Perchè il materialismo basta

Aperto da SamuelSilver, 15 Settembre 2018, 19:04:40 PM

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Ipazia

@apeiron

Tra tanti atti di fede che facciamo, tipo prendere appuntamenti per la prossima settimana, penso che ipotizzare un mondo reale al di là di, e indipendente da, noi - e dalla nostra percezione - sia uno degli atti di fede più sensati. A tal punto che anche chi non ci crede è costretto a vivere come fosse vero. Trovandosi lui quotidianamente a fare i conti con questa antinomia. Io, almeno, me la risparmio.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 10 Novembre 2018, 19:43:31 PM
@apeiron

Tra tanti atti di fede che facciamo, tipo prendere appuntamenti per la prossima settimana, penso che ipotizzare un mondo reale al di là di, e indipendente da, noi - e dalla nostra percezione - sia uno degli atti di fede più sensati. A tal punto che anche chi non ci crede è costretto a vivere come fosse vero. Trovandosi lui quotidianamente a fare i conti con questa antinomia. Io, almeno, me la risparmio.


Secondo me non é un' antinomia, é semplicemente un rendersi conto dei limiti delle proprie convinzioni (compreso il fatto che talune importantissime non sono fondabili razionalmente; il che a mio parere significa essere più conseguentemente razionalisti che l' ignorarlo).

Io invece trovo interessantissimo e di grande soddisfazione porsi il problema e cercarne soluzioni razionali (anche se la conclusione -sempre passibile di essere rimessa in dubbio- di queste é che non ce ne sono).

Ovviamente questa inclinazione é puramente soggettiva: c' é chi non la avverte e chi sì.

Apeiron

#452
Citazione di: Ipazia il 10 Novembre 2018, 19:43:31 PM
@apeiron

Tra tanti atti di fede che facciamo, tipo prendere appuntamenti per la prossima settimana, penso che ipotizzare un mondo reale al di là di, e indipendente da, noi - e dalla nostra percezione - sia uno degli atti di fede più sensati. A tal punto che anche chi non ci crede è costretto a vivere come fosse vero. Trovandosi lui quotidianamente a fare i conti con questa antinomia. Io, almeno, me la risparmio.

@Ipazia,

certamente. Anche se, il buon Kant non negava l'inter-soggettività del "mondo", il fatto che era "pubblico" e così via... stavo semplicemente facendo notare a cosa quel tipo di ragionamento poteva portare (infatti, ho citato Wittgenstein come l'autore della citazione "Ciò che il solipsismo intende è del tutto corretto; solo, non si può dire, ma mostra sé." - TLP 5.62).

Ad ogni modo, rimane da spiegare perché "le cose tornano" (ovvero perché le nostre categorie "trascendentali" funzionano così bene nel spiegare ciò che è esterno alla rappresentazione...). Quindi se il motivo per cui tornano non è il fatto che è la "realtà-vista-da-noi" (rappresentazione, diciamo, "condivisa") ma è perché "in qualche modo" le nostre categorie concettuali riguardano la "realtà-così-come-è", ritorniamo alle domande del mio precedente intervento che erano dovute a tue affermazioni come la seguente:

Citazione
CitazionePS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.

a cui io ho replicato con:

CitazioneSe appoggi la filosofia Kantiana no problem.
Se appoggi la filosofia materialistica, invece, devi assumere che possiamo distinguere la "verità" dalla "veridicità" altrimenti, è una filosofia materialistica solo di nome. In fin dei conti, se assumi la "filosofia materialistica" e credi che le neuroscienze possano darci una conoscenza della realtà aldilà delle nostre "funzioni trascendentali" assumi che la "realtà esterna" è conoscibile  

Da qui il mio richiamo al problema della matematica. Ma visto che ha portato un po' fuori strada (anche se, il buon Einstein - che era un realista diretto o quasi - affermava che "l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità...Il fatto che sia comprensibile è un miracolo")

Perché tale di "realtà esterna" indipendente dalle nostre funzioni trascendentali si possono conoscere le proprietà?  


a cui tu hai replicato con:

Citazione@ Apeiron Io assumo il punto di vista della cosa-per-noi, non della cosa-in-sè. Da questa prospettiva "pragmatica" e realista le cose sono molto più semplici e richiedono meno dimostrazioni. Quello che la ricerca scientifica offre mi basta e avanza. Ad essa consegno l'ontologia degli enti materiali incluso l'Essere e il suo ibrido Creatore. Ritengo tale posizione filosofica sostanzialmente materialista. A questo punti tu dici: non mi basta. Concordo e pertanto mi riservo uno spazio ontologico particolare, cui attribuisco un carattere trascendentale, agli enti immateriali prodotti  dall'attività umana (res cogitans) interagendo con la Natura (res extensa) non intesa come realtà esterna vista da fuori, ma da dentro da una sua parte interagente. Tale interazione modifica la natura sia materialmente che "spiritualmente", trascendendo la legge esclusiva del DNA. Il processo ha caratteristiche dialettiche, di feedback, retroattive ed è su questa dialettica che si gioca il destino umano, la sua progettualità. Anche questa posizione mi pare compatibile con una filosofia materialistica (homo sive natura). Certamente non meccanicistica e dogmaticamente deterministica. Peraltro, delle patenti di ortodossia scolastica, non mi preoccupo granchè. Mi basta ridurre tutto il reale alla sua dimensione - in divenire -antropologicamente rappresentabile. La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco.

D'altronde se tu dici che per te il problema dell'antinomia non è un problema e, inoltre, ritieni che possiamo fare tranquillamente affermazioni sulla realtà "oltre" le nostre rappresentazioni, allora una affermazione del tipo "La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco." non è una "vera risposta". Infatti, "magicamente" tali strumenti che sono "farina del nostro sacco" riescono a "descrivere" così bene qualcosa che è indipendente da noi (ovviamente, la tale cosa "indipendente" da noi deve essere descrivibile anche prima della nostra interazione affinché una buona filosofia materialista abbia senso...).

In pratica, quello che mi sembra è che tu critichi tranquillamente i "metafisici" dicendo che la Verità è un concetto "dogmatico" e ciononostante affermi che la "realtà così come è" è comprensibile da noi, visto che dopotutto, devi per forza ammettere che "la realtà indipendente da noi" è comprensibile. Perciò, non riesco proprio a capire se la tua posizione è consistente o meno. In particolare tra:

  • "Teoria della verità come corrispondenza" = la "verità" è ciò che corrisponde alla "realtà"
  • "Teoria della verità come coerenza" = la "verità" è ciò che è coerente con un determinato insieme di proposizioni che fanno da "assiomi".
cosa scegli? se per te è vera la seconda, allora una risposta del tipo "La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco." la considero una vera risposta. Il problema è che - a meno che non si appoggi una qualche forma di idealismo - è difficile evitare l'antinomia di cui parlo.

Secondo me Kant, di fatto, appoggiava una teoria della verità come coerenza se sostituiamo a "proposizioni" le kantiane "forme" e "categorie" a priori. Rimaneva agnostico sulla validità di tali "verità" nei riguardi della "cosa in sé" e quindi agnostico per la corrispondenza (questa teoria della coerenza però non era relativistica, visto che le "forme" e le "categorie" - e quindi le rappresentazioni - sono condivise...). 
Aggiungo che, ovviamente, le verità scientifiche, per Kant, erano date dalla corrispondenza tra teoria e i dati ricavati dal mondo fenomenico. Però, in realtà, la sua concezione della verità è più vicina a quella della coerenza visto che, in ultima analisi, il motivo per cui Kant ritiene che le verità scientifiche siano inter-soggettive è perché condividiamo "forme" e "categorie"...Quindi per Kant, Schopenhauer (e direi anche Berkeley, Hegel ecc seppur per motivi diversi) abbiamo una teoria della coerenza della verità (nel caso di Kant, agnosticismo sulla (eventuale) corrispondenza con la cosa-in-sé).

Ah, comunque, anche dire "tutto è relazione" o "ci sono solo prospettive" oppure scegliere la teoria di Rovelli del "relazionalismo" è ancora scegliere "metafisiche". Quindi il problema non è la "vecchia metafisica". Platone ha ipotizzato l'esistenza delle Forme per spiegare la comprensibilità del mondo. Non lo ha fatto in modo necessariamente "dogmatico". Vedendo per esempio che un fungo ed un albero sono diversi, Platone ha pensato che esistesse una Forma che corrisponde a "ciò che rende un fungo, un fungo" e "ciò che rende un albero, un albero", sostenendo che la "realtà sensibile" è costruita seguendo i modelli date da queste Forme (o archetipi). In questo modo, il mondo è comprensibile, perché è "modellato" in modo da esserlo. La filosofia materialistica non spiega il motivo per cui la comprensibilità è possibile. E nemmeno lo fa la teoria di Rovelli (d'altronde c'è ben poco di epistemologicamente "relativo" o di epistemologicamente "prospettico" in una teoria in cui la meccanica quantistica viene intesa come la teoria di tutti i sistemi fisici). Motivo per cui, tempo fa, avevo definito la teoria di Rovelli un "relativismo ontologico" e non "epistemologico", e quindi una teoria "metafisica" (o meglio "ontologica"). Anche la tua, se è simile a quella di Rovelli, deve essere una teoria metafisica. E quindi, se l'interpretazione relazionale della meccanica quantistica fosse vera, sarebbe una "verità universale". Detto ciò, non ci vedo molto un atteggiamento "molto più dogmatico" in Platone rispetto a quello di Rovelli, visto che, per quanto ne sappiamo, Platone ha ipotizzato le Forme e riteneva tale ipotesi convincente. Rovelli ha ipotizzato che la realtà è fatta "di relazioni e non di cose" e ritiene che tale ipotesi è convincente.

Dunque, ricapitolando: primo: appoggi la teoria della coerenza della verità o quella della corrispondenza? secondo: perché dunque il mondo è comprensibile, secondo te se ritieni che la scienza ci dice verità che vanno oltre le nostre rappresentazioni? terzo: le entità inosservabili empiricamente postulate dalla scienza secondo te esistono in modo indipendente da noi o no?  :)

Riguardo alla seconda domanda,  va benissimo dire "non lo so". Quello che non mi va bene è dire "è ovvio che sia così" perché non è ovvio, visto che a priori la realtà potrebbe essere incomprensibile.

Onestamente non ho capito la tua posizione. Metà delle cose che dici suggeriscono che tu, effettivamente, proponi teoria della coerenza. L'altra metà invece suggerisce che tu, invece, proponi una teoria della corrispondenza. O, in altre parole, da una parte sembra che tu dici che la "cosa in sé" è qualcosa di inconoscibile (o addirittura inesistente) e dall'altra sembra che invece tale "cosa in sé" è, oltre che esistente, conoscibile.

Se ti può interessare, la mia posizione è che ha ragione Einstein a dire che possiamo conoscere la realtà in parte con le nostre categorie (quindi vado "oltre" Kant*). Tuttavia, non mi sono ancora fatto un'idea sul perché ciò avvenga. Tutte le risposte a questa domanda non mi hanno mai veramente convinto...

* vado oltre Kant perché, secondo me, la sua filosofia non riesce a veramente dare conto del fatto che viviamo in un mondo "pubblico" (contrariamente a quanto sosteneva lui, c'è l'antinomia). Se però qualcuno mi mostrasse che senza ricorrere al "mondo noumenico" fosse sufficiente il "mondo fenomenico condiviso" per spiegare la scienza, allora accetterei la filosofia di Kant (in tal caso, si spiegherebbe la comprensibilità e avrebbe senso quanto dici tu: "La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco." ).

Quindi per me ha senso la teoria della corrispondenza (anche se nella "realtà" sono convinto che ci sono cose che non sono comprensibili, da qui il mio fascino col "mistero", l'"infinito" ecc), tuttavia non escludo che abbiano ragione chi ritiene che la teoria della corrispondenza sia vera (a meno che non scivolino nel "relativismo", negando la possibilità di conoscere verità condivise). In tal caso, la "realtà indipendente" potrebbe o non esistere (Berkeley, ad esempio, ammetteva che esistevano solo coscienze - idem Hegel, Bradley, McTaggart e altri...) oppure essere "oltre la nostra comprensione" ma allo stesso tempo in qualche modo collegata con il mondo fenomenico e "presente" (per certi versi) in esso (Kant, Schopenhauer (per il quale la "cosa in sé" poteva essere conosciuta ma non dalla conoscenza scientifica dei fenomeni) e altri...). Se avessero ragione questi filosofi, il problema di Einstein si risolverebbe  :)  anzi, onestamente, tra le due prospettive sono indeciso (anche se per ora tendo alla prima...)

Ciao!

Sgiombo

CitazioneChe secondo me si risolve distinguendo fra:
cosa in sé (noumeno; per esempio corrisponde alla mia visione della luna) che esistequando non la osservo - e anche prima che nascessi e dopo la mia dipartita molto probabilmente;
e
fenomeni (la mia visione della luna) che esistono solo quando li sento (solo quando osservo la luna).

Concordo, il realismo trascendentale risolve l'antinomia in questo modo

CitazioneMa secondo me non é così che pensava Kant.
Secondo me parlava solo della conoscenza (in generale e in particolare scientifica) del "mondo fenomenico", che abbiamo anche quando non osserviamo nel senso che sappiamo che se osserviamo in un determinato modo, allora vediamo determinati fenomeni.
La cosa in sé o noumeno é reale del tutto indipendentemente dalla realtà del mondo fenomenico e rispettivi soggetti (e secondo me anche per Kant questo ne spiega fra l' altro l' intersoggettività; limitata sua parte materiale).
Invece il "mondo fenomenico" inteso come l' insieme di tutte le realmente presenti, realmente passate, realmente future e le meramente potenziali (che accadrebbero, nel passato, nel presente e nel futuro puntualmente, inevitabilmente qualora si dessero le "opportune" condizioni di osservazione) é distinto dalle singole, particolari esperienze (presentemente in atto) vissute da ciascuno, le quali ne fanno parte (ma evidentemente non lo esauriscono), nonché da quelle passate e future (realmente tali) e da quelle meramente potenziali; e ulteriormente costituito anche da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità d fatto ne fanno comunque parte, almeno nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne épervepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente).

Beh, sì  :) qui credo di concordare. L'antinomia deriva proprio da qui, se ci fai caso. Per Kant, atomi e molecole sono parti del mondo fenomenico. Ma, visto che dovrebbero esistere indipendentemente dalle nostre sensazioni (di tutti!!!) allora per Kant esistono cose nel mondo fenomenico che sono indipendenti da tutte le sensazioni...
Tuttavia, ricadiamo in quello che dicevo io: secondo Kant qualcosa che esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") esiste indipendentemente dai soggetti. Onestamente, qui ci vedo un'antinomia ma non credo che insisterò su questo punto ancora per molto...

CitazioneSì, mi sembra che aumenta la nostra reciproca comprensione .

Concordo con la distinzione fra apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" proprio del "mondo fenomenico".
NOn trovo però nulla di problematico o addirittura paradossale: i fenomeni materiali sono interni alla coscienza (soggettivi), ma corrispondenti fra le diverse esperienze di qualsiasi soggetto (intersoggettivi), "pubblici" e non "privati" (contrariamente a quelli mentali che sono meramente soggettivi) in quanto manifestazioni (fenomeniche) di una realtà in sé (noumeno) che é la stessa per tutti

Ok, però le goccioline non dipendono ontologicamente dalla nostra esistenza pur essendo parte del mondo fenomenico ( che è una "rappresentazione condivisa da noi"). L'antinomia per me si forma quando ci chiediamo cosa succederebbe a queste goccioline nel caso in cui non ci fossero più coscienze (visto che sono parte del "mondo fenomenico" - e quindi "interne" alle "coscienze" - ma ontologicamente esistenti in modo indipendente)  :) onestamente, ci vedo una antinomia ma, come dicevo prima, non insisterò su questo punto...(d'altro canto sono molto contento che alla fine ci siamo compresi reciprocamente  ;) )

CitazioneQui concordo in pieno.
Ma mi sembra che Kant ne consideri una conoscibilità "non puramemte raziocinativa", attraverso la ragion pratica.
Più che conoscenza direi che è una convinzione "imposta" dalla ragion pratica (l'unica vera conoscenza per Kant è quella data dalla ragion pura, se non ricordo male). In pratica, la ragion pratica ci "impone" di credere che il noumeno "contiene" (tra le varie cose) Dio, l'anima immortale e il libero arbitrio.

Ovvero, per Kant, la ragion pratica ci "costringe" a fare certe assunzioni sul noumeno.

CitazionePer "non immaginabili" intendevo che non ce ne possiamo fare una raffigurazione mentale, fantastica (alla maniera in cui ci immaginiamo qualcosa di fenomenico mai percepito (che che so, una giraffa da parte di un europeo che ai tempi di Kant, in assenza di fotografie e non disponendo di dipinti, se la fosse sentita descrivere come "una sorta di capra dal collo lunghissimo -un po' più di un suo arto inferiore- senza barba, dal pelo corto giallastro a "chiazze" marroni).
Ah, ok  :)  Questo però non preclude la possibilità che forse, per esempio, possiamo fare in linea di principio un modello matematico delle regolarità del noumeno.

Ciao!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 11 Novembre 2018, 12:43:34 PM

Ipazia

Ad ogni modo, rimane da spiegare perché "le cose tornano" (ovvero perché le nostre categorie "trascendentali" funzionano così bene nel spiegare ciò che è esterno alla rappresentazione...). Quindi se il motivo per cui tornano non è il fatto che è la "realtà-vista-da-noi" (rappresentazione, diciamo, "condivisa") ma è perché "in qualche modo" le nostre categorie concettuali riguardano la "realtà-così-come-è"
Citazione
Io continuo a non vedere alcun problema: i nostri concetti e ragionamenti ci consentono (ammesse come vere alcune premesse indimostrabili né empiricamente provabili) di conoscere il "mondo fenomenico materiale" costituito dalle nostre percezioni immediate e enti ed eventi proposti da teorie atte a spiegare indirettamente il divenire delle nostre percezioni immediate materiali (postulabili essere intersoggettive; fatto spiegabile ammettendo che siano la manifestazione fenomenica di un "mondo noumenico" che é lo stesso per tutti i soggetti).

E perché mai non dovrebbero consentirlo?

Che cosa c'é mai da spiegare nel fatto che c elo cosnìentono?




Sgiombo



Beh, sì  :) qui credo di concordare. L'antinomia deriva proprio da qui, se ci fai caso. Per Kant, atomi e molecole sono parti del mondo fenomenico. Ma, visto che dovrebbero esistere indipendentemente dalle nostre sensazioni (di tutti!!!) allora per Kant esistono cose nel mondo fenomenico che sono indipendenti da tutte le sensazioni...
Tuttavia, ricadiamo in quello che dicevo io: secondo Kant qualcosa che esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") esiste indipendentemente dai soggetti. Onestamente, qui ci vedo un'antinomia ma non credo che insisterò su questo punto ancora per molto...
CitazioneNon posso che continuare a rilevare il dissenso.

NOn si può dire che "qualcosa esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") -solo quella materiale-  indipendentemente dai soggetti (l' intersoggettività del mondo fenomenico materiale é un' altra cosa: corrispondenza fra le esperienze fenomeniche di tutti i soggetti; spiegata con l' unicità del mondo noumenico per tutti i soggetti di esperienza cosciente del mondo fenomenico).
Senza soggetti, niente mondo fenomenico:  ciò che davvero esiste indipendentemente dalle esperienze fenomeniche coscienti é solo la realtà in sé o noumeno.



CitazioneSì, mi sembra che aumenta la nostra reciproca comprensione .

Concordo con la distinzione fra apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" proprio del "mondo fenomenico".
NOn trovo però nulla di problematico o addirittura paradossale: i fenomeni materiali sono interni alla coscienza (soggettivi), ma corrispondenti fra le diverse esperienze di qualsiasi soggetto (intersoggettivi), "pubblici" e non "privati" (contrariamente a quelli mentali che sono meramente soggettivi) in quanto manifestazioni (fenomeniche) di una realtà in sé (noumeno) che é la stessa per tutti

Ok, però le goccioline non dipendono ontologicamente dalla nostra esistenza pur essendo parte del mondo fenomenico ( che è una "rappresentazione condivisa da noi"). L'antinomia per me si forma quando ci chiediamo cosa succederebbe a queste goccioline nel caso in cui non ci fossero più coscienze (visto che sono parte del "mondo fenomenico" - e quindi "interne" alle "coscienze" - ma ontologicamente esistenti in modo indipendente)  :) onestamente, ci vedo una antinomia ma, come dicevo prima, non insisterò su questo punto...(d'altro canto sono molto contento che alla fine ci siamo compresi reciprocamente  ;) )
CitazionePer me le goccioline sono qualcosa di meramente fenomenico (ovvero dipendono ontologicamente dalla nostra esperienza e dunque dalla nostra esistenza come soggetti di esperienza fenomenica).
Ovviamente nel caso non ci fossero più esperienze coscienti (e rispettivi soggetti) la goccioline non ci sarebbero più (visto che sono parte del "mondo fenomenico" - e quindi "interne" alle "coscienze" - e dunque ontologicamente non esistenti in modo indipendente da esse).
Invece ciò che esiste indipendentemente dalle esperienze fenomeniche coscienti é solo la realtà in sé o noumeno.

Citazione.





CitazioneQui concordo in pieno.
Ma mi sembra che Kant ne consideri una conoscibilità "non puramemte raziocinativa", attraverso la ragion pratica.
Più che conoscenza direi che è una convinzione "imposta" dalla ragion pratica (l'unica vera conoscenza per Kant è quella data dalla ragion pura, se non ricordo male). In pratica, la ragion pratica ci "impone" di credere che il noumeno "contiene" (tra le varie cose) Dio, l'anima immortale e il libero arbitrio.

Ovvero, per Kant, la ragion pratica ci "costringe" a fare certe assunzioni sul noumeno
CitazioneMa ciò che la ragion pratica ci "impone" o ci "costringe" ad accettare sono credenze, cioé conoscenza (se vere; ma sono di fatto ritenute tali).




CitazionePer "non immaginabili" intendevo che non ce ne possiamo fare una raffigurazione mentale, fantastica (alla maniera in cui ci immaginiamo qualcosa di fenomenico mai percepito (che che so, una giraffa da parte di un europeo che ai tempi di Kant, in assenza di fotografie e non disponendo di dipinti, se la fosse sentita descrivere come "una sorta di capra dal collo lunghissimo -un po' più di un suo arto inferiore- senza barba, dal pelo corto giallastro a "chiazze" marroni).
Ah, ok  :)  Questo però non preclude la possibilità che forse, per esempio, possiamo fare in linea di principio un modello matematico delle regolarità del noumeno.
CitazioneMa poiché il noumeno non é "visualizzabile" e dunque nemmeno quantificabile o misurabile, non vedo come se ne potrebbero fare modelli matematici.

Ciao!

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 11 Novembre 2018, 12:43:34 PM
Concordo, il realismo trascendentale risolve l'antinomia in questo modo

CitazioneMa secondo me non é così che pensava Kant.
Secondo me parlava solo della conoscenza (in generale e in particolare scientifica) del "mondo fenomenico", che abbiamo anche quando non osserviamo nel senso che sappiamo che se osserviamo in un determinato modo, allora vediamo determinati fenomeni.
La cosa in sé o noumeno é reale del tutto indipendentemente dalla realtà del mondo fenomenico e rispettivi soggetti (e secondo me anche per Kant questo ne spiega fra l' altro l' intersoggettività; limitata sua parte materiale).
Invece il "mondo fenomenico" inteso come l' insieme di tutte le realmente presenti, realmente passate, realmente future e le meramente potenziali (che accadrebbero, nel passato, nel presente e nel futuro puntualmente, inevitabilmente qualora si dessero le "opportune" condizioni di osservazione) é distinto dalle singole, particolari esperienze (presentemente in atto) vissute da ciascuno, le quali ne fanno parte (ma evidentemente non lo esauriscono), nonché da quelle passate e future (realmente tali) e da quelle meramente potenziali; e ulteriormente costituito anche da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità d fatto ne fanno comunque parte, almeno nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne épervepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente).

Beh, sì  :) qui credo di concordare. L'antinomia deriva proprio da qui, se ci fai caso. Per Kant, atomi e molecole sono parti del mondo fenomenico. Ma, visto che dovrebbero esistere indipendentemente dalle nostre sensazioni (di tutti!!!) allora per Kant esistono cose nel mondo fenomenico che sono indipendenti da tutte le sensazioni...
Tuttavia, ricadiamo in quello che dicevo io: secondo Kant qualcosa che esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") esiste indipendentemente dai soggetti. Onestamente, qui ci vedo un'antinomia ma non credo che insisterò su questo punto ancora per molto...


Preferisco illustrare meglio le mie convinzioni su questa questione che mi sembra centrale nel nostro tentativo di trovare un' intesa
Per me (e credo anche per Kant) il "mondo fenomenico (materiale)" é un' astrazione (operata dal pensiero) con la quale si intendono le sensazioni o fenomeni coscienti reali di fatto e anche potenziali, cioè quelli che (secondo la conoscenza scientifica; la quale si fonda, oltre che su osservazioni empiriche, anche su postulati indimostrabili e nemmeno empiricamente provabili: Hume!) puntualmente, inevitabilmente sarebbero reali ogniqualvolta che si compissero le "opportune" reali osservazioni, nonché da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità di fatto ne fanno comunque parte, nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne é percepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente: anche di esse -molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc- l' "esse est percipi", se non si hanno esperienze fenomeniche coscienti non esistono; ma invece unicamente esisterebbero -potenzialmente- solo nel caso esperienze fenomeniche coscienti accadessero).
Di esso ("mondo fenomenico" materiale) di effettivamente, attualmente reale vi sono solo e unicamente (gli insiemi e successioni de-) -le percezioni direttamente accadenti nell' ambito delle esperienze coscienti se e quando e fintato che effettivamente accadono in quanto tali. Il resto di esso non é reale se non potenzialmente: ossia é (sarebbe) reale come insiemi e successioni di percezioni solo se si compiono (compissero) le opportune osservazioni (altrimenti no); oppure come descrizione dei meccanismi ipotetici (non falsificati da osservazioni empiriche) che consentono di spiegare e calcolare il divenire naturale potenzialmente esperibile, anche al fine di prevederlo e di postvederlo (ovvero "ricostruire conoscitivamente come é accaduto nel passato nella sua potenziale esperibilità), nonché di ottenere -limitatamente- realizzazioni pratiche intenzionalmente volute applicando tali conoscenze, spiegazioni e calcoli nell' azione cosciente e finalizzata (se e quando possibile).
Tutto ciò si spiega egregiamente senza alcuna antinomia ipotizzando la realtà delle cose in sé o noumeno come esistente (questo sì -cioè le cose in sé o noumeno e solo esso- effettivamente reale indipendentemente dalle nostre sensazioni o fenomeni).

Apeiron

Citazione di: sgiombo il 12 Novembre 2018, 16:42:02 PM
Citazione di: Apeiron il 11 Novembre 2018, 12:43:34 PM
Concordo, il realismo trascendentale risolve l'antinomia in questo modo

CitazioneMa secondo me non é così che pensava Kant.
Secondo me parlava solo della conoscenza (in generale e in particolare scientifica) del "mondo fenomenico", che abbiamo anche quando non osserviamo nel senso che sappiamo che se osserviamo in un determinato modo, allora vediamo determinati fenomeni.
La cosa in sé o noumeno é reale del tutto indipendentemente dalla realtà del mondo fenomenico e rispettivi soggetti (e secondo me anche per Kant questo ne spiega fra l' altro l' intersoggettività; limitata sua parte materiale).
Invece il "mondo fenomenico" inteso come l' insieme di tutte le realmente presenti, realmente passate, realmente future e le meramente potenziali (che accadrebbero, nel passato, nel presente e nel futuro puntualmente, inevitabilmente qualora si dessero le "opportune" condizioni di osservazione) é distinto dalle singole, particolari esperienze (presentemente in atto) vissute da ciascuno, le quali ne fanno parte (ma evidentemente non lo esauriscono), nonché da quelle passate e future (realmente tali) e da quelle meramente potenziali; e ulteriormente costituito anche da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità d fatto ne fanno comunque parte, almeno nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne épervepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente).

Beh, sì  :) qui credo di concordare. L'antinomia deriva proprio da qui, se ci fai caso. Per Kant, atomi e molecole sono parti del mondo fenomenico. Ma, visto che dovrebbero esistere indipendentemente dalle nostre sensazioni (di tutti!!!) allora per Kant esistono cose nel mondo fenomenico che sono indipendenti da tutte le sensazioni...
Tuttavia, ricadiamo in quello che dicevo io: secondo Kant qualcosa che esiste nel "mondo fenomenico" (ovvero nella "nostra rappresentazione condivisa") esiste indipendentemente dai soggetti. Onestamente, qui ci vedo un'antinomia ma non credo che insisterò su questo punto ancora per molto...


Preferisco illustrare meglio le mie convinzioni su questa questione che mi sembra centrale nel nostro tentativo di trovare un' intesa
Per me (e credo anche per Kant) il "mondo fenomenico (materiale)" é un' astrazione (operata dal pensiero) con la quale si intendono le sensazioni o fenomeni coscienti reali di fatto e anche potenziali, cioè quelli che (secondo la conoscenza scientifica; la quale si fonda, oltre che su osservazioni empiriche, anche su postulati indimostrabili e nemmeno empiricamente provabili: Hume!) puntualmente, inevitabilmente sarebbero reali ogniqualvolta che si compissero le "opportune" reali osservazioni, nonché da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità di fatto ne fanno comunque parte, nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne é percepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente: anche di esse -molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc- l' "esse est percipi", se non si hanno esperienze fenomeniche coscienti non esistono; ma invece unicamente esisterebbero -potenzialmente- solo nel caso esperienze fenomeniche coscienti accadessero).
Di esso ("mondo fenomenico" materiale) di effettivamente, attualmente reale vi sono solo e unicamente (gli insiemi e successioni de-) -le percezioni direttamente accadenti nell' ambito delle esperienze coscienti se e quando e fintato che effettivamente accadono in quanto tali. Il resto di esso non é reale se non potenzialmente: ossia é (sarebbe) reale come insiemi e successioni di percezioni solo se si compiono (compissero) le opportune osservazioni (altrimenti no); oppure come descrizione dei meccanismi ipotetici (non falsificati da osservazioni empiriche) che consentono di spiegare e calcolare il divenire naturale potenzialmente esperibile, anche al fine di prevederlo e di postvederlo (ovvero "ricostruire conoscitivamente come é accaduto nel passato nella sua potenziale esperibilità), nonché di ottenere -limitatamente- realizzazioni pratiche intenzionalmente volute applicando tali conoscenze, spiegazioni e calcoli nell' azione cosciente e finalizzata (se e quando possibile).
Tutto ciò si spiega egregiamente senza alcuna antinomia ipotizzando la realtà delle cose in sé o noumeno come esistente (questo sì -cioè le cose in sé o noumeno e solo esso- effettivamente reale indipendentemente dalle nostre sensazioni o fenomeni).


Sgiombo,

posta così la tua spiegazione di Kant mi torna... con la seguente precisazione però.

Per Berkeley, imputare alla "materia" il ruolo di causalità delle sensazioni era problematico (infatti, per Berkeley, l'assunzione della materia era inutile). Per Kant, è necessario per la Ragion Pura identificare nella "materia" la causa delle "sensazioni materiali". In altri termini, la Ragion Pura implica che esistano "entità non direttamente percepibili" che causano l'insorgenza delle "sensazioni materiali" (mere sensazioni visive, uditive, tattili, olfattive e gustative). La scienza è fondata perché è possibile sempre "fare test" empirici delle teorie.
Quindi l'insorgenza delle sensazioni citate poco fa è necessariamente spiegata dalla presenza di "oggetti esterni".
Questi "oggetti esterni" sono però parte della rappresentazione, perché sono "costruiti" dall'applicazione delle "forme e categorie" a-priori all'esperienza sensoriale.  
Chiaramente, questi "oggetti esterni" sono per la Ragion Pura, ontologicamente indipendenti da noi. Tuttavia, allo stesso tempo, noi possiamo conoscerli solo in quanto rappresentazioni.

Questo però non ci garantisce che, strettamente parlando, gli "oggetti esterni" sono veramente come implica l'applicazione delle "forme e categorie" all'esperienza sensoriale. Questa è la "chiave" del discorso (e credo che stavolta ci siamo capiti, anche senza questa precisazione). Quindi, "come è la realtà indipendentemente da noi" è una domanda che non ha una vera risposta. In pratica, rimane indeterminata (su tale "realtà" sono possibili solo speculazioni).

Ora è ben chiaro che questo tipo di ragionamento rischia di degenerare in un solipsismo o in una "armonia prestabilita" alla Leibniz.Non a caso, sia Kant che Schopenhauer sembrano essere convinti che "in qualche modo" (non saprei dirti come) la "rappresentazione" è pubblica. Ovvero: la rappresentazione non è veramente "mia", ma "nostra" (questo è un punto di difficoltà della filosofia Kantiana).
Ergo, la "Cosa in Sé" potrebbe anche essere, per esempio, totalmente diversa da come la immaginiamo (la nostra immaginazione, in fin dei conti, si basa sulle sensazioni e sui concetti...). Per esempio, la filosofia di Galileo implicava che la "Cosa in Sé" era formata da oggetti con forme geometriche. In realtà, potrebbe essere tutt'altro (la filosofia Kantiana perciò non fa proclami su come è la "Cosa in sé" - Schopenhauer sì)...

Ora... tu mi chiederai perché Apeiron che, presumibilmente crede nella ricerca scientifica si dice "affascinato" da questo tipo di ragionamento? Beh, peri esempio trovo qualcosa di analogo, per certi versi, nella Meccanica Quantistica.

In molte interpretazioni della Meccanica Quantistica, le particelle non-osservate hanno caratteristiche indeterminate (ovvero: non hanno posizione, velocità ecc - ovvero non si può descriverle secondo qualità classiche...). Prendiamo per esempio l'interpretazione di Bohr. Fino a quando il sistema quantistico non interagisce con un sistema classico (cioè fino a quando il sistema quantistico non interagisce causalmente col sistema classico) non è possibile imputare le "qualità classiche" al sistema quantistico. Se ciò fosse vero (so che per te non è così, ma cerca di seguirmi...), allora si arriverebbe al punto per cui le "qualità classiche" (che sono ciò che rendono il nostro mondo "classico" comprensibile) non sono applicabili al "mondo quantistico".
Il "problema" della filosofia di Bohr è che in tutto ciò, c'è una separazione tra il "mondo classico" e il "mondo quantistico". Nel mondo classico, tutto ha posizioni, velocità ecc definite in ogni istante. Nel mondo quantistico ciò si può dire solo quando c'è l'interazione (in pratica, per così dire, quando il sistema quantistico "entra in relazione" con quello classico).
Bohm cerca di "riempire il buco" ammettendo che le particelle hanno sempre posizioni definite (altre proprietà, però, come lo spin, nella interpretazione di Bohm, sono proprietà della funzione d'onda). Bohr però, dice: "Bohm, potresti aver ragione. Però, nella meccanica quantistica non c'è niente che necessariamente implica che le particelle abbiano sempre posizioni precise". Lo status delle "qualità classiche" di un sistema fisico è indeterminato. Il parallelo tra Bohr e Kant con Kant è che il "mondo quantistico" slegato dalle interazioni con il mondo classico è "indeterminato" (così come la "Cosa in sé" è indeterminata).

Bohr ovviamente non ha mai detto che è la coscienza a "far collassare l'onda" (lo hanno detto fisici del calibro di Wigner, Wheeler...). Secondo questi fisici, quindi, è proprio la presenza della coscienza a "far collassare l'onda" e, quindi, a distinguere, in ultima analisi, tra il mondo classico e quantistico. Se ciò fosse vero, allora effettivamente sarebbe qualcosa di simile a Kant (la differenza, ovviamente, è che in Kant la coscienza non ha una ruolo ontologico sugli "oggetti classici" ma solo epistemologico...). Inoltre, Dieter Zeh pur usando la "decoerenza" per evitare il collasso (cosa usata anche da Bohm) ha introdotto l'interpretazione "a molte menti" che è una modifica di quella a "molti mondi" (non sono un esperto, ma il nome dice tutto) - (ci sono anche alcuni proponenti di quella a molti mondi che danno un ruolo preferenziale alla coscienza per spiegare il motivo per cui il mondo classico ci appare classico (evitando il problema "preferred basis" - della base preferenziale) che è tuttora irrisolto dalla teoria... non sono un esperto neanche di questo, quindi potrei dire inesattezze se mi mettessi a spiegare)

Come vedi, l'idea sembra tornare. Sotto altri aspetti torna anche in Rovelli (anche se, per lui, la coscienza non ha un ruolo fondamentale...). Dunque, ci deve essere secondo me qualcosa di "vero" in questo tipo di ragionamento  :) (ovviamente, tu dissenti sulla meccanica quantistica con me, Bohr, Rovelli ecc per non parlare di Wheeler ecc...)


Riguardo alla "irragionevole efficacia della matematica nella scienza naturale" (espressione di Wigner), non so cosa dirti. Per me non è a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: può essere non ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi). E non stavo parlando di te, ma del realista diretto, per il quale, possiamo osservare direttamente la "realtà indipendente dalle rappresentazioni" (se per te non è un fatto "meraviglioso" ma è "ovvio", non posso far altro che dissentire. Non credo che saprò convincerti con altre parole)...


Sulla questione della Ragion Pratica, non capisco come, secondo te, una "credenza vera" sia una conoscenza (non direi che è così, perchè la credenza vera è un'ipotesi vera - non una "conoscenza"). Per esempio, se Dio esiste, un conto è crede che esiste (in questo caso ipotesi vera), un conto è assistere ad una Rivelazione.


Ciao!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2018, 19:39:21 PM


Riguardo alla "irragionevole efficacia della matematica nella scienza naturale" (espressione di Wigner), non so cosa dirti. Per me non è a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: può essere non ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi). E non stavo parlando di te, ma del realista diretto, per il quale, possiamo osservare direttamente la "realtà indipendente dalle rappresentazioni" (se per te non è un fatto "meraviglioso" ma è "ovvio", non posso far altro che dissentire. Non credo che saprò convincerti con altre parole)...


Effettivamente, sgiombo, quesa parte si applica anche alla tua metafisica (tra l'altro sia al mondo fenomenico che al mondo noumenico, ammettendo che entrambi abbiano regolarità comprensibili - nel tuo caso vale anche per quello fenomenico visto che non accetti la teoria kantiana delle categorie e forme a-priori).

Ma, se non sono riuscito a convincerti del fatto che quella cosa non è scontata, non penso di riuscirci con altre spiegazioni.

Buona serata  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2018, 19:39:21 PM
Sgiombo,

posta così la tua spiegazione di Kant mi torna... con la seguente precisazione però.

Per Berkeley, imputare alla "materia" il ruolo di causalità delle sensazioni era problematico (infatti, per Berkeley, l'assunzione della materia era inutile). Per Kant, è necessario per la Ragion Pura identificare nella "materia" la causa delle "sensazioni materiali". In altri termini, la Ragion Pura implica che esistano "entità non direttamente percepibili" che causano l'insorgenza delle "sensazioni materiali" (mere sensazioni visive, uditive, tattili, olfattive e gustative). La scienza è fondata perché è possibile sempre "fare test" empirici delle teorie.
Quindi l'insorgenza delle sensazioni citate poco fa è necessariamente spiegata dalla presenza di "oggetti esterni".
CitazioneMa questi oggetti esterni alle sensazioni o fenomeni non possono che essere cose in sé o noumeno.

(Non mi sbilancerei su Kant, dati i forti limiti delle mie conoscenze in proposito, ma per quanto modestissimamente mi riguarda) il concetto di "causa" in senso stretto o forte (implicante la calcolabilità -letterale, matematica- degli effetti) é applicabile solo ai fenomeni materiali ( o "mondo fenomenico materiale").





Questi "oggetti esterni" sono però parte della rappresentazione, perché sono "costruiti" dall'applicazione delle "forme e categorie" a-priori all'esperienza sensoriale.  
Chiaramente, questi "oggetti esterni" sono per la Ragion Pura, ontologicamente indipendenti da noi. Tuttavia, allo stesso tempo, noi possiamo conoscerli solo in quanto rappresentazioni.
CitazioneAllora, se sono ontologicamente indipendenti da noi e dalla nostra esperienza cosciente, sono noumeno, non appartengono al "mondo fenomenico".

Noi possiamo sentire (e conseguentemente conoscere) le rappresentazioni sensibili ovvero i fenomeni e non le cose in sé che attraverso le rappresentazioni fenomeniche ci si manifestano.





Questo però non ci garantisce che, strettamente parlando, gli "oggetti esterni" sono veramente come implica l'applicazione delle "forme e categorie" all'esperienza sensoriale. Questa è la "chiave" del discorso (e credo che stavolta ci siamo capiti, anche senza questa precisazione). Quindi, "come è la realtà indipendentemente da noi" è una domanda che non ha una vera risposta. In pratica, rimane indeterminata (su tale "realtà" sono possibili solo speculazioni).

Ora è ben chiaro che questo tipo di ragionamento rischia di degenerare in un solipsismo o in una "armonia prestabilita" alla Leibniz.Non a caso, sia Kant che Schopenhauer sembrano essere convinti che "in qualche modo" (non saprei dirti come) la "rappresentazione" è pubblica. Ovvero: la rappresentazione non è veramente "mia", ma "nostra" (questo è un punto di difficoltà della filosofia Kantiana).
CitazionePerché si può postulare che la rappresentazione fenomenica materiale sia intersoggettiva: corrispondente fra le diverse esperienze coscienti dei diversi soggetti in quanto corrispondente alle medesime, identiche cose in sé o noumeno; e a condizione che sia vero questo postulato indimostrabile.





Ergo, la "Cosa in Sé" potrebbe anche essere, per esempio, totalmente diversa da come la immaginiamo (la nostra immaginazione, in fin dei conti, si basa sulle sensazioni e sui concetti...). Per esempio, la filosofia di Galileo implicava che la "Cosa in Sé" era formata da oggetti con forme geometriche. In realtà, potrebbe essere tutt'altro (la filosofia Kantiana perciò non fa proclami su come è la "Cosa in sé" - Schopenhauer sì)...
CitazioneNon credo che Galileo parlasse di "cose in sé (in senso kantiano per lo meno); si interessava di fenomeni materiali.
Apprezzo la prudenza di Kant, non l' avventatezza di Shopenhauer.





Ora... tu mi chiederai perché Apeiron che, presumibilmente crede nella ricerca scientifica si dice "affascinato" da questo tipo di ragionamento? Beh, peri esempio trovo qualcosa di analogo, per certi versi, nella Meccanica Quantistica.

In molte interpretazioni della Meccanica Quantistica, le particelle non-osservate hanno caratteristiche indeterminate (ovvero: non hanno posizione, velocità ecc - ovvero non si può descriverle secondo qualità classiche...). Prendiamo per esempio l'interpretazione di Bohr. Fino a quando il sistema quantistico non interagisce con un sistema classico (cioè fino a quando il sistema quantistico non interagisce causalmente col sistema classico) non è possibile imputare le "qualità classiche" al sistema quantistico. Se ciò fosse vero (so che per te non è così, ma cerca di seguirmi...), allora si arriverebbe al punto per cui le "qualità classiche" (che sono ciò che rendono il nostro mondo "classico" comprensibile) non sono applicabili al "mondo quantistico".
Il "problema" della filosofia di Bohr è che in tutto ciò, c'è una separazione tra il "mondo classico" e il "mondo quantistico". Nel mondo classico, tutto ha posizioni, velocità ecc definite in ogni istante. Nel mondo quantistico ciò si può dire solo quando c'è l'interazione (in pratica, per così dire, quando il sistema quantistico "entra in relazione" con quello classico).
Bohm cerca di "riempire il buco" ammettendo che le particelle hanno sempre posizioni definite (altre proprietà, però, come lo spin, nella interpretazione di Bohm, sono proprietà della funzione d'onda). Bohr però, dice: "Bohm, potresti aver ragione. Però, nella meccanica quantistica non c'è niente che necessariamente implica che le particelle abbiano sempre posizioni precise". Lo status delle "qualità classiche" di un sistema fisico è indeterminato. Il parallelo tra Bohr e Kant con Kant è che il "mondo quantistico" slegato dalle interazioni con il mondo classico è "indeterminato" (così come la "Cosa in sé" è indeterminata).
CitazioneA parte il fatto che (da "non addetto ai lavori") respingo l' interpretazione conformistica della M Q,  quella fra essa e la concezione kantiana (e si parva licet mia) dei rapporti fenomeni - noumeno  mi sembra una semplice analogia: gli enti ed eventi quantistici, anche nell' interpretazione corrente, sono pur sempre del tutto interni al "mondo fenomenico".

Bohm risponde a Bohr: "nella meccanica quantistica non c'è niente che necessariamente implica che le particelle non abbiano sempre -anche quando non osservate- posizioni precise, per quanto non conoscibili unitamente alle loro velocità precise; ma conoscibili singolarmente sia le une che le altre, entrambe. E perché qualcosa possa essere conosciuta essere reale (in ogni e qualsiasi istante in cui la si osservi; come lo sono -sia pure separatamente le une dalle altre, fatto ontologicamente del tutto irrilevante- entrambe le grandezze delle coppie correlate dal pr. di ind. di Heisenberg), allora tale qualcosa deve innanzitutto esserci, deve essere reale; ergo: devono essere reali entrambe in ogni e qualsiasi istante").





Bohr ovviamente non ha mai detto che è la coscienza a "far collassare l'onda" (lo hanno detto fisici del calibro di Wigner, Wheeler...). Secondo questi fisici, quindi, è proprio la presenza della coscienza a "far collassare l'onda" e, quindi, a distinguere, in ultima analisi, tra il mondo classico e quantistico. Se ciò fosse vero, allora effettivamente sarebbe qualcosa di simile a Kant (la differenza, ovviamente, è che in Kant la coscienza non ha una ruolo ontologico sugli "oggetti classici" ma solo epistemologico...)
CitazioneMI pare una differenza abissale...





. Inoltre, Dieter Zeh pur usando la "decoerenza" per evitare il collasso (cosa usata anche da Bohm) ha introdotto l'interpretazione "a molte menti" che è una modifica di quella a "molti mondi" (non sono un esperto, ma il nome dice tutto) - (ci sono anche alcuni proponenti di quella a molti mondi che danno un ruolo preferenziale alla coscienza per spiegare il motivo per cui il mondo classico ci appare classico (evitando il problema "preferred basis" - della base preferenziale) che è tuttora irrisolto dalla teoria... non sono un esperto neanche di questo, quindi potrei dire inesattezze se mi mettessi a spiegare)
CitazioneIl povero Guglielmo di Ockam si sta rigirando disperatamente nella tomba come una trottola!

Lungi da me queste farneticazioni irrazionalistiche!

I miti dei preti e degli stregoni sono almeno più pittoreschi, letterariamente più pregevoli.





Come vedi, l'idea sembra tornare. Sotto altri aspetti torna anche in Rovelli (anche se, per lui, la coscienza non ha un ruolo fondamentale...). Dunque, ci deve essere secondo me qualcosa di "vero" in questo tipo di ragionamento  :) (ovviamente, tu dissenti sulla meccanica quantistica con me, Bohr, Rovelli ecc per non parlare di Wheeler ecc...)
CitazioneEsatto.






Riguardo alla "irragionevole efficacia della matematica nella scienza naturale" (espressione di Wigner), non so cosa dirti. Per me non è a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: può essere non ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi). E non stavo parlando di te, ma del realista diretto, per il quale, possiamo osservare direttamente la "realtà indipendente dalle rappresentazioni" (se per te non è un fatto "meraviglioso" ma è "ovvio", non posso far altro che dissentire. Non credo che saprò convincerti con altre parole)...
CitazioneMa nemmeno é a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni non debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: perché mai non dovrebbe essere ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi).
Purché non autocontraddittoria, qualsiasi ipotesi a priori sul mondo reale potrebbe essere tanto vera quanto falsa (potrebbe essere tanto confermata quanto falsificata dall' osservazione empirica a posteriori dei fatti).






Sulla questione della Ragion Pratica, non capisco come, secondo te, una "credenza vera" sia una conoscenza (non direi che è così, perchè la credenza vera è un'ipotesi vera - non una "conoscenza"). Per esempio, se Dio esiste, un conto è crede che esiste (in questo caso ipotesi vera), un conto è assistere ad una Rivelazione.
CitazioneUna credenza (vera o falsa) é una conoscenza per definizione.
E una credenza vera é una conoscenza vera per definizione.
Per esempio se credo che morirò fra pochi mesi non perché mi é stata fatta scientificamente, correttamente una diagnosi di malattia con prognosi infausta a breve (se fossi superstizioso mi toccherei gli attributi o farei le corna; ma non lo sono) ma perché me l' ha detto l' astrologo (che ovviamente ci ha imbroccato per puro culo!), non per questo la mia credenza che morirò presto non é una conoscenza vera (casomai non la sarebbe se fossi sano come un pesce ...e neanche con certezza).

...Ma sù con la vita (anche se può sempre finire da un momento all' altro)!

Ciao!


sgiombo

Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2018, 21:23:25 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2018, 19:39:21 PM


Riguardo alla "irragionevole efficacia della matematica nella scienza naturale" (espressione di Wigner), non so cosa dirti. Per me non è a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: può essere non ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi). E non stavo parlando di te, ma del realista diretto, per il quale, possiamo osservare direttamente la "realtà indipendente dalle rappresentazioni" (se per te non è un fatto "meraviglioso" ma è "ovvio", non posso far altro che dissentire. Non credo che saprò convincerti con altre parole)...


Effettivamente, sgiombo, quesa parte si applica anche alla tua metafisica (tra l'altro sia al mondo fenomenico che al mondo noumenico, ammettendo che entrambi abbiano regolarità comprensibili - nel tuo caso vale anche per quello fenomenico visto che non accetti la teoria kantiana delle categorie e forme a-priori).

Ma, se non sono riuscito a convincerti del fatto che quella cosa non è scontata, non penso di riuscirci con altre spiegazioni.

Buona serata  :)
Effettivamente al meraviglia é un sentimento alquanto soggettivo: o la si prova (nel senso di "si sente, si avverte"), o non la si prova; ma non la si può dimostrare

Buona serata anche a te

Ipazia

Citazione di: Apeiron il 11 Novembre 2018, 12:43:34 PM


  • "Teoria della verità come corrispondenza" = la "verità" è ciò che corrisponde alla "realtà"
  • "Teoria della verità come coerenza" = la "verità" è ciò che è coerente con un determinato insieme di proposizioni che fanno da "assiomi".
cosa scegli? se per te è vera la seconda, allora una risposta del tipo "La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco." la considero una vera risposta. Il problema è che - a meno che non si appoggi una qualche forma di idealismo - è difficile evitare l'antinomia di cui parlo....
...
Dunque, ricapitolando: primo: appoggi la teoria della coerenza della verità o quella della corrispondenza? secondo: perché dunque il mondo è comprensibile, secondo te se ritieni che la scienza ci dice verità che vanno oltre le nostre rappresentazioni? terzo: le entità inosservabili empiricamente postulate dalla scienza secondo te esistono in modo indipendente da noi o no?  :)

Riguardo alla seconda domanda,  va benissimo dire "non lo so". Quello che non mi va bene è dire "è ovvio che sia così" perché non è ovvio, visto che a priori la realtà potrebbe essere incomprensibile.

Onestamente non ho capito la tua posizione. Metà delle cose che dici suggeriscono che tu, effettivamente, proponi teoria della coerenza. L'altra metà invece suggerisce che tu, invece, proponi una teoria della corrispondenza. O, in altre parole, da una parte sembra che tu dici che la "cosa in sé" è qualcosa di inconoscibile (o addirittura inesistente) e dall'altra sembra che invece tale "cosa in sé" è, oltre che esistente, conoscibile.

Sposo entrambe le teorie perchè la "realtà" è intermediata da un antropomorfismo che la assiomatizza. E lo fa così bene, nella koinè scientifica, da adeguare il mezzo conoscitivo all'oggetto della conoscenza. Pensarla così mi libera dal concetto "duro" di verità, senza rinunciare a quello pratico di adeguamento della narrazione ai fatti, così come li definisce LW nel Tractatus.

Seconda domanda: Ovvio che NO. Non esiste una verità che vada oltre le nostre rappresentazioni. Eventualmente esiste una realtà oltre, ma non è verità di scienza fino alla sua verifica sperimentale. La scienza è la migliore tecnica conoscitiva, ma è farina del nostro sacco. Avessimo 12 dita, forse il nostro cervello funzionerebbe meglio con un sistema di enumerazione dodecadecimale.

Terza domanda: scommetto di sì. E visto come si comportano praticamente coloro che scommettono di no, sono certa di vincere la scommessa. Lasciando loro solo la soddisfazione di uno sterile sofisma.

La cosa-in-sè è più che inconoscibile: è inesistente. Hai ragione tu sull'antinomia di Kant. Postulare "ontologicamente" qualcosa di inconoscibile non fonda scienza, ma religione. Esiste solo la cosa-per-noi fenomenologica su cui possiamo testare rigorosamente, attraverso un metodo, i nostri criteri asseverativi. Ed è quello che fa pure Carlo Rovelli: tutto è meta-fisica, anche la scienza. Mi sta bene la definizione della scienza come ontologia relazionale, in quanto l'esperienza ci dimostra che tutto è interattivo tra enti e fatti. Quando ciò pare non accadere, come nell'entanglement, si aprono nuove frontiere all'episteme, ma siamo così bravi, che anche senza spiegarci un fenomeno che sconvolge tutte le nostre teorie di causa-effetto, lo sfruttiamo ugualmente nei calcolatori quantistici. Così come guidiamo l'auto senza sapere com'è fatta. E questo ci fa capire pure la differenza tra il metafisico Platone e lo scienziato Rovelli: il differenziale metafisico tra i due è che il primo postula il mondo delle idee, ante rem, mentre Rovelli inserisce la ricerca fondamentale in un ipotetico paradigma post rem sulla base di pregresse conoscenze di tipo sperimentale e comunque da sottoporre a verifica dello stesso tipo di certificabilità. Insomma, la scienza non ipostatizza la cima della montagna avvolta da nubi, come fa Kant, sapendo che potrebbe non esserci alcuna cima, ma qualcosa di inusitato, inimmaginabile. La (cono)scienza, non affetta dai pregiudizi aprioristici della vecchia metafisica, si limita a diradare la nube formulando ipotesi atte allo scopo. Il cui contenuto di verità non lo decidono i sofismi e le cattedre, ma la nube.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Ipazia. Un secondo applauso.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Apeiron

Sgiombo,

CitazioneMa questi oggetti esterni alle sensazioni o fenomeni non possono che essere cose in sé o noumeno.

(Non mi sbilancerei su Kant, dati i forti limiti delle mie conoscenze in proposito, ma per quanto modestissimamente mi riguarda) il concetto di "causa" in senso stretto o forte (implicante la calcolabilità -letterale, matematica- degli effetti) é applicabile solo ai fenomeni materiali ( o "mondo fenomenico materiale").

In realtà, non vedo perché definire il concetto di causa in modo così ristretto se non si assume già in partenza che il determinismo sia vero. Per esempio, un "Copenaghista" può dire che l'interazione "apparato strumentale"-"sistema quantistico" causa l'attualizzarsi di una determinata probabilità anche se, effettivamente, in questo caso il risultato è random. 

CitazioneAllora, se sono ontologicamente indipendenti da noi e dalla nostra esperienza cosciente, sono noumeno, non appartengono al "mondo fenomenico".

Noi possiamo sentire (e conseguentemente conoscere) le rappresentazioni sensibili ovvero i fenomeni e non le cose in sé che attraverso le rappresentazioni fenomeniche ci si manifestano.

"Nì"  ;D (lasciami rispiegare la cosa in altro modo):
per Kant la  ragion pura, per "spiegare" l'insorgenza delle sensazioni assume che "oggetti esterni" interagiscano con gli organi di senso. Chiaramente, questi oggetti esterni non esistono dipendentemente da noi (per quanto "sostiene" la "ragion pura"). Tuttavia, le forme e le categorie "a priori" costituiscono la "struttura" della rappresentazione. Quindi gli "oggetti esterni" come "previsti" (per la mancanza di un termine migliore) dalla ragion pura sono parte della rappresentazione. Quindi, a rigore, lo status ontologico ed epistemologico rimane indeterminato (Kant sosteneva che lo status ontologico era determinato dalla sua positiva - da quanto mi ricordo. Ma, in realtà, non lo è affatto...). Quindi, non sappiamo né se la "cosa in sé" c'è  né "come è fatta", se c'è. Infatti, la sua "presenza" è "prevista" dalla Ragion Pura. Inoltre, non c'è alcuna "garanzia" che, in caso "esistesse", la cosa in sé è come quella "prevista" dalla ragion pura  :) Ti torna un po' meglio così? L'"antinomia" deriva proprio dal fatto che per rendere la rappresentazione sensata si devono "prevedere" oggetti esterni, i quali però non dovrebbero essere "conoscibili" visto che non sono contenuti dell'esperienza cosciente...

CitazionePerché si può postulare che la rappresentazione fenomenica materiale sia intersoggettiva: corrispondente fra le diverse esperienze coscienti dei diversi soggetti in quanto corrispondente alle medesime, identiche cose in sé o noumeno; e a condizione che sia vero questo postulato indimostrabile.


Certo. E volendo, potrebbero esserci solo coscienze "a la Berkeley" (e anche Leibniz), quindi non necessariamente si deve postulare "l'esistenza della cosa in sé"... Da come leggo la cosa, in pratica, la filosofia Kantiana per essere consistente non dovrebbe dire niente sul noumeno.
Quindi, forse, è sufficiente postulare che "rappresentazione fenomenica materiale sia intersoggettiva" senza "spingersi" sul noumeno. 

CitazioneNon credo che Galileo parlasse di "cose in sé (in senso kantiano per lo meno); si interessava di fenomeni materiali.
Apprezzo la prudenza di Kant, non l' avventatezza di Shopenhauer.

Direi che, invece, Galileo parlava di "cose in sé" visto che per lui tolte le "qualità secondarie" (colori, suoni...) rimanevano le "qualità primarie" (chiaramente, nella tua "metafisica" Galileo si occupava di fenomeni materiali...), tant'è che usando l'analogia del libro (citata da Ipazia) per lui l'universo era stato "disegnato" da Dio matematicamente.
Anche a me qui Kant sembra più coerente di Schopenhauer. Schopenhauer, attraverso un approccio "meditativo" incentrato sul corpo (che era un fenomeno "speciale") ha concluso che è la Volontà a "muovere" la materia (e le menti...) - il termine "volontà" però è un po' fuorviante, visto che è più un "movimento direzionato" nella sua manifestazione più semplice (ovvero nelle cose materiali che seguono le "leggi della natura"). Inoltre, poi Schopenhauer arriva a dire che la Volontà è al di là del mutamento, cosa che è abbastanza discutibile (come fa un "movimento direzionato" ad essere al di là del mutamento?  ::)  :-\ )   

CitazioneA parte il fatto che (da "non addetto ai lavori") respingo l' interpretazione conformistica della M Q,  quella fra essa e la concezione kantiana (e si parva licet mia) dei rapporti fenomeni - noumeno  mi sembra una semplice analogia: gli enti ed eventi quantistici, anche nell' interpretazione corrente, sono pur sempre del tutto interni al "mondo fenomenico".

Bohm risponde a Bohr: "nella meccanica quantistica non c'è niente che necessariamente implica che le particelle non abbiano sempre -anche quando non osservate- posizioni precise, per quanto non conoscibili unitamente alle loro velocità precise; ma conoscibili singolarmente sia le une che le altre, entrambe. E perché qualcosa possa essere conosciuta essere reale (in ogni e qualsiasi istante in cui la si osservi; come lo sono -sia pure separatamente le une dalle altre, fatto ontologicamente del tutto irrilevante- entrambe le grandezze delle coppie correlate dal pr. di ind. di Heisenberg), allora tale qualcosa deve innanzitutto esserci, deve essere reale; ergo: devono essere reali entrambe in ogni e qualsiasi istante").

Concordo con entrambe le osservazioni  ;)


CitazioneMI pare una differenza abissale...

Hai ragione, ho parlato di "analogia" perché c'è un ruolo "preferenziale" della coscienza (nel caso dell'interpretazione a molti mondi, se la coscienza "sceglie" la base preferenziale si potrebbe discutere di una similitudine un po' più forte, però...)...

CitazioneIl povero Guglielmo di Ockam si sta rigirando disperatamente nella tomba come una trottola!

Lungi da me queste farneticazioni irrazionalistiche!

I miti dei preti e degli stregoni sono almeno più pittoreschi, letterariamente più pregevoli.

Sì, non piace nemmeno a me l'idea dei "molti mondi"  ;D eppure è una delle più diffuse interpretazioni della M.Q.



Citazione
Ma nemmeno é a-priori scontato che il mondo "al di là" delle nostre rappresentazioni non debba per forza essere "comprensibile" (ovvero: perché mai non dovrebbe essere ordinato oppure ordinato ed incomprensibile per noi).
Purché non autocontraddittoria, qualsiasi ipotesi a priori sul mondo reale potrebbe essere tanto vera quanto falsa (potrebbe essere tanto confermata quanto falsificata dall' osservazione empirica a posteriori dei fatti).

Certo... ma tali "regolarità comprensibili" sono inspiegabili (se ci si ferma qui senza fare ipotesi sul motivo della loro presenza, si deve essere "agnostici" sull'eventuale "ragione" della loro presenza...). Da qui la mia meraviglia  :)


CitazioneUna credenza (vera o falsa) é una conoscenza per definizione.
E una credenza vera é una conoscenza vera per definizione.
Per esempio se credo che morirò fra pochi mesi non perché mi é stata fatta scientificamente, correttamente una diagnosi di malattia con prognosi infausta a breve (se fossi superstizioso mi toccherei gli attributi o farei le corna; ma non lo sono) ma perché me l' ha detto l' astrologo (che ovviamente ci ha imbroccato per puro culo!), non per questo la mia credenza che morirò presto non é una conoscenza vera (casomai non la sarebbe se fossi sano come un pesce ...e neanche con certezza).

...Ma sù con la vita (anche se può sempre finire da un momento all' altro)!

Beh, capisco cosa vuoi dire...ma...

posso "credere" che domani mattina sorgerà il Sole. Se domani mattina effettivamente osservo che è sorto il Sole, allora confermerò la mia ipotesi. Quindi mentre oggi posso credere che domani sorgerà il Sole ma non so che questo è vero (e non è una "definizione condivisa"... Platone per esempio nel Teeteto ha argomentato contro quella definizione. Ovviamente, non sto dicendo che Platone ha ragione, ma è solo per fare un esempio di dissenso (tra l'altro, incredibilmente, Platone in quel dialogo arriva ad un'aporia, ovvero non riesce a dare una definizione di "conoscenza" e non cita nemmeno le "Forme"...)...)...

Ciao!

Ipazia,


CitazioneSposo entrambe le teorie perchè la "realtà" è intermediata da un antropomorfismo che la assiomatizza. E lo fa così bene, nella koinè scientifica, da adeguare il mezzo conoscitivo all'oggetto della conoscenza. Pensarla così mi libera dal concetto "duro" di verità, senza rinunciare a quello pratico di adeguamento della narrazione ai fatti, così come li definisce LW nel Tractatus. 

Anche io sono per "sposarle" entrambe (che sono "vere", secondo me, nei loro rispettivi ambiti di validità - perdona il gioco di parole...). Se parli di "fatti" parli della "verità" (anzi della Verità), visto che in questo caso conoscere i fatti significa "conoscere la realtà" (e quindi, dire il vero se le parole corrispondono ai fatti...). Tu non sei relativista. Non capisco perché usare il linguaggio che usano i relativisti quando non lo si è (non sei l'unica che lo fa...basterebbe dire, ad esempio, che "la "Realtà" è troppo complicata da comprendere concettualmente e quindi possiamo avere solo approssimazioni" o cose simili)...


CitazioneLa cosa-in-sè è più che inconoscibile: è inesistente. Hai ragione tu sull'antinomia di Kant. Postulare "ontologicamente" qualcosa di inconoscibile non fonda scienza, ma religione. Esiste solo la cosa-per-noi fenomenologica su cui possiamo testare rigorosamente, attraverso un metodo, i nostri criteri asseverativi. Ed è quello che fa pure Carlo Rovelli: tutto è meta-fisica, anche la scienza. Mi sta bene la definizione della scienza come ontologia relazionale, in quanto l'esperienza ci dimostra che tutto è interattivo tra enti e fatti. Quando ciò pare non accadere, come nell'entanglement, si aprono nuove frontiere all'episteme, ma siamo così bravi, che anche senza spiegarci un fenomeno che sconvolge tutte le nostre teorie di causa-effetto, lo sfruttiamo ugualmente nei calcolatori quantistici. Così come guidiamo l'auto senza sapere com'è fatta. E questo ci fa capire pure la differenza tra il metafisico Platone e lo scienziato Rovelli: il differenziale metafisico tra i due è che il primo postula il mondo delle idee, ante rem, mentre Rovelli inserisce la ricerca fondamentale in un ipotetico paradigma post rem sulla base di pregresse conoscenze di tipo sperimentale e comunque da sottoporre a verifica dello stesso tipo di certificabilità. Insomma, la scienza non ipostatizza la cima della montagna avvolta da nubi, come fa Kant, sapendo che potrebbe non esserci alcuna cima, ma qualcosa di inusitato, inimmaginabile. La (cono)scienza, non affetta dai pregiudizi aprioristici della vecchia metafisica, si limita a diradare la nube formulando ipotesi atte allo scopo. Il cui contenuto di verità non lo decidono i sofismi e le cattedre, ma la nube.


Se assumi che la "cosa in sé" non esiste, devi ammettere che non c'è niente di "esterno" alle coscienze (e le loro rappresentazioni quindi...), quindi scivoli nell'idealismo... Concordo che Kant ha assunto che ci fosse qualcosa in mezzo alle nubi (sarebbe stato più coerente a dire che lo status ontologico della cosa in sé è indeterminato...). Rovelli, assume anche lui la "cosa in sé", visto che nella sua interpretazione della meccanica quantistica (i fisici più pragmatici bollano tutte le "interpretazioni" con il termine "metafisica" perché non è possibile distinguerle sperimentalmente. Quindi, come vedi, il termine metafisica è abbastanza "abusato"...). 
Riguardo all'interpretazione di Rovelli, nello specifico, concordo con te che è un'interpretazione molto promettente che sembra andare "nel verso giusto". D'altro canto, c'è un elemento molto "universalistico" nella teoria di Rovelli (non sostenuto dall'interpretazione di Copenaghen) ovvero che la meccanica quantistica (o meglio, le sue estensioni) spiegano tutti i fenomeni fisici. Quindi, oltre a "relativizzare" i valori delle grandezze fisiche è anche molto "unificatrice". 

Platone ha cercato di spiegare la presenza di regolarità dei fenomeni (anzi, della materia-in-sé visto per lui non c'erano "rappresentazioni"...) con la Teoria delle Forme (e addirittura nel Parmenide arriva a metterla in dubbio). Certamente, non era uno scienziato ma, al contempo, uno scienziato non può spiegare il "motivo" della presenza delle regolarità (comprensibili). Quindi, la tua avversione alla "vecchia metafisica" mi pare piuttosto esagerata. Come dicevo anche ad altri, il solo fatto di appoggiare il platonismo (magari come "ipotesi di lavoro") non rende uno dogmatico (d'altronde un buon numero di eminenti scienziati, nella storia, ha subito il "fascino" del platonismo ...).


CitazioneSeconda domanda: Ovvio che NO. Non esiste una verità che vada oltre le nostre rappresentazioni. Eventualmente esiste una realtà oltre, ma non è verità di scienza fino alla sua verifica sperimentale. La scienza è la migliore tecnica conoscitiva, ma è farina del nostro sacco. Avessimo 12 dita, forse il nostro cervello funzionerebbe meglio con un sistema di enumerazione dodecadecimale. 

:-\ ?? Se avessimo 12 dita, il fatto di avere 12 dita sarebbe comunque vero. Probabilmente in tal caso arriveremmo a dire "abbiamo 10 dita" ("10" è 12 nel sistema dodecadecimale. Così come "10" è 2 in quello binario...). Di certo, simili osservazioni non dimostrano che la "Verità" non esiste (e nemmeno confutano il platonismo). Al massimo dicono che si può esprimere la verità in vari modi (tra di loro legati, tra l'altro da precise relazioni che si possono scoprire...)...


CitazioneTerza domanda: scommetto di sì. E visto come si comportano praticamente coloro che scommettono di no, sono certa di vincere la scommessa. Lasciando loro solo la soddisfazione di uno sterile sofisma.

Quindi ammetti che la scienza scopre "come è fatto il mondo". Ovvero, tu dici che, in pratica, la scienza ci fa scoprire la verità (la pensava così anche Heisenberg, sostenendo addirittura che la meccanica quantistica dava ragione all'odiato Platone, vedi questo link, per esempio "Heisenberg, il superamento del materialismo" *)... La scienza, lungi dall'aver demolito la Verità, per te è un valido mezzo per arrivare ad essa e quindi ci avvicina alla cima della montagna che si rivela "molto reale" anche per te seppur offuscata da nubi che sono magari più spesse di quelle che ci sembravano fino a poco tempo fa (bene o male concordo... :) ). La tua posizione mi sembra molto lontana dal negare la "Verità". Non ti piacerà la metafisica "tradizionale" (e gli approcci basati su di essa) ma da qui a negare la Verità c'è molta, molta differenza...

*oltre a Heisenberg, il platonismo è appoggiato anche dal famoso fisico Roger Penrose (oltre che da eminenti matematici... nel secolo scorso, ad esempio, il famoso Goedel...). Tutti questi personaggi non mi paiono più dogmatici di Rovelli. Ma forse è solo un'impressione di uno che è affascinato anche dalla teoria delle "Forme"  :) 

Ciao!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#462
Ipazia,

Un linguaggio "simil-relativistico" andrebbe bene, secondo me, se si ammette solo l'intersoggettività (questo perché in questo caso non c'è una vera "realtà così come è" ma solo come è per noi, quindi non ci sono "fatti" oggettivi...) così come fanno i coerentisti (che negano una realtà che indipendente dalle coscienze) o chi ritiene, come Kant, che la "cosa in sé" (ovvero come è la realtà indipendente dalle rappresentazioni è totalmente - e non solo parzialmente - inconoscibile... Anche se in questo caso c'è). Ma anche in questo caso, ovviamente, non sarebbe "relativismo puro" ma una sorta di via di mezzo...
L'idealismo è sicuramente "coerentista" perché non riconoscendo alcuna realtà oltre alle coscienze, non può certo parlare di "corrispondenza" (e in genere è così per tutte le filosofie "anti-fondazionaliste" (tra cui c'è anche l'antico Pirronismo), che, come dicevo, possono avere, secondo me, il loro fascino per quanto mi riguarda a meno che non diventino "relativiste"...ovvero quando per me sono "ben fatte" :) ). Avevo citato Schopenhauer tra i "coerentisti". Il che non va bene, visto che lui affermava che si poteva conoscere la "Cosa in sé" (allo stesso tempo, però, visto che per lui le verità scientifiche erano fenomeniche, si avvicina molto al coerentissimo o all'"anti-fondazionalismo"...).

Nel tuo caso però sembra che ritieni che la realtà indipendente da noi (e dalle rappresentazioni) è almeno parzialmente conoscibile dalla scienza, quindi non capisco perché per esporre la tua posizione usi un linguaggio in cui sembra che neghi una realtà oggettiva (mi pare proprio che tu non lo fai).

Ah, e preciso che ci sono alcuni idealismi che non sono sofistici secondo me (controintuitivi sì però). Ovviamente, il solipsismo è un sofismo (anche se è interessante vedere che è difficile da rigettare...).

Forse usi quel linguaggio per contrastare il dogmatismo. Ma anche qui, non sono per niente d'accordo che chi segue un approccio tradizionale nella metafisica è dogmatico (infatti, uno può credere a-criticamente sia alla teoria di Rovelli che al platonismo!)...

Spero di essermi dimenticato di fare precisazioni (anche se non ne sono per niente sicuro...).

Ciao!

P.S. Ah, ecco, mi dimenticavo... per quanto riguarda la questione del sistema "dodecadecimale", mi spiego meglio (quello che ho detto era, in effetti, superficiale...). Ovvero che con un cervello "diverso" anche i nostri ragionamenti quantitativi avrebbero una "forma" diversa. Ma l'esempio che fai può benissimo dare supporto al platonismo visto che ci è possibile tradurre il sistema "dodecadecimale" in quello decimale. In pratica, anche se la "forma" cambia, il "contenuto" non cambia (e per un platonismo basta quello ;)  ). Questo quindi rafforza l'ipotesi che esista in realtà una sola "matematica" esprimibile in vari modi (una delle ipotesi del platonismo).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Ipazia

#463
Rispondo prima a questo post, sull'altro devo meditare un po' di più.

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2018, 20:42:08 PM
Ipazia,

Un linguaggio "simil-relativistico" andrebbe bene, secondo me, se si ammette solo l'intersoggettività (questo perché in questo caso non c'è una vera "realtà così come è" ma solo come è per noi, quindi non ci sono "fatti" oggettivi...) ... Nel tuo caso però sembra che ritieni che la realtà indipendente da noi (e dalle rappresentazioni) è almeno parzialmente conoscibile dalla scienza, quindi non capisco perché per esporre la tua posizione usi un linguaggio in cui sembra che neghi una realtà oggettiva (mi pare proprio che tu non lo fai). ... Forse usi quel linguaggio per contrastare il dogmatismo. Ma anche qui, non sono per niente d'accordo che chi segue un approccio tradizionale nella metafisica è dogmatico (infatti, uno può credere a-criticamente sia alla teoria di Rovelli che al platonismo!)...


Credo ad una oggettività intersoggettiva su scala umana (cosa-per-noi) senza negare, perchè sarebbe dogmatico, una oggettività a prescindere dalla percepibilità e cognitività umana. La mia avversione alla cosa-in-sè non è ontologica (sono oggettivista), ma metodologica, perchè è una postulazione aprioristica, col suo corollario di inconoscibilità dal sapore teologico cui, giustamente, la ricerca scientifica, che condivide nello spirito il tuo nick, non dà alcun credito. Ritengo pertanto di essere un'oggettivista sulla base di un'intersoggettività autorevole. In assenza di autorevolezza, come nelle pseudoscienze ad alto tasso ideologico, liberi tutti di contrastarle e demistificarle. Soprattutto quando nell'interesse di una parte, sacrificano il tutto (quindi anche critica serrata della comunità scientifica quando si fa ancella di interessi inconfessabili). Il che non mi rende relativista in termini di ricerca della verità. Se non su ciò: la verità è contestuale. Quindi plurale in contesti diversi. E laddove, come nell'universo antropologico dei valori, il contesto è conflittuale, ovvero esistono più verità a confronto, decide la dialettica. Come la intendeva il vecchio Marx.

Citazione

P.S. Ah, ecco, mi dimenticavo... per quanto riguarda la questione del sistema "dodecadecimale", mi spiego meglio (quello che ho detto era, in effetti, superficiale...). Ovvero che con un cervello "diverso" anche i nostri ragionamenti quantitativi avrebbero una "forma" diversa. Ma l'esempio che fai può benissimo dare supporto al platonismo visto che ci è possibile tradurre il sistema "dodecadecimale" in quello decimale. In pratica, anche se la "forma" cambia, il "contenuto" non cambia (e per un platonismo basta quello ;)  ). Questo quindi rafforza l'ipotesi che esista in realtà una sola "matematica" esprimibile in vari modi (una delle ipotesi del platonismo).

L'universalismo della matematica resta una fede innocente finchè non le si appiccica lo spettro di un Primo Matematico. Non so se Platone era del tutto innocente.
La questione della traducibilità dei saperi raggiunse il suo apice quando i primi segnali pulsar captati vennero interpretati come di origine intelligente. Il risultato fu questo: Placca dei Pioneer. Un segno coi fiocchi dedicato, forse con inconsapevole hybris da cowboy, agli extraterrestri.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2018, 19:47:29 PM

Anche io sono per "sposarle" entrambe (che sono "vere", secondo me, nei loro rispettivi ambiti di validità - perdona il gioco di parole...). Se parli di "fatti" parli della "verità" (anzi della Verità), visto che in questo caso conoscere i fatti significa "conoscere la realtà" (e quindi, dire il vero se le parole corrispondono ai fatti...). Tu non sei relativista. Non capisco perché usare il linguaggio che usano i relativisti quando non lo si è (non sei l'unica che lo fa...basterebbe dire, ad esempio, che "la "Realtà" è troppo complicata da comprendere concettualmente e quindi possiamo avere solo approssimazioni" o cose simili)...

La verità è plurale dipendendo dal contesto. Per cui niente Verità. I fatti hanno livelli diversi di interpretazione a seconda della partecipazione ad essi e della lontananza nel tempo. Verità è spesso un percorso in salita e talvolta non ci si arriva mai, non per la metafisica inconoscibilità Kantiana, ma allorquando la cosa-in-sè contenuta nel fatto è scaduta o dispersa.

Citazione

Se assumi che la "cosa in sé" non esiste, devi ammettere che non c'è niente di "esterno" alle coscienze (e le loro rappresentazioni quindi...), quindi scivoli nell'idealismo... Concordo che Kant ha assunto che ci fosse qualcosa in mezzo alle nubi (sarebbe stato più coerente a dire che lo status ontologico della cosa in sé è indeterminato...). Rovelli, assume anche lui la "cosa in sé", visto che nella sua interpretazione della meccanica quantistica (i fisici più pragmatici bollano tutte le "interpretazioni" con il termine "metafisica" perché non è possibile distinguerle sperimentalmente. Quindi, come vedi, il termine metafisica è abbastanza "abusato"...).
Riguardo all'interpretazione di Rovelli, nello specifico, concordo con te che è un'interpretazione molto promettente che sembra andare "nel verso giusto". D'altro canto, c'è un elemento molto "universalistico" nella teoria di Rovelli (non sostenuto dall'interpretazione di Copenaghen) ovvero che la meccanica quantistica (o meglio, le sue estensioni) spiegano tutti i fenomeni fisici. Quindi, oltre a "relativizzare" i valori delle grandezze fisiche è anche molto "unificatrice".


Sulla "cosa" ho già detto la mia nel post precedente (sono oggettivista). La fisica non può che tendere ad una unificazione delle sue teorie. Sarebbe metafisica se prescindesse dalla dimostrazione sperimentale. Più correttamente si tratta di ipotesi, ciascuna con fondamenti fisici e un armamentario matematico ah hoc che avrebbe fatto gridare Platone allo scandalo.

Citazione

Platone ha cercato di spiegare la presenza di regolarità dei fenomeni (anzi, della materia-in-sé visto per lui non c'erano "rappresentazioni"...) con la Teoria delle Forme (e addirittura nel Parmenide arriva a metterla in dubbio). Certamente, non era uno scienziato ma, al contempo, uno scienziato non può spiegare il "motivo" della presenza delle regolarità (comprensibili). Quindi, la tua avversione alla "vecchia metafisica" mi pare piuttosto esagerata. Come dicevo anche ad altri, il solo fatto di appoggiare il platonismo (magari come "ipotesi di lavoro") non rende uno dogmatico (d'altronde un buon numero di eminenti scienziati, nella storia, ha subito il "fascino" del platonismo ...).


La vecchia metafisica postula le cosmogonie aprioristicamente (il mondo delle idee), quella nuova cerca di dimostrarle con argomenti scientifici.

Citazione

Quindi ammetti che la scienza scopre "come è fatto il mondo". Ovvero, tu dici che, in pratica, la scienza ci fa scoprire la verità (la pensava così anche Heisenberg, sostenendo addirittura che la meccanica quantistica dava ragione all'odiato Platone, vedi questo link, per esempio "Heisenberg, il superamento del materialismo" *)... La scienza, lungi dall'aver demolito la Verità, per te è un valido mezzo per arrivare ad essa e quindi ci avvicina alla cima della montagna che si rivela "molto reale" anche per te seppur offuscata da nubi che sono magari più spesse di quelle che ci sembravano fino a poco tempo fa (bene o male concordo... :) ). La tua posizione mi sembra molto lontana dal negare la "Verità". Non ti piacerà la metafisica "tradizionale" (e gli approcci basati su di essa) ma da qui a negare la Verità c'è molta, molta differenza...

oltre a Heisenberg, il platonismo è appoggiato anche dal famoso fisico Roger Penrose (oltre che da eminenti matematici... nel secolo scorso, ad esempio, il famoso Goedel...). Tutti questi personaggi non mi paiono più dogmatici di Rovelli. Ma forse è solo un'impressione di uno che è affascinato anche dalla teoria delle "Forme"  :)


La scienza è il sapere che ci offre il migliore aggancio ai misteri del mondo fisico. Tu chiamala, se vuoi, verità. Assai mobile per l'idea che i parmenidei hanno di quel concetto. Ma se accettiamo una verità in divenire, va bene anche quel termine.
Il link mi ha permesso di capire la tua antipatia per Carlo Rovelli. Egli sostiene la quantistica dei campi, tra i quali vi è pure lo spazio quantistico che acquista così un aspetto quasi corpuscolare. Una quantistica democritea che espugna l'ultimo territorio libero del platonismo: lo spazio vuoto in cui galleggiano le Forme ideali e le loro formule matematiche astratte. I campi, come una gelatina, avvolgono tutto il reale e si intrufolano nelle pure forme insudiciandole un pochino. Materialismo a gogò.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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