principio di arbitrarietà mereologica

Aperto da sgiombo, 07 Ottobre 2016, 09:36:00 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Apeiron

Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 00:02:53 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 19:31:51 PM
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Appunto: se separi una molecola d'acqua nelle parti che la costituiscono, ovvero 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, questi 3 atomi non sono più parti di quell'intero rispetto al quale erano parti, ma sono degli interi a sé stanti, quindi il loro esser parti viene cancellato (e infatti un idrogeno o un ossigeno presi come atomi hanno comportamenti ben diversi rispetto a un idrogeno e un ossigeno parti di una molecola d'acqua).
Se togli un atomo di idrogeno a una molecola d'acqua, come prima la parte rimasta non è più parte essendo diventata un intero e resta un diverso intero: ad esempio un radicale ossidrile.
E' lo stesso se scrivo 123 (centoventitre) o 1 2 3 (uno due tre). 1 2 3 preso ciascuno da solo non sono più l' uno, il due e il 3 che sono nel 123 in cui ciascuno di esso è parte in quella relazione d'ordine specifica.


Però questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:14:48 AM@Sariputra, Grazie mille della spiegazione e mi scuso di aver causato l'evidente deviazione nella discussione. Concordo sul discuterne in separata sede. Detto questo continuo a sostenere che gli esseri composti da parti sono a loro volta contingenti e quindi è impossibile dare loro una "realtà piena"... Quello che volevo inizialmente dare era il mio punto di vista che riassumo brevemente. A mio giudizio i gradi di realtà sono tre: 1) "realtà assoluta" - indipendente da ogni condizione; 2) "realtà contingente" - esistenza che dipende da condizioni; 3) "non esistenza" Ora gli interi sono contingenti. Perciò esistono solo perchè le loro parti interagiscono in un certo modo. Facendo l'esempio dell'invecchiamento. Dire "sono lo stesso o no di 10 anni fa?" è una questione malposta in quanto si cerca un'identità fissa dove non c'è. Strettamente parlando infatti noi mutiamo ogni momento perchè ad esempio alcune cellule muoiono, respiriamo ecc. Tuttavia il fatto che non siamo enti assoluti ci permette di ragionare in modo da vedere un continuum tra le varie fasi della nostra vita.

Ne abbiamo discusso parecchio in "La nave di Teseo". Sono d'accordo che , tutto ciò che è composto, non ha realtà assoluta ( se per assoluta intendi un'esistere fondato in se stesso, durevole, immutabile, eterno, non dipendente da cause e condizioni), ma nemmeno è privo di realtà ("Qualcosa c'è là fuori" per dirla in parole povere). C'è una realtà , che è però priva di esistenza intrinseca. Possiede un'esistenza dipendente da cause e condizioni, un'esistenza limitata proprio dall'insorgere dipendente. Consideriamo anche che ogni parte di un insieme è a sua volta un insieme di parti. Per es. l'insieme dei miei ricordi fonda il mio senso di continuità personale, ma se andiamo ad analizzare i ricordi vediamo che si trasformano di continuo, tanto che , dopo molto tempo, i confini  tra l'esperienza effettiva vissuta e la colorazione che ne dà la mente sfumano. Appare evidente come anche il singolo ricordo è un insieme  ( coscienza, fantasia, proiezioni, ecc.) di parti psicologiche. E' come se , dentro un universo, ci fossero innumerevoli altri universi.  Dentro una parte, innumerevoli altre parti. Il problema evidente è, per me, che la mente non può concepire,se non intuitivamente o per mezzo dell'espressione artistica, la fluidità e la compenetrazione di questi "universi" negli universi; di questo " esistere senza esistenza propria", apparentemente  contradditorio per il pensiero che ha necessità logica di analizzare per parti o per insiemi di parti. Il pensiero però , elaborando nomi, forme e significati agisce all'interno di questo divenire di esistenza-priva-di-esistenza e lo trasforma, attraverso la volontà e la rappresentazione che si fa della sua "parti-colare" percezione di questa esistenza dipendente. Pertanto, come dice Schopenhauer: "Il mondo è la mia rappresentazione".
Però se noi fossimo solo conoscenza e rappresentazione, sostiene sempre Sch., non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico. Ma noi siamo anche corpo: in quanto corpo soffriamo ( di desiderio) e godiamo ( dell'appagamento del desiderio). Ripiegandoci su noi stessi ci rendiamo conto che la nostra più intima spinta è la "volontà di vivere": un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Noi, proprio noi, siamo vita, ovvero "volontà di vivere".
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

#32
Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 12:25:41 PM

CitazionePerò mi sembra innegabile che questa distinzione derivi da un'arbitraria decisione di intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per considerare nel mondo ogni "intero" e "parte" che si vuole.
A me pare piuttosto che possiamo pensare la distinzione come qualcosa che avrebbe potuto essere diversa, ma di fatto non lo è. Ossia noi vediamo che le cose vengono considerate in modo diverso (nel tempo e nei luoghi) e che da questi modi diversi di considerarle è possibile giungere a un'intesa, a una traduzione. Ma nel loro ambito originario esse non sono per nulla arbitrarie: noi non scegliamo a caso quale significato (e implicazione di significati) dare agli enti, cosa sia parte e cosa sia intero, è il contesto che lo decide per ciascuno di noi, l'insieme dei rapporti, degli usi e dei modi di fare che insieme già tutti pubblicamente condividiamo in un determinato luogo e tempo. Per esempio "Italia" (come Eurasia o qualsiasi denominazione geografica) può sembrare solo un nome del tutto arbitrario per una certa regione del globo terrestre, che qualcuno ha scelto di chiamare così potendola chiamare anche diversamente (Enotria, Esperia ...), ma sappiamo che così non è, perché il significato di quel nome non è per nulla arbitrario, ma il frutto di secoli di storia in cui è presente qualcosa che nonostante tutto accomuna in modo simbolico astratto e che quel nome indica. Non è in origine "solo un'espressione geografica", come diceva Metternich, anche se certamente può diventarlo, ossia il simbolo può perdere ogni significato e diventare solo un segno che non significa più nulla e quindi a piacere tutto e il contrario di tutto, ma non il contrario.  
Chiunque può trovare (non inventare dal nulla) una definizione, ma in realtà non è lui che la trova, è il contesto che gli sta attorno che sempre gliela suggerisce e gliela impone anche nella sua novità e questo è il motivo per cui, anche se sembra che nulla te lo impedisca, non potrai mai chiamare se non per insignificante vezzo una cosa in altro modo (e anche questo solo richiamandoti al modo o ai modi con cui la si chiama e la si conosce), finché il contesto non ammette questo altro modo che è un altro modo di significare e quindi di apparire.
CitazioneNon sostengo che scegliamo a caso (ma invece secondo i più svariati motivi teorici e/o pratici) come considerare le cose e come designarle con concetti indicati da simboli verbali arbitrari (cosa considerare parte e cosa considerare intero).
Sostengo invece che queste scelte sono arbitrarie, le facciamo ad libitum, che le decidiamo noi e non "il contesto" (il contesto oggettivo ne determina casomai l' imporsi in pratica di alune piuttosto che talaltre).
E naturalmente, essendo animali sociali generalmente ("di regola") concordiamo e condividiamo queste scelte con gli altri; e ovviamente nella storia i concetti tendono ad assumere e in molti casi assumono significati più o meno complessi e "stratificati" (anche mutandoli, almeno in parte).
M ma questo non mi imedische, per esempio, di stabilire del tutto  lecitamente e sensatamente il concetto (fra l' altro dotato di una denotazione reale) di "Asiafrica". Le caratteristiche del contesto oggettivo potranno impedire che si affermi in un ambiente sociale, culturale, non destituirlo di significato e correttezza (men che meno di denotazione).

maral

#33
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:19:34 AM
Però questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
Ma l'oggetto in sé non esiste, ovvero esiste come astrazione concepibile in sé solo dal nostro modo di pensare concettuale. Il discorso che tu fai mi pare che si inquadri nel discorso più generale di voler stabilire quali siano gli elementi (interi) semplici alla base di ogni composto (senza dubbio un discorso che ha una lunga storia sia nella filosofia che nella scienza dell'Occidente, con enormi conseguenze sulla nostra visione del mondo), le parti unitarie e fondamentali che, prese in sé (ovvero non più come parti) stanno alla base di tutto. Mi pare evidente che questo è un processo infinito di astrazione (poiché ogni parte si rivela sempre all'osservazione un intero di altre parti ancora più semplici e fondamentali) che a mio avviso  basa la sua pretesa su un errore fondamentale, ossia considerare che ci siano elementi in sé (ad esempio gli atomi) che possano essere "in essenza" gli stessi sia che li si ritrovino isolati o  come parti, ossia che la loro modalità di essere non incida in effetti per nulla su ciò che sono, quando invece ciò che sono solo le loro modalità di essere possono determinarlo effettivamente.
Citazione di: sgiombo il 11 Ottobre 2016, 09:10:09 AM
Non sostengo che scegliamo a caso (ma invece secondo i più svariati motivi teorici e/o pratici) come considerare le cose e come designarle con concetti indicati da simboli verbali arbitrari (cosa considerare parte e cosa considerare intero).
Sostengo invece che queste scelte sono arbitrarie, le facciamo ad libitum, che le decidiamo noi e non "il contesto" (il contesto oggettivo ne determina casomai l' imporsi in pratica di alune piuttosto che talaltre).
Perdona Sgiombo, ma qui c'è qualcosa che mi sfugge. Non sostieni che scegliamo a caso (i nostri modi di considerare le cose e intenderne i significati dandone espressione), bene, fin qui siamo d'accordo, ma allora in che modo le nostre scelte possono essere arbitrarie, determinate fondamentalmente da un nostro libero arbitrio svincolato dai contesti (e nei contesti ci metto dentro, oltre ai modi di pensare, i modi linguistici di esprimersi, gli strumenti tecnici che utilizziamo per fare le cose, le credenze a cui partecipiamo secondo istruzione ricevuta e tutte le nostre prassi)? Come è possibile pensare insieme che il significato (il modo in cui qualsiasi cosa appare) non è frutto del caso, ma nello stesso tempo è frutto di una volontà mia, tua o di altri individui che possono scegliere ad libitum, svincolati da qualsiasi necessità davanti a un panorama di infinite possibilità in origine (ossia nella loro purezza oggettiva in sé) del tutto equivalenti?
Non c'è dubbio che le espressioni linguistiche possano arrivare a traduzioni, accordi espressivi, vocabolari concordati e via dicendo, ma questo è il risultato finale del processo linguistico, non il suo punto di partenza. Nessuna lingua è nata da un vocabolario (anche perché pe comporre un vocabolario, bisogna già avere un vocabolario), ma ogni lingua produce il suo vocabolario che non è chi parla quella lingua a decidere in partenza.

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:19:34 AM
Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 00:02:53 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 19:31:51 PM
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Appunto: se separi una molecola d'acqua nelle parti che la costituiscono, ovvero 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, questi 3 atomi non sono più parti di quell'intero rispetto al quale erano parti, ma sono degli interi a sé stanti, quindi il loro esser parti viene cancellato (e infatti un idrogeno o un ossigeno presi come atomi hanno comportamenti ben diversi rispetto a un idrogeno e un ossigeno parti di una molecola d'acqua).
Se togli un atomo di idrogeno a una molecola d'acqua, come prima la parte rimasta non è più parte essendo diventata un intero e resta un diverso intero: ad esempio un radicale ossidrile.
E' lo stesso se scrivo 123 (centoventitre) o 1 2 3 (uno due tre). 1 2 3 preso ciascuno da solo non sono più l' uno, il due e il 3 che sono nel 123 in cui ciascuno di esso è parte in quella relazione d'ordine specifica.


Però questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale


CitazioneEsistono realmente, nella realtà (ovviamente "con un grado limitato di realtà", secondo la terminolgia di Apeiron: contingenti e non eterni) gli atomi di idrogeno e quello di ossigeno (che formano la molecola d' acqua), ovvero esiste la  molecola d' acqua.

Il pensiero li può del tutto arbitrariamente, ad libitum considerare separatamente (considerare ciascuno dei tre atomi: "primo atomo di H"; "secondo atomo di H"; "atomo di O") o congiuntamente come "molecola d' acqua", ovvero molecola "H2O".

sgiombo

Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 10:24:40 AM

Citazione di: sgiombo il 11 Ottobre 2016, 09:10:09 AM
Non sostengo che scegliamo a caso (ma invece secondo i più svariati motivi teorici e/o pratici) come considerare le cose e come designarle con concetti indicati da simboli verbali arbitrari (cosa considerare parte e cosa considerare intero).
Sostengo invece che queste scelte sono arbitrarie, le facciamo ad libitum, che le decidiamo noi e non "il contesto" (il contesto oggettivo ne determina casomai l' imporsi in pratica di alune piuttosto che talaltre).
Perdona Sgiombo, ma qui c'è qualcosa che mi sfugge. Non sostieni che scegliamo a caso (i nostri modi di considerare le cose e intenderne i significati dandone espressione), bene, fin qui siamo d'accordo, ma allora in che modo le nostre scelte possono essere arbitrarie, determinate fondamentalmente da un nostro libero arbitrio svincolato dai contesti (e nei contesti ci metto dentro, oltre ai modi di pensare, i modi linguistici di esprimersi, gli strumenti tecnici che utilizziamo per fare le cose, le credenze a cui partecipiamo secondo istruzione ricevuta e tutte le nostre prassi)? Come è possibile pensare insieme che il significato (il modo in cui qualsiasi cosa appare) non è frutto del caso, ma nello stesso tempo è frutto di una volontà mia, tua o di altri individui che possono scegliere ad libitum, svincolati da qualsiasi necessità davanti a un panorama di infinite possibilità in origine (ossia nella loro purezza oggettiva in sé) del tutto equivalenti?

CitazioneSemplicemente scegliamo secondo i nostri interessi teorici o pratici i nomi da dare alle cose: queste scelte non sono casuali (in generale; potrebbero esserle se decidiamo che lo siano) perché motivate, determinate dai nostri interessi, ma sono arbitrarie perché questi interessi che ci condizionano a sceglierli sono insindacabilmente avvertiti e assecondati (o meno) da ciascuno di noi (li scegliamo arbitrariamente, ma le nostre scelte non sono casuali, bensì determinate, comunque dai nostri soggettivi interessi e non dalla realtà oggettiva; anche quando il nostro interesse, come spesso accade di fatto, é quello di conoscere la realtà oggettiva).


Non c'è dubbio che le espressioni linguistiche possano arrivare a traduzioni, accordi espressivi, vocabolari concordati e via dicendo, ma questo è il risultato finale del processo linguistico, non il suo punto di partenza. Nessuna lingua è nata da un vocabolario (anche perché pe comporre un vocabolario, bisogna già avere un vocabolario), ma ogni lingua produce il suo vocabolario che non è chi parla quella lingua a decidere in partenza.
CitazioneLe lingue evolvono e i vocabolari si definiscono in seguito aprocessi storici; ma ciò non toglie che le parole e i loro significati sono decisi arbitriamente (qualche volta perfino "in partenza"; per esempio Galileo stabilì "in partenza", oltre che del tutto arbitrariamente, anche se motivatamente, non casualmente, di chìamare "pianeti medicei" -e così infatti si chiamarono per molto tempo- quelli che oggi, non più "in partenza" ma altrettanto convenzionalmente sono detti "satelliti di Giove".

paul11

Aperion,
una unità, che è composta da parti ha intrinsecamente proprietà che non sono date dalle parti.
Una casa è composta da mattoni, la matematica è composta da numeri, le frasi le componiamo da un alfabeto.
Non è riducendo la casa al mattone che noi relazioniamo le proprietà e e le caratteristiche  della casa diverse dal mattone, così come un numero non è solo l'1 o l'alfabeto solo la  a. la composizione è ovvio che costruisce complessità e quindi categorie ontologiche che tu stesso hai diviso ,ma proprio perchè sai le differenze relazionali.
Non è riducendo all'atomos  alla tavola degli elementi chimico/fisici che noi troviamo le proprietà degli acidi o dei metalli e così via.

Dobbiamo tenere presente  proprietà e caratteristiche di un ente ,oggetto affinchè il moviment odelal conoscenza a discendere e a salire, induttivo e deduttivo trovino significati .L'essenza non è propriamente l'infitesimamente piccolo non suddividibile.
Perchè se il Tutto fosse solo la scomposizione infinita di positroni, stringhe, quark, non ci dice nulla del mondo, del perchè si formano meteore invece di pianeti, stelle, galassie senza intervento umano.
E' la natura stessa che esige per essere conosciuta la relazione fra una stringa atomica e la galassia, così come un mitocondrio cellulare, o una gamba invece di una testa umana.

In altre parole, non è ponendosi metafisicamente che riesco ad eludere il fatto che una casa esiste, una frase, dei numeri esitano e ogni unità abbia proprietà, caratteristiche che lo differenziano da altre ontologicamente.

Tu dici che la contingenza e il divenire fanno sì che le parti siano più importanti dell'unità complessa, ma quell'atomo di idrogeno che oggi compone un corpo umano, domani potrà comporre un acido inorganico, chi conosce il viaggio delle composizioni dell'infinitesimamente piccolo? 
Un uomo fin quando è ritenuto lo stesso uomo anche nel divenire? Oppure moriamo e rinasciamo ogni attimo? Forse è i lricordo o la memoria a darci identità, ma anche un cane o l'antilope sono le stesse dalla nascita alla morte.
Poni una categorizzazione filosfica, ma dimentichiamo che la mereologia ha il compito come teoria di supportare la conoscenza come strumento di indagine

Apeiron

Citazione di: paul11 il 11 Ottobre 2016, 13:37:29 PMAperion, una unità, che è composta da parti ha intrinsecamente proprietà che non sono date dalle parti. Una casa è composta da mattoni, la matematica è composta da numeri, le frasi le componiamo da un alfabeto. Non è riducendo la casa al mattone che noi relazioniamo le proprietà e e le caratteristiche della casa diverse dal mattone, così come un numero non è solo l'1 o l'alfabeto solo la a. la composizione è ovvio che costruisce complessità e quindi categorie ontologiche che tu stesso hai diviso ,ma proprio perchè sai le differenze relazionali. Non è riducendo all'atomos alla tavola degli elementi chimico/fisici che noi troviamo le proprietà degli acidi o dei metalli e così via. Dobbiamo tenere presente proprietà e caratteristiche di un ente ,oggetto affinchè il moviment odelal conoscenza a discendere e a salire, induttivo e deduttivo trovino significati .L'essenza non è propriamente l'infitesimamente piccolo non suddividibile. Perchè se il Tutto fosse solo la scomposizione infinita di positroni, stringhe, quark, non ci dice nulla del mondo, del perchè si formano meteore invece di pianeti, stelle, galassie senza intervento umano. E' la natura stessa che esige per essere conosciuta la relazione fra una stringa atomica e la galassia, così come un mitocondrio cellulare, o una gamba invece di una testa umana. In altre parole, non è ponendosi metafisicamente che riesco ad eludere il fatto che una casa esiste, una frase, dei numeri esitano e ogni unità abbia proprietà, caratteristiche che lo differenziano da altre ontologicamente. Tu dici che la contingenza e il divenire fanno sì che le parti siano più importanti dell'unità complessa, ma quell'atomo di idrogeno che oggi compone un corpo umano, domani potrà comporre un acido inorganico, chi conosce il viaggio delle composizioni dell'infinitesimamente piccolo? Un uomo fin quando è ritenuto lo stesso uomo anche nel divenire? Oppure moriamo e rinasciamo ogni attimo? Forse è i lricordo o la memoria a darci identità, ma anche un cane o l'antilope sono le stesse dalla nascita alla morte. Poni una categorizzazione filosfica, ma dimentichiamo che la mereologia ha il compito come teoria di supportare la conoscenza come strumento di indagine

Non sono necessariamente in disaccordo con te. Sono in realtà d'accordo sull'utilità pratica della mereologia (e ci mancherebbe...). Tuttavia pensa all'esempio dell'attrito: diciamo che per camminare risentiamo della "forza d'attrito". Macroscopicamente si comporta proprio come un'interazione come ad esempio la gravità. Però più indaghi e più scopri che in realtà è una proprietà emergente e non fondamentale della realtà: le forze fondamentali sono per quanto ne sappiamo ora 4, l'attrito non è che una composizione di queste 4. perciò non ha un'identità "propria" o un'"essenza". Oppure pensa alla tensione superficiale di un liquido. Di nuovo è una forza emergente, così come lo è la stessa fase liquida. Ogni fase della materia è di questo tipo. Recentemente si è proposto che la coscienza stessa sia emergente, una sorta di "fase della materia". In tal caso la stessa coscienza (ovviamente non saprei dirti se mi convince pienamente questa idea, visto che mi pare ancora assurdo di avere un'identità personale, una prospettiva unica con cui interagisco col mondo) sarebbe "meno reale" delle "parti". Non dico di "buttare al vento" la mereologia però bisogna conoscere la sua intrinseca (parziale) arbitrarietà. 

Citazione di: maral il 11 Ottobre 2016, 10:24:40 AM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:19:34 AMPerò questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
Ma l'oggetto in sé non esiste, ovvero esiste come astrazione concepibile in sé solo dal nostro modo di pensare concettuale. Il discorso che tu fai mi pare che si inquadri nel discorso più generale di voler stabilire quali siano gli elementi (interi) semplici alla base di ogni composto (senza dubbio un discorso che ha una lunga storia sia nella filosofia che nella scienza dell'Occidente, con enormi conseguenze sulla nostra visione del mondo), le parti unitarie e fondamentali che, prese in sé (ovvero non più come parti) stanno alla base di tutto. Mi pare evidente che questo è un processo infinito di astrazione (poiché ogni parte si rivela sempre all'osservazione un intero di altre parti ancora più semplici e fondamentali) che a mio avviso basa la sua pretesa su un errore fondamentale, ossia considerare che ci siano elementi in sé (ad esempio gli atomi) che possano essere "in essenza" gli stessi sia che li si ritrovino isolati o come parti, ossia che la loro modalità di essere non incida in effetti per nulla su ciò che sono, quando invece ciò che sono solo le loro modalità di essere possono determinarlo effettivamente.

Molto probabilmente sono condizionato dalla mia formazione da fisico, il cui mestiere è prettamente "analitico" :) . Ho sempre visto la fisica come quella disciplina che tenta di vedere (1) i fondamentali costituente della realtà (2) come (e NON perchè) essi interagiscono. Ora concordo con te che in realtà quello che la fisica ha trovato è che queste stesse "particelle elementari" sono anch'esse "non completamente reali" per il fatto che possono scomparire (in fisica delle particelle nulla è assolutamente indistruttibile. Ad esempio un elettrone è stabile, non decade spontaneamente e non è composto da parti, ma se incontra per strada un positrone "schiatta"). Per questo motivo nessuna cosa contingente è "completamente" reale. Tuttavia queste "entità fondamentali" sono "più reali" degli oggetti che "costruiscono" per i motivi detti in altri post. Poi il discorso è questo: se vuoi analizzare un oggetto meccanico lo rompi e poi vedi come e parti "interagiscono". Il perchè interagiscono nel modo in cui interagiscono non ha una risposta empirica e quindi è pura speculazione.
Citazione di: Sariputra il 11 Ottobre 2016, 01:19:29 AM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:14:48 AM@Sariputra, Grazie mille della spiegazione e mi scuso di aver causato l'evidente deviazione nella discussione. Concordo sul discuterne in separata sede. Detto questo continuo a sostenere che gli esseri composti da parti sono a loro volta contingenti e quindi è impossibile dare loro una "realtà piena"... Quello che volevo inizialmente dare era il mio punto di vista che riassumo brevemente. A mio giudizio i gradi di realtà sono tre: 1) "realtà assoluta" - indipendente da ogni condizione; 2) "realtà contingente" - esistenza che dipende da condizioni; 3) "non esistenza" Ora gli interi sono contingenti. Perciò esistono solo perchè le loro parti interagiscono in un certo modo. Facendo l'esempio dell'invecchiamento. Dire "sono lo stesso o no di 10 anni fa?" è una questione malposta in quanto si cerca un'identità fissa dove non c'è. Strettamente parlando infatti noi mutiamo ogni momento perchè ad esempio alcune cellule muoiono, respiriamo ecc. Tuttavia il fatto che non siamo enti assoluti ci permette di ragionare in modo da vedere un continuum tra le varie fasi della nostra vita.
Ne abbiamo discusso parecchio in "La nave di Teseo". Sono d'accordo che , tutto ciò che è composto, non ha realtà assoluta ( se per assoluta intendi un'esistere fondato in se stesso, durevole, immutabile, eterno, non dipendente da cause e condizioni), ma nemmeno è privo di realtà ("Qualcosa c'è là fuori" per dirla in parole povere). C'è una realtà , che è però priva di esistenza intrinseca. Possiede un'esistenza dipendente da cause e condizioni, un'esistenza limitata proprio dall'insorgere dipendente. Consideriamo anche che ogni parte di un insieme è a sua volta un insieme di parti. Per es. l'insieme dei miei ricordi fonda il mio senso di continuità personale, ma se andiamo ad analizzare i ricordi vediamo che si trasformano di continuo, tanto che , dopo molto tempo, i confini tra l'esperienza effettiva vissuta e la colorazione che ne dà la mente sfumano. Appare evidente come anche il singolo ricordo è un insieme ( coscienza, fantasia, proiezioni, ecc.) di parti psicologiche. E' come se , dentro un universo, ci fossero innumerevoli altri universi. Dentro una parte, innumerevoli altre parti. Il problema evidente è, per me, che la mente non può concepire,se non intuitivamente o per mezzo dell'espressione artistica, la fluidità e la compenetrazione di questi "universi" negli universi; di questo " esistere senza esistenza propria", apparentemente contradditorio per il pensiero che ha necessità logica di analizzare per parti o per insiemi di parti. Il pensiero però , elaborando nomi, forme e significati agisce all'interno di questo divenire di esistenza-priva-di-esistenza e lo trasforma, attraverso la volontà e la rappresentazione che si fa della sua "parti-colare" percezione di questa esistenza dipendente. Pertanto, come dice Schopenhauer: "Il mondo è la mia rappresentazione". Però se noi fossimo solo conoscenza e rappresentazione, sostiene sempre Sch., non potremmo mai uscire dal mondo fenomenico. Ma noi siamo anche corpo: in quanto corpo soffriamo ( di desiderio) e godiamo ( dell'appagamento del desiderio). Ripiegandoci su noi stessi ci rendiamo conto che la nostra più intima spinta è la "volontà di vivere": un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Noi, proprio noi, siamo vita, ovvero "volontà di vivere".

Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

Aperion,
cosa non è discutibile, soggetto ad arbitrio? L'essenza dal punto di vista storico filosofico, ha avuto essa stessa alterne vicende e definizioni da Aristotele alla contemporaneità. Quindi bisogna intendersi cosa si intende per essenza, perchè può aiutare a capire le relazioni fra parti e unità.
Non dimentichiamoci, che noi umani se siamo contingenti nel divenire, siamo agenti epistemologici e questo creerebbe un paradosso.Noi siamo esseri finiti eppure definiamo l'infinito e l'eterno.Significa che non è l'ontologia a relegare l'epistemologia a limitarla.

acquario69

Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 19:27:36 PM
Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)

Cercare la materia come origine della materia è un errore concettuale, perché la fisica non ha ancora compreso la necessità di Dio"...

"Ciò che la scienza non ha ancora compreso", ha sostenuto ancora Corbucci, "è che la ricerca dell'origine della materia entra nel campo della metafisica, dove le unità di misura della fisica non hanno più senso. Una scienza che non ha compreso la necessità di Dio è una scienza amorale che ci permette di esseri immorali. L'umanità sta andando catastroficamente verso un disfacimento morale perché la scienza scientista fa credere che l'universo sia come un aereo che viaggia alla deriva senza pilota".

queste qui sopra non sono parole mie ma di un fisico italiano,Massimo Corbucci,che condivido al 1000%

qui sotto l'articolo completo:
http://www.centrostudilaruna.it/il-bosone-di-higgs-la-crisi-irreversibile-della-fisica-moderna-e-le-ultime-tracce-di-una-scienza-sacra.html

Apeiron

Citazione di: paul11 il 11 Ottobre 2016, 23:17:08 PMAperion, cosa non è discutibile, soggetto ad arbitrio? L'essenza dal punto di vista storico filosofico, ha avuto essa stessa alterne vicende e definizioni da Aristotele alla contemporaneità. Quindi bisogna intendersi cosa si intende per essenza, perchè può aiutare a capire le relazioni fra parti e unità. Non dimentichiamoci, che noi umani se siamo contingenti nel divenire, siamo agenti epistemologici e questo creerebbe un paradosso.Noi siamo esseri finiti eppure definiamo l'infinito e l'eterno.Significa che non è l'ontologia a relegare l'epistemologia a limitarla.

L'epistemologia è più importante dell'ontologia, secondo me.
Per una definizione di "essenza": dico che una cosa ha un'essenza se esiste di per sé (definizione "ontologica") o equivalentemente se riesco a conoscere se tale cosa esiste o no basta solamente la conoscenza della cosa stessa (definizione "epistemologica"). In poche parole ciò che ha una sua essenza è ciò che è totalmente indipendente concettualmente.

In ogni caso sono d'accordo che nulla nell'esperienza, o se vuoi in "questo mondo" ha un'essenza. Nulla è veramente distinto dal "resto" delle cose. Ogni distinzione che facciamo è arbitraria. Quando vedo un tavolo (reale) in ultima analisi riconosco non è una cosa "separata" dal resto dell'universo. Come dicevo l'impressione che mi da l'universo è come una schiuma in cui sembra che ci sia molteplicità ma non c'è :)

Per il discorso parti/intero: io posso considerare un'ente il tavolo ma posso considerare come unico ente la stanza in cui è presente il tavolo, posso considerare come unico ente l'edificio e così via. Le particelle fondamentali queste si potrebbero "isolare" ed "etichettare". Ma sono contingenti e quindi nemmeno loro sono indipendenti, ma questo è un altro discorso.

Tornando in tema nell'esempio del tavolo, della stanza ecc: come vedi qui tutto è convenzione.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Citazione di: acquario69 il 11 Ottobre 2016, 23:34:49 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 19:27:36 PM
Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)

Cercare la materia come origine della materia è un errore concettuale, perché la fisica non ha ancora compreso la necessità di Dio"...

"Ciò che la scienza non ha ancora compreso", ha sostenuto ancora Corbucci, "è che la ricerca dell'origine della materia entra nel campo della metafisica, dove le unità di misura della fisica non hanno più senso. Una scienza che non ha compreso la necessità di Dio è una scienza amorale che ci permette di esseri immorali. L'umanità sta andando catastroficamente verso un disfacimento morale perché la scienza scientista fa credere che l'universo sia come un aereo che viaggia alla deriva senza pilota".

queste qui sopra non sono parole mie ma di un fisico italiano,Massimo Corbucci,che condivido al 1000%

qui sotto l'articolo completo:
http://www.centrostudilaruna.it/il-bosone-di-higgs-la-crisi-irreversibile-della-fisica-moderna-e-le-ultime-tracce-di-una-scienza-sacra.html


Sotto questo punto di vista sono agnostico (epistemologicamente), personalmente credo che ci sia un Assoluto ma lo concepisco in modo diverso da come è tradizionalmente concepito il Dio cristiano. Per il problema dell'origine della materia... Potrebbe non aver mai avuto origine.
"Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è" (Wittgenstein) - Il fatto che "c'è qualcosa anzichè nulla" è un problema insolubile con la ragione. Personalmente per onestà intellettuale non lo so. Ogniuno ha la sua risposta, l'importante è avere il "senso del mistico/mistero (usando un termine meno "religioso" ma col medesimo significato)" davanti all'esistenza.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

#42
Citazione di: acquario69 il 11 Ottobre 2016, 23:34:49 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 19:27:36 PM
Concordo. Tuttavia l'intelletto analitico non può comprendere il "perchè" interagiscono le "parti". Per questo motivo ritengo la scienza è limitata. L'intelletto deve per forza farsi una "rappresentazione" della realtà in cui affida "essenze" a cose che ne sono "prive". Tuttavia è solo un'immagine (parziale), una prospettiva, un modo di vedere le cose. Perchè mai queste particelle dovrebbero interagire? Perchè mai l'universo non è una massa omogenea ma sembra composto di parti che sembrano avere "essenza propria" (perdonatemi se continuo a citare il Buddha, però secondo lui la "forma materiale è un ammasso di schiuma", immagine molto simile da come mi immagino io la realtà in cui le bolle di schiuma sono gli "enti convienzionali") ? Boh non saprei :)

Cercare la materia come origine della materia è un errore concettuale, perché la fisica non ha ancora compreso la necessità di Dio"...

"Ciò che la scienza non ha ancora compreso", ha sostenuto ancora Corbucci, "è che la ricerca dell'origine della materia entra nel campo della metafisica, dove le unità di misura della fisica non hanno più senso. Una scienza che non ha compreso la necessità di Dio è una scienza amorale che ci permette di esseri immorali. L'umanità sta andando catastroficamente verso un disfacimento morale perché la scienza scientista fa credere che l'universo sia come un aereo che viaggia alla deriva senza pilota".

queste qui sopra non sono parole mie ma di un fisico italiano,Massimo Corbucci,che condivido al 1000%

qui sotto l'articolo completo:
http://www.centrostudilaruna.it/il-bosone-di-higgs-la-crisi-irreversibile-della-fisica-moderna-e-le-ultime-tracce-di-una-scienza-sacra.html
CitazionePerché mai cercare una presunta "origine della materia" quando si può benissimo ipotizzare che sia sempre esistita e in trasformazione secondo modalità universali e costanti (leggi di conservazione)?

Non esiste nessuna relazione necessaria fra credenze in fatto di ontologia e metafisica (quale, come qualsiasi altra, quella nello scientismo; che personalmente non seguo affatto considerandolo una forma di irrazionalismo e considerando me stesso un razionalista) e morale e moralità, come dimostrano innumereoli illustri credenti in Dio immoralissimi (da Costantino ai Bush a Obama a Woytila, ecc., ecc., ecc.) e innumerevoli illustri atei moralissimi (da Ernesto "Che" Guevara a Salvador Allende a Giacomo Matteotti, ecc., ecc. ecc.).

Chiunque non abbia pregiudizi (spesso pericolosissimi perché tendono a favorire atteggiamenti "fondamentalistici" e intolleranti) non può che constatare che possesso di un' etica e comportamento etico e mancanza di un' etica e comportamento immorale o amorale sono equamente distribuiti fra credenti e non credenti.

Apeiron

Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 23:42:18 PML'epistemologia è più importante dell'ontologia, secondo me. Per una definizione di "essenza": dico che una cosa ha un'essenza se esiste di per sé (definizione "ontologica") o equivalentemente se riesco a conoscere se tale cosa esiste o no basta solamente la conoscenza della cosa stessa (definizione "epistemologica"). In poche parole ciò che ha una sua essenza è ciò che è totalmente indipendente concettualmente. In ogni caso sono d'accordo che nulla nell'esperienza, o se vuoi in "questo mondo" ha un'essenza. Nulla è veramente distinto dal "resto" delle cose. Ogni distinzione che facciamo è arbitraria. Quando vedo un tavolo (reale) in ultima analisi riconosco non è una cosa "separata" dal resto dell'universo. Come dicevo l'impressione che mi da l'universo è come una schiuma in cui sembra che ci sia molteplicità ma non c'è :) Per il discorso parti/intero: io posso considerare un'ente il tavolo ma posso considerare come unico ente la stanza in cui è presente il tavolo, posso considerare come unico ente l'edificio e così via. Le particelle fondamentali queste si potrebbero "isolare" ed "etichettare". Ma sono contingenti e quindi nemmeno loro sono indipendenti, ma questo è un altro discorso. Tornando in tema nell'esempio del tavolo, della stanza ecc: come vedi qui tutto è convenzione.

Voglio fare alcune precisazione. Mi sono espresso male in quanto ho scritto di fretta ieri (ci sono anche alcuni errori nell'italiano, per i quali mi scuso, che non riesco a modificare). La similitudine della schiuma non vuole dire che "la molteplicità è apparente ma dietro c'è un'unità", quello che vuole dire è che quelle che noi designamo come "cose" sono enti convenzionali, non assoluti (non so dire se abbia senso considerare "l'universo"/"il multiverso"/l'insieme di ciò che esiste come una "cosa sola"). Non essendo in realtà seprarabili concettualmente dal resto sono "senza essenza". D'altronde a mio giudizio una cosa è tanto più reale quanto è più concepibile come distinta da altro. Ciò che ha sostanza/essenza gode di un'indipendenza concettuale.

Ad esempio in fisica si fa l'astrazione di considerare il corpo che scende sul piano inclinato come assolutamente separato dal piano inclinato. Tuttavia non è così. Certamente è utile ma è convenzionale si basa su assiomi che abbiamo scelto noi. La mia posizione non è così distante da quelle di Sariputra e sgiombo. Quello che facciamo per "vivere" è farci una mappa del mondo, eticchettando continuamente le cose come se fossero distinte, tuttavia dobbiamo riconoscere che tali mappe sono arbitrarie (seppur utilissime). Allo stesso modo per il discorso delle "entità composte" queste hanno un motivo per essere inessenziali: (*) a differenza del "Tutto" le cose composte che si trovano nella realtà sono inserite nel mondo e quindi possono essere viste a loro volta come parti. Sono perciò "pseudo-entità", entità che "vediamo noi" perchè rappresentiamo la realtà in un certo modo. Notare che  (*) è ciò che veramente distingue l'idea di "tavolo" dal "tavolo nella realtà". Se non ci fosse questa condizione ovvia il tavolo sarebbe incondizionato e quindi avrebbe una propria "essenza" ma così  non è (non a caso fu per questo motivo che Platone pensò all'Iperuranio). A differenza del tavolo reale quello concettuale puoi anche considerarlo come un tutt'uno, cioè ti puoi "dimenticare" che è composto da parti. Nella realtà non puoi farlo.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Discussioni simili (5)