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Putrefazione, la vita

Aperto da daniele75, 12 Aprile 2020, 20:26:03 PM

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daniele75

Se il topic risulta stupido per cortesia cancellatelo. I miei topic hanno una profondità ma per mancanza di titoli di studio non posso esprimermi al meglio.


Ogni forma di vita diventerà putrefazione. La perfetta distanza dal sole e la presenza di acqua e terra fa si che il pianeta in superficie crei vita, vite a termine, con lo scopo di sopravvivere e replicarsi. Una catena alimentare continua atta a modificarsi chimicamente. Putrefazione perche siamo come parassiti, mangiamo vita fresca per trasformarla in energia e poi in escrementi. È un immensa macchina di putrefazione. I vermi e le mosche sembrano gli ultimi della scala gerarchica. Infatti la mosca si nutre di cadaveri ed escrementi. La vita è un processo chimico che si autogenera per evitare una putrefazione statica. Non c'è uno scopo preciso, solo la perfetta combinazione di chimici e distanza dal sole. Creiamo escrementi, ogni forma di vita lo fa. Gli alberi producono dei frutti che cadranno maturi trasformandosi in una poltiglia puzzolente, che concima il terreno. I semi danno vita ad altre piante e cosi via. Lo sperma è il liquido della vita, gli spermatozoi i nuovi inquilini del pianeta. Che senso ha? L'escremento è il fine della vita. Un corpo umano lasciato in natura si dissolve come un frutto e concima il terreno. L'escremento è il risultato finale della creazione. Dio ha creato il giardino dell'eden senza uno scopo, se non quello di creare putrefazione. Aggiungo che il mare diventerà una cloaca a cielo aperto, il cielo una nube di gas intestinali. Che scopo ha la vita secondo voi?

giopap

Secondo me la vita in generale e in particolare la vita umana non hanno alcuno scopo oggettivo.


Sta a noi trovarcene di soggettivi che siano abbastanza soddisfacenti per farcela gradire e amare.


Tenendo conto che senza la vita non ci sarebbe la morte e senza la morte non ci sarebbe la vita; e dunque una vita complessivamente, "tutto sommato", soddisfacente deve tener conto anche dell' inevitabilità della morte (la deve saper accettare).

Davide

Secondo me uno scopo c'è ma non ne siamo consapevoli. Non lo dico perché non accetto l'idea che non sia così ma perché sento che ci deve essere. Io sinceramente non ho nessuna paura di morire e non capisco perché la gente si tiene alla larga da questo argomento come se avesse paura di affrontarlo. È giusto godersi la vita ma anche accettare che finisca e non evitare fino all'ultimo come se non fosse reale. La vita singola dura un istante alla fine. Alla fine della vita che tu non abbia fatto niente o abbia fatto molto non cambierà. Tutto perderà senso per te in quel momento. E quindi che senso ha impegnarsi tanto? Forse ce l'ha se vedi la vita come un percorso di coscienza che sfugge alla nostra comprensione, chiaramente nessuno sa la verità, ma ho l'impressione che ci sia un percorso da fare. Non è così banale come sembra la nostra vita. Non siamo solo riproduzione e sopravvivenza. Ma è la mia opinione

giopap

Davide:
La vita singola dura un istante alla fine. Alla fine della vita che tu non abbia fatto niente o abbia fatto molto non cambierà.

giopap:
Vero.
Ma durante la vita, che tu faccia questo o faccia quello può fare molta differenza.
Siamo effimeri, di noi non resta nulla, ma credo che possiamo ugualmente fare qualcosa che ci faccia felici e di cui essere fieri; e che possiamo esserne paghi e contenti, se -fra l' altro- non pretendiamo l' impossibile; per esempio l' immortalità.



Davide

Io non pretendo l'immortalità e non credo esista per come tu pensi che io la intenda. Comunque si puoi vivere ovviamente cercando di essere felice ma quando morirai conterà solo quel momento. Potrai aver lasciato un importante contributo nel mondo ma a te non cambierà perché non lo saprai una volta raggiunto quel momento. Per te tutto quello che è stato si annullerà o sbaglio?

giopap

Ovvio che non sbagli.


Ma ciò non toglie che prima di morire quello che faremo conterà almeno per noi e auspicabilmente anche per altri.


Potrà anche contare molto ed essere fortemente soddisfacente, se avremo abbastanza fortuna e virtù (per dirlo a là Machiavelli).


Mi sembra una questione di ottimismo/pessimismo: potremo vivere bene ma moriremo; id est: moriremo, ma potremo aver ben vissuto

Davide

Si prima di morire conterà per noi ma subito dopo no. Perché diventeremo nulla secondo l'idea di molti, quindi non sarai più niente, senza memoria e anche tutto quello che hai fatto perderà significato, almeno per te. In questa ottica non avrebbe neanche senso vivere... Io non sono così pessimista e non la penso così ma molti mi pare di si

Jacopus

Siamo molto legati all'idea del sopravvivere. È inevitabile. Se non fosse così ci saremmo già estinti. Ma nel corso dei millenni al nostro corredo biologico si è aggiunto un discreto corredo culturale. Ed è lì che dobbiamo guardare per dare un senso. Essere colpiti da una musica, da un tramonto, provare soddisfazione per un'opera ben fatta. Sentirsi bene ad una cena con gli amici. Appassionarsi di un hobby o di una materia del sapere. Ma soprattutto sentirsi responsabili nei confronti del mondo e con tutto ciò che interagisce con noi. Trattare con cura e gentilezza il prossimo. Sapersi mettere in discussione. Accettare la vecchiaia e la morte. Comprendere di far parte di un cerchio della vita che inizia e finisce. Niente di esaltante rispetto alla possibilità di avere una vita eterna di beatitudini, ma molto intrigante dal punto di vista dell'etica e della prassi, senza alcuna giustificazione e rinvio ad un "dopo faremo i conti".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Sergio

Citazione di: daniele75 il 12 Aprile 2020, 20:26:03 PM
Non c'è uno scopo preciso, solo la perfetta combinazione di chimici e distanza dal sole.

Le forme di vita uno scopo ce l'hanno, e lo perseguono con forza: esistere. Direi di più, la materia organizzata in forma di essere vivente è l'unica ad avere uno scopo, che è quello di preservare e perpetuare la propria esistenza. E' un'autofinalità, certamente, ma non per questo può essere considerata una non finalità; anzi, credo che, in fondo, sia l'unica vera finalità ultima possibile. Un organismo vivente fa di tutto per preservare l'integrità della propria forma e tramandarla alla generazione successiva, perfino le piante lo fanno: perché questo non dovrebbe essere uno scopo? La presenza di tale finalità è proprio ciò che distingue la materia vivente da quella non vivente: la materia organizzata in forma di essere vivente è finalistica, quella organizzata in forma di oggetto non vivente non lo è. La materia vivente è sostanziata da una volontà (ovvero l'elemento da cui discende il finalismo), la volontà di esistere. E' questa, a mio parere, la questione fondamentale: da dove proviene questa volontà (ovviamente finalistica) che si impadronisce della materia e se ne serve per creare le proprie forme? Una volontà che usa il DNA come codificatore per dare struttura alle forme viventi, ma che non coincide col DNA. Probabilmente, è lo stesso ente che sostanzia la coscienza dell'homo sapiens, è il creatore della vita e, in ultima analisi, potrebbe essere perfino il creatore dell'universo a noi noto, se è vero che tutto quanto ci appare come esistente esiste solo nel momento in cui una forma di coscienza lo percepisce.

giopap

Sergio:
Un organismo vivente fa di tutto per preservare l'integrità della propria forma e tramandarla alla generazione successiva, perfino le piante lo fanno: perché questo non dovrebbe essere uno scopo?

giopap:

Perché non é qualche cosa di coscientemente, intenzionalmente voluto; nel caso dei vegetali almeno questo mi sembra ragionevole credere (salvo si aderisca al pampsichismo).



Sergio:
La presenza di tale finalità è proprio ciò che distingue la materia vivente da quella non vivente: la materia organizzata in forma di essere vivente è finalistica, quella organizzata in forma di oggetto non vivente non lo è. La materia vivente è sostanziata da una volontà (ovvero l'elemento da cui discende il finalismo), la volontà di esistere.

giopap:
Ma se consideriamo la materia vivente (nel suo ambito in particolare i cervelli), e non la coscienza che nel caso degli animali (per lo meno quelli non troppo filogeneticamente lontani dell' uomo) é ragionevole credere sia ai loro cervello correlata, allora ogni volontà e finalità é ottimamente riducibile a reazioni chimiche ed venti fisici.

Fini possono darsi unicamente nella coscienza dell' uomo e probabilmente a livelli "embrionali" di altre specie animali.

Fini che non necessariamente sono principalmente quello di sopravvivere - riprodursi, piuttosto che quello di essere felici o per lo meno non essere infelici (almeno in ambito umano: di qui suicidio ed eutanasia).



Sergio:
E' questa, a mio parere, la questione fondamentale: da dove proviene questa volontà (ovviamente finalistica) che si impadronisce della materia e se ne serve per creare le proprie forme? Una volontà che usa il DNA come codificatore per dare struttura alle forme viventi, ma che non coincide col DNA. Probabilmente, è lo stesso ente che sostanzia la coscienza dell'homo sapiens, è il creatore della vita e, in ultima analisi, potrebbe essere perfino il creatore dell'universo a noi noto, se è vero che tutto quanto ci appare come esistente esiste solo nel momento in cui una forma di coscienza lo percepisce.


giopap:

Secondo me non può esistere nulla di non fisico - materiale (o riducibile a tale) che interagisca (causalmente) col mondo fisico materiale, nulla che si possa impadronire del DNA di alcuna cellula per farne alcuno strumento per un qualche uso finalistico.

E sempre secondo me a un creatore trascendente "che abbia costruito e avviato l' orologio e poi si astenga rigorosamente dall' interferirvi (dal cambiare il moto delle lancette)" é possibile credere coerentemente con la credenza nella possibilità di conoscenza scientifica dell' "orologio" stesso (il mondo materiale naturale; che a mio parere non esaurisce la realtà in toto); anzi, se fossero vere le teorie cosmologiche (o meglio: cosmogoniche) correnti il crederci sarebbe l' atteggiamento più sensato e razionalistico.
Ma ad un creatore immanente, che interferisca col divenire naturale ordinato secondo leggi universali e costanti "violandole" a suo piacimento, per così dire, non si può coerentemente credere, in condizioni di correttezza logica, evitando di contraddirsi, unitamente alla credenza nel divenire ordinato stesso (che esige leggi assolutamente inviolabili da alcuno per definizione) e dunque nella conoscibilità scientifica della natura materiale stessa.

viator

Salve Sergio e benvenuto. Dal mio punto di vista, benissimo la prima parte (lo scopo dell'essere, coniugato con l'esistere, l'insistere ed il sussistere, consiste nel persistere) (perdona la solo apparente marmellata concettuale), ed invece non sono d'accordo con l'esistenza di volontà e finalismo.
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Una analisi anche veloce del mio punto di vista richiederebbe qualche decina di pagine, e non è il caso.

Per sommi capi:

---- La tendenza dell'energia a diffondersi da dove ce n'è di più a dove ce n'è di meno (si chiama entropia) è presente sempre ed ovunque, ed in sè avrebbe l'effetto (chiamalo scopo, se vuoi, ma sbaglieresti) di arrivare ad avere la stessa "densità di energia" (in pratica, la stessa temperatura) in tutti i punti dell'universo.Se tale effetto tendenziale venisse raggiunto, l'energia avrebbe fatto il suo "lavoro" e quindi i suoi effetti scomparirebbero, nulla più si muoverebbe o cambierebbe; l'universo avrebbe quindi raggiunto la "perfezione" (la eterna immutabilità) e perciò, semplicemente, MORIREBBE.
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Il fatto è che, nel tendere allo "stato finale" qui sopra descritto, l'entropia è costretta a produrre il suo (-dello "stato finale") contrario.Infatti il diffondersi dell'energia (non importa come e dove) è proprio ciò che altera continuamente l'equilibrio provvisorio delle cose, cioè è la "grande causa" di tutti gli effetti che noi possiamo osservare, il cui insieme rappresenta appunto IL CONTRARIO DELLA MORTE, che si chiama "cambiamento" (meglio ancora . "diversificazione"), uno dei cui aspetti.............guarda un poco !..........si chiama VITA.
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Ecco secondo me (che amo le spiegazioni semplici ed odio quelle complicate) ecco spiegato come IL SENSO DELL'ESSERE consista solo nel TENDERE ALLA MORTE del particolare ATTRAVERSO LA VITA del tutto.
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Che tale andamento - che a me sembra perfettamente semplice - non abbia bisogno, per venir giustificato, di ulteriori termini e significati di origine umana (volontà, scopo, fine ultimo o penultimo, causa prima (cause ed effetti rappresentano la condizione eternamente circolare che sta alla base degli EVENTI, cioè dell'ESSERE), creazione etc. etc.)....................... a me pare ipotesi del tutto convincente. Intanto saluti a te.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

CitazioneChe tale andamento - che a me sembra perfettamente semplice - non abbia bisogno, per venir giustificato, di ulteriori termini e significati di origine umana (volontà, scopo, fine ultimo o penultimo, causa prima (cause ed effetti rappresentano la condizione eternamente circolare che sta alla base degli EVENTI, cioè dell'ESSERE), creazione etc. etc.)....................... a me pare ipotesi del tutto convincente. Intanto saluti a te.
Questa definizione va bene per la "nuda vita" e quindi andrebbe bene se fossimo ancora all'epoca dell'Eden, ovvero quando digrignavamo i denti e mangiavamo cosciotti di agnello crudi, oppure venivamo mangiati da branchi di lupi affamati. Fatto sta che tra vita e morte dei singoli avvengono molti fatti che possiamo comprendere nell'insieme "Ingiustizie" e che la filosofia etica tende a fare oggetto della sua attività (oltre a dover ovviamente considerare quello che ho già detto in altre conversazioni, ovvero che l'uomo è una specie più culturale che biologica).
Stabilire che la vita sia semplicemente quello che dici tu è innegabile. Fatto sta però, che c'è chi muore nel deserto, nella speranza di una nuova vita, perchè il suo villaggio è stato distrutto da una compagnia petrolifera e chi invece fa la vacanza nel resort a 5 stelle delle Maldive. Questa disparità non modifica il significato ultimo della vita umana, come vita biologica, e neppure la struttura molecolare e la fisiologia del disperato nel deserto. Ridurre a ciò la vita dell'uomo e i significati ultimi della vita dell'uomo, però, è molto più funzionale alla "biologia economica" del vacanziere che a quella del nomade morto nel deserto.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

Salve jacopus. Quanto hai replicato è bellissimo e giustissimo, oltre che ovvio persino per chi sia solito dedicarsi ai lavori domestici nell'oriente della Provincia di Alessandria.Solo non capisco la sua collocazione - di taglio così esistenzial-ideologico - all'interno del presente "topic" il quale è titolato e popolato da considerazioni (mie ma soprattutto altrui) di ordine "biosofico".

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So bene che i punti di vista delle persone - anzi la loro "visione del mondo" le porta a considerare solamente IL MONDO COM'ERA PRIMA DELLA COMPARSA DELL'UOMO (cioè le cause e le origini) oppure, in completa alternativa, IL MONDO DELL'UOMO (gli effetti ed i destini).Figurati che per i più giovani ed i più rozzi (dei quali credo non facciamo parte nè tu nè io), di cause ed origini non frega proprio nulla (giusto!, tanto non si potranno modificare !) poichè per essi MONDO, UMANITA' E STORIA sono nati semplicemente il giono stesso in cui costoro hanno cominciato a vivere. Saluti.

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

#13
Buongiorno Viator. Ma sono sempre punti di vista, ma il mio intervento ha parecchio a che vedere con il primo intervento di Daniele, perchè il senso della vita, oltre ai suoi necessari e insopprimibili bisogni fisiologici, è possibile trovarlo, al di là ed oltre alla putrefazione della carne, nella ricerca della giustizia fra uomini e, andando oltre, fra esseri viventi e ancora oltre, fra enti biologici e geologici che condividono lo stesso spazio in una relazione di reciproco interesse.
Ovviamente, anche in questo caso, una visione del genere è sempre sospetta a chi invece difende i suoi privilegi e lo status quo e quindi cosa c'è di meglio che dire "di cause ed origine se ne fregano, perchè intanto non possono cambiare". Però comprendendo cause e origini si possono cambiare molte cose del futuro, anzi tutto, come sanno bene tutti i cardinali Bellarmino di questo mondo.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

davintro

In termini generico-formali, scopo della vita è quello della realizzazione delle potenzialità insite in una sorta di "vocazione" originaria, quella tendenza che fin dal primo istante dello sviluppo muove l'ente, dall'interno verso una direzione predelineata. Questo varrebbe per tutte le diverse forme di vita, dalla pianta all'essere umano. In termini contenutistici, ciò che riguarda il quid, il contenuto specifico con cui riempire la categoria formale di "fine", è invece evidente una differenziazione sulla base dei diversi livelli di complessità in cui la vita si esprime. Quanto più la struttura biologica appare semplice, tanto più il contenuto con cui la vita riempire l'idea di fine è standardizzata, coincidente con la specie collettiva che accomuna le singole individualità, mentre quanto più vi è complessità, tanto più si allargano gli spazi entro cui diversi modelli di realizzazione possono essere concepiti all'interno di una singola specie. La razionalità, che è ciò che definisce, da Aristotele in poi, la vita umana come tale, implica la facoltà dell'astrazione e dell'immaginazione, tramite cui il soggetto non limita l'esperienza del mondo alle cose che di fatto impattano attualmente sulle sue percezioni, ma la apre a pensieri circa possibilità alternative, in quanto se la razionalità lavora su concetti e i concetti indicano diverse possibili determinazioni dello stesso essere a cui il concetto è riferito, il soggetto razionale potrà immaginare diversi modi d'essere della cosa rispetto al modo con cui ne fa esperienza diretta. Questo allargamento di prospettiva consente all'individuo di immaginare anche diversi fini entro cui orientare la propria esistenza, e ciò determina il fatto che nell'animale razionale, la persona, gli individui non sono mere determinazioni di una specie, ma vivono differenziando la specie in varie modalità qualitative di caratteri e condotte esistenziali. Diceva giustamente Kierkegaard che l'uomo è l'animale in cui il singolo prevale sulla specie. Individuo e persona sono categorie che se da un lato vanno distinte, in quanto l'individualità, genericamente intesa, manterrebbe un'idea solo quantitativa di unicità, e sarebbe applicabile anche a ogni singola pietra, ogni singola quercia, ogni singolo animale, anche se nulla differenzia la qualità di questi singoli dalla specie collettiva a cui sono catalogati, mentre la persona segna una differenza qualitativa tra ogni singola persona e le altre, dall'altro si può dire che nella persona l'individualità viene esaltata al massimo grado, appunto perché determina non solo l'esistenziarsi a livello singolare dell'idea di specie, ma anche le differenze qualitative che contraddistinguono ogni singolo dall'altro, e dunque anche le differenze circa ciò con cui intendere il fine delle nostre vite. Tutto questo discorso mi pare possa mantenersi valido indipendentemente dal problema  dell'eventuale prosecuzione della vita oltre la morte come possibilità contrapposta a quella per la quale la putrefazione, non solo corporea ma di tutto l'essere, resterebbe l'esito conclusivo e necessario

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