principio di arbitrarietà mereologica

Aperto da sgiombo, 07 Ottobre 2016, 09:36:00 AM

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sgiombo

Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AM

P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene!  ;D
E poi si può sempre decidere di non litigare (o fose é meglio di non litigare troppo, che un po' di sale anche nei migliori dolci bisogna mettercelo...).

Al resto dell' intervento risponderò eventualmente più tardi o domani.

Ciao!

Apeiron

Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
CitazioneAd Apeiron: Mi sembra che secondo la tua definizione di "ente assolutamente reale/perfetto" tale possa dirsi unicamente Dio; nemmeno l' "anima", almeno se creata da Dio, sarebbe tale, ma solo se eternamente esistente e trapassante di corpo in corpo per metempsicosi. Non capisco in che senso in assenza di anima (immortale e interagente con il corpo alla maniera in cui la intendeva Cartesio, mi par di capire) si può dire che la nostra identità sia in parte "illusoria". Normalmente si ritiene che l' essere contingente e mortale (di durata temporale finita) sia compatibilissimo con l' essere reale. Per esempio un cavallo, che poteva non essere nato se l' allevatore non avesse predisposto la fecondazione, naturale o artificiale, della femmina da parte di un maschio (contingente) e che viva ad esempio per quindici anni, è correntemente ritenuto interamente "reale", mentre un immaginario ippogrifo che in un mito o in un poema sia inteso come sempre necessariamente esistente, innato e immortale (per un qualche motivo inerente il mito o il poema) sarebbe correntemente ritenuto interamente "illusorio"..[/color]

Allora per me in effetti l'unico ente veramente reale è l'Assoluto (es: Dio, Atman/Brahman indù, Deus sive Natura di Spinoza, Apeiron di Anassimandro, il Dio-Tutto di Eraclito, l'Essere di Parmenide, il Tao e il Nirvana/Nibbana buddista - se ci fai caso sono tutti enti indipendenti e non condizionati dal divenire). Detto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina. L'atman induista lo è invece.

Nel tuo esempio del cavallo. Il cavallo non è "assolutamente reale", tuttavia lo è ma di un grado inferiore. Perciò non è nè illusorio nè reale. Non è illusorio perchè appunto esiste ma non è reale - non ha un'identità ben definita - perchè appunto dipende da condizioni per la sua esistenza. L'ippogrifo se esistesse realmente allora sarebbe, se vogliamo un assoluto se la sua esistenza non dipende da altro. Tuttavia l'ippogrifo come mito è ancora meno reale del cavallo, perchè appunto esiste solo in quanto parte del mito, il quale esiste solo perchè lo abbiamo inventato noi ecc.

Citazione di: maral il 09 Ottobre 2016, 20:09:24 PMParte e intero (di cui quella parte è parte) sono concetti che fanno parte del processo linguistico cognitivo dell'osservatore e sono concetti che si implicano strettamente tra loro: non vi può essere parte se non vi è un intero sulla base del quale essa è intesa come parte, né può esservi intero che possa essere inteso se non come somma e prodotto delle sue parti, comprese le relazioni che legano le sue parti tra loro e ogni parte all'intero, a meno che non si tratti di un intero elementare e senza parti, come un punto geometrico, una pura astrazione. Ogni intero, oltre a essere infinitamente suddivisibile, può essere senza limite considerato parte di interi che lo inglobano come loro parte, definendo unità composite di ordine superiore al cui vertice ipotetico concettuale ci sta l'intero di tutti gli interi: il Tutto ontologico, parimenti astratto quanto il punto, ma il tutto e il punto sono tra loro ancora concettualmente legati, così legati fino a potersi confondere l'uno con l'altro. In tutto questo discorso però non possiamo dimenticarci un'altra relazione fondamentale che è quella tra l'insieme parte-intero e l'osservatore che è una delle indispensabili polarità relazionali. Questa relazione non manca mai e per questo non può sussistere alcuna concezione che definisca oggettivamente (in sé) cosa è parte e men che meno cosa è l'intero, ossia che possa prescindere dal modo di concepirli e di pensarli. Questo modo di concepirli e di pensarli oggi lo intendiamo (come osservatori che vivono nel tempo attuale) comunque contingente, ma non deriva da un'arbitraria decisione a intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per dare al mondo ogni significato che si vuole. L'osservatore, anche se le definizioni dipendono da lui, non è assolutamente il creatore di definizioni, ma è definito operativamente da quelle stesse definizioni, giacché esse fissano la sua prospettiva in modo pubblico, ossia in qualche modo la prospettiva è già condivisa e di pubblico significato, lo stesso pubblico significato che determina il suo modo di osservare e descrivere. Allora il fatto che possano sussistere delle suddivisioni in parti dell'intero, il fatto che possa sussistere un intero fatto propriamente da quelle parti (una nave fatta di un timone, di una chiglia, di vele e via dicendo, tutte ben ripartite per quello che sono e a loro volta suddivisibili fino ai loro atomi), che funziona rispetto ad altre che ci sembrano frutto di pura fantasia e immaginazione, non ci dice nulla della realtà in sé oggettiva delle cose, ma può dirci molto in merito ai contesti in cui, come osservatori facenti parte del mondo che osserviamo, ci troviamo a essere collocati vivendo e riconoscendo in esso quel modo di funzionare su cui istituiamo i nostri giudizi di valenza pragmatica. Giudizi il cui valore non può mai essere assoluto come se fossimo giunti a cogliere la cosa per come è in sé, ma che effettivamente funzionano in questo contesto in cui le cose possono apparirci coerentemente ad essi, ove questo apparirci non si esaurisce mai in alcuna definizione definitiva, dunque è sempre in qualche modo un errore e solo per questo è sempre aperto alla verità.

Quando avrò più tempo risponderò meglio. Comunque non nego che la nostra mente lavora innatamente con i concetti di parte ed intero. Tuttavia (1) sono appunto concetti e appunto questi concetti potrebbero non rispecchiare la realtà (2) le parti sono più fondamentali dell'intero: se le parti spariscono lo fa anche l'intero, il viceversa non è vero. Tuttavia l'intero può non essere riducibile alle sue parti, ma ciò non significa che sia "più reale" delle parti. (3) concordo con te che alla fine il come analizziamo la realtà ci dice più su di noi osservatori che sulla realtà stessa.

Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AMOggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale con apposito algoritmo con cui interagire e , presumo, continuare ad amare ( e a litigare... ;D ). Questo fatto mi ha indotto a riflettere sulla probabilità, con l'avanzare della conoscenza informatica, che un domani nemmeno molto distante, ci costruiremo tutti i nostri cari digitali con cui continuare a vivere insieme anche dopo la loro dipartita fisica. La perdita di ciò che si ama non sarà più così terribile perché, in un certo senso, continueranno a vivere con noi. Con l'avvento poi anche di corpi automatizzati ( di cui abbiamo già visto i primi minacciosi prototipi), sarà un gioco da ragazzi innestare in questi corpi la personalità virtuale di nostro marito, di nostra moglie o più probabilmente del nostro amante, con cui passeggiar teneramente per le vie del centro. L'amato virtuale poi, sarà sicuramente dotato di carte di credito inglobate ( così da non dover sempre aver a che fare con il rischio attuale di perderle...) e di altre funzionalità ( tipo gli occhi a pila per trovare la serratura della porta di casa , nelle sere buie e tempestose. Ci saranno poi le varie funzionalità "sessuali" per il sollazzo e per il sollievo dall'amara "perdita" fisica. Tutto quessto cosa c'entra con il principio di arbitrarietà mereologica? Ecco cosa c'entra...mi son chiesto...ma questo alter-ego è un ente dotato di identità propria , oppure no? La risposta , per come riesco a concepirla personalmente, è no ( ma io, come sapete, ritengo convenzionale pure l'identità "naturale"). Coloro però che concepiscono l'universo come un tutto popolato da enti, o essenze, come si relazioneranno concettualmente con questi nuovi "enti" virtuali? Se li abbiamo creati noi, e dipendono dall'energia che vorremo dargli, si possono definire come enti? Eppure, in certo qual modo, ragionano e agiscono, probabilmente anche con un certo grado di autonomia. Avranno sicuramente un'intelligenza molto superiore, che so...di un criceto o di una tartaruga. Avranno un corpo, un'intelligenza autonoma e agiranno di conseguenza. Basta affibbiargli un nome e avremo una "persona" o una "personalità", seppur virtuale ( ma neanche tanto visto che occuperanno uno spazio e un tempo...). Mi spingo oltre, estremizzando il concetto...avranno un'intelligenza e un'autonomia sicuramente superiore a quella della povera "Adriana", di cui ho parlato nella discussione "La nave di Teseo". Questo dilemma, almeno per me, dimostra l'arbitrarietà di assegnare il concetto di entità, di personalità e di identità. Sono d'accordo con Sgiombo che, se vogliamo trovare il concetto di "ente perfetto", dobbiamo necessariamente concepirlo com viene convenzionalmente definito Dio. L'universo, non avendo ancora rinvenuto l'ente perfetto, si dovrebbe considerare popolato da enti imperfetti ( entità in divenire) ma questo risulta contradditorio perchè un'essenza che si trasforma non è più un'essenza, almeno come viene convenzionalmente designata. P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene! ;D

(1) il mio attuale modo di vedere la mente è tipo un software in esecuzione, quindi per forza di cose è possibile che "si esegua" anche su "supporti" diversi rispetto al corpo umano. Se poi tale essere sia lo stesso o no, non saprei dire.
(2) "Sariputra" il tuo nick mi da l'idea che ti affascina il buddismo. Ebbene anche nel buddismo (canone Pali) c'è comunque un Assoluto impersonale, il Nibbana/Nirvana (chiaramente descritto come "non-nato, non soggetto alla morte, incondizionato (indipendente dalle condizioni)" - in questo senso non è poi così diverso da una qualche nozione di "Dio"). Intendo dire che la dottrina dell'Anatta non pregiudica l'esistenza di assoluti - qui si potrebbe aprire un'altra discussione XD.
(3) concordo che in assenza di anima/atman è convenzionale anche l'identità personale.
(4) anche noi dipendiamo da energia e nutrimento perciò non siamo molto più "reali" dell'amico virtuale :D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#17
@ Apeiron
Il nirvana buddhista non può essere inteso come un assoluto concettuale ( come nel caso del Dio filosofico ). Questo per prevenire la deriva metafisica del Dharma stesso ( che purtroppo ha designato, a mio parere, tutta la speculazione mahayanica post-Nagarjuna con il risultato di arrivare quasi a concepire il Buddha come una divinità). Il nirvana è correttamente inteso solo con riferimento al Dolore, di cui ne è l'estinzione. Come dicevamo l'altra sera con Phil, lavando i piatti, il Nirvana è un'esperienza , non un concetto. Concordo con te che è magari il caso di approfondire in altra discussione.  :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Duc in altum!

**  scritto da Apeiron:
CitazioneDetto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina.
Ma l'anima del cristianesimo, se s'intende come messaggio di Cristo, è l'amore di Dio, quindi non c'è niente, per chi ci crede, di più totalmente eterno (infatti senza di esso non si sarebbe avuto l'Universo in cui noi esistiamo e possiamo sperimentare il Suo amore e possiamo concepire il concetto di anima e di eterno); se si riferisce all'anima dell'individuo cristiano, essa diviene eterna (nel bene o nel male) dall'attimo in cui l'ovulo accoglie lo spermatozoo.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

maral

Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
Però il tutto, la totalità della realtà (come che sia) mi sembra concretamente esistente e non una pura astrazione mentale, dato che contrariamente al punto geometrico (come è inteso nell' ambito della geometria euclidea e non della realtà fisica) è reale indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (così come un tratto di spazio fisico reale -non: geometrico- infinitamente piccolo; anzi: infiniti di questi).

Ma come si potrebbero confondere fra loro un punto geometrico e tutto ciò che è reale (compreso il pensiero de il punto geometrico)?
La totalità (tutto quello che c'è) è definibile solo in senso astratto in quanto non è possibile pensarla concretamente (ossia andando a definirne gli elementi). Non è possibile in due sensi: il primo è che non possiamo definirla per sottrazione di quello che non c'è, dato che qualsiasi cosa di cui diciamo che non c'è ha pur tuttavia un suo modo di esserci e in questo modo c'è, fa parte della realtà; il secondo è che non possiamo definirla nemmeno per addizione, ossia nominando tutti gli enti che ci sono, non tanto in quanto questi enti sarebbero un numero molto grande, ma che potremmo concepire finito, quanto perché via via che li andiamo numerando essi crescono in virtù della loro stessa numerazione (E' come per la diagonalizzazione con cui Cantor dimostra che i numeri reali sono sempre di più dei numeri naturali: ci sarà un insieme di tutti i numeri naturali, ma non si potrà mai dire quanti e quali sono nella loro totalità, ce ne è sempre almeno uno in più ancora da individuare e contare). Se la totalità che costituisce l'insieme di tutti gli insiemi è concretamente indefinibile è un principio formale astratto quanto quello di punto inteso come intero primario non ulteriormente suddivisibile in parti. Questi elementi primari (i mattoni che permettono di costruire il reale e i suoi significati) infatti sono sempre stati cercati e mai trovati, siano essi le particelle subatomiche o le proposizioni elementari del linguaggio. 

CitazionePerò mi sembra innegabile che questa distinzione derivi da un'arbitraria decisione di intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per considerare nel mondo ogni "intero" e "parte" che si vuole.
A me pare piuttosto che possiamo pensare la distinzione come qualcosa che avrebbe potuto essere diversa, ma di fatto non lo è. Ossia noi vediamo che le cose vengono considerate in modo diverso (nel tempo e nei luoghi) e che da questi modi diversi di considerarle è possibile giungere a un'intesa, a una traduzione. Ma nel loro ambito originario esse non sono per nulla arbitrarie: noi non scegliamo a caso quale significato (e implicazione di significati) dare agli enti, cosa sia parte e cosa sia intero, è il contesto che lo decide per ciascuno di noi, l'insieme dei rapporti, degli usi e dei modi di fare che insieme già tutti pubblicamente condividiamo in un determinato luogo e tempo. Per esempio "Italia" (come Eurasia o qualsiasi denominazione geografica) può sembrare solo un nome del tutto arbitrario per una certa regione del globo terrestre, che qualcuno ha scelto di chiamare così potendola chiamare anche diversamente (Enotria, Esperia ...), ma sappiamo che così non è, perché il significato di quel nome non è per nulla arbitrario, ma il frutto di secoli di storia in cui è presente qualcosa che nonostante tutto accomuna in modo simbolico astratto e che quel nome indica. Non è in origine "solo un'espressione geografica", come diceva Metternich, anche se certamente può diventarlo, ossia il simbolo può perdere ogni significato e diventare solo un segno che non significa più nulla e quindi a piacere tutto e il contrario di tutto, ma non il contrario.   
Chiunque può trovare (non inventare dal nulla) una definizione, ma in realtà non è lui che la trova, è il contesto che gli sta attorno che sempre gliela suggerisce e gliela impone anche nella sua novità e questo è il motivo per cui, anche se sembra che nulla te lo impedisca, non potrai mai chiamare se non per insignificante vezzo una cosa in altro modo (e anche questo solo richiamandoti al modo o ai modi con cui la si chiama e la si conosce), finché il contesto non ammette questo altro modo che è un altro modo di significare e quindi di apparire.


maral

Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AM
Oggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che  avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale ...
Douglas Hofstadter in "Anelli dell'io" racconta di essersi spinto ben più in là, quando, morta l'amatissima moglie, ritenne possibile farla realmente e non solo virtualmente tornare, ricostruendone ogni relazione che l'aveva espressa, da ritrovarsi in ogni minimo ricordo di lei in chiunque la avesse conosciuta o incontrata.
C'è anche un romanzo di fantascienza che lessi molti anni fa che parte da questa affascinante ipotesi: l'eternità di ogni anima è un software che un super computer (Dio?) tiene registrato nella sua memoria fissa e potrà riprodurre per ricreare l'universo quante volte vorrà.  
Chiaramente queste sono ipotesi che derivano dal considerare l'ente (inteso come accadente piuttosto che come essente) solo come un prodotto di una rete relazionale, una volta definita la mappa di rete si può ripetere l'ente facendolo accadere quante volte si vuole, ma mi sa che le cose non siano così semplici.
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 10:14:03 AM
(1) sono appunto concetti e appunto questi concetti potrebbero non rispecchiare la realtà (2) le parti sono più fondamentali dell'intero: se le parti spariscono lo fa anche l'intero, il viceversa non è vero.
1) certamente nessuna concettualizzazione rispecchia l'intera realtà, ne rispecchia una parte che come tale va considerata insieme alle altre parti, senza cioè assolutizzarla, ossia senza considerarla come intero (e anche qui siamo dovuti ricorrere ai concetti di parte e intero)
2) Eh ma anche se l'intero sparisce spariscono anche le sue parti (come parti di quell'intero e non di altro, ossia come entità concrete e non astratte che vanno bene a qualsiasi intero). Si potrebbe peraltro nello stesso senso astratto dire che può benissimo sparire qualche parte dell'intero e l'intero rimanere lo stesso (è proprio quello che accade alla nave di Teseo e pensiamo che accada a tutti noi: io da infante divento vecchio, cambio non qualche parte di me, ma addirittura tutte le mie parti, eppure resto paradossalmente sempre il medesimo), ma questi sensi astratti che sembrano sistemare le cose, poi creano a ben vedere insormontabili problemi di interpretazione.

paul11

Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 17:51:40 PM
Citazione di: paul11 il 09 Ottobre 2016, 01:13:05 AMSgiombo, se entrambi osserviamo la stessa foglia nello stesso tempo e luogo, e ci limitiamo ad una sua descrizione fisico materiale, sono solo i nostri sensi che decidono linguisticamente l'osservazione, per cui il nostro pensiero +/- collima. Ma se ognuno di noi due pensa alla foglia astrattamente, senza necessariamente essere nella condizione dell'esempio precedente, a me possono venire in mente una miriade di tipologie di foglie, come penso a te. Ma ancora quella foglia può acquisire una simbologia. Più ci allontaniamo dalla condizione del primo esempio e più quella foglia diventa rappresentazione che trascende la condizione fisica di quella foglia.
CitazioneSe ho ben capito intendi dire che ad esempio una foglia d' acero oltre ad essere una foglia d' acero é anche il simbolo del Canada (per chi lo sa, e dunque può pensarlo) e la foglia d' edera, oltre ad essere una foglia d' edera era anche il simbolo del (credo) fu Partito Repubblicano Italiano, con gli stessi limiti e alle stesse condizioni; e un aquila oltre a essere un' aquila é il simbolo dell Moto Guzzi e un leone oltre ad essere un leone é il simbolo della Benelli, ecc. Bene; se é così sono d' accordo.
La mereologia tratta delle parti e del tutto. Non è vero che debbano essere necessariamente oggetti fisici, possono essere parti proposizionali ed essere quindi oggetto di analisi di logica formale, oppure ad esempio un articolo, un aggettivo, una preposizione nella grammatica o possono essere enti metafisici.
CitazioneAnche qui concordo: la mereologia é talmente arbitraria da poter "mescolare" enti ed eventi e "pezzi di enti ed eventi" (fenomenici) esteriori-materiali e/o interiori-mentali ad libitum. Ma a differenza dei secondi (e di quelli auditivi, gustativi e olfattivi fra i primi , cioé quelli caratterizzati da qualità "secondarie"), i primi (e in particolare quelli visivi e tattili: grosso modo quelli caratterizzabili -per lo meno anche- dalle qualità "primarie") sono anche sensatamente "spezzettabili" nello spazio, oltre che nel tempo, (e poi "riassemblabili" fra loro e con qualsiasi cosa d' altro) ad libitum: si può considerare qualsivoglia pezzetto di un sasso, di un cavallo o di un albero senza limiti di "spezzettamento" (proseguendo, se si vuole, all' infinito nel considerarne parti sempre più piccole), mentre un sentimento o una credenza o anche solo il pensiero di un concetto si possono spezzettare ad libitum (e all' infinito) nel tempo (grazie alla sincronia con eventi esteriori-materiali!) per poi eventualmente "riassemblarli" con "di tutto e di più", ma non invece nello spazio, ovvero in ogni istante di tempo (quale sarebbe la metà o un terzo o i 7/495 di un concetto, di una credenza o di un sentimento?).
.....adesso alzo il livello di difficoltà, così sarò "incomprensivo". Prima di tutto è vero Sgiombo che le mereologia può aiutare ad affrontare la problematica della discussione "la nave di Teseo", poichè ponendo in relazione le parti con l'intero richiama la regola dell'identità e in più l'implicazione in quanto una parte è all'interno di un complesso e dall'insiemistica l'inclusione, in quanto una proprietà è l'insieme di particolari che la istanziano........... Può una parte sussistere senza l'interò? Può una foglia o una gamba vivere senza una pianta o una persona; può l'alberatura o la velatura della nave essere da sole definita nave?.............
CitazioneQui secondo me bisogna distinguere le questioni "di diritto" o teoriche da quelle "di fatto" o reali.  Ho affermato l' arbitrarietà di qualsiasi considerazione mereologica (suddivisione e/o "assemblaggio") di enti ed eventi nello spazio e nel tempo (salvo quelli mentali e fra i materiali quelli caratterizzati da qualità secondarie per quel che riguarda lo spazio) da un punto di vista teorico, della pensabilità (della possibile esistenza reale di concetti, di enti ed eventi tali -reali- unicamente in quanto pensati), cioè del pensiero sulla realtà o meno, e non della realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica. . Ma ho anche scritto che di fatto in pratica le infinite possibili "definizioni mereologice" di enti ed eventi differiscono fra loro per quanto riguarda l' "utilità pratica" e anche l' "applicabiltà o fecondità teorica", se così la vogliamo chiamare: Ciò che "fa la differenza", per così dire, fra le diverse partizioni in cui il pensiero può "ritagliare" la realtà nelle sue considerazioni è unicamente l' efficacia di fatto che tali "ritagli" possono avere o meno nella conoscenza (eventualmente anche scientifica, oltre che "episodica" o "aneddottica") della realtà stessa e conseguentemente l' efficacia della loro utilizzabilità pratica nel perseguimento di scopi (ovviamente realistici): l' oggetto lecitissimamente considerabile "Napoleone Bonaparte dall' età di tre anni a quella di 12 anni e dall' età di 27 anni a quella di 31 anni unitamente alla gamba sinistra di Giulio Cesare dall' età di 7 anni a 38 anni, unitamente al monte Cervino dal 7429 a. C. al 9555 d, C., alla mia moto dal 2011 al 2117, e unitamente all' Unione Sovietica dal 1929 al 1967" non serve proprio a nulla, teoricamente e praticamente, al contrario dell' oggetto "sistema solare negli ultimi 500 000 anni" o all' oggetto "specie biologica 'felis catus' " o all' oggetto "pendolo galileiano", ecc. Come dire che, al di là della totale arbitrarietà mereologica propria del pensiero (circa la realtà o meno), esistono delle "linee di faglia naturali" (o "generi naturali") che non essendo proprie del pensiero circa la realtà o meno ma invece della realtà quale è/diviene, anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica o pensiero, non possono per nulla essere arbitrariamente scelte o stabilite ad libitum.  Sempre più mi convinco, anche in seguito alle discussioni nel forum su La nave di Teseo e su Conoscenza e critica della conoscenza, che la "questione critica" o "fondamentale", il "punto archimedico", per così dire, della filosofia (per lo meno dell' ontologia e della gnoseologia) è proprio questo: quello della distinzione o differenza fra realtà quale è o accade anche indipendentemente dal suo essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica da una parte, e dall' altra considerazione teorica o pensiero della realtà o meno (nozioni, concetti, predicati, oggetti di immaginazione fantastica, di desiderio -positivo o negativo- di aspettativa, di speranza, di timore, ecc.), i cui "oggetti" o "contenuti", se tutto ciò accade, sono necessariamente reali di per sé solo e unicamente in quanto tali (oggetti di considerazione teorica) e non necessariamente "come enti ed eventi quali sono o accadono anche indipendentemente dal loro essere o meno eventualmente pure oggetto di considerazione teorica. Fra gli enti ed eventi reali ve ne sono di peculiarissimi, la cui distinzione dagli altri per così dire "generici" è fondamentale (per la conoscenza e indirettamente per l' azione razionalmente fondata), e cioè gli enti ed eventi "teorici", che oltre ad essere reali in sé (come tutti gli altri, se accadono) "alludono a", per così dire, o per far contenti i seguaci della fenomenologia si potrebbe anche dire "intenzionano", la realtà o meno di altro da sé (e confondere le due ben diverse cose è sempre e comunque "peccato mortalissimo" in filosofia, e spesso anche generalmente nella vita).

...ma potremmo inoltre cercare di capire il perché quei simboli e non altri sono stati scelti, quindi il legame fra oggetto materiale e un simbolo scelto, comunque trascende l'aspetto materiale, lo astrae dal suo dominio originario per portarlo in un altro.


E' chiaro che un oggetto fisico lo si può spezzettare fino all'atomo(fermiamoci al'atomo per non andare oltre, quark,ecc), ma deve essere riconoscibile come parte di un'unità definita e quindi limita quello spezzettamento. Deve essere salvaguardata la relazione che lega la parte all'unità.

E'chiaro che fisicamente non posso frazionare un concetto, ma posso analizzarne le parti che lo costituiscono ma ribadisco deve essere relazionata la parte e l'unità di "quel" concetto.
Ad esempio, l'articolo "la" posso inserirlo in una miriadi di frasi che indicano un concetto che si vuol esprimere .Può appartenere quindi come parte linguistica in tutti i domini da descrivere, ma se lo limito dentro un concetto, quel concetto non può perdere di senso e significato se  tolgo quel "la" dalla frase.

Sei legato all'utilità e funzionalità e va bene, ma a mio parere la conoscenza se è limitata  a questo ambito  del pensiero relato solo al dominio fisico-materiale,non è conoscenza o meglio è parziale conoscenza.
Il pensiero diviene conoscenza se riesce a concatenare in un'unità di senso le diversi parti di conoscenza.

Più che arbitrarietà direi un non senso ,in quanto non concatena, una conoscenza che è priva dei legami delle parti. E' una catena di senso in cui ogni anello della catena che costruisce la concatenazione è legato al precedente,quindi relazionato, e potrebbe anche inizare dalle tue considerazioni di realtà fisica e di utilità e funzionalità che non nego, ma  personalmente non mi bastano a costruire una conoscenza.

Capisco il tuo punto di vista, ma devi tener presente che il tuo stesso pensiero, il tuo stesso linguaggio, che poi è quello che ci accomuna in una "convenzione" che può essere naturale o specialistica, fino al formale, è già oltre quella realtà fisica che osserviamo, appartiene ad un altro dominio che non è il naturale fisico-materiale  anche se ci servisse solamente per descriverlo e conoscerlo.
Penso che al fondo del tuo pensiero tu alluda principalmente al fatto che a prescindere da noi umani, là fuori c'è un mondo che "vive" che esiste in sè, e l'uomo non può alterare quel mondo con il suo pensiero, ma deve sempre riconoscerlo.
Sono d'accordo, infatti per me la conoscenza quando va "oltre" il dominio naturale deve rispettarne la logica, ma questa stessa logica deve e può essere utilizzata anche nel dominio del pensiero speculativo, quando il pensiero riflette se stesso ed è già oltre il dominio del fisico-materiale.
Penso che l'uomo ,nel momento in cui viene in contatto come essere che esiste nella realtà fisica, in qualche modo lo trascenda(non prendere questo termine come spirituale in questa discussione),
Vuol dire che porta la realtà fisica in una rappresentazione del pensiero attraverso concetti, simboli, psiche, emotività e anche spiritualità.Ma non deve separare dicotomicamente i domini e quindi analizzare in forma diversa, ma concatenare l'unità in un senso logico,Diversamente allora sorgerebbe quell'arbitrarietà per cui la filosfia diverrebbe fantasia.

sgiombo

Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AM
Oggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che  avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale con apposito algoritmo con cui interagire e , presumo, continuare ad amare ( e a litigare... ;D ). Questo fatto mi ha indotto a riflettere sulla probabilità, con l'avanzare della conoscenza informatica, che un domani nemmeno molto distante, ci costruiremo tutti i nostri cari digitali con cui continuare a vivere insieme anche dopo la loro dipartita fisica. La perdita di ciò che si ama non sarà più così terribile perché, in un certo senso, continueranno a vivere con noi. Con l'avvento poi anche di corpi automatizzati ( di cui abbiamo già visto i primi minacciosi prototipi), sarà un gioco da ragazzi innestare in questi corpi  la personalità virtuale di nostro marito, di nostra moglie o più probabilmente del nostro amante, con cui passeggiar teneramente per le vie del centro. L'amato virtuale poi, sarà sicuramente dotato di carte di credito inglobate ( così da non dover sempre aver a che fare con il rischio attuale di perderle...) e di altre funzionalità ( tipo gli occhi a pila per trovare la serratura della porta di casa , nelle sere buie e tempestose. Ci saranno poi le varie funzionalità "sessuali" per il sollazzo e per il sollievo dall'amara "perdita" fisica.
Tutto quessto cosa c'entra con il principio di arbitrarietà mereologica?
Ecco cosa c'entra...mi son chiesto...ma questo alter-ego è un ente dotato di identità propria , oppure no? La risposta , per come riesco a concepirla personalmente, è no ( ma io, come sapete, ritengo convenzionale pure l'identità "naturale"). Coloro però che concepiscono l'universo come un tutto popolato da enti, o essenze, come si relazioneranno concettualmente con questi nuovi "enti" virtuali?
Se li abbiamo creati noi, e dipendono dall'energia che vorremo dargli, si possono definire come enti? Eppure, in certo qual modo, ragionano e agiscono, probabilmente anche con un certo grado di autonomia. Avranno sicuramente un'intelligenza molto superiore, che so...di un criceto o di una tartaruga. Avranno un corpo, un'intelligenza autonoma e agiranno di conseguenza. Basta affibbiargli un nome e avremo una "persona" o una "personalità", seppur virtuale ( ma neanche tanto visto che occuperanno uno spazio e un tempo...). Mi spingo oltre, estremizzando il concetto...avranno un'intelligenza e un'autonomia sicuramente superiore a quella della povera "Adriana", di cui ho parlato nella discussione "La nave di Teseo".
Questo dilemma, almeno per me, dimostra l'arbitrarietà di assegnare il concetto di entità, di personalità e di identità.
Sono d'accordo con Sgiombo che, se vogliamo trovare il concetto di "ente perfetto", dobbiamo necessariamente  concepirlo com viene convenzionalmente definito Dio. L'universo, non avendo ancora rinvenuto l'ente perfetto, si dovrebbe considerare popolato da enti imperfetti ( entità in divenire) ma questo risulta contradditorio perchè un'essenza che si trasforma non è più un'essenza, almeno come viene convenzionalmente designata.

P.S. Non è neppur sicuro che si trovi meno soddisfazione nell'amato virtuale che non in quello "reale", anzi...basta caricar la batteria bene!  ;D
CitazionePenso che una riproduzione "virtuale" dei nostri cari estinti non possa costituire altro che un modesto sollievo o una consolazione al dolore della loro perdita (non molto diverso da una fotografia o uno scritto o un oggetto che ci abbiano lasciato).
Non é di certo un modo per continuare a farli esistere.

Un "alter ego" artificiale, robotico (ammesso e non concesso che sia effettivamente realizzabile di fatto) sarebbe altrettanto altra cosa dalla persona reale che una sua statua (la quale pure occupa uno spazio e un tempo): né più né meno.

Ma non credo ci sia bisogno di questi argomenti per rendersi conto dell' arbitrarietà con la quale si possono distinguere dal tutto enti ed eventi "parziali". 

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 10:14:03 AM
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
CitazioneAd Apeiron: Mi sembra che secondo la tua definizione di "ente assolutamente reale/perfetto" tale possa dirsi unicamente Dio; nemmeno l' "anima", almeno se creata da Dio, sarebbe tale, ma solo se eternamente esistente e trapassante di corpo in corpo per metempsicosi. Non capisco in che senso in assenza di anima (immortale e interagente con il corpo alla maniera in cui la intendeva Cartesio, mi par di capire) si può dire che la nostra identità sia in parte "illusoria". Normalmente si ritiene che l' essere contingente e mortale (di durata temporale finita) sia compatibilissimo con l' essere reale. Per esempio un cavallo, che poteva non essere nato se l' allevatore non avesse predisposto la fecondazione, naturale o artificiale, della femmina da parte di un maschio (contingente) e che viva ad esempio per quindici anni, è correntemente ritenuto interamente "reale", mentre un immaginario ippogrifo che in un mito o in un poema sia inteso come sempre necessariamente esistente, innato e immortale (per un qualche motivo inerente il mito o il poema) sarebbe correntemente ritenuto interamente "illusorio"..[/color]

Allora per me in effetti l'unico ente veramente reale è l'Assoluto (es: Dio, Atman/Brahman indù, Deus sive Natura di Spinoza, Apeiron di Anassimandro, il Dio-Tutto di Eraclito, l'Essere di Parmenide, il Tao e il Nirvana/Nibbana buddista - se ci fai caso sono tutti enti indipendenti e non condizionati dal divenire). Detto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina. L'atman induista lo è invece.

Nel tuo esempio del cavallo. Il cavallo non è "assolutamente reale", tuttavia lo è ma di un grado inferiore. Perciò non è nè illusorio nè reale. Non è illusorio perchè appunto esiste ma non è reale - non ha un'identità ben definita - perchè appunto dipende da condizioni per la sua esistenza. L'ippogrifo se esistesse realmente allora sarebbe, se vogliamo un assoluto se la sua esistenza non dipende da altro. Tuttavia l'ippogrifo come mito è ancora meno reale del cavallo, perchè appunto esiste solo in quanto parte del mito, il quale esiste solo perchè lo abbiamo inventato noi ecc.
CitazioneMi sembra una buona traduzione dei concetti che impieghi (per me alquanto originali e tuoi personali -in linguaggio corrente un cavallo esistente é reale al 100% anche se contingente e morituro- ma con queste spiegazione comprensibili).

sgiombo

Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 12:25:41 PM
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
Però il tutto, la totalità della realtà (come che sia) mi sembra concretamente esistente e non una pura astrazione mentale, dato che contrariamente al punto geometrico (come è inteso nell' ambito della geometria euclidea e non della realtà fisica) è reale indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (così come un tratto di spazio fisico reale -non: geometrico- infinitamente piccolo; anzi: infiniti di questi).

Ma come si potrebbero confondere fra loro un punto geometrico e tutto ciò che è reale (compreso il pensiero de il punto geometrico)?
La totalità (tutto quello che c'è) è definibile solo in senso astratto in quanto non è possibile pensarla concretamente (ossia andando a definirne gli elementi). Non è possibile in due sensi: il primo è che non possiamo definirla per sottrazione di quello che non c'è, dato che qualsiasi cosa di cui diciamo che non c'è ha pur tuttavia un suo modo di esserci e in questo modo c'è, fa parte della realtà; il secondo è che non possiamo definirla nemmeno per addizione, ossia nominando tutti gli enti che ci sono, non tanto in quanto questi enti sarebbero un numero molto grande, ma che potremmo concepire finito, quanto perché via via che li andiamo numerando essi crescono in virtù della loro stessa numerazione (E' come per la diagonalizzazione con cui Cantor dimostra che i numeri reali sono sempre di più dei numeri naturali: ci sarà un insieme di tutti i numeri naturali, ma non si potrà mai dire quanti e quali sono nella loro totalità, ce ne è sempre almeno uno in più ancora da individuare e contare). Se la totalità che costituisce l'insieme di tutti gli insiemi è concretamente indefinibile è un principio formale astratto quanto quello di punto inteso come intero primario non ulteriormente suddivisibile in parti. Questi elementi primari (i mattoni che permettono di costruire il reale e i suoi significati) infatti sono sempre stati cercati e mai trovati, siano essi le particelle subatomiche o le proposizioni elementari del linguaggio.  
CitazioneCiò che non c'è non ha alcun modo di esserci (realmente): ha eventualmente qualche modo di essere (realmente) pensato; e con i concetti non si costruisce la realtà, ma casomai la conoscenza della realtà (a questo proposito non replicherò, né in questa discussione né in quella su Conoscenza e critica della conoscenza, con ulteriori ripetizioni da parte mia ad ulteriori ripetizioni da parte tua; col che, chi tacesse, in questo caso non acconsentirebbe).

Concordo invece che la totalità del reale non è pensabile particolareggiatamente ma solo indefinitamente.


Apeiron

Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 10:30:48 AM@ Apeiron Il nirvana buddhista non può essere inteso come un assoluto concettuale ( come nel caso del Dio filosofico ). Questo per prevenire la deriva metafisica del Dharma stesso ( che purtroppo ha designato, a mio parere, tutta la speculazione mahayanica post-Nagarjuna con il risultato di arrivare quasi a concepire il Buddha come una divinità). Il nirvana è correttamente inteso solo con riferimento al Dolore, di cui ne è l'estinzione. Come dicevamo l'altra sera con Phil, lavando i piatti, il Nirvana è un'esperienza , non un concetto. Concordo con te che è magari il caso di approfondire in altra discussione. :)

Perdonami se non sono d'accordo con questa prospettiva. Secondo me contraddice il buddismo theravada stesso. Vedi: http://www.beyondthenet.net/dhamma/nibbana.html  o anche: http://www.canonepali.net/ud/ud8-3.htm o http://www.canonepali.net/dn/dn_11.htm (il nirvana qui è descritto come "coscienza illimitata, assoluta, ultima")

Comunque già dire che il Nirvana è incondizionato è dire qualcosa di concettuale. Inoltre l'esperienza di chi? Stando all'anatman il nirvana non è l'esperienza di nessuno, ma è semplicemente una "realtà" che non è soggetta a cambiamento. Per questo motivo è una realtà "assoluta" e quindi "assolutamente reale" come dicevo prima io.


Citazione di: Duc in altum! il 10 Ottobre 2016, 10:35:04 AM** scritto da Apeiron:
CitazioneDetto questo l'anima del cristianesimo non è "totalmente" reale perchè appunto diventa eterna solo dopo "la grazia" divina.
Ma l'anima del cristianesimo, se s'intende come messaggio di Cristo, è l'amore di Dio, quindi non c'è niente, per chi ci crede, di più totalmente eterno (infatti senza di esso non si sarebbe avuto l'Universo in cui noi esistiamo e possiamo sperimentare il Suo amore e possiamo concepire il concetto di anima e di eterno); se si riferisce all'anima dell'individuo cristiano, essa diviene eterna (nel bene o nel male) dall'attimo in cui l'ovulo accoglie lo spermatozoo.

L'anima dipende da Dio e dal rapporto con Dio. Magari non si distrugge ma può cambiare (altrimenti la Salvezza non potrebbe essere raggiunta). Dio invece è immutabile e quindi "più reale" dell'anima. Se vogliamo lo stato dell'anima è contingente e grazie proprio al fatto che non abbiamo un'identità definita possiamo salvarci secondo il cristianesimo.

Citazione di: maral il 10 Ottobre 2016, 12:55:07 PMEh ma anche se l'intero sparisce spariscono anche le sue parti (come parti di quell'intero e non di altro, ossia come entità concrete e non astratte che vanno bene a qualsiasi intero). Si potrebbe peraltro nello stesso senso astratto dire che può benissimo sparire qualche parte dell'intero e l'intero rimanere lo stesso (è proprio quello che accade alla nave di Teseo e pensiamo che accada a tutti noi: io da infante divento vecchio, cambio non qualche parte di me, ma addirittura tutte le mie parti, eppure resto paradossalmente sempre il medesimo), ma questi sensi astratti che sembrano sistemare le cose, poi creano a ben vedere insormontabili problemi di interpretazione.

Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: paul11 il 10 Ottobre 2016, 16:04:30 PM

E' chiaro che un oggetto fisico lo si può spezzettare fino all'atomo(fermiamoci al'atomo per non andare oltre, quark,ecc), ma deve essere riconoscibile come parte di un'unità definita e quindi limita quello spezzettamento. Deve essere salvaguardata la relazione che lega la parte all'unità.

E'chiaro che fisicamente non posso frazionare un concetto, ma posso analizzarne le parti che lo costituiscono ma ribadisco deve essere relazionata la parte e l'unità di "quel" concetto.
Ad esempio, l'articolo "la" posso inserirlo in una miriadi di frasi che indicano un concetto che si vuol esprimere .Può appartenere quindi come parte linguistica in tutti i domini da descrivere, ma se lo limito dentro un concetto, quel concetto non può perdere di senso e significato se  tolgo quel "la" dalla frase.

Sei legato all'utilità e funzionalità e va bene, ma a mio parere la conoscenza se è limitata  a questo ambito  del pensiero relato solo al dominio fisico-materiale,non è conoscenza o meglio è parziale conoscenza.
Il pensiero diviene conoscenza se riesce a concatenare in un'unità di senso le diversi parti di conoscenza.

Più che arbitrarietà direi un non senso ,in quanto non concatena, una conoscenza che è priva dei legami delle parti. E' una catena di senso in cui ogni anello della catena che costruisce la concatenazione è legato al precedente,quindi relazionato, e potrebbe anche inizare dalle tue considerazioni di realtà fisica e di utilità e funzionalità che non nego, ma  personalmente non mi bastano a costruire una conoscenza.

Capisco il tuo punto di vista, ma devi tener presente che il tuo stesso pensiero, il tuo stesso linguaggio, che poi è quello che ci accomuna in una "convenzione" che può essere naturale o specialistica, fino al formale, è già oltre quella realtà fisica che osserviamo, appartiene ad un altro dominio che non è il naturale fisico-materiale  anche se ci servisse solamente per descriverlo e conoscerlo.
Penso che al fondo del tuo pensiero tu alluda principalmente al fatto che a prescindere da noi umani, là fuori c'è un mondo che "vive" che esiste in sè, e l'uomo non può alterare quel mondo con il suo pensiero, ma deve sempre riconoscerlo.
Sono d'accordo, infatti per me la conoscenza quando va "oltre" il dominio naturale deve rispettarne la logica, ma questa stessa logica deve e può essere utilizzata anche nel dominio del pensiero speculativo, quando il pensiero riflette se stesso ed è già oltre il dominio del fisico-materiale.
Penso che l'uomo ,nel momento in cui viene in contatto come essere che esiste nella realtà fisica, in qualche modo lo trascenda(non prendere questo termine come spirituale in questa discussione),
Vuol dire che porta la realtà fisica in una rappresentazione del pensiero attraverso concetti, simboli, psiche, emotività e anche spiritualità.Ma non deve separare dicotomicamente i domini e quindi analizzare in forma diversa, ma concatenare l'unità in un senso logico,Diversamente allora sorgerebbe quell'arbitrarietà per cui la filosfia diverrebbe fantasia.

CitazioneNon trovo interessante (e ovviamente mi guardo bene dal pretendere che non lo trovino nemmeno gli altri) cercare di capire il perché quei simboli e non altri sono stati scelti; i motivi possono essere i più disparati e contingenti.
Se affermando che che "il legame fra oggetto materiale e un simbolo scelto, comunque trascende l'aspetto materiale, lo astrae dal suo dominio originario per portarlo in un altro" intendi dire che una cosa è la parola (simbolo verbale), un' altra ben diversa cosa è l' oggetto (ente o evento) che la parola significa, (connota e denota se reale o solo connota se immaginario) sono d' accordo.
 
Non esistono limiti alla considerazione (teorica, nel pensiero) di parti sempre più piccole delle cose: può darsi (ma non ci giurerei: è già stato fatto erroneamente per gli atomi e per le particelle subatomiche!) che la scienza dimostri che i quark non sono fisicamente divisibili, ma il pensiero può comunque sempre considerare correttamente "parti di quark" di qual si voglia "piccolezza", illimitatamente.
 
Concordo (è appunto quanto ho sempre sostenuto da parte mia) che non si può frazionare spazialmente un concetto: analizzarlo è certamente possibile, ma è un' altra cosa.
 
Non sono particolarmente "legato all' utilità e funzionalità" (se non per lo stretto indispensabile per vivere e vivere discretamente bene): sono un filosofo, e ciò che più cerco come scopo nella vita è la conoscenza!
Che "la conoscenza se è limitata a questo ambito del pensiero relato solo al dominio fisico-materiale, [omissis] è parziale conoscenza" è un' obiezione che potrai rivolgere a qualcun altro, ma -accidenti!- non certo a me!
Lostesso dicasi per "una conoscenza che è priva dei legami delle parti (a-ri-accidenti!).
Direi quindi che "il mio punto di vista" non l' hai capito per nulla!
(Sarò magari io che non mi so spiegare ma è proprio così).
Se leggi i miei inutili, disperati tentativi di dialogo con Maral ci trovi dozzine di volte l' affermazione che enti ed eventi reali (indipendentemente dall' essere eventualmente anche pensati o meno) da una parte e pensieri di enti ed eventi (reali o meno) dall' altra sono due "generi di cose" completamente diversi: se intendi questo (altro significato non riesco a dare alle tue parole) dicendo che pensiero e linguaggio sono "già oltre quella realtà fisica che osserviamo", appartengono "ad un altro dominio che non è il naturale fisico-materiale anche se ci servisse solamente per descriverlo e conoscerlo", allora sfondi una porta non aperta, ma apertissima, spalancatissima!
 
Invece pensando (a proposito di me): "al fondo del tuo pensiero tu alluda principalmente al fatto che a prescindere da noi umani, là fuori c'è un mondo che "vive" che esiste in sè, e l'uomo non può alterare quel mondo con il suo pensiero, ma deve sempre riconoscerlo" pensi bene: qui mi hai capito perfettamente.
E mi compiaccio del tuo accordo.
Concordo anche che la logica serve per pensare e conoscere il pensiero, oltre che la realtà in generale (ma almeno per questa serve anche l' esperienza sensibile).
Per me l' uomo che consce la natura può "trascenderla" solo nel senso che è altra cosa da essa, non certo nel senso che ne è assolutamente separato, irrelato, che non é in rapporto con essa.
Per me conoscenza è predicazione dell' accadere del reale così come il reale accade; e questo vale per la "res cogitans" come per la "res extensa"; ma conoscere è anche distinguere ciò che non è uniforme nella realtà.

Sariputra

@Apeiron scrive:
Perdonami se non sono d'accordo con questa prospettiva. Secondo me contraddice il buddismo theravada stesso. Vedi: http://www.beyondthenet.net/dhamma/nibbana.html  o anche: http://www.canonepali.net/ud/ud8-3.htm o http://www.canonepali.net/dn/dn_11.htm (il nirvana qui è descritto come "coscienza illimitata, assoluta, ultima")

Comunque già dire che il Nirvana è incondizionato è dire qualcosa di concettuale. Inoltre l'esperienza di chi? Stando all'anatman il nirvana non è l'esperienza di nessuno, ma è semplicemente una "realtà" che non è soggetta a cambiamento. Per questo motivo è una realtà "assoluta" e quindi "assolutamente reale" come dicevo prima io. 

Parlare del Nibbana non è l'esperienza del Nibbana. Parlare del Nibbana in termini positivi fa scivolare l'elemento Nibbana nell'estremo positivo dell'interpretazione metafisica. Parlare del Nibbana in termini negativi fa scivolare l'elemento Nibbana nell'interpretazione nichilistica. Se esaminiamo le definizioni che si danno nel Canone pali, troviamo che esso è descritto ( meglio direi illustrato) con termini sia positivi che negativi. Quelli positivi includono designazioni come "il profondo, il vero, il puro, il permanente, il meraviglioso, ecc." (Samyutta Nikaya, 43) e altri testi con designazioni come "C'è un non-nato, un non-divenuto, un non-composto, ecc.". Le enunciazioni in forma di termini negativi includono le definizioni del Nibbana come " la distruzione del desiderio, dell'odio e dell'ignoranza" e come "la cessazione dell'esistenza (bhava-nirodha). Se si vuole comprendere correttamente la concezione "buddhista" del Nibbana, è necessario prendere accuratamente in considerazione il significato di entrambi i tipi di enunciazioni. Il citarne uno solo per confermare le proprie opinioni unilaterali, risulterebbe un'interpretazione non equilibrata.
L'enfasi sul "C'è" con la quale iniziano i due celebri  testi sul Nibbana dell'Udana, indica senza alcun dubbio che non è concepito come una semplice estinzione o come la dissimulazione di uno zero assoluto. D'altra parte però, come "precauzione" nei riguardi di una interpretazione metafisica errata  dell'affermazione "C'è..." , troviamo l'altrettanto enfatica negazione dei due estremi dell'esistenza (atthita) e della non-esistenza (natthita). Anche le espressioni in termini positivi che si riferiscono al Nibbana includono spesso termini negativi: " C'è una dimensione in cui non è né terra...né questo mondo o l'altro mondo, dove non c'è né andare né venire". " C'è un non-nato, un non-divenuto..."
Tutti questi testi che riuniscono definizioni sia positive che negative sono complementari, per evitare di scivolare in uno dei due estremi speculativi. I modi di definirlo negativi hanno però un importante vantaggio su quelli positivi. Le affermazioni come quella che lo definisce come " la distruzione della brama, dell'odio e dell'illusione" indicano la direzione da prendere nel sentiero verso la meta e quel che si deve fare "concretamente" per realizzarlo davvero.
Se il desiderio, l'odio e l'illusione sono stati completamente distrutti, allora si può vedere il Nibbana qui e ora, senza indugi, disponibile alla verifica e direttamente sperimentabile dal saggio. (Anguttara Nikaya, 3: 55)
Si può a volte gustare attimi di Nibbana nell'ordinarietà della nostra misera vita quotidiana. In ogni attimo di gioioso e sereno distacco...
Chi vede in profondità la verità della sofferenza "non è più trascinato via dall'irrreale (metafisica), e non si ritrae più di fronte al reale ( nichilismo)". La cessazione ultima della sofferenza, ciò che non muore, è il Nibbana. Il Buddha storico in verità non ha insegnato tante cose. Le quattro Nobili verità , se ben studiate, riempiono un'intera vita di riflessioni. La terza nobile verita ( la verità della cessazione) coincide con la realizzazione del Nibbana.
P.S. chiedo umilmente scusa ai moderatori per l'EVIDENTISSIMO fuori tema prodotto. Rinnovo l'invito ad Apeiron di continuare magari nella sezione spiritualità dove si potranno confrontare queste interpretazioni con la critica feroce che sicuramente ne verrà dalle temibili entità che la popolano... ;D ;D  
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

maral

#28
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 19:31:51 PM
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Appunto: se separi una molecola d'acqua nelle parti che la costituiscono, ovvero 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, questi 3 atomi non sono più parti di quell'intero rispetto al quale erano parti, ma sono degli interi a sé stanti, quindi il loro esser parti viene cancellato (e infatti un idrogeno o un ossigeno presi come atomi hanno comportamenti ben diversi rispetto a un idrogeno e un ossigeno parti di una molecola d'acqua).
Se togli un atomo di idrogeno a una molecola d'acqua, come prima la parte rimasta non è più parte essendo diventata un intero e resta un diverso intero: ad esempio un radicale ossidrile.
E' lo stesso se scrivo 123 (centoventitre) o 1 2 3 (uno due tre). 1 2 3 preso ciascuno da solo non sono più l' uno, il due e il 3 che sono nel 123 in cui ciascuno di esso è parte in quella relazione d'ordine specifica.

Apeiron

@Sariputra,
Grazie mille della spiegazione e mi scuso di aver causato l'evidente deviazione nella discussione. Concordo sul discuterne in separata sede.

Detto questo continuo a sostenere che gli esseri composti da parti sono a loro volta contingenti e quindi è impossibile dare loro una "realtà piena"... Quello che volevo inizialmente dare era il mio punto di vista che riassumo brevemente. A mio giudizio i gradi di realtà sono tre:
1) "realtà assoluta" - indipendente da ogni condizione;
2) "realtà contingente" - esistenza che dipende da condizioni;
3) "non esistenza"

Ora gli interi sono contingenti. Perciò esistono solo perchè le loro parti interagiscono in un certo modo. Facendo l'esempio dell'invecchiamento. Dire "sono lo stesso o no di 10 anni fa?" è una questione malposta in quanto si cerca un'identità fissa dove non c'è. Strettamente parlando infatti noi mutiamo ogni momento perchè ad esempio alcune cellule muoiono, respiriamo ecc. Tuttavia il fatto che non siamo enti assoluti ci permette di ragionare in modo da vedere un continuum tra le varie fasi della nostra vita.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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