Perché si ritiene la felicità la cosa più importante in assoluto?

Aperto da Socrate78, 13 Dicembre 2017, 19:01:16 PM

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sgiombo

Citazione di: davintro il 27 Dicembre 2017, 00:28:35 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Dicembre 2017, 22:23:54 PMIn base a questo tuo ragionamento sul virtuoso non felice di essere tale, Gesù, visto che mentre gli piantavano i chiodi non si dimostrava felice, non può essere considerato uno veramente virtuoso. È da precisare che, secondo le narrazioni evangeliche, Gesù scelse di sua volontà di morire in croce, poiché poteva sottrarsi ad essa, sapeva di potersi sottrarre, sapeva cosa lo aspettava, ma non fece nulla per sottrarsi, anzi, si comportò in modo da provocare attivamente la rabbia degli accusatori contro di lui. Paolo Borsellino, certamente non sprizzava felicità nel momento in cui diceva "Siamo dei cadaveri che camminano", ad indicare la piena consapevolezza di essere destinato a venir ucciso dalla mafia. Anche lui quindi non può essere considerato uno veramente virtuoso.

per quanto riguarda il dolore fisico, siamo in un'ottica di "al di là del bene e del male". Il provare dolore fisico come ad esempio quello che può aver provato Gesù sulla croce è un fenomeno che la vittima subisce al di là del suo libero arbitrio, indipendentemente dai valori personali, dai quali invece dipende il piacere e il dolore a livello spirituale. Quindi il dolore fisico che si può subire come conseguenza di un agire virtuoso non ci rivela nulla dello spessore morale (cioè spirituale) della persona, ma semplicemente che questa persona non è un angelo, un puro spirito, ma ha anche un corpo, mentre la moralità è una realtà tipicamente spirituale. La spiritualità entrerebbe in causa invece nel l'esempio di Borsellino, e posso certamente immaginare che la coscienza di essere, come disse testualmente, "un morto che cammina", non gli provocasse alcun piacere, anzi sofferenza e profonda tristezza. ma questo non esclude o diminuisce in alcun modo la sua virtù, testimoniata dal piacere o felicità di sapere di contribuire al perseguimento del valore della legalità tramite il suo impegno antimafia. In quel caso assistiamo a un conflitto di valori: da un lato l'impegno per la legalità, dall'altro la sua vita e la sua famiglia. Anche la propria vita rappresenta certamente un valore positivo, e dunque la sofferenza nel vederla a rischio non è affatto indice di immoralità, al contrario, è coscienza del valore positivo della propria esistenza nonché dell'amore verso la propria famiglia, che certamente soffrirà profondamente la mancanza. Ogni azione che compiamo implica sempre questo conflitto fra i valori, per il quale la coerenza con alcuni di essi porta a sacrificarne altri, meno importanti evidentemente, ma comunque rilevanti. E questa rilevanza fa sì che il loro sacrificio provochi tristezza nel soggetto, ma una tristezza meno forte della soddisfazione che ci dà l'essere coerenti con i valori interiormente più importanti per noi, che sono poi quello che ispirano le decisioni concrete. Borsellino non era certamente un masochista a cui faceva piacere morire, ma la sua amarezza nulla toglieva alla soddisfazione interiore, dominante che provava nell'andare fino in fondo ai propri doveri di uomo di stato e di legge, soddisfazione che era più forte della tristezza, probabilmente non a livello emotivo-superficiale, ma a livello più profondo, perché altrimenti avrebbe agito diversamente, avrebbe rivelato una diversa gerarchia valoriale personale anteponendo la propria vita all'esercizio del proprio dovere. E solo in quel caso avrebbe avuto un senso cogliere uno sminuimento (anche se certamente umano e comprensibile) della caratura morale dell'uomo. L'agire morale costituisce un ambito complesso in cui entrano in gioco motivazioni contrastanti, per il quale la stessa linea d'azione chiama in in causa diversi fattori che determinano diversi riscontri sentimentali, e ogni valutazione presuppone un atteggiamento analitico che distingua questi singoli fattori.
Citazione
Concordo in pieno: la perfezione non esiste in generale, e in particolare non esiste la felicità perfetta (non é possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca, come mi piace ripetere).

Se Gesù Cristo ha liberamente (da coercizioni estrinseche) scelto la croce malgrado il dolore e la morte che comportava, se Paolo Borsellino ha liberamente (da coercizioni estrinseche) scelto di continuare la sua battaglia contro la mafia malgrado l' altissima probabilità (o "quasi-certezza") di essere ammazzato che comportava era perché la felicità recata loro dalla "virtù" era ben maggiore dell' infelicità recata loro dal dolore, e dunque la loro magnanimità li ha intrinsecamente determinati a scegliere il rispettivo sacrificio.

epicurus

In una discussione sulla felicità, non può mancare l'intervento del mio omonimo, colui il quale si può meritare il titolo di Filosofo della Felicità.  ;D

Lettera a Meneceo sulla Felicità, di Epicuro: qui.

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