principio di arbitrarietà mereologica

Aperto da sgiombo, 07 Ottobre 2016, 09:36:00 AM

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sgiombo

La lettura (ad essere sincero molto parziale e un po' distratta) della discussione sulla nave di Teseo e quella più puntuale e partecipata all' altro argomento della conoscenza e critica della conoscenza (si vede che sono allergico ai termini tecnici in inglese come "topic" o "nick name" quando esistono parole italiane che esprimono chiarissimamente ed anche piuttosto elegantemente i relativi concetti) mi hanno suggerito la considerazione che vado ad esporre sotto questo titolo alquanto pomposo di "principio di arbitrarietà mereologica" (non mi sembrava si potesse inserire con sufficiente coerenza in quelle altre due discussioni).
 
Secondo me la realtà può essere presa in considerazione teoricamente (cioè pensata, fatta oggetto di predicato -ad esempio predicata accadere realmente in un certo o in un certo altro modo-, conosciuta -cioè predicata correttamente, conformemente al suo effettivo accadere; oppure predicata falsamente, ecc.-, desiderata accadere in questo o quest' altro modo, ecc.) in quanto suddivisa in parti stabilite con assoluta arbitrarietà.
 
La realtà accade così come accade e non altrimenti indipendentemente dall' eventuale essere pensata linguisticamente (attraverso concetti di cui sia denotazione, simboleggiati da vocaboli).
Il pensiero può anche sbizzarrirsi del tutto arbitrariamente ad immaginare indefinitamente enti ed eventi non reali, ma se ambisce a conoscere la realtà (veracemente; di fatto inevitabilmente in modo solo parziale e relativo, cioè non senza qualche necessariamente ineliminabile elemento di errore e falsità "mescolato" all' eventuale verità "sostanziale" delle conoscenza; ma in linea di principio ciò varrebbe a maggior ragione nel caso di una conoscenza integrale, assoluta) deve (per definizione) descrivere la realtà stessa così come è o accade.
E dunque la conoscenza è pensiero della realtà vincolato oggettivamente alla realtà stessa e non arbitrario.
E tuttavia vincolato oggettivamente solo in modo relativo, limitato, parziale (secondo la regola generale per cui l' assoluto, la perfezione, se anche fossero reali, sarebbero comunque incompatibili con ciò che è umano, con ciò che l' uomo fa, compreso il suo conoscere: nulla di assoluto -se anche fosse- può essere oggetto di sensata considerazione umana, men che meno di conoscenza).
Il pensiero (umano; o di eventuali altri soggetti) se vuole essere conoscenza deve essere pensiero della realtà oggettiva (da esso indipendente), ma può comunque "applicarsi del tutto arbitrariamente ad essa", prendendone in considerazione elementi, insiemi di elementi, componenti, parti da esso stesso stabilite, "scelte  del tutto arbitrariamente, ad libitum".
Per esempio si può del tutto correttamente, "lecitamente" considerare l' evento costituito dall' esistenza (divenire, muoversi, mutare) del sistema solare negli ultimi 500 000 anni ("oggetto" di conoscenza comunemente considerabile piuttosto "naturale", "ragionevole", non "astruso", ma soprattutto utile a ricavare ulteriori conoscenze di tipo scientifico e ad agire praticamente con successo nel perseguimento di scopi; ovviamente realistici).
Ma si possono altrettanto "lecitamente", correttamente prendere in considerazione "oggetti" o eventi ("pezzi di realtà") ben più "astrusi", costituiti per esempio dai tre quarti settentrionali del pianeta terra negli anni dal 237 a. C. al 1729 d. C unitamente a tre galassie diverse dalla Via lattea in tre arbitrarie posizioni del cosmo dagli anni dal 7429 d. C. al 15711 d. C.; oppure da Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 d. C. al 9555 d. C. alla mia moto dal 2011 al 2117, unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967, ecc., ecc. ecc.
Come può considerare ad libitum enti ed eventi "immaginari", non reali, così il pensiero altrettanto ad libitum può "ritagliare" nelle sue considerazioni la realtà oggettiva esistente-diveniente dal pensiero stesso indipendentemente (anche se non fosse pensata) in parti spaziotemporali altrettanto arbitrarie.

Ciò che "fa la differenza", per così dire, fra le diverse partizioni in cui il pensiero può "ritagliare" la realtà nelle sue considerazioni è unicamente l' efficacia di fatto che tali "ritagli" possono avere o meno nella conoscenza (eventualmente anche scientifica, oltre che "episodica" o "aneddottica") della realtà stessa e conseguentemente l' efficacia della loro utilizzabilità pratica nel perseguimento di scopi (ovviamente realistici): l' oggetto lecitissimamente considerabile "Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 a. C. al 9555 d, C. alla mia moto dal 2011 al 2117, unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967" non serve proprio a nulla, teoricamente e praticamente, al contrario dell' oggetto "sistema solare negli ultimi 500 000 anni" o all' oggetto "specie biologica 'felis catus' " o all' oggetto "pendolo galileiano", ecc.

paul11

Sgiombo,
rispettabilissimo il tuo punto di vista culturale, ma sfugge un passaggio fondamentale, che se sensitivamente io tocco, vedo, odoro una foglia,quella foglia non entra MATERIALMENTE dentro il mio cervello, ma sono segnali elettromagnetici che a loro volta si ricostituiscono dentro una materia che è cervello, neuroni, sinapsi ecc. e di nuovo formano un pensiero che non è materiale.
In sostanza noi abbiamo un'"immagine "della foglia ,non la sua fisicità, perchè nel cervello  non c'è quella foglia fiisica.
Adatto che quella immagine fisica della foglia adesso è pensiero,concetto relazionato ad altre miriadi di fenomeni, allora solo linguisticamente è possible descriverla.
Il problema è semmai quanto dell'immagine divenuto pensiero che è nel mio cervello corrisponda linguisticamente a quella fisicità che è là fuori dal mio cervello/mente. Quindi l'immagine è già astrazione descrivibile linguisticamente.

sgiombo

Citazione di: paul11 il 07 Ottobre 2016, 10:42:33 AM
Sgiombo,
rispettabilissimo il tuo punto di vista culturale, ma sfugge un passaggio fondamentale, che se sensitivamente io tocco, vedo, odoro una foglia,quella foglia non entra MATERIALMENTE dentro il mio cervello, ma sono segnali elettromagnetici che a loro volta si ricostituiscono dentro una materia che è cervello, neuroni, sinapsi ecc. e di nuovo formano un pensiero che non è materiale.
In sostanza noi abbiamo un'"immagine "della foglia ,non la sua fisicità, perchè nel cervello  non c'è quella foglia fiisica.
Adatto che quella immagine fisica della foglia adesso è pensiero,concetto relazionato ad altre miriadi di fenomeni, allora solo linguisticamente è possible descriverla.
Il problema è semmai quanto dell'immagine divenuto pensiero che è nel mio cervello corrisponda linguisticamente a quella fisicità che è là fuori dal mio cervello/mente. Quindi l'immagine è già astrazione descrivibile linguisticamente.
CitazioneLa questione di cui parli mi sembra compleamente diversa da quella da me proposta.

Anch' io credo che se tocco, vedo, odoro una foglia, quella foglia non entra MATERIALMENTE dentro il mio cervello, ma vi sono correnti di impulsi nervosi, eccitazioni o inibizioni postsinaptiche ecc. (eventi neurofisiologici determinati) nel mio cervello (visto da altri, nell' ambito delle esperienze coscienti di altri) che corrispondono a quella mia determinata esperienza fenomenica cosciente; la quale, al pari delle altre umane e forse almeno in parte di altri animali, comprende anche "res cogitans", pensieri che non sono materiali.
E i miei pensieri (esperienza fenomenica "mentale") comprendono (possono comprendere) considerazioni, pensieri, predicati, desideri, ecc. delle più svariate parti della mia esperienza fenomenica materiale del tutto arbitrariamente "ritagliabili" spaziotemporalmente in "oggetti" (enti e/o eventi) distinti dagli altri "oggetti" che con essi la mia esperienza fenomenica materiale stessa costituiscono nella sua integrità.

paul11

#3
Sgiombo,

......e adesso chiediti perchè nonstante +/- le percezioni sensitive siano identiche ognuno ha un punto di vista diverso?
perchè la prima fase è il passaggio dalla percezione della foglia fisico-materiale in immagine-astratta del pensiero, ovvero quella foglia è diventata "mentale" Ma la seconda fase è speculativa, quando il pensiero riflette se stesso, ovvero ora quell'immagine astratta della foglia ha necessità di collegarsi alle altre immagini astratte costruite attraverso l'esperienza e la speculazione filosofica.
Quindi quella foglia deve "incastrarsi" in un pregresso che è la formazione del nostro punto di vista.

C'è una doppia forma trascendentale: la prima dal fisico-materiale in pensiero, che può essere indagata dalla logica per capire se è un verità  in quanto giustificata(quello che fa anche la scienza contemporanea)(, ma dall'altra c'è la seconda trascendenza che va oltre la giustificazione logica del pensiero in relazione all'osservato fenomenico materiale, ed è il dominio dei sensi e significati che quelle stesse immagini astratte pongono speculativamente incastrandosi in una catena di senso , ovvero in un disegno che li comprenda, anch'essa esplorabile con la logica

Quì sta la la diattriba dei "punti di vista"; se la verità è  SOLO giustificabile dalla realtà materiale e fisica o se sensi e signifcazioni vadano oltre il dominio della sola materialità in un ordine superiore che comprenda lo stesso agente conoscente e l'osservato fenomenico.
Di nuovo, "ci basta il rapporto materia-pensiero, per dare sens oe signifcazione ad un disegno complessivo?"C'è chi dice sì, c'è chi dice nì e c'è chi dice no.,e lo scontro è propri osulla logic della verità giustificata, se il parametro è il mondo esterno o il disegno speculativo filosfico nell'ordine del senso e signifcati che la materialità non può esaurire.
E' altrettanto ovvio che entrambi i domini necessitano di un linguaggio, il primo che relazioni materia e pensiero e il secondo pensiero e pensiero

sgiombo

Citazione di: paul11 il 07 Ottobre 2016, 14:49:21 PM
Sgiombo,

......e adesso chiediti perchè nonstante +/- le percezioni sensitive siano identiche ognuno ha un punto di vista diverso?
perchè la prima fase è il passaggio dalla percezione della foglia fisico-materiale in immagine-astratta del pensiero, ovvero quella foglia è diventata "mentale" Ma la seconda fase è speculativa, quando il pensiero riflette se stesso, ovvero ora quell'immagine astratta della foglia ha necessità di collegarsi alle altre immagini astratte costruite attraverso l'esperienza e la speculazione filosofica.
Quindi quella foglia deve "incastrarsi" in un pregresso che è la formazione del nostro punto di vista.

CitazioneCaro Paul, devo confessare che ultimamente fatico a comprendere i tuoi interventi, e in particolare la considerazione vale per quest'  ultimo.

Cosa intendi dicendo che "nonstante +/- le percezioni sensitive siano identiche ognuno ha un punto di vista diverso"?

"Punto di vista" in senso letterale, prospettico o (come mi sembrerebbe di capire) metaforico (credenze, opinioni diverse circa le percezioni)?

Per me la percezione (-i) fiscica (-he) materiale (-i) di (costituenti) una foglia é (sono) già qualcosa di fenomenico, facente parte della coscienza, esattamente come il suo ricordo, la sua immaginazione, il concetto (particolare-concreto) di "quella foglia", mediante il quale si può pensare, eventualmete predicare, eventualmente conoscere (qualcosa circa) quella foglia.

Ovviamente il concetto di "quella foglia", nei vari soggetti che lo percepiscono e ci pensano, si trova ad essere in relazione alle diverse esperienze proprie di ciascuno di essi, che quindi potrà pensarlo diversamente (accompagnandolo con diversi altri pensieri e considerazioni) rispetto a ciascun altro.


C'è una doppia forma trascendentale: la prima dal fisico-materiale in pensiero, che può essere indagata dalla logica per capire se è un verità  in quanto giustificata(quello che fa anche la scienza contemporanea)(, ma dall'altra c'è la seconda trascendenza che va oltre la giustificazione logica del pensiero in relazione all'osservato fenomenico materiale, ed è il dominio dei sensi e significati che quelle stesse immagini astratte pongono speculativamente incastrandosi in una catena di senso , ovvero in un disegno che li comprenda, anch'essa esplorabile con la logica

CitazioneSecondo me il passaggio dalla percezione (materiale) della foglia al concetto (pensiero: percezione mentale) della foglia non ha nulla di trascendentale: accadono entrambi nell' ambito della medesima esperienza fenomenica cosciente.
E non é la logica, ma il confronto empirico con la percezione materiale (anche se pur sempre, anch' essa, "interna alla coscienza", fenomenica) che può stabilire se il predicato (mentale) dell' esistenza (reale) di tale foglia é vero o meno.
Ma non capisco che significhi che "il dominio dei sensi e significati che quelle stesse immagini astratte pongono speculativamente incastrandosi in una catena di senso , ovvero in un disegno che li comprenda" é "anch'essa esplorabile con la logica", né in che senso si tratti di una seconda "trascendenza": per me semplicemente a partire dalla percezione di quella stessa foglia si possono fare diverse considerazioni (o meno) a seconda della propria diversa esperienza.


Quì sta la la diattriba dei "punti di vista"; se la verità è  SOLO giustificabile dalla realtà materiale e fisica o se sensi e signifcazioni vadano oltre il dominio della sola materialità in un ordine superiore che comprenda lo stesso agente conoscente e l'osservato fenomenico.
Di nuovo, "ci basta il rapporto materia-pensiero, per dare sens oe signifcazione ad un disegno complessivo?"C'è chi dice sì, c'è chi dice nì e c'è chi dice no.,e lo scontro è propri osulla logic della verità giustificata, se il parametro è il mondo esterno o il disegno speculativo filosfico nell'ordine del senso e signifcati che la materialità non può esaurire.
E' altrettanto ovvio che entrambi i domini necessitano di un linguaggio, il primo che relazioni materia e pensiero e il secondo pensiero e pensiero

CitazionePer me (credo semplicemente per definizione) la verità di qualsiasi predicato circa (la percezione di) quella foglia (se si dà) consiste semplicemente nella conformità del predicato stesso (che é pensiero; fenomenico) con la realtà (della percezione; pure fenomenica) di quella foglia, quale si dà indipendentemente da tale predicato o pensiero (che "inoltre" tale predicato o pensiero accada o meno).

Che significa la domanda "ci basta il rapporto materia-pensiero, per dare senso e signifcazione ad un disegno complessivo"?
Personalmente circa i rapporti coscienza/materia (o mente/cervello) ho una concezione che chiamo "dualismo dei fenomeni, monismo del noumeno" che più volte ho illustrato nel forum, ma non comprendo in che senso "lo scontro" sarebbe "proprio sulla logica della verità giustificata, se il parametro è il mondo esterno o il disegno speculativo filosfico nell'ordine del senso e signifcati che la materialità non può esaurire".

sgiombo

Ho letto l' ultimo intervento di Davintro nella discussione sull' identità (la nave di Teseo) e concordando con gran parte di quello che vi afferma, in particolare nella prima parte (salvo l' uso dei termini "spirituale" e "spiritualità" che mi suonano un po' ambigui (preferisco "mentale" e "coscienza" o "coscienzialità"):

"Coscienza, pensiero volontà, sensazioni...  possono essere considerate come "parti" dello spirito solo in senso metaforico, figurato, non reale. Il concetto di parte ha un senso reale solo se si parla del piano materiale, il piano nel quale qualcosa occupa uno spazio ed occupandolo esclude l'occupazione dello spazio ad un'altra cosa, producendo una separazione che fà sì che l'unità materiale sia sempre un'unità esteriore e fittizia. Pensiero, volontà ecc. sono diverse forme di espressioni della spiritualità, non sono propriamente "parti", non seguono il principio fisico, dell'impenetrabilità dei corpi, ma sono nel complesso della vita interiore della persona costantemente intrecciati, reciprocamente condizionati, tra loro vi è una compenetrazione, e questa compenetrazione è il segno della tendenza all'unità data dalla nostra componente spirituale".

Forse avrei fatto meglio a inserire in quella discussione le mie considerazioni sull' arbitrarietà degli enti ed eventi considerabili e delle possibili partizioni teoriche della realtà (considerabili nel pensiero su di essa).
In particolare quanto qui affermato da Davintro (che ringrazio) mi impone una correzione o integrazione a ciò che ho affermato a mia volta in quest' altra discussione.

Le mie considerazioni valgono probabilmente, almeno in un senso "forte", solo per la realtà materiale - naturale (grosso modo la cartesiana "res extensa", che però per me é costituita unicamente da sensazioni, fenomeni, non é reale "in sé", indipendentemente dall' essere percepita) e non per la realtà mentale o di pensiero (la "res cogitans", da me ritenuta altrettanto meramente fenomenica): quest' ultima non essendo estesa (e misurabile) non é propriamente distinguibile in parti occupanti determinate porzioni di spazio e tempo, anche se ciò che la costituisce può comunque essere arbitrariamente distinto e/o considerato in quanto variamente aggregato in diversi possibili "assemblaggi (teorici)": se vogliamo "parti" arbitrariamente considerate, ma comunque non "spaziotemporalmente distinte" della realtà: "parti" da intendersi in un senso in larga misura diverso da quello delle "parti" del modo fisico - materiale.
Fra l' altro mentre nella res extensa possiamo considerare teoricamente enti ed eventi (oltre che arbitrariamente "assemblati" o "aggregati" in "totalità arbitrariamente grandi" o per l' appunto estese spazio-temporale) anche in quanto distinti, suddivisi in parti indefinitamente più piccole ad libitum (per esempio possiamo considerare la metà inferiore od occidentale di un sasso, i suoi 2/15, 3 /376, 1/6396, ecc. indefinitamente; e analogamente per quanto riguarda l' estensione spaziale), ciò non é possibile nella res cogitans (non é possibile considerare una parte di un sentimento o di una nozione o di una conoscenza: cos' é 1/50000000 del mio odio per la classe dirigente attuale dell' Occidente? Qualcosa di comunque sicuramente "enormissimo" -licenza poetica- ma che in realtà non ha un senso definito, é estremamente vago); al massimo ne é -forse- possibile considerare arbitrariamente suddivisa indefinitamente in diverse parti la sola durata temporale, ma unicamente grazie alla sua contemporaneità con enti ed eventi fisici-materiali; e comunque é per lo meno difficilissimo stabilire con precisione l' inizio di un sentimento o una convinzione o una conoscenza, ecc.; i sentimenti e le convinzioni o credenze fa ' altro variano di entità -o intensità- in maniera non quantificabile.

Ancor più vaga e indefinita -e dubbia- é la possibilità di un' eventuale "arbitrarietà mereologica" applicata a enti ed eventi di entrambi i tipi di fenomeni, mentali e materiali; mentre del tutto senza senso sarebbe pretendere di estenderla alla realtà in sé o noumeno (se esiste), da sola o in "pretesi assemblaggi" con enti ed eventi fenomenici materiali o mentali.

paul11

Sgiombo,

se entrambi osserviamo la stessa foglia nello stesso tempo e luogo, e ci limitiamo ad una sua descrizione fisico materiale, sono solo i nostri sensi che decidono linguisticamente l'osservazione, per cui il nostro pensiero +/-
collima. Ma se ognuno di noi due pensa alla foglia astrattamente, senza necessariamente essere nella condizione dell'esempio precedente, a me possono venire in mente una miriade di tipologie di foglie, come penso a te.
Ma ancora quella foglia può acquisire una simbologia.
Più ci allontaniamo dalla condizione del primo esempio e più quella foglia diventa rappresentazione che trascende la condizione fisica di quella foglia.

La mereologia tratta delle parti e del tutto. Non è vero che debbano essere necessariamente oggetti fisici, possono essere parti proposizionali ed essere quindi oggetto di analisi di logica  formale, oppure  ad esempio un articolo, un aggettivo, una preposizione nella grammatica o possono essere enti metafisici.

paul11

#7
.....adesso alzo il livello di difficoltà, così sarò "incomprensivo".
Prima di tutto è vero Sgiombo che le mereologia può aiutare ad affrontare la problematica della discussione "la nave di Teseo", poichè ponendo  in relazione le parti con l'intero richiama la regola dell'identità e in più l'implicazione in quanto una parte è all'interno di un complesso e dall'insiemistica l'inclusione, in quanto una proprietà è l'insieme di particolari che la istanziano...........
Può una parte sussistere senza l'interò? Può una foglia  o una gamba vivere senza una pianta o una persona;
può l'alberatura o la velatura della nave essere da sole definita nave?.............

Apeiron

Secondo me ogni "ente" che è formato da parti è solo convenzionalmente reale, nel senso che c'è sempre un'arbitrarietà di definizione di tale ente. Il che significa che ogni descrizione che facciamo sulla realtà "macroscopica" è convenzionale e arbitraria. Infatti se ad esempio prendiamo un tavolo e cerchiamo di definirlo a livello atomico, vediamo che nemmeno i suoi confini sono ben definiti e la sua "forma" è in continuo mutamento.
Tuttavia visto che i nostri concetti sono "fissi" abbiamo bisogno per vivere di etichettare in modo arbitrario le "cose" che ci stanno attorno.

Non nego tuttavia ad esempio che il tavolo ha certe proprietà "macroscopiche" che lo defniniscono, la sedia ne ha altre e così via. Tuttavia non appena le osservi analiticamente ti accorgi che in realtà non sono entità fisse e nemmeno fondamentali. Sono quindi "entità convenzionali", che noi usiamo per comodità. In altri termini gli oggetti composti da parti mancano di "sostanzialità" e di "identità". L'errore di Platone e di Aristotele fu proprio, secondo me, quello di parlare di essenze per questi oggetti che in realtà ne sono privi.

L'arbitrarietà mereologica nasce dal fatto che la nostra mente lavora con concetti che sono "fissi", "ben definiti", "indipendenti" mentre gli oggetti macroscopici sono "in divenire", "indefiniti" e "dipendenti l'uno dall'altro".

La nostra immagine della realtà dipende perciò dalle convenzioni di cui siamo abituati. Non è possibile rimuovere tutta l'ambiguità presente nelle nostre convenzioni perchè altrimenti non potremo letteralmente vivere. Tuttavia è bene ricordarci che l'immagine che ci facciamo della realtà è una distorsione della realtà. Quello che possiamo fare è renderla il meno distorta possibile.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

paul11

#9
...sì, ma assecondo il tuo discorso e dico:
solo un oggetto, ente non costituito di parti non è convenzionale? Se così fosse l'uomo in quale categoria ontologica apparterrebbe?
Una molecola d'acqua è composta da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, ma ognuno di essi  ha proprietà e caratteristiche diverse
La convenzione è lessicale, linguistica in quanto denotando un nome ed essendo il linguaggio naturale conosciuto da tutti noi, se dici sedia io so cosa indichi, perchè  mi evochi un'immagine che la parola identifica.
L'arbitrarietà può essere il termine linguistico utilizzato; in italiano, inglese, tedesco,ecc, ma non l'ente o l'oggetto denotato

Il fattore temporale, il celebre divenire filosofico, è sempre stato oggetto anche dalla scienza fin dai tempi di Bacone, di una problematica mai definitivamente risolta. Il problema è la sussistenza identitaria di un ente o oggetto e quale sia l'essere che permette la continuità identificativa.
Questa problematica della teoria mereologica è posta dai metafisici della persistenza, detti anche tridimensionalisti o ancora endurantisti, ma temo che ci porterebbe oltre questa tematica, essendo di per sè molto ampia.
Ma è importante sapere che organicamente l'uomo mantiene la continuità dell'essere, di ente, di "io" pur mutando cellule continuamente e ricostruendone altre, perchè questo cambiamento di parti relazionato all'intero avviene in tempi successivi per cui l'"io" mantiene la continuità.Sempre ammesso e non concesso che questo "io", ente o essere possa essere ricondotto solo ad un ontologia fisico-materiale.

La nostra mente nel momento in cui denota un oggetto in fondo lo separa dal mondo, dal tutto.
Ma se così come lo stessa mente umana costruisce teorie mereologiche, significa che è consapevole di categorizzazioni, tassonomie, ovvero non si ferma al concetto, ma sa costruire una concatenazione logica che dall'infinitesimamente piccolo, va al grande, costruendo ordini nelle diversi domini ontologici. Quì sta infatti un' altra complessità ,se un ente complesso o le parti di esso siano solo e soltanto dentro un dominio, come ad esempio la foglia che è parte di una pianta vegetale, ma può anche essere  simbolo, significato  dentro domini psicologici, metafisici,ecc.

La mereologia è una teoria con due assiomi fondamentali che si muove nella conoscenza attraverso la logica formale costruendo altre formulazioni lessicali,ecc.
Vuol dire che tenta di togliere ambiguità arbitrarie .

sgiombo

Citazione di: paul11 il 09 Ottobre 2016, 01:13:05 AM
Sgiombo,

se entrambi osserviamo la stessa foglia nello stesso tempo e luogo, e ci limitiamo ad una sua descrizione fisico materiale, sono solo i nostri sensi che decidono linguisticamente l'osservazione, per cui il nostro pensiero +/-
collima. Ma se ognuno di noi due pensa alla foglia astrattamente, senza necessariamente essere nella condizione dell'esempio precedente, a me possono venire in mente una miriade di tipologie di foglie, come penso a te.
Ma ancora quella foglia può acquisire una simbologia.
Più ci allontaniamo dalla condizione del primo esempio e più quella foglia diventa rappresentazione che trascende la condizione fisica di quella foglia.



CitazioneSe ho ben capito intendi dire che ad esempio una foglia d' acero oltre ad essere una foglia d' acero é anche il simbolo del Canada (per chi lo sa, e dunque può pensarlo) e la foglia d' edera, oltre ad essere una foglia d' edera era anche il simbolo del (credo) fu Partito Repubblicano Italiano, con gli stessi limiti e alle stesse condizioni; e un aquila oltre a essere un' aquila é il simbolo dell Moto Guzzi e un leone oltre ad essere un leone é il simbolo della Benelli, ecc.

Bene; se é così sono d' accordo.


La mereologia tratta delle parti e del tutto. Non è vero che debbano essere necessariamente oggetti fisici, possono essere parti proposizionali ed essere quindi oggetto di analisi di logica  formale, oppure  ad esempio un articolo, un aggettivo, una preposizione nella grammatica o possono essere enti metafisici.

CitazioneAnche qui concordo: la mereologia é talmente arbitraria da poter "mescolare" enti ed eventi e "pezzi di enti ed eventi" (fenomenici) esteriori-materiali e/o interiori-mentali ad libitum.

Ma a differenza dei secondi (e di quelli auditivi, gustativi e olfattivi fra i primi , cioé quelli caratterizzati da qualità "secondarie"), i primi (e in particolare quelli visivi e tattili: grosso modo quelli caratterizzabili -per lo meno anche- dalle qualità "primarie") sono anche sensatamente "spezzettabili" nello spazio, oltre che nel tempo, (e poi "riassemblabili" fra loro e con qualsiasi cosa d' altro) ad libitum: si può considerare qualsivoglia pezzetto di un sasso, di un cavallo o di un albero senza limiti di "spezzettamento" (proseguendo, se si vuole, all' infinito nel considerarne parti sempre più piccole), mentre un sentimento o una credenza o anche solo il pensiero di un concetto si possono spezzettare ad libitum (e all' infinito) nel tempo (grazie alla sincronia con eventi esteriori-materiali!) per poi eventualmente "riassemblarli" con "di tutto e di più", ma non invece nello spazio, ovvero in ogni istante di tempo (quale sarebbe la metà o un terzo o i 7/495 di un concetto, di una credenza o di un sentimento?).


.....adesso alzo il livello di difficoltà, così sarò "incomprensivo".
Prima di tutto è vero Sgiombo che le mereologia può aiutare ad affrontare la problematica della discussione "la nave di Teseo", poichè ponendo  in relazione le parti con l'intero richiama la regola dell'identità e in più l'implicazione in quanto una parte è all'interno di un complesso e dall'insiemistica l'inclusione, in quanto una proprietà è l'insieme di particolari che la istanziano...........
Può una parte sussistere senza l'interò? Può una foglia  o una gamba vivere senza una pianta o una persona;
può l'alberatura o la velatura della nave essere da sole definita nave?.............

CitazioneQui secondo me bisogna distinguere le questioni "di diritto" o teoriche da quelle "di fatto" o reali.
 
Ho affermato l' arbitrarietà di qualsiasi considerazione mereologica (suddivisione e/o "assemblaggio") di enti ed eventi nello spazio e nel tempo (salvo quelli mentali e fra i materiali quelli caratterizzati da qualità secondarie per quel che riguarda lo spazio) da un punto di vista teorico, della pensabilità (della possibile esistenza reale di concetti, di enti ed eventi tali -reali- unicamente in quanto pensati), cioè del pensiero sulla realtà o meno, e non della realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica.
  .
Ma ho anche scritto che di fatto in pratica le infinite possibili "definizioni mereologice" di enti ed eventi differiscono fra loro per quanto riguarda l' "utilità pratica" e anche l' "applicabiltà o fecondità teorica", se così la vogliamo chiamare:
Ciò che "fa la differenza", per così dire, fra le diverse partizioni in cui il pensiero può "ritagliare" la realtà nelle sue considerazioni è unicamente l' efficacia di fatto che tali "ritagli" possono avere o meno nella conoscenza (eventualmente anche scientifica, oltre che "episodica" o "aneddottica") della realtà stessa e conseguentemente l' efficacia della loro utilizzabilità pratica nel perseguimento di scopi (ovviamente realistici): l' oggetto lecitissimamente considerabile "Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 a. C. al 9555 d, C., alla mia moto dal 2011 al 2117, e unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967" non serve proprio a nulla, teoricamente e praticamente, al contrario dell' oggetto "sistema solare negli ultimi 500 000 anni" o all' oggetto "specie biologica 'felis catus' " o all' oggetto "pendolo galileiano", ecc.
Come dire che, al di là della totale arbitrarietà mereologica propria del pensiero (circa la realtà o meno), esistono delle "linee di faglia naturali" (o "generi naturali") che non essendo proprie del pensiero circa la realtà o meno ma invece della realtà quale è/diviene, anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica o pensiero, non possono per nulla essere arbitrariamente scelte o stabilite ad libitum.
 
Sempre più mi convinco, anche in seguito alle discussioni nel forum su La nave di Teseo e su Conoscenza e critica della conoscenza, che la "questione critica" o "fondamentale", il "punto archimedico", per così dire, della filosofia (per lo meno dell' ontologia e della gnoseologia) è proprio questo: quello della distinzione o differenza fra realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica da una parte, e dall' altra considerazione teorica o pensiero della realtà o meno (nozioni, concetti, predicati, oggetti di immaginazione fantastica, di desiderio -positivo o negativo- di aspettativa, di speranza, di timore, ecc.), i cui "oggetti" o "contenuti", se tutto ciò accade, sono necessariamente reali di per sé solo e unicamente in quanto tali (oggetti di considerazione teorica) e non necessariamente "come enti ed eventi quali sono o accadono anche indipendentemente dal loro essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica.

Fra gli enti ed eventi reali ve ne sono di peculiarissimi, la cui distinzione dagli altri per così dire "generici" è fondamentale (per la conoscenza e indirettamente per l' azione razionalmente fondata), e cioè gli enti ed eventi "teorici", che oltre ad essere reali in sé (come tutti gli altri, se accadono) "alludono a", per così dire, o per far contenti i seguaci della fenomenologia si potrebbe anche dire "intenzionano", la realtà o meno di altro da sé (e confondere le due ben diverse cose è sempre e comunque "peccato mortalissimo" in filosofia, e spesso anche generalmente nella vita).

Apeiron

#11
Citazione di: paul11 il 09 Ottobre 2016, 16:32:13 PM...sì, ma assecondo il tuo discorso e dico: solo un oggetto, ente non costituito di parti non è convenzionale? Se così fosse l'uomo in quale categoria ontologica apparterrebbe? Una molecola d'acqua è composta da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, ma ognuno di essi ha proprietà e caratteristiche diverse La convenzione è lessicale, linguistica in quanto denotando un nome ed essendo il linguaggio naturale conosciuto da tutti noi, se dici sedia io so cosa indichi, perchè mi evochi un'immagine che la parola identifica. L'arbitrarietà può essere il termine linguistico utilizzato; in italiano, inglese, tedesco,ecc, ma non l'ente o l'oggetto denotato Il fattore temporale, il celebre divenire filosofico, è sempre stato oggetto anche dalla scienza fin dai tempi di Bacone, di una problematica mai definitivamente risolta. Il problema è la sussistenza identitaria di un ente o oggetto e quale sia l'essere che permette la continuità identificativa. Questa problematica della teoria mereologica è posta dai metafisici della persistenza, detti anche tridimensionalisti o ancora endurantisti, ma temo che ci porterebbe oltre questa tematica, essendo di per sè molto ampia. Ma è importante sapere che organicamente l'uomo mantiene la continuità dell'essere, di ente, di "io" pur mutando cellule continuamente e ricostruendone altre, perchè questo cambiamento di parti relazionato all'intero avviene in tempi successivi per cui l'"io" mantiene la continuità.Sempre ammesso e non concesso che questo "io", ente o essere possa essere ricondotto solo ad un ontologia fisico-materiale. La nostra mente nel momento in cui denota un oggetto in fondo lo separa dal mondo, dal tutto. Ma se così come lo stessa mente umana costruisce teorie mereologiche, significa che è consapevole di categorizzazioni, tassonomie, ovvero non si ferma al concetto, ma sa costruire una concatenazione logica che dall'infinitesimamente piccolo, va al grande, costruendo ordini nelle diversi domini ontologici. Quì sta infatti un' altra complessità ,se un ente complesso o le parti di esso siano solo e soltanto dentro un dominio, come ad esempio la foglia che è parte di una pianta vegetale, ma può anche essere simbolo, significato dentro domini psicologici, metafisici,ecc. La mereologia è una teoria con due assiomi fondamentali che si muove nella conoscenza attraverso la logica formale costruendo altre formulazioni lessicali,ecc. Vuol dire che tenta di togliere ambiguità arbitrarie .


Sapevo di essere stato "estremo", però per capire il mio punto di vista lasciami dare una definizione di "ente assolutamente reale/perfetto", sperando di non andare off-topic. Un ente di questo tipo esiste senza dipendere da alcuna condizione (ad esempio non è composto di parti, non nasce per un certo motivo, non può essere distrutto ecc). Solo un ente di tale tipo è veramente reale perchè la sua identità non dipende da nulla. Un ente che può essere distrutto non è "veramente reale" in quanto appunto dipende da altri "enti" o comunque è contingente. E ciò che è contingente non ha né un'essenza nè un'identità ben definita. Detto questo torniamo in topic.

Allora capisco anche io che una sedia è un qualcosa di tangibile e quando parliamo di sedie sappiamo di cosa stiamo parlando. Non nego cioè l'esistenza delle cose formate da parti. Quello che nego è che abbiano un'essenza o un'identità ben definita. Inoltre noi sappiamo che la "sedia" è una "sedia" perchè siamo immersi in una cultura che ci permette di dare a quell'oggetto un utilizzo (posso immaginarmi culture in cui il concetto di "sedia" non esiste - qui riprendo un po' il secondo Wittgenstein). Nell'altro esempio della molecola d'acqua. Allora una molecola d'acqua è propriamente ciò che hai descritto, tuttavia anche qui il fatto che la consideriamo un "ente" è arbitrario. Per quanto riguarda un essere umano: l'"io" è reale a mio giudizio solo se esiste una cosa come l'anima (l'anima infatti è pensata come un qualcosa di "fondamentale"). In assenza di anima si può dire che la nostra identità è in parte "illusoria".

Detto questo non nego certamente che ad esempio la Terra, il Sistema Solare, la specie umana ecc siano per così dire "entità". Non nego che abbiano un qualche "grado di realtà", però nego che siano "assolutamente reali". Tuttavia certamente questi enti non possono ridursi alle loro parti ("olismo"), sono un qualcosa in più ma questo qualcosa in più è contingente, dipende da certe condizioni ecc.

Per farti un esempio prova a pensare l'Italia. L'Italia è certamente un "oggetto composto da parti". Ha una certa sua identità, interagisce come un tutt'uno  con gli altri stati. Tuttavia è solamente per una convenzione che l'Italia è quella che è:) per quanto riguarda l'essere umano, anche qui c'è arbitrarietà. Ci sono esseri umani con tutte le loro peculiari caratteristiche, ma l'"uomo" non c'è. Nella pratica e nell'etica chiaramente dobbiamo pensare in termini di "esseri umani", "io" e così via.

Nell'esempio della foglia. Anche qua quando vedi una foglia attaccata ad un ramo, dimmi precisamente ad esempio dove finisce la foglia e dove inizia il ramo. A livello atomico non si riesce a dire, a livello sub-atomico ancora meno. Certo che l'esigenza pratica ci "costringe" a parlare di "foglie" però il concetto che ci facciamo nella pratica non corrisponde esattamente alla realtà.

In sostanza non nego la loro esistenza (cioè di tutti gli "enti" contingenti) in toto e non l'affermo in toto. Prendo una via di mezzo, non sono nè totalmente reali nè totalmente irreali.

Per la questione della persistenza si potrebbe aprire un'altra discussione.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

maral

Parte e intero (di cui quella parte è parte) sono concetti che fanno parte del processo linguistico cognitivo dell'osservatore e sono concetti che si implicano strettamente tra loro: non vi può essere parte se non vi è un intero sulla base del quale essa è intesa come parte, né può esservi intero che possa essere inteso se non come somma e prodotto delle sue parti, comprese le relazioni che legano le sue parti tra loro e ogni parte all'intero, a meno che non si tratti di un intero elementare e senza parti, come un punto geometrico, una pura astrazione. Ogni intero, oltre a essere infinitamente suddivisibile, può essere senza limite considerato parte di interi che lo inglobano come loro parte, definendo unità composite di ordine superiore al cui vertice ipotetico concettuale ci sta l'intero di tutti gli interi: il Tutto ontologico, parimenti astratto quanto il punto, ma il tutto e il punto sono tra loro ancora concettualmente legati, così legati fino a potersi confondere l'uno con l'altro.
In tutto questo discorso però non possiamo dimenticarci un'altra relazione fondamentale che è quella tra l'insieme parte-intero e l'osservatore che è una delle indispensabili polarità relazionali. Questa relazione non manca mai e per questo non può sussistere alcuna concezione che definisca oggettivamente (in sé) cosa è parte e men che meno cosa è l'intero, ossia che possa prescindere dal modo di concepirli e di pensarli. Questo modo di concepirli e di pensarli oggi lo intendiamo (come osservatori che vivono nel tempo attuale) comunque contingente, ma non deriva da un'arbitraria decisione a intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per dare al mondo ogni significato che si vuole. L'osservatore, anche se le definizioni dipendono da lui, non è assolutamente il creatore di definizioni, ma è definito operativamente da quelle stesse definizioni, giacché esse fissano la sua prospettiva in modo pubblico, ossia in qualche modo la prospettiva è già condivisa e di pubblico significato, lo stesso pubblico significato che determina il suo modo di osservare e descrivere.
Allora il fatto che possano sussistere delle suddivisioni in parti dell'intero, il fatto che possa sussistere un intero fatto propriamente da quelle parti (una nave fatta di un timone, di una chiglia, di vele e via dicendo, tutte ben ripartite per quello che sono e a loro volta suddivisibili fino ai loro atomi), che funziona rispetto ad altre che ci sembrano frutto di pura fantasia e immaginazione, non ci dice nulla della realtà in sé oggettiva delle cose, ma può dirci molto in merito ai contesti in cui, come osservatori facenti parte del mondo che osserviamo, ci troviamo a essere collocati vivendo e riconoscendo in esso quel modo di funzionare su cui istituiamo i nostri giudizi di valenza pragmatica. Giudizi il cui valore non può mai essere assoluto come se fossimo giunti a cogliere la cosa per come è in sé, ma che effettivamente funzionano in questo contesto in cui le cose possono apparirci coerentemente ad essi, ove questo apparirci non si esaurisce mai in alcuna definizione definitiva, dunque è sempre in qualche modo un errore e solo per questo è sempre aperto alla verità.

sgiombo

CitazioneAd Apeiron:

Mi sembra che secondo la tua definizione di "ente assolutamente reale/perfetto" tale possa dirsi unicamente Dio; nemmeno l' "anima", almeno se creata da Dio, sarebbe tale, ma solo se eternamente esistente e trapassante di corpo in corpo per metempsicosi.

Non capisco in che senso in assenza di anima (immortale e interagente con il corpo alla maniera in cui la intendeva Cartesio, mi par di capire) si può dire che la nostra identità sia in parte "illusoria".
Normalmente si ritiene che l' essere contingente e mortale (di durata temporale finita) sia compatibilissimo con l' essere reale. Per esempio un cavallo, che poteva non essere nato se l' allevatore non avesse predisposto la fecondazione, naturale o artificiale, della femmina da parte di un maschio (contingente) e che viva ad esempio per quindici anni, è correntemente ritenuto interamente "reale", mentre un immaginario ippogrifo che in un mito o in un poema sia inteso come sempre necessariamente esistente, innato e immortale (per un qualche motivo inerente il mito o il poema) sarebbe correntemente ritenuto interamente "illusorio".


A Maral:


Concordo che Parte e intero (di cui quella parte è parte) sono concetti che fanno parte del processo linguistico cognitivo dell'osservatore e sono concetti che si implicano strettamente tra loro: non vi può essere parte se non vi è un intero sulla base del quale essa è intesa come parte, né può esservi intero che possa essere inteso se non come somma e prodotto delle sue parti, comprese le relazioni che legano le sue parti tra loro e ogni parte all'intero, a meno che non si tratti di un intero elementare e senza parti, come un punto geometrico, una pura astrazione. Ogni intero, oltre a essere infinitamente suddivisibile, può essere senza limite considerato parte di interi che lo inglobano come loro parte, definendo unità composite di ordine superiore al cui vertice ipotetico concettuale ci sta l'intero di tutti gli interi: il Tutto ontologico.
Però il tutto, la totalità della realtà (come che sia) mi sembra concretamente esistente e non una pura astrazione mentale, dato che contrariamente al punto geometrico (come è inteso nell' ambito della geometria euclidea e non della realtà fisica) è reale indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (così come un tratto di spazio fisico reale -non: geometrico- infinitamente piccolo; anzi: infiniti di questi).

Ma come si potrebbero confondere fra loro un punto geometrico e tutto ciò che è reale (compreso il pensiero de il punto geometrico)?

Concordo che è "l' osservatore" (o meglio, secondo me il "pensatore", colui che li prende in considerazione) a stabilire che cosa è un certo determinato "tutto" e che cosa ne sono certe determinate "parti", e che dunque una tale distinzione non è oggettiva, propria della realtà ma soggettiva, posta (considerata) dal pensiero.
Però mi sembra innegabile che questa distinzione derivi da un'arbitraria decisione di intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per considerare nel mondo ogni "intero" e "parte" che si vuole.
Creatore di definizione può in teoria essere chiunque (nessuno mi impedisce di definire, se così mi pare, "sistema alpinappenninico" quell' insieme di rilievi montuosi che vanno ininterrottamente dall' Aspromonte "fin quasi a Vienna" o "Asiafrica" -così come altri considerano l' "Eurasia"- l' insieme dei continenti asiatico e africano), anche se le definizioni per essere socialmente rilevanti devono ovviamente essere pubblicamente condivise (ma non per questo sono meno arbitrarie e convenzionali; anzi, convenzionali lo sono senz' altro di più delle mie due suddette personalissime definizioni, che ho stabilito sui due piedi e non ho convenuto con nessuno).
La definizione di "nave", oltre a dirci qualcosa (molto o poco? Valutazione soggettiva e arbitraria) del contesto sociale in cui è formulata e usata (per esempio che non si tratta di una comunità chiusa vivente in una zona montuosa con corsi d' acqua troppo piccoli e impervi per essere navigati), ci dice anche qualcos' altro (molto o poco? Valutazione altrettanto soggettiva e arbitraria) della realtà oggettiva delle cose (per esempio che tale oggetto può essere usato per navigare e trasportare merci non troppo pesanti e ingombranti su specchi d' acqua abbastanza ampi e profondi e non troppo agitati).
Che poi i nostri giudizi e le nostre conoscenze siano sempre limitati e imperfetti e non possano mai esaurire integralmente e assolutamente le cose cui si riferiscono (se è questo che intendi dire) sono perfettamente d' accordo.

Sariputra

#14
Oggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che  avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale con apposito algoritmo con cui interagire e , presumo, continuare ad amare ( e a litigare... ;D ). Questo fatto mi ha indotto a riflettere sulla probabilità, con l'avanzare della conoscenza informatica, che un domani nemmeno molto distante, ci costruiremo tutti i nostri cari digitali con cui continuare a vivere insieme anche dopo la loro dipartita fisica. La perdita di ciò che si ama non sarà più così terribile perché, in un certo senso, continueranno a vivere con noi. Con l'avvento poi anche di corpi automatizzati ( di cui abbiamo già visto i primi minacciosi prototipi), sarà un gioco da ragazzi innestare in questi corpi  la personalità virtuale di nostro marito, di nostra moglie o più probabilmente del nostro amante, con cui passeggiar teneramente per le vie del centro. L'amato virtuale poi, sarà sicuramente dotato di carte di credito inglobate ( così da non dover sempre aver a che fare con il rischio attuale di perderle...) e di altre funzionalità ( tipo gli occhi a pila per trovare la serratura della porta di casa , nelle sere buie e tempestose. Ci saranno poi le varie funzionalità "sessuali" per il sollazzo e per il sollievo dall'amara "perdita" fisica.
Tutto quessto cosa c'entra con il principio di arbitrarietà mereologica?
Ecco cosa c'entra...mi son chiesto...ma questo alter-ego è un ente dotato di identità propria , oppure no? La risposta , per come riesco a concepirla personalmente, è no ( ma io, come sapete, ritengo convenzionale pure l'identità "naturale"). Coloro però che concepiscono l'universo come un tutto popolato da enti, o essenze, come si relazioneranno concettualmente con questi nuovi "enti" virtuali?
Se li abbiamo creati noi, e dipendono dall'energia che vorremo dargli, si possono definire come enti? Eppure, in certo qual modo, ragionano e agiscono, probabilmente anche con un certo grado di autonomia. Avranno sicuramente un'intelligenza molto superiore, che so...di un criceto o di una tartaruga. Avranno un corpo, un'intelligenza autonoma e agiranno di conseguenza. Basta affibbiargli un nome e avremo una "persona" o una "personalità", seppur virtuale ( ma neanche tanto visto che occuperanno uno spazio e un tempo...). Mi spingo oltre, estremizzando il concetto...avranno un'intelligenza e un'autonomia sicuramente superiore a quella della povera "Adriana", di cui ho parlato nella discussione "La nave di Teseo".
Questo dilemma, almeno per me, dimostra l'arbitrarietà di assegnare il concetto di entità, di personalità e di identità.
Sono d'accordo con Sgiombo che, se vogliamo trovare il concetto di "ente perfetto", dobbiamo necessariamente  concepirlo com viene convenzionalmente definito Dio. L'universo, non avendo ancora rinvenuto l'ente perfetto, si dovrebbe considerare popolato da enti imperfetti ( entità in divenire) ma questo risulta contradditorio perchè un'essenza che si trasforma non è più un'essenza, almeno come viene convenzionalmente designata.

P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene!  ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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