpretare e trattenere dei segni che si presentano come simboli, creare significati per delle cose, distinguere sogni e fantasie dal reale accadere e illudersi di poter afferrare ciò che in sé è reale e ha effetto da ciò che è irreale e non ha effetto, salvo poi scoprire ogni volta che ciò che ora appare irreale, il sogno, ha avuto ben più effetto di ogni reale, che solo i sogni hanno effetti reali.
C'è un punto di rottura su cui l'uomo resta in bilico, ma questa rottura non è precedente all'uomo, non vi sono domini fisico/naturali e trascendenti/metafisici che siano prima di una forma di coscienza, è piuttosto la forma di coscienza stessa che sentiamo appartenere alla nostra forma, a essere nell'unità del tutto il punto di rottura, ma anche questo è solo una metafore, solo un modo di dire che tenta di cogliere quello che è impossibile cogliere. Prima non c'è nulla pur essendoci tutto e la prima parola separa il nulla dal tutto per poter dire qualcosa e dargli forma, quella forma che è, contrapposta alle altre che non è e in quella sua forma trattenerlo per goderne, afferrarlo o per respingerlo esorcizzandolo. La prima parola è una sorta di atto puro che si esprime in una negazione, un "non" che separa (A non è B, la fame non è la sazietà, io non sono tu e perciò sono io). L'uomo in questo senso è colui che può dire "non" e dirlo sempre meglio per trattenere dei segni ed evocare delle cose allontanandone altre, evocare anche quello che è prima del "non" e che sarà dopo il "non", perché anche il "non" che distingue e separa non è e quindi si cerca di trattenerlo.  
E' in virtù delle modulazioni del "non" che dei domini con i loro significati pertinenti possono apparire ed essere verificati secondo regole sintattiche e semantiche che appartengono a quei domini stessi e operano ulteriori distinzioni facendo emergere nuovi significati e quindi nuove distinzioni e così avanti all'infinito, finché non resta che la prima parola che è appunto solo una parola, primo e ultimo atto di una coscienza che divide. oltre il quale non c'è nulla perché c'è tutto, quello che c'è, è sempre stato e sempre sarà, né sogno né realtà, né parola né cosa.
Maral,
...cosa dire, hai scritto il post che indica il movimento gnoseologico/epistemologico a cui facevo riferimento.
Ed è in questo che Kant è precursore e ritenuto fra i "grandi".
Sono sostanzialmente d'accordo con te.
Personalmente ritengo l'uomo centrale nel processo gnoseologico in quanto capace di confrontare negativamente e positivamente il processo relazionare fra esistenza e trascendenza espresso nei linguaggi, e sono per fare degli esempi limitati , l'analisi-sintesi -enumerazione della razionalità cartesiana, la dialettica hegeliana,
Quindi è il confronto fra i domini che spezza i limiti con il pensare induttivamente che deduttivamente

davintro

#22
Citazione di: maral il 06 Gennaio 2017, 10:35:54 AM
Citazione di: davintro il 05 Gennaio 2017, 20:14:48 PMPerchè una visione parziale dovrebbe essere in quanto tale errata?
Perché esclude il contesto di cui è parte e che la determina per come si manifesta vera, ossia esclude proprio la ragione della sua verità, ponendosi nella sua parzialità fuori e sopra il contesto che ne costituisce la radice per immaginare di poter vedere la verità in oggetto. E qui è proprio la verità di una totalità la questione, ma la verità della totalità ovviamente non può essere colta da alcuna versione parziale, non è qualcosa che si costruisce pezzo per pezzo spostandosi da una parte all'altra e poi sommando il tutto, non è una questione additiva proprio perché il rapporto tra parti e tutto non è semplicemente quantitativo, ma è dato da una qualità radicalmente diversa. Proprio il concetto di "totalità dei finiti" è qualitativamente diverso da un numero espresso per sommatoria contabile. Per questo l'infinito non è solo qualcosa di quantitativamente diverso da finito, ha una qualità e un significato diverso anche se riferito allo stesso tipo di cose, esprime una qualità diversa che si riferisce a quell' "oggetto" qualitativamente diverso che è appunto la totalità di quelle cose. E non trovo nemmeno vero che il pennello di Van Gogh resti lo stesso se lo usi tu o Van Gogh, resta lo stesso solo nei termini di una pura astrazione, ossia prendendo l'idea-significato di quel pennello come del tutto separabile dal modo di usarlo e da chi in un determinato momento della giornata, del tempo e dello spazio (fisico e culturale) lo usa. Beninteso, questo di considerare le cose come oggetti perfettamente separabili, anziché come modi di accadere, è quello che facciamo sempre, automaticamente ogni volta che le concepiamo, ma proprio per tale motivo restiamo, pur partecipandovi, estranei alla reale totalità che in esse si presenta. I confini discreti sono fondamentali per poter pensare, ma fanno parte delle mappe, della lettura e utilizzo della realtà (ovvero del sogno di poterla utilizzare in questo o quel modo), non della realtà. Ed è proprio questa realtà che si colloca sopra il piano spazio temporale che è il piano della mappa perché solo su questo piano ogni mappa può essere e viene tracciata, ma ciò che in essa è tracciato non è la realtà, ma appunto le sue infinite rappresentazioni di significato e queste variano continuamente per poter dare ragione della realtà che è la loro eterna, immutabile, sempre presente (un presente che non è semplicemente il presente che sta all'incrocio tra passato e futuro), totale e unica (che non è l'unicità contrapposta ai molti, ma l'unicità che è i molti, plurale) entità. Per questo il mondo cambia e nulla in esso è definitivo e ogni definizione presa in sé, per quanto utile, lo falsifica arbitrariamente, per questo non vi è altro mondo al di fuori di questo: immutabile nel suo essere, ma sempre mutevole nel suo venire a rappresentarsi nella forma dei suoi tanti significati e dei suoi tanti simboli (divinità comprese).

Sono il primo ad ammettere che ogni realtà complessa, non solo Dio, non sia riducibile a "somma delle parti", ma si costituisca olisticamente come un organismo fatto di un insieme di relazioni, rapporti logici che legano i singoli elementi (a questo punto continuare a parlare di "parti", di una ripartizione spaziale è fuorviante) tra loro. Comprendere le relazioni che legano un singolo elemento all'intero approfondisce la conoscenza della sua natura, tuttavia non si dovrebbe cadere nell'errore di dedurre dalla necessità di considerare le relazioni come necessario fattore costitutivo del reale l'idea che la visione globale di un fenomeno debba tradursi nell'indifferenziato, nella "notte in cui tutte le vacche sono nere" nella quale non è possibile cogliere le distizioni semantiche tra un singolo aspetto e un altro. Questo perchè non tutte le relazioni hanno lo stesso significato, e non tutte contribuiscono a determinare l'essere di tutti i termini che collegano allo stesso modo. Cioè ogni relazione approfondisce il senso dei loro termini solo per alcuni aspetti e non per tutti. Perciò non è necessario che io conosca tutte le possibili relazioni che legano un ente alla totalità del reale per poter emettere particolari giudizi di verità su quell'ente. Per sapere quale corso di studi sta frequentando una certa persona devo conoscere la relazione che la lega alla struttura universitaria mentre mi è indifferente conoscere le sue relazioni familiari, i suoi genitori. Nel caso di cui stavamo parlando, ciò a cui la ragione può arrivare, il riconoscimento dell'onniscienza di Dio e ciò che in virtù dei nostri limiti storici è precluso al nostro sapere, l'effettivo contenuto della mente divina, non si pongono come termini di una relazione causale, non è che l'effettivo contenuto della mente divina "causi" la sua onnipotenza, o viceversa(qua utilizzo il concetto di "causa" nel senso più comune, quello di causa efficiente). Si tratta di una relazione di specificazione, ciò che concretamente Dio conosce specifica, "riempie" di un determinato contenuto la categoria di per sè formale e generale di "onniscenza" che però, proprio in quanto formale è riconoscibile a prescindere dai contenuti Quindi io non ho bisogno di condividere lo stesso contenuto del sapere divino per poter emettere giudizi sulla categoria formale a cui quel contenuto si riferisce, perchè categoria generale e specifico contenuto attengono a due livelli ontologici distinti, ontologia formale e ontologia materiale a cui corrispondono distinte metodologie, distinti ordini di verità, distinte "regioni dell'essere". Ogni relazione arricchisce di significato gli enti che li collegano, ma ciascuna per differenti aspetti. Certamente, a livello esistenziale tali aspetti interagiscono fra loro ma a livello logico-gnoseologico la molteplicità degli aspetti è correlata a una molteplicità di questioni nei cui confronti possiamo emettere giudizi di verità, senza che un certo giudizio di verità sia necessitato dalla conoscenza della verità circa altre questioni. Tornando all'esempio di prima: può essere che quel ragazzo segua quel corso di studi universitario in quanto convinto dai propri genitori (interazione esistenziale degli aspetti che entrano in relazione), ma io posso comunque emettere un giudizio di verità sul fatto che egli frequenta un certo corso di laurea senza che tale presunzione di verità sia compromessa dall'ingoranza delle cause familiari che lo hanno portato a scegliere in quel modo (isolamento logico delle singole questioni riguardo la natura delle cose e dei singoli valori di verità dei vari aspetti). L'analisi logica, pur coi suoi limiti, resta cioè lo strumento valido di conoscenza indipendentemente dal carattere olistico,organico e globalistico dei  fenomeni: la conoscenza di un singola verità rivolta ad una singola questione  non è necessitata dalla conoscenza della verità di tutte le questioni circostanti. La non contrapposizione di analisi logica e olismo ontologico riflette proprio la distinzione mappa-territorio. Il suo non essere "territorio" non inficia il valore interpretativo-teoretico della mappa proprio perchè  la ragion d'essere della mappa non si identifica con il senso d'essere del territorio, e non può essere da questo contraddetto, attenendo i due sensi a distinti piani dell'essere non tra loro sovrapponibili e dunque non confliggenti

maral

#23
Citazione di: davintro il 09 Gennaio 2017, 16:17:07 PM
Sono il primo ad ammettere che ogni realtà complessa, non solo Dio, non sia riducibile a "somma delle parti", ma si costituisca olisticamente come un organismo fatto di un insieme di relazioni, rapporti logici che legano i singoli elementi (a questo punto continuare a parlare di "parti", di una ripartizione spaziale è fuorviante) tra loro. Comprendere le relazioni che legano un singolo elemento all'intero approfondisce la conoscenza della sua natura,
Approfondisce solo se tu intendi il singolo elemento come precedente alle relazioni, in realtà si può considerare ogni singolo elemento come prodotto dall'intero relazionale, nei diversi modi in cui queste relazioni si verificano (e in questo senso, l'elemento è parte, ossia uno degli infiniti modi possibili, della totalità relazionale)
Citazionetuttavia non si dovrebbe cadere nell'errore di dedurre dalla necessità di considerare le relazioni come necessario fattore costitutivo del reale l'idea che la visione globale di un fenomeno debba tradursi nell'indifferenziato, nella "notte in cui tutte le vacche sono nere" nella quale non è possibile cogliere le distizioni semantiche tra un singolo aspetto e un altro.
Ma nella realtà in sé è proprio così: tutte le vacche sono nere, anzi non appare proprio nessuna vacca e nessun colore. Le vacche con gli infiniti loro colori appaiono solo assumendo un punto di prospettiva, nella parzialità di questo punto di prospettiva. La frase che hai citato è di Hegel e non per niente, Hegel riteneva di aver raggiunto con la sua filosofia la prospettiva di ogni prospettiva, di aver compiuto il cammino filosofico. Ora. la filosofia hegeliana è certo un capolavoro, ma povero Hegel anche lui aveva preso un immenso abbaglio e non tutti i torti aveva Schopenhauer.
Le relazioni appaiono combinarsi in modo diverso in ogni ente, ma noi non abbiamo la visione della totalità relazionale di ogni ente e quindi non possiamo dire nulla con certezza su di esso, qualsiasi cosa la diciamo dal nostro punto di vista che istituisce con quell'ente delle relazioni. Ma figuriamoci addirittura se è possibile con quell'Ente supremo che è Dio!
Non possiamo, se non da un punto di vista particolare che è quello che assumiamo (o meglio, da cui veniamo assunti) stabilire oggettivamente i significati, i significati sono relazioni che coinvolgono soggetto e oggetto, sono il risultato del loro modo relazionale di porsi.
CitazioneNel caso di cui stavamo parlando, ciò a cui la ragione può arrivare, il riconoscimento dell'onniscienza di Dio e ciò che in virtù dei nostri limiti storici è precluso al nostro sapere, l'effettivo contenuto della mente divina, non si pongono come termini di una relazione causale, non è che l'effettivo contenuto della mente divina "causi" la sua onnipotenza, o viceversa(qua utilizzo il concetto di "causa" nel senso più comune, quello di causa efficiente).
La posizione dell'onniscienza divina è accettabile solo come tautologia. Ossia avendo assunto Dio come essere supremo, come già diceva il buon Anselmo d'Aosta in merito all'esistenza, Egli non può che essere onnisciente riguardo alla conoscenza. Ma questo non dice nulla in merito alla sua onniscienza (e men che meno sulla validità del presupposto assunto come fece poi notare Kant).  
CitazioneL'analisi logica, pur coi suoi limiti, resta cioè lo strumento valido di conoscenza indipendentemente dal carattere olistico,organico e globalistico dei  fenomeni
Ma no, l'analisi fenomenologica è fondamentale almeno quanto ogni pretesa metafisico ontologica. Da dove discende l'ontologia se non da una fenomenologia? Non puoi pensare che basti un'analisi solo formale, a meno che non si tratti di una pura tautologia che essendo sempre vera è del tutto indifferente a ciò che dice e quindi  qualsiasi cosa dica (qualunque sia il suo contenuto), se sintatticamente corretta, di per sé è sempre vera. Se Dio è fenomenologicamente irraggiungibile, a meno che non si tratti di una pura tautologia, la sua verità resta irraggiungibile e la sua onniscienza può essere solo arbitrariamente spiegata come formalità senza contenuto. Mappa e territorio viaggiano sempre insieme, come il segno e la cosa che esso indica, la verità del segno non può prescindere da quello che con quel segno, secondo una certa grammatica, si indica altrimenti non è verità, ma pura correttezza sintattica senza alcuna valenza semantica.

Discussioni simili (5)