Quell'Astrattista di Kant

Aperto da Voltaire, 12 Dicembre 2016, 20:10:41 PM

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Voltaire

CitazioneQui vi mostro un embrione che spero di dare alla vita con questo topic:
"la razionalità è un linguaggio umano che verosimilmente,, ma non certamente, corrisponde ad una realtà., non è natura.Ovvero è un linguaggio simulativo umano per costruire modelli di rappresentazione del mondo e le sue relazioni."
Diceva paul11 impregnato dall'astrattismo kantiano.

Mia tesi: "Il reale è razionale: la razionalità è propria della natura, non è solo un linguaggio simulativo dell'uomo"

Il concetto di causa effetto è dato dal tempo, dal cambiamento di un oggetto nel tempo dopo aver subito un azione. Dalla differenza del suo stadio iniziale rispetto a quello finale subendo un azione.
Diciamo che una cosa è causa di un altra perché è agente che ha modificato lo stadio iniziale di quella cosa.
Senza il concetto del tempo non potrebbe esserci quello della causalità.
Nell'universo tetradimensionale che sperimentiamo la causalità non è funzione, ma è conseguenza del tempo.

Perché la razionalità è un linguaggio umano?
"
Il termine razionalità, dal latino"ratio"indica l'essere in una logica sequenziale stabilita. " Da wikipedia
Perché la razionalità è comune agli esseri che percepiscono il tempo

Perché la razionalità appartiene anche agli enti inanimati, che non possono percepire la dimensione del tempo?

Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo, queste infatti non hanno riscontro nella realtà. Nella realtà sperimentiamo le 4 dimensioni (convenzioni con riscontro nel reale), ma ciò non è imputabile alla struttura della nostra mente ma a quella della realtà.
Il fatto che noi percepiamo 4 dimensioni è indicatore che la realtà sia formata da queste 4 dimensioni, non solo per gli esseri razionali (o animali) ma anche per gli enti inanimati.
Detto in modo sintetico: Non siamo noi fatti in modo strano, è il mondo ad esserlo.

La razionalità è comune agli esseri che sono "immersi" nel tempo
Kant parla di cose astratte che non hanno riscontro nel reale

Angelo Cannata

Immagino che tu abbia scritto questo post usando il tuo cervello.
Anche questa mia risposta è stata scritta usando il mio cervello.
Come facciamo a sapere se tu o io siamo stati ingannati dai nostri cervelli? Per verificare ciò non c'è modo di farlo che non sia a sua volta inquinato dall'uso del nostro cervello.  Anche se ci serviremo di strumenti scientifici, tutto ciò che tali strumenti diranno dovrà comunque passare alla fine attraverso il filtro del nostro cervello. È impossibile per l'uomo controllare alcunché senza usare il proprio cervello. Perciò è impossibile stabilire se, in che cosa e in che misura il nostro cervello ci inganna. Di conseguenza è umanamente impossibile parlare di realtà, meccanismi, rapporti indipendenti dal nostro modo di immaginarli.
Per quanto riguarda, per esempio, il rapporto di causa ed effetto, qualunque sia il modo in cui lo comprendiamo, tale modo sarà sempre filtrato dal nostro cervello, quindi ultimamente incontrollabile, ultimamente non verificabile riguardo alla sua eventuale falsità, al suo essere nient'altro che un inganno. Anche su tutte le cose che ti sto scrivendo adesso non ho alcuna possibilità di controllo, poiché me le sta dettando il mio cervello e non ho alcun modo di controllare il mio cervello senza usare esso stesso, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato.
Io, te e tutti quanti nel mondo potremmo essere nient'altro che dei pazzi che pensano e dicono follie in continuazione; non ci sarebbe alcun modo di verificare ciò.

InVerno

Citazione di: Angelo Cannata il 13 Dicembre 2016, 02:03:43 AM
Io, te e tutti quanti nel mondo potremmo essere nient'altro che dei pazzi che pensano e dicono follie in continuazione; non ci sarebbe alcun modo di verificare ciò.
Diciamo pure che anche se è vero che i "pazzi" si sentono completamente a loro agio nella loro forma mentis che considerano LA Realtà,  ci sono alcune caratteristiche che ce li fanno considerare come "pazzi".
- vivono attraverso piani di realtà incomunicabili ad altri esseri viventi
- non riescono a sfruttare la realtà a sufficienza nemmeno per sopravvivere (se non aiutati)
Insomma, relativizzare è un conto, ma l'idea che potremmo essere tutti pazzi è assurda. Siamo arrivati sulla luna, questo significa che per quanta distanza possa esserci tra noi e la realtà, la nostra comprensione del mondo è sufficientemete accurata dal poterci permettere di sfruttarla come nessun altro essere senziente a noi conosciuto. Non puoi impugnare un bastone se ti mancano le mani. E questo a mio avviso è dato proprio dalla nostra capacità di interagire con la dimensione temporale della realtà. Che non è detto che sia "l'ultima", ma con queste 4 si combina qualcosina.
Ciò che si confonde a mio avviso, è il linguaggio, l'espressione della razionalità, con la razionalità stessa che è insita nelle cose.
Sono quindi d'accordo con Voltaire per la maggior parte, e anche molto interessato allo sviluppo del thread visto che proprio ultimamente mi sto interessando di linguaggio e tetradimensionalità. In particolare le posizioni sul linguaggio di Wittgenstein, Cioran e Chomsky che magari sarebbe utile far entrare nel thread al momento opportuno.

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 13 Dicembre 2016, 02:03:43 AM
Immagino che tu abbia scritto questo post usando il tuo cervello.
Anche questa mia risposta è stata scritta usando il mio cervello.
Come facciamo a sapere se tu o io siamo stati ingannati dai nostri cervelli? Per verificare ciò non c'è modo di farlo che non sia a sua volta inquinato dall'uso del nostro cervello.  Anche se ci serviremo di strumenti scientifici, tutto ciò che tali strumenti diranno dovrà comunque passare alla fine attraverso il filtro del nostro cervello. È impossibile per l'uomo controllare alcunché senza usare il proprio cervello. Perciò è impossibile stabilire se, in che cosa e in che misura il nostro cervello ci inganna. Di conseguenza è umanamente impossibile parlare di realtà, meccanismi, rapporti indipendenti dal nostro modo di immaginarli.
Per quanto riguarda, per esempio, il rapporto di causa ed effetto, qualunque sia il modo in cui lo comprendiamo, tale modo sarà sempre filtrato dal nostro cervello, quindi ultimamente incontrollabile, ultimamente non verificabile riguardo alla sua eventuale falsità, al suo essere nient'altro che un inganno. Anche su tutte le cose che ti sto scrivendo adesso non ho alcuna possibilità di controllo, poiché me le sta dettando il mio cervello e non ho alcun modo di controllare il mio cervello senza usare esso stesso, il quale però è proprio l'indagato, il sospettato.
Io, te e tutti quanti nel mondo potremmo essere nient'altro che dei pazzi che pensano e dicono follie in continuazione; non ci sarebbe alcun modo di verificare ciò.
CitazioneIn che senso "si usa" il cervello?
In che senso i cervelli possono "ingannare"?

I cervelli sono organi che ricevono impulsi elettrici, tramite i nervi sensitivi, dagli organi si senso, in seguito a sollecitazioni (fisiche) di questi ultimi da parte di enti ed eventi materiali - naturali, li "elaborano " ed emettono impulsi elettrici lungo i nervi motori, i quali provaocano contrazioni muscolari.
Di più non fanno.
In particolare non pensano.
I pensieri (le sensazioni interiori o mentali dei pensieri, le quali costituiscono i pensieri), esattamente come gli oggetti materiali (le sensazioni materiali o esteriori che costituiscono le "cose materiali" sentite o percepite, esperite) fanno parte della coscienza (l' esperienza cosciente) e non sono propriamente prodotti o causati dai cervelli, i quali (nell' ambito della parte materiale-naturale delle esperienze fenomeniche coscienti) producono o causano propriamente soltanto contrazioni muscolari; o al limite secrezioni ghiandolari).
E' vero che non ci possono essere pensieri senza cervelli vivi e funzionanti (ma nemmeno viceversa). Però si tratta di cose diverse, semplicemente coesistenti necessariamente e biunivovìcamente corrispondenti (ogni certo, deternìminato stato di coscienza corrisponde a un certo, determinato stato funzionale cerebrale e a nessun altro, e ogni certo, determinato stato funzionale cerbrale di un certo tipo -non quelli di quando si dorme senza sognare- corrisponde a un certo, determinato stato di coscienza e a nessun ad altro. Ma ciò non significa affatto che cervelli ed esperienze fenomeniche coscienti siano la stessa cosa (non più del fatto che polo positivo e polo negativo di un magnete siano la stessa cosa per il fatto che necessariamente non si dà l' uno senza l' aìtro).
Nè tantomeno significa che la coscienza (e in particolare i pensieri) siano nel cervello (ove ci sono solo neuroni, assoni, potenziali d' azione, ecc.: tutt' atre cose!).
Sono invece i cervelli ad essere nelle esperienze coscienti (di chi li osserva; e solitamemte non di quelle a ciascun cervello vivo e funzionante necessariamente biunivocamente corrispondenti.

MI scuso per il mio continuare a battere su queste questioni nonappena me se ne offre l' occasione, anche in discussioni che vertono su altri argomenti (e mi appello alla pazienza dei frequentatori del forum, che mi rendo conto di mettere a dura prova), ma questo é uno dei probemi filosofici che più mi interessano.



Per quanto riguarda il rapporto causa-effetto vale la crirtica humeiana per la quale non é mai dimostrabile induttivamente in quanto nesso universale necessario fra eventi (la prossima volta le cose potrebbero andare altrimenti -sempre, quante che siano le volte che il nesso é stato finora puntualmente e immancabilmente osservato- dal momento che l' ipotizzarlo non é autocontraddittorio).

green demetr

Rispondo a tutti e 3 con una frecciatiana per Angelo.



Anzitutto ritengo utile distinguere il dualismo analitico da quello kantiano.

In Kant non vi è alcun astrattismo.

Nessun idea di un mondo rappresentativo.

O meglio la rappresentazione sarebbe il giudizio sul trascendentale.
Laddove ripeto il trascendentale, non è il trascendente.
Il trascendentale è il luogo dell'incontro tra il REALE che Kant chiama la cosa in sè (DAS DING) e le apercezioni, che si risolvono esattamente nella categoria spazio-temporale.
Per Kant è la ratio dello spazio a determinare quella del tempo. Esattamente che come per Hegel.
(quindi viene a cadere già sin dal suo sorgere l'argomentazione del 3d riguardo un presunto astrattismo kantiano).

Dunque la razionalità per Kant è la categoria, ossia la DIVISIONE delle sensazioni a seconda del GIUDIZIO.

Ora nel nostro specifico caso però potremmo bypassare il fatto squisitamente teorico secondo una sana storia della filosofia, e invece cercare di intendere quale sia la reale contrapposizione che vige nella mente di Voltaire.

Ossia le posizioni di rappresentazione idealiste, che considerano l'oggetto essenzialmente come mentale.(sono le posizioni dualiste della filosofia americana, anche se da noi per lo più sconosciute).

A mio parere però sarebbe utile distinguerle da quella kantiana, cosa che purtroppo sempre avviene in Italia, con grossolane approsimazioni.

Il punto delle filosofie analitiche è come sappiamo che esse si soffermano sui principi linguistici che informano le nostre azioni mentali.

In che misura vengono determinate o determinao la genealogia del mentale? E in fin dei conti penso sia la vera domanda sottesa al 3d.

E quindia andiamo ad analizzare le posizioni finora emerse.

cit .Voltaire
"Mia tesi: "Il reale è razionale: la razionalità è propria della natura, non è solo un linguaggio simulativo dell'uomo"

A una prima vista sembrerebbe una posizione Hegeliana, però e questo sarebbe interessante saperlo, bisogna vedere se Voltaire intenda la natura come carattere positivo, e in quel caso la domanda sarebbe chi pone il concetto di Natura: è una Auto-poiesi? una supposizione? il risultato dialettico di una sintesi che superi la negatività?
La mia posizione che piano piano si sta delineando è che invece la Natura nel contesto Hegeliano sia esattamente il NEGATIVO, è perciò pura forma, se proprio vogliamo appiattire il discorso, è una supposizione.

Qundi anche per me la Natura non sarebbe un prodotto del linguaggio simulativo, posto e non concesso che non si intende bene che diavolo sia il linguaggio simulativo.
Io direi molto più semplicemente il LINGUAGGIO tout-court.


cit .Voltaire
"Nell'universo tetradimensionale che sperimentiamo la causalità non è funzione, ma è conseguenza del tempo."

Esattamente come per Kant. La categoria temporale viene prima di ogni altra.



cit .Voltaire
Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo, queste infatti non hanno riscontro nella realtà. Nella realtà sperimentiamo le 4 dimensioni (convenzioni con riscontro nel reale), ma ciò non è imputabile alla struttura della nostra mente ma a quella della realtà.

Questa frase non è molto intellegibile, e mi aspetto ulteriori spiegazioni.

Certo a me pongono una serie virtualmente infinta di domande. In che senso non possiamo percepire meno delle dimensini del reale??????
Meno vorrebbe dire che non posso percepire una figura in 2 dimensioni????? Eppure io un quadro pittorico per esempio lo riesco sempre a percepire.
E sopratutto cosa sarebbe questo reale???? a unire le argomentazioni iniziali sembrerebbe la NATURA. Ma anche in questo caso cosa sarebbe la Natura?????

Al di là della problematicità delle definizioni, certamente noi percepiamo esattamente quelle che percepiamo, ma questo non vuol dire che non possiamo esplorare, anzi direi proprio sperimentare, con un esperimento scientifico, la realtà di dimensioni superiori alla quarta, se non proprio fuori dal paradigma tetradimensionale, come nel caso dell'intera fisica nucleara o quantistica.

cit .Voltaire
Il fatto che noi percepiamo 4 dimensioni è indicatore che la realtà sia formata da queste 4 dimensioni, non solo per gli esseri razionali (o animali) ma anche per gli enti inanimati.

Ma non è affatto vero, basti pensare alla doppia natura della luce che è un onda ed è un corpuscolo. Ed è evidentemente un ente.

Come può un corpo essere 2 cose se fosse solo tetragramma, e quindi suppongo doverebbe essere solo corpuscolo????

La dimensione spazio-temporale come diceva sempre il mio prof di fisica, quella meccanica, è sì ancora quella che bene o male, è quella esperita da tutti e rimane la più importante per le nostre vite quotidiane, ma questo non vuol dire affatto che sia l'unica "realtà".

cit .Voltaire
Detto in modo sintetico: Non siamo noi fatti in modo strano, è il mondo ad esserlo.

Posizioni paranoide che si avvicina allo schizoidismo...attenzione amico mio! Noi non siamo DIO!

cit. Angelo Cannata
Di conseguenza è umanamente impossibile parlare di realtà, meccanismi, rapporti indipendenti dal nostro modo di immaginarli.

Salvo poi andare al panettiere e ogni mattina ordinare la propria michetta. Certo la michetta è solo una immaginazione, che sazia però.
   

cit InVerno
Ciò che si confonde a mio avviso, è il linguaggio, l'espressione della razionalità, con la razionalità stessa che è insita nelle cose.

Sono ASSAI d'accordo ma allora poi come puoi essere d'accordo con Voltaire, che dice l'esatto opposto?

E sopratutto come fai a essere d'accordo con le posizioni linguistiche di Witgenstein e Chomosky che credono la realtà sia esattamente una funzione linguistica?

Quindi o ti contraddici o forse devi ripensare la tua prima parte del discorso (con cui tanto eravamo d'accordo!).


cit Sgiombo
pensieri (le sensazioni interiori o mentali dei pensieri, le quali costituiscono i pensieri), esattamente come gli oggetti materiali (le sensazioni materiali o esteriori che costituiscono le "cose materiali" sentite o percepite, esperite) fanno parte della coscienza (l' esperienza cosciente) e non sono propriamente prodotti o causati dai cervelli, i quali (nell' ambito della parte materiale-naturale delle esperienze fenomeniche coscienti) producono o causano propriamente soltanto contrazioni muscolari; o al limite secrezioni ghiandolari).

Beh almeno si comincia a capire meglio la tua posizione (repetita iuvant), e su questo sono ovviamente d'accordo.


cit Sgiombo
e biunivovìcamente corrispondenti (ogni certo, deternìminato stato di coscienza corrisponde a un certo, determinato stato funzionale cerebrale e a nessun altro, e ogni certo, determinato stato funzionale cerbrale di un certo tipo -non quelli di quando si dorme senza sognare- corrisponde a un certo, determinato stato di coscienza e a nessun ad altro. Ma ciò non significa affatto che cervelli ed esperienze fenomeniche coscienti siano la stessa cosa (non più del fatto che polo positivo e polo negativo di un magnete siano la stessa cosa per il fatto che necessariamente non si dà l' uno senza l' aìtro).

Ripeto non sono d'accordo sull'esistenza tout-court di questa bio-univocità.(se no non crederei nel metafisico)
Di certo però una tale semplificazione darebbe adito a future argomentazioni a favore del controllo degli stati mentali.
Cosa caro Sgiombo che è già possibile nel caso della detrazione delle funzionalità-totali umane.
Come nel caso degli apparecchi che si muovono a comando mentale. Oppure i tristi celebri esperimenti di amputazione del cervello fatti da Cartesio in poi (per citarne uno famoso), fino ai moderni farmaci che bloccano alcune reazioni chimice nel cervello, che va bene nel caso di dolore fisico o psichico, ma che ugualmente dà l'idea di una disponibilità del controllo dell'individuo futura (siamo agli albori di tali scienze, almeno a livello pubblico) che apre aspetti etici mica da ridere.

Quindi in un certo senso la teoria della bio-univocità sarebbe abbastanza avvallata. Ma non dà ancora spiegazione alla creazione della "DIVINA COMMEDIA", argomento principale dei filosofi anti-riduttivisti.

cit. Sgiombo
Nè tantomeno significa che la coscienza (e in particolare i pensieri) siano nel cervello (ove ci sono solo neuroni, assoni, potenziali d' azione, ecc.: tutt' atre cose!).
Sono invece i cervelli ad essere nelle esperienze coscienti (di chi li osserva; e solitamemte non di quelle a ciascun cervello vivo e funzionante necessariamente biunivocamente corrispondenti.

Quindi questo ammetterebbe che esistano enti di pensiero o coscienza al di là della specularità del cervello. Che se ho capito bene sarebbe solo un "mirror" all'interno di un insieme di pensieri e coscienza più ampio.

Tra l'altro ti sei dimenticato di dire che quella del mirroring del cervello che esperisce di farlo (il mirroring) è del tutto indimostrabile.

Ma dicendo esperienza secondo me dai adito ai miei dubbi che in realtà la tua sia una posizione monista. Ossia che in effetti questa coscienza altro non sarebbe o è facilmente sostituibile con l'idea che esista solo un mentale. (le posizioni moniste)

A mio modo di vedere invece l'esperito (coscienziale, e non dell'autocoscienza come spesso sento dire) come ben dici tu, si realizza solo e sempre come negativo. Se noi assolutizziamo il negativo come condizione metafisica del cosciente, arriviamo dritti alle posizioni di un Hegel o di un Heideger, posizioni formali sia chiaro, perchè poi loro dalla forma estraggono il senso religioso, e mi sembre di capire a te di queste cose non interessa.(e lo rispetto).

Se proviamo a pensare anche solo al paradigma scinetifico di Kuhn o alle serie peirciane che pensano a fondo l'errore induttivo, abbiamo uno slittamento continuo delle capacità rappresentative umane.(e in fin dei conti la coscienza, il co-scienza, l'essere accompagnati con, con la scienza, con ciò che determino come esperito, entificato e memorizzato, ciò che so, alias, è in fin dei conti ciò che accompagna anche il materialismo storico, la capacità di cambiare anche il modello interpretativo anche sulle base delle nuove informazioni avute.

Solo così e cioè implementando un modello anti-monista in nome della negatività, dell'impossibilità di determinare una biunivocità assoluta, astorica, che possiamo meglio dare possibilità al modello biunivoco che stai costruendo, una capacità di slittare per il meglio.

Come dire che questa biunivocità sia messa costantemente sotto accusa. Il metodo humiano secondo me è un arma potentissima, se indirizzata a capire le serie infinite induttive di Peirce, se perciò il cigno che era sempre bianco all'improvviso nasce nero, NON BISOGNA cadere nel relativismo bieco quello che in nome della non decidibilità NON FA NIENTE, MA BISOGNA invece rimboccarsi le maniche e cercare una nuovo induzione che spieghi il cigno nero.
E in fin dei conti la scienza quando è seria fa esattamente così (salvo applicare un modello deduttivo a partire da presupposti ASSIOMI, ma se la deduzione è gisuta vi sarà sempre una induttività che emergerà da quelle rappresentazione, apparizione, credenza che tu voglia nominare.)

Insomma la bio-univocità che  cerchi di descrivermi e che cerco di capire, per superare il mio dubbio, che diventi assoluta, impasse, e in fin dei conti allora monismo, DEVE essere mobile, spostabile all'infinito (fin che siamo vivi) verso una idea di BIUNIVOCITA' esperita come STORICAMENTE determinantesi.
(e quindi per inciso con la possibilità annessa di protestare eticamente alle scelte di detrazione o aggiunta degli stati mentali, cosa che non sarebbe possibile se ci fosse un pensiro unico che invece decida che le posizioni bio-univoche sono SOLO QUELLE che decidono di illustrarci),

In fin dei conti la nostra non amicalità sta solo nel fatto che per me la questione metafisica-religiosa è ancora importante, a livello formale invece forse qualcosoa possiamo fare per intenderci. Forse....perchè mi aspetto il solito...."caro Green non si capisce quello che hai scritto"....e forse hai ragione! saluti!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Voltaire

#5
Da green demetr:
CitazioneA una prima vista sembrerebbe una posizione Hegeliana, però e questo sarebbe interessante saperlo, bisogna vedere se Voltaire intenda la natura come carattere positivo, e in quel caso la domanda sarebbe chi pone il concetto di Natura: è una Auto-poiesi? una supposizione? il risultato dialettico di una sintesi che superi la negatività?
La mia posizione che piano piano si sta delineando è che invece la Natura nel contesto Hegeliano sia esattamente il NEGATIVO, è perciò pura forma, se proprio vogliamo appiattire il discorso, è una supposizione.
Per natura io intendo il reale, senza particolari considerazioni sul suo carattere positivo o negativo

Citazione Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo, queste infatti non hanno riscontro nella realtà. Nella realtà sperimentiamo le 4 dimensioni (convenzioni con riscontro nel reale), ma ciò non è imputabile alla struttura della nostra mente ma a quella della realtà.

Questa frase non è molto intellegibile, e mi aspetto ulteriori spiegazioni.
In che senso non possiamo percepire meno delle dimensioni del reale???
Meno vorrebbe dire che non posso percepire una figura in 2 dimensioni?? Eppure io un quadro pittorico per esempio lo riesco sempre a percepire.
Spiego meglio e correggo la frase " Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo"  in " Perché non ci sono meno delle dimensioni che noi percepiamo"
Nella vita di tutti i giorni noi sperimentiamo le dimensioni della profondità, lunghezza, larghezza, e tempo.
Un oggetto in 2 dimensioni (lunghezza, larghezza) non esiste se immaginato in un mondo spazialmente tridimensionale, e non può esistere se non si fanno retrocedere le dimensioni del sistema di riferimento.
Converrai con me che un rettangolo bidimensionale non esiste nel reale, questo perché il reale è formato da almeno 4 dimensioni.
Tu percepisci un dipinto, (e questo stesso dipinto esiste nel nostro mondo) su un quadro perché stai abbassando le dimensioni del tuo sistema di riferimento (il quadro), che viene approssimato ad un piano bidimensionale anche se di fatto non lo è. In questo modo il dipinto può esistere.
Non può esistere invece un dipinto senza quadro, ovvero un immagine bidimensionale, in un mondo tridimensionale.
Inoltre se si considera la cosa a livello atomico la bidimensionalità non esiste, un dipinto su un quadro ha uno, seppur minimo e trascurabile, spessore. Ma è assurdo immaginare degli atomi bidimensionali, anche perché tantissime strutture molecolari e particelle si sviluppano in tre dimensioni.

CitazioneE sopratutto cosa sarebbe questo reale? a unire le argomentazioni iniziali sembrerebbe la NATURA. Ma anche in questo caso cosa sarebbe la Natura??
La natura corrisponde al reale.
Poi se ti interessa posso ampliare il discorso del reale ma non lo faccio ora sennò la risposta viene troppo lunga e poco digeribile

CitazioneAl di là della problematicità delle definizioni, certamente noi percepiamo esattamente quelle che percepiamo, ma questo non vuol dire che non possiamo esplorare, anzi direi proprio sperimentare, con un esperimento scientifico, la realtà di dimensioni superiori alla quarta, se non proprio fuori dal paradigma tetradimensionale, come nel caso dell'intera fisica nucleare o quantistica.
Noi possiamo esplorare realtà superiori o inferiori alla quarta ma di fatto ne deriva che:
-nel reale non esistono certamente dimensioni inferiori alla 4a, ma solo come sistemi referenziali astratti (astratti perché non hanno riscontro nel reale)
-nel reale possono esistere dimensioni superiori alla 4a, ma noi non lo possiamo sapere perché ne rileviamo solo 4


CitazioneIl fatto che noi percepiamo 4 dimensioni è indicatore che la realtà sia formata da queste 4 dimensioni, non solo per gli esseri razionali (o animali) ma anche per gli enti inanimati.

Ma non è affatto vero, basti pensare alla doppia natura della luce che è un onda ed è un corpuscolo. Ed è evidentemente un ente.

Come può un corpo essere 2 cose se fosse solo tetragramma, e quindi suppongo doverebbe essere solo corpuscolo?
Certo, però di certo la luce non è né bidimensionale né monodimensionale né adimensionale.


CitazionePosizioni paranoide che si avvicina allo schizoidismo...attenzione amico mio! Noi non siamo DIO!

"Non siamo noi fatti in modo strano, è il mondo ad esserlo."    è una delle frasi che usavo per sintetizzare al massimo il pensiero di hegel.
Questa frase vuol dire che:
Non percepisco la realtà perché la mia mente è limitata con concetti a priori che mi filtrano il reale
Ma percepisco la realtà perché essa è limitata nelle sue dimensioni (≥4)
Detto in altre parole:
Io rilevo le dimensioni del reale, non rilevo il reale tramite le "dimensioni della mia testa"
Se io guardo un cubo che cade io percepisco quel cubo poiché rilevo le 4 dimensioni della realtà, non lo percepisco perché l'essenza di quel cubo è altro ma viene filtrata dalla struttura della mia mente in cubo.
Poi se è un cubo emette delle radiazioni che non posso percepire direttamente, le potrò percepire innalzando lo spettro/campo d'azione del mio sistema di riferimento, usando un apparecchio o chessò io.
L'azione della mente è rilevatrice non "filtratrice" del reale.

sgiombo

Citazione di: green demetr il 13 Dicembre 2016, 17:34:58 PM
cit Sgiombo
e biunivovìcamente corrispondenti (ogni certo, deternìminato stato di coscienza corrisponde a un certo, determinato stato funzionale cerebrale e a nessun altro, e ogni certo, determinato stato funzionale cerbrale di un certo tipo -non quelli di quando si dorme senza sognare- corrisponde a un certo, determinato stato di coscienza e a nessun ad altro. Ma ciò non significa affatto che cervelli ed esperienze fenomeniche coscienti siano la stessa cosa (non più del fatto che polo positivo e polo negativo di un magnete siano la stessa cosa per il fatto che necessariamente non si dà l' uno senza l' aìtro).

GreenDemetr:
Ripeto non sono d'accordo sull'esistenza tout-court di questa bio-univocità.(se no non crederei nel metafisico)
Di certo però una tale semplificazione darebbe adito a future argomentazioni a favore del controllo degli stati mentali.
Cosa caro Sgiombo che è già possibile nel caso della detrazione delle funzionalità-totali umane.
Come nel caso degli apparecchi che si muovono a comando mentale. Oppure i tristi celebri esperimenti di amputazione del cervello fatti da Cartesio in poi (per citarne uno famoso), fino ai moderni farmaci che bloccano alcune reazioni chimice nel cervello, che va bene nel caso di dolore fisico o psichico, ma che ugualmente dà l'idea di una disponibilità del controllo dell'individuo futura (siamo agli albori di tali scienze, almeno a livello pubblico) che apre aspetti etici mica da ridere.

Quindi in un certo senso la teoria della bio-univocità sarebbe abbastanza avvallata. Ma non dà ancora spiegazione alla creazione della "DIVINA COMMEDIA", argomento principale dei filosofi anti-riduttivisti.

CitazioneSgiombo:
Francamente non capisco in cosa consisterebbe la mia "biounivocità": per me la biologia é univocamente materiale, il pensiero univocamente mentale, essendo sia la materialità che la mentalità puramente fenomeniche (e se, come credo non potendolo dimostrare né a maggior ragione mostrare, esiste una realtà in sé o noumeno, questa per un' elementare esigenza di coerenza logica non può essere é né materiale né mentale).

Le considerazioni sul "controllo degli stati mentali" (?) non riesco a capirle per nulla.
A meno che non si tratti del fatto evidentissimo (che sta sotto gli occhi di tutti) che con la chimica e la chirurgia si può alterare un cervello e conseguentemente, essendo necessariamente ogni stato mentale biunivocamente corrispondente a uno stato funzionale cerebrale, ottenere una corrispondente alterazione della coscienza biunivocamente corrispondente a tale cervello..



cit. Sgiombo
Nè tantomeno significa che la coscienza (e in particolare i pensieri) siano nel cervello (ove ci sono solo neuroni, assoni, potenziali d' azione, ecc.: tutt' atre cose!).
Sono invece i cervelli ad essere nelle esperienze coscienti (di chi li osserva; e solitamemte non di quelle a ciascun cervello vivo e funzionante necessariamente biunivocamente corrispondenti.

GreenDemetr:
Quindi questo ammetterebbe che esistano enti di pensiero o coscienza al di là della specularità del cervello. Che se ho capito bene sarebbe solo un "mirror" all'interno di un insieme di pensieri e coscienza più ampio.

Tra l'altro ti sei dimenticato di dire che quella del mirroring del cervello che esperisce di farlo (il mirroring) è del tutto indimostrabile.

CitazioneSgiombo:
Mi sembra che qui tu mi abbia completamente frainteso.Per me esistono enti/eventi di pensiero che non sono riducibili a enti/eventi cerebrali ma ad essi necessariamente coesistono e biunivocamente corrispondono e viceversa.

Che ciò sia del tutto indimostrabile é una vita che lo ripeto fino alla noia.

GreenDemetr:
Ma dicendo esperienza secondo me dai adito ai miei dubbi che in realtà la tua sia una posizione monista. Ossia che in effetti questa coscienza altro non sarebbe o è facilmente sostituibile con l'idea che esista solo un mentale. (le posizioni moniste)


CitazioneSgiombo:
Sono dualista riguardo ai fenomeni: materiali e mentali; monista circa il noumeno.
GreenDemetr:
A mio modo di vedere invece l'esperito (coscienziale, e non dell'autocoscienza come spesso sento dire) come ben dici tu, si realizza solo e sempre come negativo. Se noi assolutizziamo il negativo come condizione metafisica del cosciente, arriviamo dritti alle posizioni di un Hegel o di un Heideger, posizioni formali sia chiaro, perchè poi loro dalla forma estraggono il senso religioso, e mi sembre di capire a te di queste cose non interessa.(e lo rispetto).


CitazioneSgiombo:
Non vedo proprio dove possa aver colto simili affermazioni, che non comprendo (e dunque non possono interessarmi), nelle mie considerazioni.

GreenDemetr:

Come dire che questa biunivocità sia messa costantemente sotto accusa. Il metodo humiano secondo me è un arma potentissima, se indirizzata a capire le serie infinite induttive di Peirce, se perciò il cigno che era sempre bianco all'improvviso nasce nero, NON BISOGNA cadere nel relativismo bieco quello che in nome della non decidibilità NON FA NIENTE, MA BISOGNA invece rimboccarsi le maniche e cercare una nuovo induzione che spieghi il cigno nero.
E in fin dei conti la scienza quando è seria fa esattamente così (salvo applicare un modello deduttivo a partire da presupposti ASSIOMI, ma se la deduzione è gisuta vi sarà sempre una induttività che emergerà da quelle rappresentazione, apparizione, credenza che tu voglia nominare.)

In fin dei conti la nostra non amicalità sta solo nel fatto che per me la questione metafisica-religiosa è ancora importante, a livello formale invece forse qualcosoa possiamo fare per intenderci. Forse....perchè mi aspetto il solito...."caro Green non si capisce quello che hai scritto"....e forse hai ragione! saluti!


CitazioneInnanzitutto complimenti: é accaduto proprio quanto ti aspettavi...

La consapevolezza humeiana dell' indimostrabilità dell' induzione non porta necessariamente (e non porta me di fatto) all' inerzia pratica: agisco, solo che (applicando a me stesso la critica razionale) semplicemente mi rendo conto che il mio agire si basa su convinzioni in larga misura indimostrabili né mostrabili ma credute arbitrariamente, letteralmente "per fede".

paul11

Kant è tutt'altro che astratto, se proprio dovrei definirlo è un empirista non riduttivista che capisce che c'è qualcosa oltre la ragione pura, ma si ferma prima di astrarlo chiamandolo noumeno.Quindi non va dentro la metafisca.Quindi intuisce una trascendenza(non in senso spirituale) fra la realtà e il pensiero.

Hegel elogerà da una parte Kant per aver descritto la ragion pura e la ragion pratica, ma dalla'latra lo criticherà per non essere andato oltre ,di non averli uniti.
L'invenzione di Hegel è la dialettica che se così si può dire, mentalmente come idea unisce il concreto (la realtà emprica) e l'astratto (il trascendente) uniti nel concetto.
Quindi potremmo dire oggi che è la mente che unisce una realtà percettiva del cervello e il pensiero che linguisticamente lo descrive. Il linguaggio mentale quindi trascende quella realtà.

Altro ancora, ed è importante,  è definire le giustificazioni e la veridicità della realtà e dello stesso pensiero che linguisticamente lo definisce.Ma potrebbe essere solo il linguaggio una forma di comunicazione autoreferenziale di un essere il cui cervello media analogicamente il mondo,Quindi ne esce che noi rappresentiamo interpretando verosimilmente un mondo e lo comunichiamo ai nostri simili costruendo una cultura nel momento in cui è condivisa.

InVerno

Citazione di: green demetr il 13 Dicembre 2016, 17:34:58 PM
cit InVerno
Ciò che si confonde a mio avviso, è il linguaggio, l'espressione della razionalità, con la razionalità stessa che è insita nelle cose.

Sono ASSAI d'accordo ma allora poi come puoi essere d'accordo con Voltaire, che dice l'esatto opposto?

E sopratutto come fai a essere d'accordo con le posizioni linguistiche di Witgenstein e Chomosky che credono la realtà sia esattamente una funzione linguistica?

Quindi o ti contraddici o forse devi ripensare la tua prima parte del discorso (con cui tanto eravamo d'accordo!).

Non ho scritto che sono d'accordo con Witgenstein e Chomsky (non ho fretta di trovare grandi alleati) ho detto che a momento debito mi piacerebbe inserirli nel discorso.
La mia opinione è che quando si parla di linguaggio bisorebbe anche suddividerlo per soggetto, nel senso di linguaggio figurativo, astratto, analitico, etc. Mi sembra grossolano parlare di linguaggio in generale. C'è un linguaggio rappresentativo, e un linguaggio creativo e a loro volta si compenetrano l'un l'altro. La fretta di trovare gli assoluti non mi appartiene e se non fosse appartenuta a Wittgeinstein forse non avremmo avuto un primo e un secondo w. Cioran è passato in secondo piano, eppure lui addirittura si sentiva deprivato della sua nazionalità una volta depredato della sua madrelingua. Interessante?

davintro

#9
Citazione di: Voltaire il 12 Dicembre 2016, 20:10:41 PM
CitazioneQui vi mostro un embrione che spero di dare alla vita con questo topic: "la razionalità è un linguaggio umano che verosimilmente,, ma non certamente, corrisponde ad una realtà., non è natura.Ovvero è un linguaggio simulativo umano per costruire modelli di rappresentazione del mondo e le sue relazioni." Diceva paul11 impregnato dall'astrattismo kantiano. Mia tesi: "Il reale è razionale: la razionalità è propria della natura, non è solo un linguaggio simulativo dell'uomo" Il concetto di causa effetto è dato dal tempo, dal cambiamento di un oggetto nel tempo dopo aver subito un azione. Dalla differenza del suo stadio iniziale rispetto a quello finale subendo un azione. Diciamo che una cosa è causa di un altra perché è agente che ha modificato lo stadio iniziale di quella cosa. Senza il concetto del tempo non potrebbe esserci quello della causalità. Nell'universo tetradimensionale che sperimentiamo la causalità non è funzione, ma è conseguenza del tempo. Perché la razionalità è un linguaggio umano? "Il termine razionalità, dal latino"ratio"indica l'essere in una logica sequenziale stabilita. " Da wikipedia Perché la razionalità è comune agli esseri che percepiscono il tempo Perché la razionalità appartiene anche agli enti inanimati, che non possono percepire la dimensione del tempo? Perché non si possono percepire meno delle dimensioni che noi percepiamo, queste infatti non hanno riscontro nella realtà. Nella realtà sperimentiamo le 4 dimensioni (convenzioni con riscontro nel reale), ma ciò non è imputabile alla struttura della nostra mente ma a quella della realtà. Il fatto che noi percepiamo 4 dimensioni è indicatore che la realtà sia formata da queste 4 dimensioni, non solo per gli esseri razionali (o animali) ma anche per gli enti inanimati. Detto in modo sintetico: Non siamo noi fatti in modo strano, è il mondo ad esserlo. La razionalità è comune agli esseri che sono "immersi" nel tempo Kant parla di cose astratte che non hanno riscontro nel reale

Dissento dall'idea di considerare la causalità come completamente interna al piano temporale-diacronico.  Il passaggio dalla causa all'effetto a mio avviso non si dà necessariamente come una scansione cronologica prima-dopo, ma come passaggio logico. In particolare, il rapporto causa-effetto si identifica con il rapporto attività-passività o soggetto-oggetto. Una volta allargato  in questo modo il valore semantico delle nozioni di "causa"ed  "effetto" allora la diacronia non è più necessaria. L'equivoco forse è dato dal fatto che nel linguaggio comune si riduce l'idea di causalità a quello di causa efficiente, la causa che rende ragione dell'esistenza di una cosa. Tale equivoco nasce dall'inganno di giudicare la realtà intesa nel complesso dei suoi aspetti, con la legge che sottintentende solo un aspetto particolare di essa, la legge della temporalità  che sottintende la componente contingente, ma che è inadeguata alla conoscenza del livello dei principi primi, fondanti e assoluti. Facendoci guidare dalla scansione diacronica dell'esperienza pensiamo di rilevare i nessi causali tra le cose facendo coincidere la successione temporale dei fenomeni con il passaggio della causa (il prima") con l'effetto (il dopo), lasciandoci sfuggire in questo il modo l'aspetto prevalentemente logico della causalità, comprendente anche la condizione in cui causa ed effetto convivono sincronicamente, ma si distinguono in quanto la causa produce una forza che fà sì che accada un certo effetto. Il punto è che la causa efficiente non è l'unico tipo di causa possibile, perchè il rendere ragione del perchè una cosa esiste non è l'unico modo del "rendere ragione" di qualcosa. In nessun caso la natura di ente è totalmente compresa limitandosi a spiegare perchè esiste. Aristotele insegna che ci sono ben 4 cause, tra cui ad esempio quella formale. Il modo in cui la causa rende ragione della forma di una cosa non ha nulla a che fare con la successione diacronica. Assurdo pensare che esista un tempo  in cui esisteva in atto la forma della pietra slegata dall'effetto finale, la pietra reale formata, che avrebbe cominciato ad esistere a partire da un momento temporale successivo. In realtà la forma, la causa formale della pietra è in atto convivendo sincronicamente con l'effetto della pietra, compresa la connotazione di materialità, passività. Causa ed effetto coincidono ontologicamente e si distinguono solo logicamente. Del resto anche la stessa causa efficiente non implica sempre, necessariamente, che il suo suo effetto sia posizionato in un tempo successivo a quello in cui comincia a sussistere l'azione casuale... questa successione c'è solo nel caso di identificare l'effetto con una realtà contingente, non eterna. Dio infatti sarebbe causa di se stesso, senza che il suo essere causa debba porsi  in un momento temporale precedente al suo essere considerato effetto, cosicchè in Lui tra causa ed effetto c'è solo distinzione concettuale ma non ontologica. E non è neanche detto che una distinzione ontologica e non solo concettuale tra causa ed effetto presupponga sempre la diacronia. Mi pare, non vorrei sbagliarmi, che lo stesso Tommaso d'Aquino, dicesse nella Summa che anche accettando l'idea greca dell'eternità del mondo Dio resterebbe comunque come Causa prima necessaria creatrice, mentre il mondo resterebbe contingente. L'eternità non coincide necessariamente con la necessità, dato che l'esistenza del mondo sarebbe data comunque dalla libera volontà di Dio. Insomma, tutto ciò che contribuisce in qualche modo a rendere ragione della molteplicità dei "perchè" della realtà è causalità, e ridurre la causalità nell'orizzonte della temporalità, vorrebbe dire fermare la nostra conoscenza del reale agli aspetti solo contingenti e non sufficienti ad autoesplicarsi, condannandoci ad un infinito rimando alla catena delle cause senza poter cogliere i principi sovratemporali e necessari delle cose, fermandoci ad un'inconcludente aporetica, e rassegnandoci al fallimento di ogni ricerca filosofica della verità...

La distinzione tra causalità e temporalità dovrebbe anche portare anche alla distinzione tra due diverse accezioni dellidea di "razionalità". Il complesso di relazioni causali che lega le cose fra loro comprende anche nessi causa-effetto non scanditi temporalmente (come appunto nel caso delle cause formali degli enti come detto sopra). Se intendiamo la razionalità come ciò per cui le cose hanno una loro causa, allora dobbiamo ammettere una razionalità oggettiva, che non si esaurisce in processi temporali diacronici. Esiste poi l'accezione soggettiva, umana, mentale della razionalità, che va inteso come il processo di elaborare una rappresentazione di tale sistema di cause in modo scientifico mirando all'adeguazione di tale rappresentazione soggettive con il complesso dei nessi causali delle cose oggettive. Per quanto riguarda quest'accezione soggettiva il nesso con la temporalità è evidente. La razionalità umana è mediazione, dialettica, operare differenti passaggi logici che implicano una durata temporale, ma ciò è solo la conseguenza della nostra finitezza ontologica che pone la mente umana di fronte ad una molteplicità di oggetti divisi spazialmente, e l'elaborazione di relazioni logiche per ordinare e rendere ragione di tale molteplicità presuppone la diacronia, la costante necessità di superare in ogni momento i limiti della nostra coscienza, che sono i limiti dovuti alla sua umanità, mentre una mente divina non avrebbe necessità di mediare temporalmente la conoscenza razionale, ma avrebbe un visione totalizzante ed immediata del reale attraverso un'intuizione intellettiva immediata. Non avremmo la ragione, ma solo l'intelletto. In termini grezzi possiamo dire che la razionalità è la nostra forza e la nostra debolezza, forza perchè è strumento conoscitivo e ordinativo dell'esperienza del mondo (non solo in senso teoretico ma anche pratico), debolezza perchè avere la ragione invece che l'intelletto è conseguenza dei nostri limiti, che ci costringono a dispiegare la nostra coscienza all'interno di una frammentazione temporale, dovuta però alla nostra spazialità. I limiti della conoscenza razionale non riguardano la razionalità oggettiva, non solo temporale, ma solo quella soggettiva nostra

maral

CitazioneLa razionalità umana è mediazione, dialettica, operare differenti passaggi logici che implicano una durata temporale, ma ciò è solo la conseguenza della nostra finitezza ontologica che pone la mente umana di fronte ad una molteplicità di oggetti divisi spazialmente, e l'elaborazione di relazioni logiche per ordinare e rendere ragione di tale molteplicità presuppone la diacronia, la costante necessità di superare in ogni momento i limiti della nostra coscienza, che sono i limiti dovuti alla sua umanità, mentre una mente divina non avrebbe necessità di mediare temporalmente la conoscenza razionale, ma avrebbe un visione totalizzante ed immediata del reale attraverso un'intuizione intellettiva immediata.
Davintro, a fronte di quello che hai scritto mi chiedo che razza di mente di avere se riesci a spiegare non solo com'è la mente umana, ma pure come è necessario che sia quella divina. Su quale punto di vista ti sei collocato per godere di un così esteso panorama?

davintro

Citazione di: maral il 03 Gennaio 2017, 23:04:21 PM
CitazioneLa razionalità umana è mediazione, dialettica, operare differenti passaggi logici che implicano una durata temporale, ma ciò è solo la conseguenza della nostra finitezza ontologica che pone la mente umana di fronte ad una molteplicità di oggetti divisi spazialmente, e l'elaborazione di relazioni logiche per ordinare e rendere ragione di tale molteplicità presuppone la diacronia, la costante necessità di superare in ogni momento i limiti della nostra coscienza, che sono i limiti dovuti alla sua umanità, mentre una mente divina non avrebbe necessità di mediare temporalmente la conoscenza razionale, ma avrebbe un visione totalizzante ed immediata del reale attraverso un'intuizione intellettiva immediata.
Davintro, a fronte di quello che hai scritto mi chiedo che razza di mente di avere se riesci a spiegare non solo com'è la mente umana, ma pure come è necessario che sia quella divina. Su quale punto di vista ti sei collocato per godere di un così esteso panorama?

Non si tratta di avere una grande mente o godere di vasti panorami, tutte cose che non credo di avere a disposizione, semplicemente di provare a infererire in modo deduttivo da una certa possibile definizione del concetto di Dio (inteso come "assoluto") delle implicazioni conseguenti. La razionalità filosofica si caratterizza proprio per il suo essere deduttiva e aprioristica, perso tale carattere smarrirebbe la sua peculiarità nei confronti delle scienze sperimentali, che invece usano una metodologia prevalentemente empirica e induttiva. Presunzione sarebbe quella di una mente umana che pretende, disconoscendo i propri limiti, di condividere il contenuto di una mente divina. Ma la distanza ontologica tra Dio e l'uomo non impedisce che si possa convenire sull'individuazione di elementi considerati in modo generico e formale della mente divina, senza per questo pretendere di poter conoscere lo specifico contenuto di tale mente (semmai, in una certa misura, questo potrebbe essere appannaggio dei mistici, non dei filosofi). Non ho alcun bisogno di pensare di essere onnipotente od onniscente per riflettere speculativamente sull''onnipotenza e l'onniscenza divina, esattamente come non ho bisogno di pensare di essere un medico per comprendere il senso generale dell' "essere medico". Si tratta solo di ragionare a partire dal significato di alcune categorie che resta tale indipendentemente dal fatto che esse possano predicarsi di un ente o di un altro

maral

Resta il fatto che pretendi di inquadrare il funzionamento di una mente divina che si suppone illimitata e trascendente a partire da una visione comunque umana e pertanto, come tu stesso riconosci limitata. Limitata anche nella sua logica, a meno di non ritenere che la logica detti pure la natura della divinità e quindi le stia al di sopra. Beninteso, in passato questo si faceva abbastanza normalmente in filosofia (con polemiche a non finire ovviamente), ma ormai mi sembra le ontoteologie siano da lasciarsi da parte. Poi per carità, se lo si prende come un esercizio logico ipotetico va benissimo.

davintro

#13
Citazione di: maral il 04 Gennaio 2017, 22:17:07 PMResta il fatto che pretendi di inquadrare il funzionamento di una mente divina che si suppone illimitata e trascendente a partire da una visione comunque umana e pertanto, come tu stesso riconosci limitata. Limitata anche nella sua logica, a meno di non ritenere che la logica detti pure la natura della divinità e quindi le stia al di sopra. Beninteso, in passato questo si faceva abbastanza normalmente in filosofia (con polemiche a non finire ovviamente), ma ormai mi sembra le ontoteologie siano da lasciarsi da parte. Poi per carità, se lo si prende come un esercizio logico ipotetico va benissimo.

In ciò trovo diversi punti di dissenso. I limiti della mente umana, come scritto prima, impediscono certamente di giungere allo stesso livello del sapere di una mente divina e assoluta, ma non impediscono di giungere a una visione parziale ed imperfetta di tale mente. Certamente, affermare che "la mente divina è sovratemporale e sovraspaziale" non esaurisce in sè tutto ciò che si potrebbe dire di Dio, chi afferma ciò non per questo si mette alla pari con Dio, resta appunto una visione parziale. Il punto è che accanto alla constatazione dei limiti, si potrebbe anche riconoscere un legame analogico tra l'uomo e Dio,che permette all'uomo di poter speculare sulla natura divina pur restando in una posizione inferiore e subordinata. Questa analogia è data dal fatto che ciò che si può predicare dell'uomo lo si può predicare anche di Dio, ma in misura, nell'uomo, depotenziata rispetto a Dio. Il concetto di "potenza" ha un senso che qualitativamente resta identico sia ci si riferisca all'uomo o a Dio, ciò che cambia è l'intensità quantitativa, infinita in Dio, finita nell'uomo. Pensare che una differenza quantitativa determini anche differenti significati qualitativi delle categorie è un'operazione logicamente scorretta, perchè confonde due piani del discorso, la questione del "quanto?" e quella del "quale", che vanno distinte. La quantità non fà la qualità. Altro punto scorretto, a mio avviso, è l'idea secondo cui applicando la logica alla teologia si porrebbe la logica assurdamente sopra Dio. Questa obiezione avrebbe un senso se la "logica" fosse una realtà a sè stante, una sostanza che potrebbe entrare in conflitto con Dio, limitarlo, come fosse una "seconda divinità" più potente della prima. Ovviamente tutto ciò è ridicolo, tra Dio e logica non ci può essere contrapposizione, perchè la logica è solo, per  così dire, un concetto, un insieme di regole formali con cui il pensiero considera la realtà non una realtà che potrebbe entrare in concorrenza con Dio. Ciò che invece si può dire è che Dio, considerato come principio primo dell'essere, è la realizzazione somma della ragione, della logica, Logos, appunto,come recita Giovanni nel suo prologo. Occorre tenere distinti il piano della logica formale e quello dell'ontologia materiale. Infine, in che modo il cammino della razionalità filosofica avrebbe superato le ontoteologie? A me pare che, certamente, nella nostra epoca il discorso razionale sulla metafisica classica non va certo di moda, saremo 4 gatti a pensare che molti assunti dei sistemi metafisici della classicità o del medioevo siano tuttora validi. L'egemonia intellettuale oggi è di natura ben diversa. Ma tutto questo interessa lo storico della filosofia. Il filosofoche opera in sede teoretica e non filologica non deve tener conto delle mode intellettuali della sua epoca, pena la caduta nel conformismo,deve solo ragionare con la sua testa e sostenere i risultati che raggiunge con la sua libertà intellettuale e critica, anche se si tratta di sostenere idee da secoli, millenni caduti nel dimenticatoio, e contrapporsi agli orientamenti prevalenti nella contemporaneità, anche finendo con il  rischio sentirsi spiacevolmente isolati culturalmente. La verità non è filia ma mater temporis, e se le ontoteologie di S. Agostino o S.Tommaso d'Aquino hanno colto per alcuni aspetti delle verità, queste rimangono tali anche oggi e fra i prossimi secoli.

maral

#14
Citazione di: davintro il 04 Gennaio 2017, 23:22:07 PM
In ciò trovo diversi punti di dissenso. I limiti della mente umana, come scritto prima, impediscono certamente di giungere allo stesso livello del sapere di una mente divina e assoluta, ma non impediscono di giungere a una visione parziale ed imperfetta di tale mente.
E pertanto errata, ma sempre con la pretesa di essere quella giusta.
Chi dice che tale mente è sovraspaziale e sovratemporale si trova comunque nel tempo e nello spazio, altrimenti non potrebbe dire assolutamente nulla, dunque la mente sovraspaziale e sovratemporle è comunque stabilita dalle dimensioni spaziali e temporali dalle quali (temporalmente e spazialmente) ci si immagina la loro assenza
CitazioneIl punto è che accanto alla constatazione dei limiti, si potrebbe anche riconoscere un legame analogico tra l'uomo e Dio,che permette all'uomo di poter speculare sulla natura divina pur restando in una posizione inferiore e subordinata. Questa analogia è data dal fatto che ciò che si può predicare dell'uomo lo si può predicare anche di Dio, ma in misura, nell'uomo, depotenziata rispetto a Dio.

Ma anche questa è una concezione posta a priori dall'uomo: c'è analogia tra me, uomo, e Dio; e chi lo dice? Io, uomo che sono certo finito, ma grazie a questa analogia con differenze solo quantitative posso parlare a proposito dell'infinito! L'infinito non ha solo una differenza solo quantitativa rispetto al finito, non è che tanto finito, faccia l'infinito.
Citazionetra Dio e logica non ci può essere contrapposizione, perchè la logica è solo, per  così dire, un concetto, un insieme di regole formali con cui il pensiero considera la realtà non una realtà che potrebbe entrare in concorrenza con Dio.
E chi lo dice: l'uomo, Dio? La logica stessa? "La logica è solo un insieme di regole formali", e dici poco! le regole formali sono quelle che danno forma, che ci permettono di vedere, concepire e definire le cose, Dio compreso quando pretendiamo di rappresentarcelo! Già Aristotele aveva capito che nella forma c'è la sostanza. Questo Dio, principio primo dell'essere, che è la realizzazione somma della ragione, è creato dalla ragione, dunque è la ragione (ovviamente umana, dato che non ne conosciamo altre) che diventa così il principio primo dell'essere, Dio compreso. Ma lo fa di nascosto, perché ovviamente la ragione sa del suo limite e dunque non può presentarsi per quello che è, ma con una maschera divina sì, proprio come il ventriloquo che fa parlare il pupazzo.
Citazionesaremo 4 gatti a pensare che molti assunti dei sistemi metafisici della classicità o del medioevo siano tuttora validi.
Ma per forza che sono cambiati! E' cambiato il mondo che li concepisce, sono cambiati i modi di pensare, di sentire, di vivere! Forse che quei 4 gatti riescono a sentire e pensare come si sentiva e si pensava nel mondo classico e medioevale? Forse che si trovano fuori dal tempo così da vedere le cose come stanno e senza tempo, sub specie aeternitatis? Se tutti noi siamo figli del passato è ancor più vero che il passato è figlio del presente, è figlio del nostro modo di pensare e sentire che adesso e solo adesso così lo concepisce e se lo immagina. Quei "quattro gatti" non sostengono idee di secoli e millenni passati, ma idee di adesso che si agganciano con tanta nostalgia a un passato immaginato adesso per raffigurarsele eterne. E questo è inevitabile, perché nessuno sta fuori dal mondo in cui vive, non c'è specula o eremo che possa isolarlo, anche se vivendoci può immaginarsi di godere di uno sguardo che tutto sovrasta. E questa pretesa ce l'ha sia lo scientismo moderno, che chi si fissa sulle eterne verità teologiche di Agostino e Tommaso, perché questo pretendere di essere nella verità oggettiva è comunque un pretendere "umano, troppo umano", a testimonianza del suo umano non poter esserci mai. La differenza solo è che, dati i tempi e i contesti, il primo, nonostante si appoggi sulla stessa superstizione della verità in oggetto, appare ora ben più credibile dei secondi, a eccezione forse, che per quei quattro gatti.

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