Principi di realtà e località.

Aperto da iano, 29 Maggio 2024, 14:54:56 PM

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iano

1. PRINCIPIO DI REALTÀ: la realtà è costituita da cose situate nello spazio e che si evolvono nel tempo, la cui esistenza è indipendente da chi le osserva

2. PRINCIPIO DI LOCALITÀ: il comportamento di una cosa non è influenzato da azioni fatte su altre cose sufficientemente distanti nello spazio, in particolare non è influenzato istantaneamente, in quanto nulla può viaggiare a velocità superiore a quella della luce nel vuoto.

Con un esperimento i fisici hanno dimostrato che almeno uno di questi due principi non è valido, ma non sanno dire quale.
Quali conseguenze filosofiche può avere ciò?
Cosa significa affrontare tale questione dal punto di vista filosofico?
Sapete se qualche filosofo, o chi per lui, abbia tentato l'impresa?
Indipendentemente dal fatto che i fisici ne abbiano dato una dimostrazione sperimentale, considerate un lavoro da filosofi immaginare le conseguenze della falsità di uno dei due principi o di entrambi?
Dovendo rinunciare ad uno dei due principi, a quale vi sentireste di rinunciare e perchè?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Il ciarpame scientista non ha perso occasione di fare pessima patafisica. Finita la saga della "particella di Dio" è iniziata quella della "non località". Purtroppo per loro, la scienza esiste solo in un contesto di causalità. Fuori dalla causalità, un imbecille può azzeccarci più dello scienziato più erudito. La filosofia su questo non ha nulla da dire che non sia al traino delle evidenze scientifiche, col limite che i filosofi ci capiscono assai meno. La filosofia ha le sue praterie da bonificare e mi pare sempre più in ritardo col lavoro da fare.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#2
Citazione di: Ipazia il 29 Maggio 2024, 15:21:01 PMIl ciarpame scientista non ha perso occasione di fare pessima patafisica. Finita la saga della "particella di Dio" è iniziata quella della "non località". Purtroppo per loro, la scienza esiste solo in un contesto di causalità. Fuori dalla causalità, un imbecille può azzeccarci più dello scienziato più erudito. La filosofia su questo non ha nulla da dire che non sia al traino delle evidenze scientifiche, col limite che i filosofi ci capiscono assai meno. La filosofia ha le sue praterie da bonificare e mi pare sempre più in ritardo col lavoro da fare.
Un poco criptico questo tuo post.
Ho aperto questa discussione pensando ad Apeiron, non pù partecipante a questo forum.
Ha provato a spiegarci il teorema di Bell senza successo.
Ora però mi sento pronto ad affrontarne lo studio, ma non so a quali testi fare riferimento.
Tu stessa avevi richiamato in un tuo post il principio di realtà, e alla fine sono andato a cercare di cosa si trattasse, trovando anche il principio di località.
La mia impressione, leggendo questi principi, è che non avrei, oggi, rispetto a ieri, nessun problema a negarli, e la cosa mi ha sorpreso.
In effetti, senza saperlo, avendo posto la realtà dietro le quinte, cosa con cui vi ho martellato nei miei ultimi post, di fatto ho superato, senza saperlo, il principio di realtà, e adesso capisco col senno di poi il tuo richiamo ad esso.
E qualcosa del genere era successa prima col principio di località, partecipando a  discussioni sull'entanglement.
Che l'esistenza delle cose poi non sia indipendente dalla loro osservazione è un idea che ho privato fino a farci una certa abitudine, etc...
Se tutto va male, conto di ammorbarvi in futuro con questi argomenti, nella sezione scienza. :)
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#3
ma l'idea della non indipendenza delle cose dalla nostra osservazione sta in piedi  solo se di quelle cose la realtà non è fatta, essendo esse il risultato delle nostra interazione con la realtà, e in sostanza , come mi è parso di verificare, non ci sono idee strane e idee normali in generale, ma solo idee alle quali abbiamo fatto più o meno l'abitudine.
Più pratico idee strane e più mi sembrano normali, e se poi qualcuno me le propone dentro un discorso, come ad esempio il teorema di Bell, argomento ostico per eccellenza, mi sembra di non avere più difficoltà a seguire il discorso.
Se date un occhiata in rete alcuni indicano l'argomento di cui sopra come la cosa più geniale che la fisica abbia prodotto.

In generale inizio a credere che  comprendere argomenti complessi sia più un fatto di muscoli , che di intelligenza, quando il muscolo da allenare è il pensiero.


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Ipazia

Ho dato un'occhiata in wp al teorema di Bell che confuta l'uso di variabili nascoste di Einstein&soci teorizzato per ricondurre nella stalla locale le nonlocalità quantistiche. A distanza di quasi un secolo ce la siamo messa via - i fisici - che risolvono l'indeterminabile per via statistica, cercando di mettere in una stalla assai remunerativa anche il computer quantistico e la sua mirabolante sovrapposizione di stati, vera california per i nuovi cercatori d'oro. Pare che il puledro quantistico sia recalcitrante a defecare i suoi qbit dorati e quindi ancora per un po' non vedremo pc quantistici in bottega. 

Quando li vedremo, sarà il segno che un'altra parte di indeterminabile è stata ammaestrata e, fatte salve millantate stregonerie tipo il siero, ci si potrà fidare dei risultati della sua operatività. Con la giusta dose di diffidenza e popperiana falsificazione. Fosse mai che l'anima indeterministica dei qbit combinasse qualche scherzo da prete. Magari coi risultati elettorali. :))
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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iano

#5
Citazione di: Ipazia il 30 Maggio 2024, 22:10:20 PMHo dato un'occhiata in wp al teorema di Bell che confuta l'uso di variabili nascoste di Einstein&soci teorizzato per ricondurre nella stalla locale le nonlocalità quantistiche.
La confutazione è arrivata da un esperimento basato sul teorema di Bell. Il teorema di Bell dice che se l'esperimento da come risultato un numero maggiore di 2 allora Einstein ha torto, e Borh ha ragione, e si ottenuto come risultato 2,52.
Capire come sia strutturato il teorema di Bell è considerata impresa di massima difficoltà.
Epperò mi viene da chiedermi.
Perchè una costruzione logica, per quanto complessa, dovrebbe essere tutta questa grande impresa per esseri razionali?
Una risposta potrebbe essere che effettivamente non dovrebbe trattarsi di una grande impresa per esseri ''esclusivamente'' razionali.
Ma quegli esseri non siamo noi, e un impedimento insuperabile a comprendere potrebbe essere quindi la nostra parte irrazionale.
Uno potrebbe allora provare a cambiare la propria metafisica cercandone una che agevoli la comprensione di uno specifico problema. Ma un cambio di metafisica a comando non sembra cosa praticabile.
Può succedere però che un problema che ti sembrava inattaccabile, inizi a non sembrarti più tale, e questo potrebbe succedere perchè nel frattempo hai cambiato la tua metafisica.
In effetti io ho cambiato la mia metafisica nel frattempo.
Se questo mio discorso sta in piedi, allora chi pensa che la filosofia abbia terminato la sua funzione si illude, e io questa illusione comunque non l'ho mai coltivata.
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iano

#6
Faccio un esempio.
Se qualcuno mi dice che esistono diversi mondi paralleli con altrettanti Iano,  in ognuno dei quali mondi si realizza ogni mia possibile scelta , questa è una premessa metafisica, cui poi quel qualcuno fa seguire un ragionamento logico che sembra spiegare molte cose della realtà, ma io non riesco a seguire comunque con profitto quel ragionamento, semplice o complesso che sia, a meno che con quella metafisica io non sia già entrato in confidenza in modo indipendente.
Ho fatto appunto un esempio di metafisica che rigetto.
Cioè non è che non ho la capacità di capire , è che mi rifiuto di capire e questo rifiuto è irrazionale , appunto.
Io però non riesco a prescindere a comando dalla mia parte irrazionale, mettendola anche solo momentaneamente da parte.
Se ci riuscissi sarei una perfetta macchina, la quale però, pur avendo il pregio di accettare senza pregiudizi qualunque premessa sulla quale poi applicare perfette deduzioni logiche, non ha la capacità di capire, segno che questa capacità ha a che fare con una dimensione irrazionale di cui essa è priva.
Credo non si rifletta abbastanza su cosa significhi per noi capire qualcosa, ma comunque non credo sia questione riducibile alla sola nostra sfera razionale.
Per fare nostra una conclusione, bisogna che prima abbiamo fatto nostre le sue premesse, e questo far nostre le premesse non è un processo razionale.
I principi di realtà e località sono nostri da un bel pò e li condividiamo coi nostri simili.
Perchè dovremmo rinunciarci?
Non dobbiamo rinunciarci infatti, ma può anche succedere che ciò avvenga.
Come e perchè avvenga è un altra storia, che non si può ridurre comunque alla consapevole istantanea assunzione di una ipotesi ad hoc.
E' quantomeno un processo che richiede il suo tempo, e di cui non esistono le istruzioni d'uso per portarlo avanti, e questa potrebbe essere una papabile definizione della filosofia.
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Ipazia

#7
Meta- e psico- quantistica sono già in piena svolta da far impallidire Heidegger. Basta estendere al tempo i paradossi della non-località.  Dopo Einstein è possibile. Politici, poliziotti e ingegneri se li contendono. Figurarsi i filosofi. Che hanno pronta pure la formula:

"A questo punto, solo un sensitivo ci potrà salvare."

Eterno ritorno di veggenti e profeti. Magari di apocalissi atomiche e virali. Artificiali perché no ? Anche il cavallo di Troia lo era e Cassandra bisognava farla santa subito.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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iano

#8
Citazione di: Ipazia il 31 Maggio 2024, 08:38:42 AMMeta- e psico- quantistica sono già in piena svolta da far impallidire Heidegger. Basta estendere al tempo i paradossi della non-località.  Dopo Einstein è possibile. Politici, poliziotti e ingegneri se li contendono. Figurarsi i filosofi. Che hanno pronta pure la formula:

"A questo punto, solo un sensitivo ci potrà salvare."

Eterno ritorno di veggenti e profeti. Magari di apocalissi atomiche e virali. Artificiali perché no ? Anche il cavallo di Troia lo era e Cassandra bisognava farla santa subito.
I paradossi, cioè nel nostro caso i fatti che collidono coi nostri principi condivisi, come quello dell'entenglement, ci sollecitano a riformularli.
Riformularli in teoria è cosa fattibile, ma condividerli è un altra storia, perchè parliamo di fatti che vanno accettai sulla fiducia, non essendo gli esperimenti scientifici accessibili ai più.
Per riformularli in ogni caso basta la filosofia.
Il principio di località è filosoficamente aggredibile secondo me nella misura in cui manca di una definizione di ''cosa''.
Perchè tutti sappiamo di ''cosa'' parliamo, ma non tutti saprebbero dire bene di ciò che sentono di sapere.
Ma nel momento in cui lo diciamo, stiamo sostituendo una sensazione con una definizione, per accorgerci magari poi che e le due cose potrebbero collidere a loro volta.
La cosa che il principio di località richiama la sentiamo come il soggetto e al contempo l'oggetto di una azione.
Due particelle correlate sembrano non obbedire ai principi della fisica conosciuti, ma vi obbedirebbero se definissimo cosa ciò che vi obbedisce, per cui al posto di due cose correlate, avremmo una cosa sola.
Non è difficile dunque dare una nuova definizione di ''cosa'', difficile, se non impossibile, è riadattare la nostra sensazione alla nuova definizione, a meno che uno , giocoforza, non riterrà di poter rinunciare a questa sensazione.
In tal modo le definizioni, quando funzionano, si riducono ad essere definizioni ad hoc, e ci troviamo così a che fare con una realtà sempre più astratta, o, il che potrebbe essere la stessa cosa, sempre meno sentita come nostra.
Tornare a sentirla  ancora nostra firmando una nuova pace coi fatti, potrebbe essere solo una questione di tempo, ma i tempi dell'evoluzione sono quelli di cui più non disponiamo.

Non mi ricordo chi ha detto (forse lo stesso Bohr) che chi  dice di aver capito la MQ, allora non l'ha capita.
L'unico modo di interpretare questa frase volutamente paradossale, è che chi crede di aver capito la MQ, non ha capito che non c'è niente da capire.
Anche qui però bisogna ammettere che manca una definizione di ''capire'', perchè tutti sappiamo quando riusciamo a capire qualcosa, ma nessuno saprebbe esplicitare il processo che lo portato a capire, e questo è un problema ben più arduo da aggredire filosoficamente, credo.

Come riusciamo a fare entrare Heidegger in questa discussione Ipazia, perchè io qualcosa ho letto, ma nulla ho trattenuto.
In che senso Hidegger, col quale già mi sento solidale ;)), oggi impallidirebbe?

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Alberto Knox

Citazione di: iano il 29 Maggio 2024, 14:54:56 PM1. PRINCIPIO DI REALTÀ: la realtà è costituita da cose situate nello spazio e che si evolvono nel tempo, la cui esistenza è indipendente da chi le osserva
Fintanto che l'osservatore si limita ad osservare . Basta una diga per modificare un intero ecosistema. Sappiamo fin troppo bene come la mano dell uomo alteri la realtà , tanto che oggi si parla di era "antropocene" e non più "olocene" , antropocene , il periodo attuale della storia della Terra in cui le attività umane hanno profondamente condizionato l'ambiente, il clima e i cicli naturali del pianeta. Il principio secondo cui "il mondo è indipendente dalla mia volontà " necessita di una riconsiderazione.
Citazione di: iano il 29 Maggio 2024, 14:54:56 PM2. PRINCIPIO DI LOCALITÀ: il comportamento di una cosa non è influenzato da azioni fatte su altre cose sufficientemente distanti nello spazio, in particolare non è influenzato istantaneamente, in quanto nulla può viaggiare a velocità superiore a quella della luce nel vuoto.
Citazione di: iano il 29 Maggio 2024, 14:54:56 PMCon un esperimento i fisici hanno dimostrato che almeno uno di questi due principi non è valido, ma non sanno dire quale.
l'esperimento da te citato dovrebbe essere , a quanto ho capito, il famoso esperimento EPR dalle iniziali di Einstein, Podolski e Rosen. La risposta convenzionale alla sfida EPR fu articolata da Neils Bohr. Egli sostenne che in fin dei conti non vi è realmente conflitto con la teoria della relatività se si accetta che le due particelle , anche se separate dallo spazio, facciano ancora parte di una singola funzione d'onda. Se le cose sono davvero così allora è semplicemente impossibile separare fisicamente le due particelle e considerarle come entità reali indipendenti, a dispetto del fatto che tutte le forze agenti direttamente fra di esse sono trascurabili su grande distanza. La realtà indipendente delle particelle si manifestano solo quando si eseguono delle misure su di esse. Il mistero sul come le particelle stabiliscono la loro intesa permane solo se si insiste a pensare che ciascuna di essa possieda una posizione e uno stato di moto ben definiti prima dell osservazione. La lezione impartita dagli esperimenti EPR è che i sistemi quantistici sono fondamentalmente non locali.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

aggiungerei quindi un terzo principio;

PRINCIPIO NON LOCALE
in linea di principio tutte le particelle che abbiano interagito appartengono ad una singola funzione d'onda , sì una singola funzione d'onda globale contenente un formidabile numero di correlazioni.
La stessa realtà di una particella (che comunque non è il costituente fondamentale) si intreccia con quella dell intero resto dell universo.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#11
Citazione di: Alberto Knox il 31 Maggio 2024, 12:48:01 PMFintanto che l'osservatore si limita ad osservare . Basta una diga per modificare un intero ecosistema. Sappiamo fin troppo bene come la mano dell uomo alteri la realtà , tanto che oggi si parla di era "antropocene" e non più "olocene" , antropocene , il periodo attuale della storia della Terra in cui le attività umane hanno profondamente condizionato l'ambiente, il clima e i cicli naturali del pianeta. Il principio secondo cui "il mondo è indipendente dalla mia volontà " necessita di una riconsiderazione.l'esperimento da te citato dovrebbe essere , a quanto ho capito, il famoso esperimento EPR dalle iniziali di Einstein, Podolski e Rosen. La risposta convenzionale alla sfida EPR fu articolata da Neils Bohr. Egli sostenne che in fin dei conti non vi è realmente conflitto con la teoria della relatività se si accetta che le due particelle , anche se separate dallo spazio, facciano ancora parte di una singola funzione d'onda. Se le cose sono davvero così allora è semplicemente impossibile separare fisicamente le due particelle e considerarle come entità reali indipendenti, a dispetto del fatto che tutte le forze agenti direttamente fra di esse sono trascurabili su grande distanza. La realtà indipendente delle particelle si manifestano solo quando si eseguono delle misure su di esse. Il mistero sul come le particelle stabiliscono la loro intesa permane solo se si insiste a pensare che ciascuna di essa possieda una posizione e uno stato di moto ben definiti prima dell osservazione. La lezione impartita dagli esperimenti EPR è che i sistemi quantistici sono fondamentalmente non locali.
Si esatto, grazie per questo tuo illuminante intervento.
Però osservare la realtà e agire su di essa non sono la stessa cosa.
Il punto è che se ciò che osserviamo dipende da noi non meno che dalla realtà, ciò che osserviamo non è direttamente la realtà.
La realtà si può allora ancora salvare secondo me spostandola dietro le quinte di quella che consideravamo prima essere la realtà.
Fatto ciò, non dovremo più preoccuparci se la natura dell'ex realtà continui ad apparirci sempre più astratta, ne ci faremo scrupolo di azzardare ipotesi che appaiono troppo irrealistiche, se ciò dovesse servire.
Libereremo cioè il fare fisica dai vincoli del nostro senso di realtà, anche se mi rendo conto di stare in questo modo riraccontando la favola della volpe e dell'uva, che però è anche un modo di essere diversamente realisti.
E' come se di fatto finora fossimo stati più realisti della re-altà stessa.
La realtà come ci appare è il risultato della nostra interazione con una realtà di cui pur siamo parte.
La realtà come ci appare è cioè un mondo che nasce dalla collisione, potenzialmente catastrofica come  ben dici, fra due sue parti.
Ma se allarghiamo l'orizzonte della nostra visuale terrestre, la realtà con cui abbiamo a che fare è ben più resiliente rispetto a noi, per cui le vere significative catastrofi, nel senso buono del termine, avvengono in noi.
Se potessimo ripercorrere la storia di queste catastrofi ontologiche-epistemiche ( non so cosa significhi, ma ormai l'ho detto :) ) e potessimo quindi confrontare la realtà come ci appare, con quella che appariva ai nostri predecessori, e magari pure con quella che apparirà ai nostri posteri, potremmo forse, allora si, portar a fattor comune il nocciolo duro della realtà
Resterebbe allora solo il mistero di come queste parti possano essere separate, ma da qualche parte un mistero ci deve pur stare.

La conclusione filosofica che potremmo trarne è che in qualche modo, qualunque tipo di conoscenza, è sempre anche in parte conoscenza di noi, e anzi, stante la resilienza dell'universo, potrebbe dire molto più di noi di quanto non dica della realtà.

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Alberto Knox

Se il mondo
Citazione di: iano il 31 Maggio 2024, 13:11:47 PMFatto ciò, non dovremo più preoccuparci se la natura dell'ex realtà continui ad apparirci sempre più astratta, ne ci faremo scrupolo di azzardare ipotesi che appaiono troppo irrealistiche, se ciò dovesse servire.
io penso che si ti occupi della realtà dal punto di vista quantistico allora la realtà risulterà astratta. La M.Q. è una teoria statistica . Ma a differenza di altre teorie statistiche ; come ad esempio il comportamento statistico del mercato finanziario o di una roulette, la sua natura probabilistica non è semplicemente dovuta a una nostra scarsa conoscenza dei particolari, ma è intrinseca. Non bisogna pensare che  la m.q sia inadeguata a predire l'esatta posizione, stato, moto delle particelle. Il fatto è che una particella quantistica semplicemente non possiede un insieme completo di attributi fisici con valori ben precisi. Non ha nemmeno senso pensare a un elettrone come a un oggetto che, in un dato istante di tempo, occupa una ben precisa posizione e uno stato di moto ben determinato. Il principio di indeterminazione non dipende dal modo in cui si cerca di rilevare tali grandezze ma è una propietà intriseca della natura stessa della particella.  I fisici hanno inventato la filosofia meccanicistica-riduzionista , l hanno insegnata ai biologi e l'hanno poi abbandonata. Non si puònegare che la fisica moderna ha un sapore fortemente olistico, persino teologico, e che ciò è in larga misura dovuto all influenza della teoria quantistica.
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niko

Citazione di: iano il 29 Maggio 2024, 14:54:56 PM1. PRINCIPIO DI REALTÀ: la realtà è costituita da cose situate nello spazio e che si evolvono nel tempo, la cui esistenza è indipendente da chi le osserva

2. PRINCIPIO DI LOCALITÀ: il comportamento di una cosa non è influenzato da azioni fatte su altre cose sufficientemente distanti nello spazio, in particolare non è influenzato istantaneamente, in quanto nulla può viaggiare a velocità superiore a quella della luce nel vuoto.

Con un esperimento i fisici hanno dimostrato che almeno uno di questi due principi non è valido, ma non sanno dire quale.




A me all'universita', per quel poco di fisica che si insegna a filosofia, hanno spiegato che, oggigiorno, lo sanno benissimo quale dei due non e' valido: il principio di localita', non e' valido.

Cioe' l'entanglment come fenomeno fisico esiste, ma, pur esistendo, non puo' veicolare materia, energia o informazione, perche' localmente, produce risultati identici ad un risultato (di misurazione) casuale.

Perche' un osservatore cosciente possa capire che tra le particelle entagled c'e' correlazione, le due "zone", zona in cui viene misurata la particella A, e zona in cui viene misurata la particella B, devono riconnettersi, causalmente, a velocita', appunto, luminare. 

Non c'e' alcun modo, di presagire la pur esistente connessione, insomma di saperlo prima.

E' solo con la riconnessione luminare delle due zone, che, tutto quello che prima, in condizioni di separatezza, poteva sembrare solo casuale, rivela la sua natura causale, cioe' deterministica.

L'argomento EPR non e' valido, cioe' la meccanica quantistica come teoria e' completa, e la realta', non e' locale.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

iano

#14
Citazione di: niko il 02 Giugno 2024, 01:31:49 AMNon c'e' alcun modo, di presagire la pur esistente connessione, insomma di saperlo prima.



Penso che sia vero il contrario, cioè o la sai prima che le particelle sono correlate, perchè sei testimone della comune nascita, o non lo saprai mai.
Inoltre penso che da un punto di vista filosofico non sia importante sapere a priori quale dei due principi non sia valido, ma riflettere su quali siano le conseguenze della loro eventuale non validità, e quanto poi queste conseguenze possano valere una risposta ai nostri quesiti irrisolti.

In sintesi secondo me la questione è la seguente:
se le cose non si comportano come noi ci aspettiamo, in mancanza di una loro chiara definizione, possiamo provare a definirle come ciò che ha quel comportamento ''strano'' che abbiamo rilevato.

Il quesito che si pone allora è, come abbiamo fatto prima a trattare di cose di cui ci mancava una chiara definizione?

Una risposta potrebbe essere che il nostro agire non richiede necessariamente di possedere la coscienza di ciò che trattiamo, ma che quando questa coscienza interviene ciò non è indifferente al modo in cui le cose che trattiamo ci appaiono,  perdendo in evidenza e guadagnando in astrazione.
L' astrazione di una cosa il cui essere  prescinde dallo spazio che si prende, perdendo la località perde in evidenza, ma questa perdita di evidenza/località non compromette la nostra capacità di trattarla.
Potremmo definire la scienza come quella cosa che nel suo progredire tende a sostituire l'irrazionale evidenza con l'astratta ragione, laddove i principi di località e di realtà, nati nel mondo delle cose trattate come evidenti, verranno inevitabilmente messi in discussione perchè non più rappresentativi di un mondo alternativo dove le evidenze non la fanno più da padroni.
Ma come dobbiamo immaginarcelo questo nuovo mondo alternativo?
Non possiamo immaginarcelo in mancanza di evidenze, perchè anche quando possiamo ancora fare analogie con il mondo delle evidenze, queste non varranno un evidenza.
Ciò equivale, in una paradossale analogia, a vedere il mondo al modo in cui lo vede una macchina, cioè senza vederlo, e questo è il motivo per cui possiamo sempre più delegare le nostre funzioni a una macchina, con un effetto alienante, fintanto che non riusciremo a sentire la macchina come parte di noi, cosa difficile da ''immaginare'', ed è strano che lo sia, dato che si è sempre verificata fin qui nella storia dell'uomo.
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Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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