Prima e dopo il BIG BANG!

Aperto da Eutidemo, 15 Settembre 2021, 07:15:54 AM

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Alexander

Buongiorno a tutti


Non esistono, in tutto l'Universo, effetti senza causa. Come possibile allora dire che il Big Bang è incausato? Il nulla non può generare effetti. Se l'Universo fosse sorto dal nulla, come mai non sono sorti altri universi dal nulla? Cosa impedirebbe nuovi Big bang? Anche dire che la causazione inizia solo con il Big Bang non risolve la questione, perché si affermerebbe che il nulla ha generato la possibilità della stessa. Noi possiamo dire che il Big bang ha generato l'Universo come noi lo studiamo con i nostri sensi, ma non possiamo conoscere ciò che ha determinato la possibilità dello stesso. Dire che è sorto dal nulla non ha alcun senso logico. Magia?

Jacopus

Alexander. In realtà vi sono diverse teorie che tentano di spiegare la causa del big bang, ma sono ipotesi, senza un fondamento scientifico certo, mentre sul fatto che 15 miliardi di anni fa la materia era concentrata e si è successivamente espansa vi sono delle prove concrete. Ovvero il big bang, è "abbastanza" dimostrabile. Tutto ciò che c'era prima no e pertanto una posizione pragmatica della scienza impone di tacere su ciò che (per il momento) non ci è dato sapere.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

Citazione di: Alexander il 16 Settembre 2021, 17:02:30 PM
Buongiorno a tutti


Non esistono, in tutto l'Universo, effetti senza causa. Come possibile allora dire che il Big Bang è incausato? Il nulla non può generare effetti. Se l'Universo fosse sorto dal nulla, come mai non sono sorti altri universi dal nulla? Cosa impedirebbe nuovi Big bang? Anche dire che la causazione inizia solo con il Big Bang non risolve la questione, perché si affermerebbe che il nulla ha generato la possibilità della stessa. Noi possiamo dire che il Big bang ha generato l'Universo come noi lo studiamo con i nostri sensi, ma non possiamo conoscere ciò che ha determinato la possibilità dello stesso. Dire che è sorto dal nulla non ha alcun senso logico. Magia?
Una causa si può sempre supporre, come un universo finito di cui non vi è  traccia, essendo finito.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

paul11

 

@iano
Il fondamento universale non è ,nello specifico, il fondamento della scienza o della conoscenza, bensì il fondamento dell'universo attraverso cui l'intelligenza umana cerca di capire e spiegare.
Gli strumenti di misura, come la strumentistica che ispeziona l'universo, sono prolungamenti della sensibilità umana percettiva. L'aspetto mentale è in relazione con l'universo , di conseguenza la nostra conoscenza non può essere esente dalle due ontologie, mente ed universo.
La misurabilità è comunque influita dal tempo considerato o lineare o ciclico (personalmente sostengo entrambi) e questo è un concetto culturale umano interpretativo dell'universo.


Ma quando si dice che la natura è fatta di repliche, che fin dai tempi degli  Ari posero negli scritti gli yuga, come ciclicità del tempo,  perché è così?
Il vuoto: ma cosa si intende per vuoto? Il vuoto non è il nulla, sensibilmente diciamo vuoto un luogo, un contenitore privo di corpi fisici, ma il luogo, lo spazio, non è il corpo stesso in sé, è  altro,  ne è determinato, né è conseguenza. E' la mancanza o la presenza di un corpo che ci fa dire la che esiste lo  spazio .
La teoria del Big Bang sembra dichiarare che il tempo e lo spazio siano determinati dal movimento continuo di materia ed energia  e lo spazio è l'estensione in cui avviene questa espansione.
E'come una bomba che non ha un limite apriori spaziale, bensì sono le sue onde, quind la sua energia , che propagandosi formulano il limite spaziale. L'universo non ha  a sua volta un contenitore.


@alexander
non se ne esce dal "motore immobile incausato" scientificamente, essendovi scientificamente , direi più matematicamente, della pseudo-scienza (perché siamo ai confini se non oltre dalle dimostrazioni scientifiche), sono quindi d'accordo con Jacopus, per questo mi trovo d'accordo più filosoficamente che scientificamente che non può sorgere dal nulla l'universo. Forse, ed è interpretazione, solo qualcosa fuori dall'universo poteva generare l'universo. Ma il problema ontologico è relazionato al senso dell'universo , è attraverso quest'ultimo che si possono fare ipotesi sia scientifiche che filosofiche.


@ iano
un universo finito che ha un tempo e uno spazio già finito dall'origine? Presupporrebbe, mi pare, che  spazio e tempo siano ontologici e apriori all'origine dell'universo,essendo già prima o con il sorgere dell'universo già definiti, determinati nel loro limite spazio/temporale.

iano

#34
@Phill 11
No, intendevo che ha avuto fine un universo e che la sua fine è stata causa di un nuovo universo, quello nostro, nato con BB.
Mi sono espresso male.
Sono d'accordo che gli strumenti di misura sono "parte di noi" compresi quelli fornitici direttamente dalla natura che abbiamo fatto nostri.
Sono repliche nel senso che ne esistono una moltitudine fra loro identiche, e ciò caratterizza la materia.
Esistono moltitudini di orologi naturali perfettamente identici così come esistono moltitudini identiche di componenti la materia.
Non esiste spazio senza materia e non esiste tempo senza orologi.
Se c'è stato un big bang esso ha creato lo spazio e il tempo insieme ad energia e materia.
Comunque io non mi affezionerei troppo alla teoria del big bang, come non mi affeziono a nessuna teoria fisica in genere. Sono fatte per essere usate. Ma oggi ci sono e domani le cambiamo.
Sono tutte falsificabili e tutte saranno falsificate.Solo questione di "tempo".
La filosofia non mi interessa in quanto ricerca di verità, ma in quanto costituisce il telaio, a volte non evidente, delle costruzioni scientifiche. Senza filosofia non c'è scienza e conoscenza.
Quando cambia il quadro filosofico la ricerca scientifica acquisisce nuove prospettive.
La filosofia e la scienza siamo noi e cambiano con noi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Naturalmente poi ognuno ha la sua opinione e la sua filosofia, nessuna delle quali ha un vero senso,  perché il vero senso sta nella loro varietà e diversità. Nel loro essere moltitudini non identiche.
Riguardo al tempo e all'essere trovo interessante l'opinione che ne aveva Jacovitti, immortalata in un suo fumetto :


Che ore sono?
Sei le sei.


Giusto per non prenderci, come sempre dico, troppo sul serio.😊
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Eutidemo

Citazione di: iano il 17 Settembre 2021, 01:12:43 AM
Naturalmente poi ognuno ha la sua opinione e la sua filosofia, nessuna delle quali ha un vero senso,  perché il vero senso sta nella loro varietà e diversità. Nel loro essere moltitudini non identiche.
Riguardo al tempo e all'essere trovo interessante l'opinione che ne aveva Jacovitti, immortalata in un suo fumetto : Che ore sono?
Sei le sei.
Giusto per non prenderci, come sempre dico, troppo sul serio.😊
Mi ricorda un'altra battuta, che, se non ricordo male, era pure quella del grande Jacovitti.
Il re di Argo Acrisio, inviò un suo delegato a ricercare il nipote Perseo, che era stato dato per disperso in Tracia; e che si era reso irriconoscibile facendosi crescere la barba.
Il primo trace che il delegato incontrò, nonostante la barba, somigliava molto a Perseo, per cui gli chiese a bruciapelo: "Sei Perseo?"
E quello, senza il minimo indugio, rispose: "Trentaseo!"
:D :D :D

atomista non pentito

L'esserci dell'orologio ci dice che con una convenzione aprioristica misuriamo qualcosa di esistente. Come per il metro , come per il kg ecc ecc.  Quando non c'era l'orologio c'era la clessidra , ma anche il sole e l'altre stelle ( uso della meridiana) Se vogliamo , invece , possiamo anche affidarci allo specchio i 40 anni che sono passati dai miei 20 saranno anche una convenzione ( lo sono) ma il cambiamento sulla mia faccia dimostra in maniera lampante ( non l'esistenza di Dio) ma l'esistenza di un tempo quantomeno biologico.

Alexander

#38
Buongiorno Paul11




cit:.non se ne esce dal "motore immobile incausato" scientificamente, essendovi scientificamente , direi più matematicamente, della pseudo-scienza (perché siamo ai confini se non oltre dalle dimostrazioni scientifiche), sono quindi d'accordo con Jacopus, per questo mi trovo d'accordo più filosoficamente che scientificamente che non può sorgere dal nulla l'universo. Forse, ed è interpretazione, solo qualcosa fuori dall'universo poteva generare l'universo. Ma il problema ontologico è relazionato al senso dell'universo , è attraverso quest'ultimo che si possono fare ipotesi sia scientifiche che filosofiche.



Ciò che mi manca è il capire veramente me stesso. Cosa mi serve conoscere l'origine dell'Universo? Il senso di limitatezza è nel conflitto interiore, nella disperazione e angoscia esistenziale. Il vedersi niente osservando i cieli è solo lo specchio del sentirsi niente dentro. Così è importante quello che devo fare, non quello che devo conoscere. E' nel mio fare che posso trovare la mia verità, che è verità per me. Trovare cioè l'idea per la quale abbia un senso, per me, il dover vivere e morire. A cosa mi servirebbe poter chiarire molti singoli fenomeni, se esso non avesse per me un significato più profondo? Se anche mi fosse svelato il significato arcano di ogni singolo fenomeno non dovrei forse chiedermi lo stesso che senso avrebbe per me?



Jacopus

Per Alexander. Apri un altro mondo con il tuo ultimo intervento, che avrebbe bisogno di un topic a parte (anzi probabilmente di una enciclopedia a parte). Ovvero, si può agire nel mondo, senza chiedersi l'origine e il funzionamento degli avvenimenti fisici che ci circondano? Temo di no, poichè abbiamo bisogno in modo potente di "spiegazioni" e di "spiegazioni di spiegazioni" ed anche di falsificazione di spiegazioni a cui sostituire altre spiegazioni. Ogni spiegazioni dei fenomeni fisici inoltre non è mai neutra, poichè se al posto del big-bang sostituisci i sette giorni necessari a Dio per creare l'universo, anche la tua posizione nel mondo cambia ed anche la finalità delle tue azioni.Teoricamente è vero che una "buona vita" non ha bisogno di conoscere la dinamica geotermica di un vulcano ed è anche possibile che quella conoscenza "oggettiva", "oggettivizzi" anche i rapporti umani, rendendoli strumentali. D'altro canto è stata proprio l'oggettivizzazione scientifica ad averci reso la vita così confortevole. La domanda quindi è: "la sete di conoscenza, la volontà di squarciare il velo di Maya, ci porta dei vantaggi, degli svantaggi, o entrambi? E' conciliabile questa sete di conoscenza che ci perseguita da Adamo ed Eva in poi, con un modello di vita "buona" o percorrono due strade confliggenti?
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

paul11

Citazione di: Alexander il 17 Settembre 2021, 11:26:17 AM
Buongiorno Paul11




cit:.non se ne esce dal "motore immobile incausato" scientificamente, essendovi scientificamente , direi più matematicamente, della pseudo-scienza (perché siamo ai confini se non oltre dalle dimostrazioni scientifiche), sono quindi d'accordo con Jacopus, per questo mi trovo d'accordo più filosoficamente che scientificamente che non può sorgere dal nulla l'universo. Forse, ed è interpretazione, solo qualcosa fuori dall'universo poteva generare l'universo. Ma il problema ontologico è relazionato al senso dell'universo , è attraverso quest'ultimo che si possono fare ipotesi sia scientifiche che filosofiche.



Ciò che mi manca è il capire veramente me stesso. Cosa mi serve conoscere l'origine dell'Universo? Il senso di limitatezza è nel conflitto interiore, nella disperazione e angoscia esistenziale. Il vedersi niente osservando i cieli è solo lo specchio del sentirsi niente dentro. Così è importante quello che devo fare, non quello che devo conoscere. E' nel mio fare che posso trovare la mia verità, che è verità per me. Trovare cioè l'idea per la quale abbia un senso, per me, il dover vivere e morire. A cosa mi servirebbe poter chiarire molti singoli fenomeni, se esso non avesse per me un significato più profondo? Se anche mi fosse svelato il significato arcano di ogni singolo fenomeno non dovrei forse chiedermi lo stesso che senso avrebbe per me?


ciao Alexander
Gli umani  non sono corpi estranei all'universo. In qualche modo, anche animale, mentalmente sentiamo interiormente armonie o stonature. Ma siamo noi che dobbiamo accordarci come le corde della chitarra , non l'universo. Il problema esistenziale è relazionato ai principi universali e devono essere dedotti, essendo tutto, compreso il sociale umano che è cultura ,soggiacente al piano universale in quanto l'uomo non può andare contro natura che ,a sua volta, appartiene all'universo.
Conoscere l'origine dell'universo significa capire cosa si può e non si può fare. La morale discende proprio dal senso degli universali, da cui dipende la vita naturale, in quanto quest'ultima sorge per determinate condizioni fisiche. Tutto all'interno dell'universo è metafora dello stesso universo, da quello che pensiamo, crediamo, agiamo; la nostra cultura ne è mimesi, metafora dentro la cultura e il sociale. La dialettica che cosa è in fondo se non il movimento dettato dai contrasti, dagli opposti, dai contrari? Penso che la conoscenza riduca il dado dell'agire dell'infinite facce, cercando una ragione di senso nell'agire stesso.
Ogni cosa dell'universo ha un verso, un senso ed essendo tutto dell'uomo metafora dell'universo, della natura in particolare essendo più vicina direttamente,  si impara. Per questo motivo ogni cultura ha una cosmologia. Ci deve essere prima un'interpretazione del cosmos affinchè sia statuita una cultura.
Forse il saper accettare è uno dei segreti della vita.


Kobayashi

Riprendo una frase di paul "sui due livelli ontologici, quello della realtà e quello della mente", per fare alcune povere considerazioni filosofiche, che vanno al di là del tema proposto, ma essendo tale tema, l'origine dell'Universo, un tema limite, non mi sembrano del tutto fuori luogo.

Il senso comune, il razionalismo e la scienza sono d'accordo su un "dualismo naturale" secondo cui esistono due livelli ontologici separati e opposti:

- quello della realtà in se', del mondo oggettivo;
- quello del pensiero, della mente, il livello soggettivo;

Ora, il razionalismo era perfettamente consapevole del problema che il postulato dei due livelli comporta: bisogna stabilire un terzo livello, un super-livello che permetta l'incontro e la coordinazione dei due. Questo super livello viene individuato in Dio.
Nella filosofia cartesiana per esempio è Dio che garantisce la possibilità che i contenuti soggettivi della conoscenza siano realmente corrispondenti agli oggetti.
Nella scienza moderna il posto di Dio viene preso dallo scienziato, depurato però dalla sua umanità, e garantito nella sua visione oggettiva dal metodo scientifico (che porta alle stesse conclusioni a cui arriverebbe Dio). 
Nella vita comune invece abbiamo la tendenza a rifiutare di mettere continuamente in discussione l'istintiva ovvietà dell'esistenza di una realtà indipendente da noi, che poi noi stessi possiamo conoscere secondo livelli di profondità e rigore che dipendono dalle contingenti esigenze del momento.

Il razionalismo viene riformato dal criticismo di Kant. Ora la realtà in se' viene posta come inconoscibile. Noi del mondo possiamo conoscere solo le apparenze, i fenomeni. Le nostre rappresentazioni delle cose, regolate dai meccanismi intersoggettivi dell'intelletto, sono la conoscenza che si può avere del mondo.

Ma è chiaro che le cose non tornano. Quando dico che esiste una realtà in se', di fatto io lo sto appunto dicendo. È un pensiero, un contenuto del pensiero del soggetto.
Ogni volta che cerco di porre dei limiti alla conoscenza finisco cioè in questo paradosso: è già da subito il mio pensiero che stabilisce il confine. Il confine, e lo spazio di realtà pura che si staglia al di là di questo confine, è un pensato, un contenuto del mio pensiero.

Non si può uscire dal pensiero per indicare realtà in se', natura, mondo.
Non che con questo si voglia dire che la realtà non esiste e la nostra esistenza è una pura illusione mentale.
Si vuole dire invece che la natura è già da subito natura interpretata, natura per noi umani, natura pensata.

E le regolarità che la scienza dimostra? Certamente esistono, ma solo all'interno dell'unico livello esistente, quello dell'interazione pensiero-essere (espressione ambigua perché già rimanda al dualismo ingenuo istintivo, ma necessaria per capirci).
L'interazione pensiero-essere produce l'unica realtà di cui facciamo esperienza. Ciò appare evidente nella fisica delle particelle dove l'osservazione, la presenza del pensiero, determina in modo concreto la realtà di ciò che si sta osservando (la posizione e l'energia della particella osservata).
Nel mondo macroscopico questa dipendenza reciproca pensiero-essere non può essere evidenziata da una misurazione scientifica, ma è la conclusione ineludibile del lungo percorso filosofico dell'Occidente.
O mi sbaglio?

iano

#42
Credo che il rapporto pensiero-essere sia meglio un rapporto essere-essere che produce un pensiero.
Abbiamo un pensiero di cui ipotizziamo una causa, la quale , più che completare l'album delle figurine del determinismo, serve a rassicuraci, come un benefico placebo, che il pensiero non gira a vuoto, se non bastasse come prova il suo evolversi.
Guardando le cose in quest'ottica, un pensiero che pur essendo, non è mai uguale a se stesso, ci rassicura. Il mutamento diventa l'ancora.
Se però si pone fede nell'essere, e non ci si limita quindi ad ipotizzarlo, la prospettiva cambia, ed esso diventa l'ancora. Ciò che tenendosi fermo ci rassicura, a costo però di una limitazione per il pensiero razionale che ama le pure ipotesi.
Pur di tenere ben fissa quell'ancora si chiudono gli occhi su mille contraddizioni , traendosene di volta in volta a fatica per l'inerzia che la fede genera.
Ipotizzare una realtà oggettiva è già' troppo. Basta dire realtà.
Gli oggetti sono il risultato del supposto rapporto essere-essere.
Sarebbe una ipotesi ripetuta ipotizzare che la realtà sia fatta di oggetti di cui poi il pensiero dovrebbe appropriarsi approssimandoli al limite attraverso la progressione della conoscenza.
Ne risulta una dicotomia problematica  di troppo fra soggettivo ed oggettivo.
Gli oggetti sono solo "soggettivi", proprietà esclusiva del pensiero.
Dipendono solo dal particolare rapporto essere-essere.
Se cambia il rapporto cambiano gli oggetti.
L'intersoggettivo non migliora la situazione in tal senso. Non si esce dal soggettivo, ma si trascende il soggetto nella condivisione fra soggetti diversi.
È il soggettivismo di un super- individuo.
L'intersoggettivo non è la strada che conduce all'oggettivo, ma è il corso delle vasche domenicali, dove tutti convergono.
Quando io dico che vedo rosso, non vi è nulla di soggettivo in ciò, se mi riferisco a me soltanto , e non vi è nulla di oggettivo se non riferito esclusivamente al pensiero.


L'evoluzione del pensiero non è un progresso ne' un regresso, ma un mutamento condizionato dalla sostenibilità.
Non si ottiene nulla in cambio di niente.
Noi stiamo cedendo il senso di realtà. In cambio di cosa?
Non è chiaro, per cui sembrerebbe che ci resti solo di lamentarci della perdita.
Abbiamo già ceduto l'acutezza dei nostri sensi in cambio del potenziamento della ragione.
Con quale altra merce vogliamo barattare il nostro senso di realtà, gettato via come zavorra dalla mongolfiera della scienza partita in cerca della verità, ma che è già tanto se procede, e che altro non fa' e forse non sa' fare?
Il vero problema che dovrebbe preoccuparci è che i posti sulla mongolfiera sono limitati.
Però non si vede nessuna ressa per salire e tutti sembrano preferire restare  ancorati al proprio senso di realtà .
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

paul11

Citazione di: Kobayashi il 18 Settembre 2021, 10:49:56 AM
Riprendo una frase di paul "sui due livelli ontologici, quello della realtà e quello della mente", per fare alcune povere considerazioni filosofiche, che vanno al di là del tema proposto, ma essendo tale tema, l'origine dell'Universo, un tema limite, non mi sembrano del tutto fuori luogo.

Il senso comune, il razionalismo e la scienza sono d'accordo su un "dualismo naturale" secondo cui esistono due livelli ontologici separati e opposti:

- quello della realtà in se', del mondo oggettivo;
- quello del pensiero, della mente, il livello soggettivo;

Ora, il razionalismo era perfettamente consapevole del problema che il postulato dei due livelli comporta: bisogna stabilire un terzo livello, un super-livello che permetta l'incontro e la coordinazione dei due. Questo super livello viene individuato in Dio.
Nella filosofia cartesiana per esempio è Dio che garantisce la possibilità che i contenuti soggettivi della conoscenza siano realmente corrispondenti agli oggetti.
Nella scienza moderna il posto di Dio viene preso dallo scienziato, depurato però dalla sua umanità, e garantito nella sua visione oggettiva dal metodo scientifico (che porta alle stesse conclusioni a cui arriverebbe Dio). 
Nella vita comune invece abbiamo la tendenza a rifiutare di mettere continuamente in discussione l'istintiva ovvietà dell'esistenza di una realtà indipendente da noi, che poi noi stessi possiamo conoscere secondo livelli di profondità e rigore che dipendono dalle contingenti esigenze del momento.

Il razionalismo viene riformato dal criticismo di Kant. Ora la realtà in se' viene posta come inconoscibile. Noi del mondo possiamo conoscere solo le apparenze, i fenomeni. Le nostre rappresentazioni delle cose, regolate dai meccanismi intersoggettivi dell'intelletto, sono la conoscenza che si può avere del mondo.

Ma è chiaro che le cose non tornano. Quando dico che esiste una realtà in se', di fatto io lo sto appunto dicendo. È un pensiero, un contenuto del pensiero del soggetto.
Ogni volta che cerco di porre dei limiti alla conoscenza finisco cioè in questo paradosso: è già da subito il mio pensiero che stabilisce il confine. Il confine, e lo spazio di realtà pura che si staglia al di là di questo confine, è un pensato, un contenuto del mio pensiero.

Non si può uscire dal pensiero per indicare realtà in se', natura, mondo.
Non che con questo si voglia dire che la realtà non esiste e la nostra esistenza è una pura illusione mentale.
Si vuole dire invece che la natura è già da subito natura interpretata, natura per noi umani, natura pensata.

E le regolarità che la scienza dimostra? Certamente esistono, ma solo all'interno dell'unico livello esistente, quello dell'interazione pensiero-essere (espressione ambigua perché già rimanda al dualismo ingenuo istintivo, ma necessaria per capirci).
L'interazione pensiero-essere produce l'unica realtà di cui facciamo esperienza. Ciò appare evidente nella fisica delle particelle dove l'osservazione, la presenza del pensiero, determina in modo concreto la realtà di ciò che si sta osservando (la posizione e l'energia della particella osservata).
Nel mondo macroscopico questa dipendenza reciproca pensiero-essere non può essere evidenziata da una misurazione scientifica, ma è la conclusione ineludibile del lungo percorso filosofico dell'Occidente.
O mi sbaglio?


C' è una delucidazione storico filosofica da porre: fu addirittura nei presocratici ,chi ponendo il fuoco, chi l'acqua, chi l'aria o la terra,  a cercare i fondamenti naturali e   il movimento, la trasformazione era data da elementi contrastanti . Che poi oggi si è capito che elettromagnetismo funziona con un filo elettrico neutro e uno di fase e che se vi sono due poli, il catodo, l'anodo, il positivo e il negativo che permettono elettrolisi e magnetismo ,è base della fisica classica  ancora attuale.
E' la natura, il funzionamento dell'universo attraverso l'osservazione umana, al di là delle speculazioni filosofiche, che ci dice che tutto scorre ,si muove e si trasforma grazie ad una struttura, che è anche quella dell'atomo, dei legami polari delle molecole, che funziona tutto.
Il dualismo, i contrasti, i contrari, sono parte della regola universale, affinché quasi tutto tenda a mutarsi.


E' vero ciò che sostieni su Cartesio, ma con un altrettanto chiarimento, l'oggettività dalla modernità in poi viene  consegnata alle scienze naturali e fisiche. Ciò che proporranno dopo i razionalisti e dopo in modo dirompente gli empiristi (Hegel è un filosofo a parte...) è il tentativo di capire il processo gnoseologico, della conoscenza, dell'uomo che porterà alla psicologia empirica, alla psicanalisi di Freud, alla fenomenologia di Husserl.
Cartesio è quindi importante storicamente per aver scisso l'io cogito, il soggetto pensante, dalla realtà fisico naturale; con tutti i problemi conseguenti. L'io sono del criticismo kantiano, segue per certi versi il percorso cartesiano , ma prendendo anche la lezione degli empiristi, soprattutto di Hume. Se il noumeno kantiano rompe storicamente con lo spirito, con Dio , con la metafisica, ponendo il noumeno, significa che tolta l'oggettività della realtà indagata dalla scienza, tolta la metafisica .....rimane solo l'io sono; per cui deve inventarsi un imperativo categorico essendo la moral e non più fondata né su natura , nè su universali, né su Dio, ma solo su vuote parole prive di logica non essendo relazionate se non ad un moto banale interiore umano ( per questo sarà necessario riscoprire il termine psiche antico, che era l'anima, e darne una nuova definizione; la psicologia nasce proprio dalla spinta filosofica dell'indagine sul procedimento conoscitivo umano di stampo empirista).
La scienza prende il posto di Dio, solo nel ruolo succedaneo salvifico. Il medico sentenzia e se questa è sfavorevole....allora ci sarà eventualmente una preghiera a Dio. Il ruolo di Dio nella cultura non è stato totalmente consegnato alla scienza ,dispensatrice di doni tecnici, di ricerche, innovazioni importanti, ma proprio perché il metodo scientifco , o quel che ne rimane oggi, non può totalmente surrogare Dio, in quanto la scienza non può creare, può solo indagare, la scienza costruisce condizioni per trasformare, movimentare, ma la scienza non è la regola che governa l'unverso . Cercare di capire non è l'essere.
Un conto è dire che si vive anche senza pensare ad un Dio, un altro è cercare di capire come funziona l'universo.ed è lì, dalle cosmologie che necessariamente nascono domande su chi o cosa lo abbia generato, perché debba funzionare così, perché c'è la vita, perché ci siamo noi.
Quando  Eutidemo cita Hawking, ipotizzando un tempo ripiegato su se stesso ,prima del Big Bang, da scienziato ha necessità di capire cosa sia il tempo ed in termini ontologici, non come idea semplice derivata da altri fondamentali . Anche la teoria delle stringhe è una formulazione ipotetica del più minuscolo corpo atomico che vibra; ma proprio perché lo scienziato ha necessità di avere un fondamento fisico materico , e quindi rilevabile e dimostrabile. Le continue cacce a nuovi elementi della tavola periodica, al bosone di Higgs, sanciscono la via scientifica della dimostrabilità fisica che vince su ipotesi diventando teoria dimostrabile rilevabile.


La nevrosi umana della consapevolezza, da una parte, di essere una tale pochezza di una vita spazio/temporale rispetto ai tempi universali, rispetto ad una società, dove una persona muore e la memoria è qualcosa che svanirà ineluttabilmente,.. dove tutto scorrendo e muovendo e trasformando è già altrove, e la nostra presenza diventa indifferenza del mondo, perché il mondo manco si accorge di noi, pone l'uomo interrogativi esistenziali sul proprio scopo, se mai vi è, nella sua vita, nell'universo. Questo solo la filosofia può indagarlo, nessuna scienza o neuroscienza o cognitivismo.
Una delle cose che temiamo di più è l'indifferenza, il fatto di essere presenti, ma per il mondo, l'universo, la società, questa presenza in realtà gli è indifferente, questo "non servire a nulla" se non al grande gioco dell'universo dove tutto appare e scompare. Per questo è necessario che le relazioni siano significative e che abbiano senso.


Dici ben quando scrivi il dogma moderno dell'inconoscibile. Tutto ciò che non è dimostrabile sensibilmente è sentenziato come inconoscibile ( ed è in fondo il noumeno kantiano). SE i filosofi moderni si pongono sullo stesso limite scientifico fisico naturale, smettono di fare filosofia. Le loro frasi diventano linguistica che non è propriamente filosofia, la quale specula necessariamente sui fondamenti universali. Finisce il ruolo del filosofo , diventando un narratore come un romanziere.


L'inconoscibile, il limite dichiarato dalla scienza, è un limite fisico e non del pensiero, diversamente non vi sarebbe mai stato progresso tecnico scientifico.
Significa che uno scienziato è libero di ipotizzare, ma affinchè diventi tesi dimostrabile, deve seguire una metodica, osservare strumentalmente, replicare e dimostrare sensibilmente.
Il filosofo segue vie deduttive, che sono logico razionali, ma non dimostrabili sensibilmente dall'induttivismo scientifico . Quindi il filosofo va anche nell'inconoscibile ,dove ha posto il limite la scienza naturale e una certa filosofia a suo tempo.


E'ovvio che la separazione oggetto dal soggetto è  più una comodità che nulla ha a che fare con il processo conoscitivo. Se un senso del nostro corpo è colpito da un mondo esterno, come un fotone nell'occhio, c'è sempre un' interazione fra mondo e soggetto umano e mai una separazione netta.
Per cui anche lo scienziato interpreta gli esperimenti, semplicemnte esegue un metodo logico induttivo verificabile dai sensi umani.
Quindi è chiaro che è il pensiero interpreativo che ho dell'universo che mi fa propendere soggettivamente a pensarla in un certo modo. Allora signifca che ognuno avendo una sua intepretazione, la costruisce in base alle proprie esperienze  che ala fine sono dentro la sua mente.

Ipazia

Che la realtà esista solo se ha un senso è una paturnia squisitamente umana che ha più a che fare con l'essere umano pensante che con la realtà.  Il modo di pensare scientifico ha quantomeno il merito di essersi/ci tolta di dosso la zavorra delle causalità e teleologie metafisiche che meritavano una sana, occamistica, rasoiata.

Rimossa la zavorra finalistica metafisica rimangono aperte due questioni: appropriarsi di tecniche conoscitive sempre più accurate e decidere il senso da dare alla realtà.  Alla prima provvede la scienza, alla seconda, la filosofia. Dialetticamente interfacciate perché la crescita epistemica modifica il materiale della riflessione filosofica e la maturazione del pensiero orienta l'attribuzione di senso verso finalità qualitativamente più gratificanti impegnando la ricerca tecnoscientifica in tale direzione.

Tale dialettica è ideale perchè si deve tener conto dell'evoluzione reale della nostra specie e delle contraddizioni motivazionali, quindi di attribuzione di senso, al suo interno, ma metodologicamente funziona sempre, anche per vincere le guerre materiali e ideologiche che tali contraddizioni innescano.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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