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Putrefazione, la vita

Aperto da daniele75, 12 Aprile 2020, 20:26:03 PM

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Jacopus

CitazioneDiceva giustamente Kierkegaard che l'uomo è l'animale in cui il singolo prevale sulla specie.


Toh, un classico esempio di citazionismo intimidatorio.  :) . Scherzo, Davintro.
In realtà  homo sapiens è uno fra gli animali più prosociali attualmente esistenti, fra i mammiferi. Il nostro successo ecologico è proprio dovuto al nostro essere prosociali e collaborativi, fin dalla notte dei tempi. J. Diamonds racconta in "il terzo scimpanzé" che già i primi homo sapiens di cui si è trovata traccia fossile si portavano appresso i più anziani, i malati, gli zoppi.
Questa nostra attitudine molto naturale si scontra però contro due ostacoli. Il primo è la necessità di innovazione, che è un"altra nostra caratteristica, che premia chi si distingue innovando. In questo senso c'è un equilibrio instabile fra singolo e collettività.  Da 400 anni a questa parte il capitalismo invece ci ha inculcato in testa questa ipotetica supremazia del singolo sulla collettività.  Il che, entro certi limiti, va anche bene, ma che superati quegli stessi limiti (e direi che siamo oltre) ha solo una funzione strumentale e propagandistica, per fissare l'egoismo e la singolarità  libera come tratti naturali dell'uomo. Niente di più sbagliato.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

davintro

Citazione di: Jacopus il 20 Aprile 2020, 17:23:47 PM
CitazioneDiceva giustamente Kierkegaard che l'uomo è l'animale in cui il singolo prevale sulla specie.


Toh, un classico esempio di citazionismo intimidatorio.  :) . Scherzo, Davintro.
In realtà  homo sapiens è uno fra gli animali più prosociali attualmente esistenti, fra i mammiferi. Il nostro successo ecologico è proprio dovuto al nostro essere prosociali e collaborativi, fin dalla notte dei tempi. J. Diamonds racconta in "il terzo scimpanzé" che già i primi homo sapiens di cui si è trovata traccia fossile si portavano appresso i più anziani, i malati, gli zoppi.
Questa nostra attitudine molto naturale si scontra però contro due ostacoli. Il primo è la necessità di innovazione, che è un"altra nostra caratteristica, che premia chi si distingue innovando. In questo senso c'è un equilibrio instabile fra singolo e collettività.  Da 400 anni a questa parte il capitalismo invece ci ha inculcato in testa questa ipotetica supremazia del singolo sulla collettività.  Il che, entro certi limiti, va anche bene, ma che superati quegli stessi limiti (e direi che siamo oltre) ha solo una funzione strumentale e propagandistica, per fissare l'egoismo e la singolarità  libera come tratti naturali dell'uomo. Niente di più sbagliato.



eh difatti ero parecchio combattuto sull'aggiungere o no il richiamo a Kierkegaard, proprio per evitare eventuali accuse di incoerenza coi miei pensieri sul citazionismo nell'altro topic... (nessun problema comunque, ho inteso lo scherzo!)


Certamente la socialità, intesa come tendenza a inserirsi in un sistema costituito da relazioni fra ruoli e funzioni, esprime la razionalità definente l'uomo, ma ciò non è affatto in contraddizione con le differenze qualitative delle personalità individuali, anzi, proprio la complessità della struttura sociale coincide con la specializzazione che consente la delineazione di ruoli sempre più differenziati e dunque sempre più combacianti con le differenti vocazioni individuali. La collaborazione sociale ha poco o niente a che fare con una supposta pretesa di omologazione delle personalità, al contrario, trae dalla differenze di carattere, interessi, formazione le sue motivazioni. La motivazione che muove alla collaborazione sociale sta nel riconoscimento di propri limiti, espressioni delle differenze personali, e dunque dal riconoscimento da parte di ciascuno della necessità di delegare ad altri, aventi doti e conoscenze molto più grandi delle proprie, compiti necessari alla vita. Se intraprendo una relazione sociale con l'idraulico che mi aggiusta il rubinetto rotto, è proprio in quanto riconosco in lui una competenza, delle qualità che io non possiedo, proprio in quanto espressioni di una personalità qualitativamente diversa dalla mia (lasciamo andare ora il fatto, pur vero, che non sempre c'è coincidenza tra professione ed effettive inclinazioni personali, il discorso si allungherebbe troppo, fermiamoci pure al margine entro cui tra i due piani c'è un nesso più o meno coerente). Senza una differenza di personalità e di vocazioni tra me e l'idraulico non ammetterei la necessità di spendere denaro per rivolgermi a lui, in quanto avrei in me tutto il necessario per risolvere da solo il problema tecnico, e ciò alimenterebbe l'isolamento sociale (sociale, non comunitario, la comunità attiene a un senso ben diverso, ma, di nuovo, non complichiamo le cose)

Jacopus

Ciao Davintro. Il tuo ultimo post è riconducibile a quanto già espresso da un aristocratico romano più di 2000 anni fa, allorquando la plebe era un po' su di giri, contro i detentori del potere di allora. Mi riferisco a Menenio Agrippa, ovviamente.
Menenio Agrippa non aveva tutti i torti ma neppure tutte le ragioni. E tutta una questione di senso del limite, un senso che agli aristocratici di oggi manca ancor più che ai fans della nota brioche.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

doxa

#18
Jacopus ha scritto
CitazioneIn realtà  homo sapiens è uno fra gli animali più prosociali attualmente esistenti, fra i mammiferi. Il nostro successo ecologico è proprio dovuto al nostro essere prosociali e collaborativi, fin dalla notte dei tempi. J. Diamonds racconta in "il terzo scimpanzé" che già i primi homo sapiens di cui si è trovata traccia fossile si portavano appresso i più anziani, i malati, gli zoppi.

Davintro ha risposto
CitazioneCertamente la socialità, intesa come tendenza a inserirsi in un sistema costituito da relazioni fra ruoli e funzioni, esprime la razionalità definente l'uomo, ma ciò non è affatto in contraddizione con le differenze qualitative delle personalità individuali, anzi, proprio la complessità della struttura sociale coincide con la specializzazione che consente la delineazione di ruoli sempre più differenziati e dunque sempre più combacianti con le differenti vocazioni individuali.

Quanto da  voi due asserito è confermato dal biologo Edward Wilson, professore emerito all'università di Harvard, il quale  ha  recentemente pubblicato il libro titolato: "Le origini profonde delle società umane" (Raffaello Cortina editore).

Egli dice che il miracolo della nostra sopravvivenza sulla Terra  avvenne quando poche specie si dettero un'organizzazione sociale, in cui i singoli lavorano e si riproducono (o non si riproducono) in funzione del gruppo di animali di cui fanno parte.

Ma la socialità comparve tardi perché è rara, pur avendo portato al successo una specie come quella umana, che ora domina il mondo. 

Il senso comune sembra suggerire che la socialità sia un'espansione progressiva delle cure date dai genitori ai figli, invece gli studi comparativi compiuti sul campo e in laboratorio hanno mostrato che i legami di parentela non sono la causa della dedizione alla propria comunità. Secondo Wilson questa e altre forme di altruismo sono state innescate dalla divisione del lavoro, come per esempio le api nell'alveare. Al contrario, la tendenza dei parenti a prendersi cura dei discendenti comporta l'abitudine a separarsi dai figli che hanno raggiunto la maturità, così, a differenza delle api, non si forma mai un'organizzazione complessa e stratificata.

Se l'organizzazione della colonia di api diventa sempre più importante, la sopravvivenza e il successo riproduttivo del singolo diventano progressivamente meno rilevanti.
Le api operaie possono essere considerate come delle estensioni robotiche che si sacrificano per la società nel suo complesso. Questo stato di cose è basato sul compromesso tra egoismo e altruismo, ma tendenzialmente favorevole all'altruismo.

Il professor Wilson dice che nel corso della storia della Terra sono vissute migliaia di specie di medie e grandi dimensioni e poche sono state in grado di giungere ad un compromesso stabile tra egoismo e altruismo, ed una sola ha raggiunto il livello di complessità che oggi contraddistingue l'uomo.

La vicenda appare singolare anche se ci si limita a ripercorrere le tracce risalenti a soli 300 mila anni fa, quando un primate originario dell'Africa orientale e meridionale abitava nella savana tropicale. Era imparentato con altre specie incontrate nel suo girovagare, ma solo lui prevalse per merito dell'altruismo verso chi considerava appartenente al gruppo del "noi" e alla sua ostilità a chi era "altro da noi".

Risale a quei tempi l'attuale tribalismo.
Oggi l'homo sapiens ha superato l'eredità del tribalismo con la "buona educazione", per ridurre le tensioni tra l'altruismo e l'egoismo.

Jacopus

Buonasera altamarea. Grazie per il consiglio. Ho sempre collegato Wilson alla sociobiologia  e quindi al neodarwinismo sociale, ma bisognerebbe leggere i testi e visto che il tema mi interessa approfitterò del tempo di questa quarantena per leggere l'ennesimo "Cortina."
Rispetto al tuo ultimo accenno sull'uomo che ha imparato a controllarsi e a distinguere il noi/loro in modo più sfumato mi permetto di segnalare un altro libro che è un classico della sociologia storica, "la civiltà delle buone maniere", di N. Elias.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

giopap

Grazie anche a te da parte mia per il consiglio di lettura.

Wilson (se é lo stesso, perché ne esiste un omonimo pure noto biologo) ha superato un' iniziale simpatia per Dawkins e la sociobiologia dimostrando grande ed encomiabile correttezza ed etica scientifica.
E' veramente un raro, "edificante" come si diceva una volta, esempio di come di debba fare ricerca scientifica.

doxa

Buonasera giopap,

il nome completo del sociobiologo statunitense è Edward Osborne Wilson, ex docente della Harvard University.

Per non sbagliare questa è la copertina



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