Perchè il materialismo basta

Aperto da SamuelSilver, 15 Settembre 2018, 19:04:40 PM

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Apeiron

#435
sgiombo (e chi avesse voglia di leggere ovviamente  :) ),

questa è l'analisi che più o meno fa il filosofo Kelley L. Ross ( http://www.friesian.com/kant.htm#idealism. link in inglese - analisi che condivido visto che Kant voleva distanziarsi sia dai razionalisti che dagli empiristi, sia da quello che chiamava "realismo trascendentale" che da quello che chiamava "idealismo empirico").


  • "Trascendentale" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto in modo indipendente dall'esperienza"
  • "Empirico" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto tramite l'esperienza"


Dunque, "trascendentale" ed "empirico" si riferiscono all'epistemologia.


  • "Idealismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo dipendente dall'esistenza del soggetto"
  • "Realismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo indipendente dall'esistenza del soggetto"


Dunque, la posizione di Cartesio/Spinoza è "realismo trascendentale", ovvero:

  • "realismo trascendentale" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti indipendentemente dall'esperienza"

Questo perché secondo Cartesio e Spinoza la nostra mente si fa un'immagine distorta della "realtà esterna" e quindi essa rimane inconoscibile se si usa solo un'indagine empirica. Non a caso sia Spinoza che Cartesio erano razionalisti: la "realtà esterna" poteva essere conosciuta solo tramite la "ragione pura", ovvero tramite la speculazione intellettuale.

La posizione di Berkeley (e di Hegel) è "idealismo empirico":

  • "idealismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza." - che è proprio quello che Berkeley proponeva: gli oggetti "esterni" in realtà sono semplici sensazioni ("esse est percipi") che dipendono dall'esistenza della mente.


Kant voleva evitare entrambe le conclusioni e propose:

  • "realismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza" -

Fin qui Kant pare essere un realista naive. Tuttavia, questa è solo una parte della filosofia di Kant e riguarda gli oggetti "esterni" della nostra esperienza (ovvero tavoli, sedie, case ecc). In realtà c'è la parte che lascia più confusi ed è:


  • "idealismo trascendentale"= "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono indipendentemente dall'esperienza".

Ovviamente, questi non sono gli stessi oggetti di prima... quali sono?  
Ora essi devono essere per forza gli aspetti, che secondo Kant, erano a-priori nella nostra esperienza, ovvero "forme a-priori", "categorie dell'intelletto" e così via, ovvero le "facoltà" con cui la mente ordina l'esperienza.

Tutto questo "casino" non è nato, storicamente, da Kant ma da Cartesio (quindi @CarloPierini dovrebbe prendersela con Cartesio  ;D  ). Per Cartesio, i sensi non potevano essere uno "valido strumento di conoscenza" perché la nostra esperienza sensibile presenta alcune caratteristiche che, certamente, dipendono dalla nostra esistenza soggettiva (colori, suoni ecc) - le "qualità secondarie". A differenza di Galileo, però, Cartesio non riteneva che noi potessimo dire che le "qualità primarie" (quantitative) erano degli oggetti esterni. Perché? Per il fatto che, in fin dei conti, secondo Cartesio la nostra "esperienza sensibile" è una costruzione mentale (e un "genio maligno" poteva ingannarci sulla sua "fedeltà" alla "realtà"). Quindi, Cartesio ha concluso che non si poteva sapere niente con certezza della realtà esterna se ci si basava sull'esperienza ("realismo trascendentale"...). Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza.

Fu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento. Visto che Berkeley riteneva che gli oggetti comunemente ritenuti esterni erano in realtà interni proponeva un "idealismo empirico". Infine arrivò Hume, che pur considerando la causalità un'ipotesi ragionevole, riteneva che in realtà è indimostrabile. Così come la conoscenza scientifica. In entrambi i casi, ci affidiamo all'"abitudine".

Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca").

Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.

E qui sta l'antinomia/indecidibilità della filosofia kantiana: da un lato afferma che la nostra mente ordina le sensazioni per renderle comprensibili, dall'altro affinché ciò sia possibile devono esistere oggetti esterni. La filosofia kantiana, perciò arriva ad una sorta di paradosso: gli oggetti esterni sono necessari per rendere l'esperienza comprensibile e quindi sono parte della rappresentazione e, allo stesso tempo, devono essere anche "esterni" ad essa  

Ora quanto detto sopra lo vedo come una sorta di "paradosso", che, in pratica, riflette la nostra limitatezza. Se, infatti, neghiamo la validità delle "categorie" e delle "forme", finiamo per dover ammettere che non possiamo conoscere nemmeno la nostra stessa esperienza sensibile (Hume diceva che al massimo potevamo fare "ipotesi ragionevoli" e su questo, secondo me, è "più coerente" di Kant, visto che Kant, effettivamente non dimostra quanto afferma). Se, invece, concordiamo con i "realisti trascendentali" (Cartesio/Spinoza...) rimane il problema che non si può sapere che relazione c'è tra la nostra "esperienza sensibile" e "gli oggetti reali". Se, diciamo che la "realtà esterna" dipende ontologicamente dalla mente finiamo in una forma di idealismo (es: Berkeley e Hegel).
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato  ::) ).

Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni date dalle filosofie empiriste (Berkeley, Hume) e dalle filosofie razionaliste (Spinoza, Cartesio) per le quali, rispettivamente, c'è a priori un problema di applicare i concetti all'esperienza e c'è anche il problema di capire che conoscenza ci può dare, in ultima analisi, l'esperienza. Rispetto Kant per il tentativo di risolvere il problema anche se, effettivamente, ha generato un'altra "antinomia" e quindi di fatto forse non è riuscito a risolvere questi problemi.

Il "realismo diretto" perciò,  non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza e, inoltre, non spiega perché la nostra esperienza "ci fa conoscere" la "realtà esterna". Per esempio, come dicevo, un teista può "spiegare" la "corrispondenza" tra le nostre "facoltà mentali" e l'esperienza sostenendo che Dio ha creato il mondo in un modo a noi comprensibile ("spiegando" così il dilemma di Einstein, secondo cui "la cosa più incomprensibile dell'universo è la sua comprensibilità"). Oppure un platonico può spiegare la validità dello studio empirico della natura dicendo che la natura "partecipa" alla "Forme". Un materialista però, semplicemente, deve sempre "prendere atto" della "validità" dei concetti senza riuscire a dare alcuna spiegazione per cui tale "validità" c'è (pur sostenendo che è così e non c'è nessun motivo per cui è così)**. Diverso è lo scettico "tout-court" per il quale non si può conoscere una ragione di tale "corrispondenza" ("sospendendo il giudizio" su tale questione)*.

*se devo essere onesto, strettamente parlando, la mia attuale posizione non può essere che quella "scettica" visto che non sono veramente convinto da nessuna alternativa proposta, anche se alcune alternative mi affascinano e mi sembrano più "ragionevoli", per così dire, di altre. Detto ciò, ritengo che questo "dilemma" forse è veramente insolubile con la razionalità, lo studio "empirico" (e ovviamente anche la ragionevolezza che non può dare "soluzioni" ma "ipotesi ragionevoli", quando va bene - come dicevo, per avere una sorta di "sicurezza" si dovrebbe avere forse una "esperienza straordinaria" che non si potrebbe nemmeno chiamare "esperienza", strettamente parlando...)  :)

**P.S. Secondo me, come filosofia, è insoddisfacente perché nemmeno prova a dare una spiegazione di tale "corrispondenza". Questo è il motivo per cui non sono materialista. Per me "non è ovvio" che ci sia questa "comprensibilità" e critico il materialismo proprio perché sembra essere indifferente a questo problema (ovviamente, non sto dicendo che il materialista è "più dogmatico" di altri...  :) tuttavia, talvolta mi sembra che la filosofia materialista semplicemente ignori questo problema...).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Ipazia

La "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa. Di tutto il bestiario filosofico narrato, mi pare che Kant sia quello che si avvicina di più alla realtà. Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo, capaci di trascendere col ragionamento logico i livelli meramente empirici dell'esperienza. Come una particella subatomica siamo contemporaneamente massa e onda, esperienza empirica e trascendentale. Non vi è alcuna contraddizione perchè siamo entrambe le cose. Mi auguro che scienza e filosofia finiscano con l'accorgersene, mettendo nella spazzatura della loro storia dispute tardonominalistiche il cui tempo è scaduto.

PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 05 Novembre 2018, 22:01:10 PM
sgiombo (e chi avesse voglia di leggere ovviamente  :) ),

questa è l'analisi che più o meno fa il filosofo Kelley L. Ross ( http://www.friesian.com/kant.htm#idealism. link in inglese - analisi che condivido visto che Kant voleva distanziarsi sia dai razionalisti che dagli empiristi, sia da quello che chiamava "realismo trascendentale" che da quello che chiamava "idealismo empirico").


  • "Trascendentale" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto in modo indipendente dall'esperienza"
  • "Empirico" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto tramite l'esperienza"
CitazioneQui farei una prima obiezione:
Conoscere =/= sentire
Conoscere == predicare circa il sentire (o altro) conformemente alla realtà (del sentire o altro).
Nessun possibile oggetto di conoscenza é sentito indipendentemente dall' esperienza (per definizione); dunque nessuna sensazione (e non conoscenza) può accadere indipendentemente dall' esperienza costituita da sensazione (o sensazioni), tutti gli oggetti di sensazione sono sentiti tramite l' esperienza, anzi in quanto sensazioni costituenti l' esperienza; ma se continuano ad esistere anche senza l' esperienza (anche se e quando le sensazioni non accadono realmente, anche indipendentemente dalla eventuale realtà di queste, allora sono cosa diversa da esse, dall' esperienza), allora non sono costituite da sensazioni ovvero apparenze sensibili (fenomeni) ma invece da cose reali in sé e non apparenti ma congetturabili (noumeno).




Dunque, "trascendentale" ed "empirico" si riferiscono all'epistemologia.


  • "Idealismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo dipendente dall'esistenza del soggetto"
  • "Realismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo indipendente dall'esistenza del soggetto"
CitazioneNon si riferiscono all' epistemologia (allo studio della conoscenza) ma all' ontologia (alla realtà): le sensazioni sono fatti, non conoscenze (conoscenze sono invece -peculiari sensazioni costituite da- proposizioni, pensieri, predicati veri circa fatti (come le sensazioni o eventualmente altro); veri o "conformi" (concetto da definire per bene) ai fatti stessi.
 
Traducendo dalla questione (secondo me mal posta) delle sensazioni in quella (corretta) delle conoscenze circa le sensazioni, allora circa queste ultime si pone il problema se ad esistere o meno indipendentemente dal soggetto sono le sensazioni (fenomeni) o gli oggetti in sé (noumeno) delle stesse
 
Se le sensazioni (fenomeni) necessitano di un soggetto (in sé, da esse diverso, reale anche indipendentemente da esse: noumeno), allora i fenomeni sono indubbiamente dipendenti dal soggetto, mentre il noumeno (le cose in sé oggetto di sensazione fenomenica) potrebbero:
 
o esistere (essendo ben altra cosa ei fenomeni) indipendentemente dall' esistenza del soggetto e dei fenomeni o sensazioni: realismo:
 
oppure semplicemente non esistere: irrealismo (o idealismo a là Berkeley: esistono solo le sensazioni e non loro specifici oggetti, loro "oggetto" essendo in ultima analisi alquanto aspecificamente Dio che le fa esistere




Dunque, la posizione di Cartesio/Spinoza è "realismo trascendentale", ovvero:

  • "realismo trascendentale" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti indipendentemente dall'esperienza"

Questo perché secondo Cartesio e Spinoza la nostra mente si fa un'immagine distorta della "realtà esterna" e quindi essa rimane inconoscibile se si usa solo un'indagine empirica. Non a caso sia Spinoza che Cartesio erano razionalisti: la "realtà esterna" poteva essere conosciuta solo tramite la "ragione pura", ovvero tramite la speculazione intellettuale.

La posizione di Berkeley (e di Hegel) è "idealismo empirico":

  • "idealismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza." - che è proprio quello che Berkeley proponeva: gli oggetti "esterni" in realtà sono semplici sensazioni ("esse est percipi") che dipendono dall'esistenza della mente.
CitazioneUna volta reimpostata correttamente (secondo me) la questione come questione delle sensazioni e non delle conoscenze (delle sensazioni), si può credere che gli oggetti in sé (noumeno) esistono indipendentemente dalle sensazioni e dai soggetti di sensazione (essi stessi in sé o noumeno), con esse correlate (biunivocamente corrispondenti) ma da essi diverse: altre "cose"!
Ma non lo si può dimostrare logicamente né tantomeno (per definizione) constatare empircamente (e questo vale pari pari per il soggetto delle sensazioni, cosa in sé o noumeno anch' esso).
Quello che si percepisce sensibilmente sono solo fenomeni, sensazioni: "esse est percipi"; e forse hanno oggetti reali in sé (noumeno) da esse stesse del tutto diversi (ad esse solo correlati, corrispondenti), forse no: lo si può credere solo per fede.
Questa é la posizione di Hume (e naturalmente mia), mentre mi sembra (se non li fraintendo) che per Kant e "in un certo senso" per Spinoza l' esistenza reale delle cose in sé o noumeno (per quanto inteso in maniera del tutto indeterminata) sia certa (sebbene per Kant esso non sia conoscibile nelle caratteristiche determinate che lo costituiscono -razionalmente- dalla ragion pratica ma solo -a mio parere irrazionalmente- dalla ragion pratica).




Kant voleva evitare entrambe le conclusioni e propose:

  • "realismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza" -

Fin qui Kant pare essere un realista naive. Tuttavia, questa è solo una parte della filosofia di Kant e riguarda gli oggetti "esterni" della nostra esperienza (ovvero tavoli, sedie, case ecc). In realtà c'è la parte che lascia più confusi ed è:


  • "idealismo trascendentale"= "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono indipendentemente dall'esperienza".

Ovviamente, questi non sono gli stessi oggetti di prima... quali sono?  
Ora essi devono essere per forza gli aspetti, che secondo Kant, erano a-priori nella nostra esperienza, ovvero "forme a-priori", "categorie dell'intelletto" e così via, ovvero le "facoltà" con cui la mente ordina l'esperienza.
CitazioneQui entra in ballo la conoscenza delle sensazioni.
La quale per me può limitarsi a essere una conoscenza "episodica" o "aneddottica" di singoli enti o eventi particolari concreti immediatamente esperiti; oppure può (limitatamente ai fenomeni materiali: res extensa, in quanto misurabili qantitativamente e postulabili essere intersoggettivi) ambire ad essere conoscenza scientifica, ovvero conoscenza delle modalità generali astratte, universali e costanti del divenire; ma in questo caso richiede la verità di talune conditiones sine qua non indimostrabili né empiricamente constatabili: oltre all' intersoggettività, il divenire ordinato secondo concatenazioni causali (di questa infondatezza razionale, di questa incertezza o dubitabilità in linea teorica o di principio é ben consapevole Hume, mentre -se ben l' ho compreso- Kant pretende di fondarne la certezza sulle -per me inesistenti, se non come tendenze comportamentali e non come credenze certe; casomai come "credute certezze" e non come "certezze reali" - forme a priori 

CONTINUA
Tutto questo "casino" non è nato, storicamente, da Kant ma da Cartesio (quindi @CarloPierini dovrebbe prendersela con Cartesio  ;D  ). Per Cartesio, i sensi non potevano essere uno "valido strumento di conoscenza" perché la nostra esperienza sensibile presenta alcune caratteristiche che, certamente, dipendono dalla nostra esistenza soggettiva (colori, suoni ecc) - le "qualità secondarie". A differenza di Galileo, però, Cartesio non riteneva che noi potessimo dire che le "qualità primarie" (quantitative) erano degli oggetti esterni. Perché? Per il fatto che, in fin dei conti, secondo Cartesio la nostra "esperienza sensibile" è una costruzione mentale (e un "genio maligno" poteva ingannarci sulla sua "fedeltà" alla "realtà"). Quindi, Cartesio ha concluso che non si poteva sapere niente con certezza della realtà esterna se ci si basava sull'esperienza ("realismo trascendentale"...). Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza.

Fu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento. Visto che Berkeley riteneva che gli oggetti comunemente ritenuti esterni erano in realtà interni proponeva un "idealismo empirico". Infine arrivò Hume, che pur considerando la causalità un'ipotesi ragionevole, riteneva che in realtà è indimostrabile. Così come la conoscenza scientifica. In entrambi i casi, ci affidiamo all'"abitudine".

Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca").

Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.

E qui sta l'antinomia/indecidibilità della filosofia kantiana: da un lato afferma che la nostra mente ordina le sensazioni per renderle comprensibili, dall'altro affinché ciò sia possibile devono esistere oggetti esterni. La filosofia kantiana, perciò arriva ad una sorta di paradosso: gli oggetti esterni sono necessari per rendere l'esperienza comprensibile e quindi sono parte della rappresentazione e, allo stesso tempo, devono essere anche "esterni" ad essa  

Ora quanto detto sopra lo vedo come una sorta di "paradosso", che, in pratica, riflette la nostra limitatezza. Se, infatti, neghiamo la validità delle "categorie" e delle "forme", finiamo per dover ammettere che non possiamo conoscere nemmeno la nostra stessa esperienza sensibile (Hume diceva che al massimo potevamo fare "ipotesi ragionevoli" e su questo, secondo me, è "più coerente" di Kant, visto che Kant, effettivamente non dimostra quanto afferma). Se, invece, concordiamo con i "realisti trascendentali" (Cartesio/Spinoza...) rimane il problema che non si può sapere che relazione c'è tra la nostra "esperienza sensibile" e "gli oggetti reali". Se, diciamo che la "realtà esterna" dipende ontologicamente dalla mente finiamo in una forma di idealismo (es: Berkeley e Hegel).
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato  ::) ).

Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni date dalle filosofie empiriste (Berkeley, Hume) e dalle filosofie razionaliste (Spinoza, Cartesio) per le quali, rispettivamente, c'è a priori un problema di applicare i concetti all'esperienza e c'è anche il problema di capire che conoscenza ci può dare, in ultima analisi, l'esperienza. Rispetto Kant per il tentativo di risolvere il problema anche se, effettivamente, ha generato un'altra "antinomia" e quindi di fatto forse non è riuscito a risolvere questi problemi.

Il "realismo diretto" perciò,  non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza e, inoltre, non spiega perché la nostra esperienza "ci fa conoscere" la "realtà esterna". Per esempio, come dicevo, un teista può "spiegare" la "corrispondenza" tra le nostre "facoltà mentali" e l'esperienza sostenendo che Dio ha creato il mondo in un modo a noi comprensibile ("spiegando" così il dilemma di Einstein, secondo cui "la cosa più incomprensibile dell'universo è la sua comprensibilità"). Oppure un platonico può spiegare la validità dello studio empirico della natura dicendo che la natura "partecipa" alla "Forme". Un materialista però, semplicemente, deve sempre "prendere atto" della "validità" dei concetti senza riuscire a dare alcuna spiegazione per cui tale "validità" c'è (pur sostenendo che è così e non c'è nessun motivo per cui è così)**. Diverso è lo scettico "tout-court" per il quale non si può conoscere una ragione di tale "corrispondenza" ("sospendendo il giudizio" su tale questione)*.

*se devo essere onesto, strettamente parlando, la mia attuale posizione non può essere che quella "scettica" visto che non sono veramente convinto da nessuna alternativa proposta, anche se alcune alternative mi affascinano e mi sembrano più "ragionevoli", per così dire, di altre. Detto ciò, ritengo che questo "dilemma" forse è veramente insolubile con la razionalità, lo studio "empirico" (e ovviamente anche la ragionevolezza che non può dare "soluzioni" ma "ipotesi ragionevoli", quando va bene - come dicevo, per avere una sorta di "sicurezza" si dovrebbe avere forse una "esperienza straordinaria" che non si potrebbe nemmeno chiamare "esperienza", strettamente parlando...)  :)

**P.S. Secondo me, come filosofia, è insoddisfacente perché nemmeno prova a dare una spiegazione di tale "corrispondenza". Questo è il motivo per cui non sono materialista. Per me "non è ovvio" che ci sia questa "comprensibilità" e critico il materialismo proprio perché sembra essere indifferente a questo problema (ovviamente, non sto dicendo che il materialista è "più dogmatico" di altri...  :) tuttavia, talvolta mi sembra che la filosofia materialista semplicemente ignori questo problema...).

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 05 Novembre 2018, 22:01:10 PMCONTINUAZIONE

Tutto questo "casino" non è nato, storicamente, da Kant ma da Cartesio (quindi @CarloPierini dovrebbe prendersela con Cartesio  ;D  ). Per Cartesio, i sensi non potevano essere uno "valido strumento di conoscenza" perché la nostra esperienza sensibile presenta alcune caratteristiche che, certamente, dipendono dalla nostra esistenza soggettiva (colori, suoni ecc) - le "qualità secondarie". A differenza di Galileo, però, Cartesio non riteneva che noi potessimo dire che le "qualità primarie" (quantitative) erano degli oggetti esterni. Perché? Per il fatto che, in fin dei conti, secondo Cartesio la nostra "esperienza sensibile" è una costruzione mentale (e un "genio maligno" poteva ingannarci sulla sua "fedeltà" alla "realtà"). Quindi, Cartesio ha concluso che non si poteva sapere niente con certezza della realtà esterna se ci si basava sull'esperienza ("realismo trascendentale"...).

CitazioneFin qui concordo con Cartesio: le qualità primarie, per il fatto di essere misurabili direttamente, non sono meno fenomeniche o più in sé (il loro "esse" non é meno "pecipi") di quelle secondarie.




Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza.

CitazioneQui naturalmente dissento da Cartesio (sempre seguendo l' immenso Hume) sulla certezza del soggetto del "cogito" (l' "ego" che ne sarebbe -erroneamente- dedotto) e sulla cosiddetta "prova ontologica" dell' esistenza di Dio e tutto ciò che ne ricava.


Fu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento.

CitazioneMa soprattutto che provocava, causava la loro presenza come meri fenomeni nella nostra coscienza.




Visto che Berkeley riteneva che gli oggetti comunemente ritenuti esterni erano in realtà interni proponeva un "idealismo empirico". Infine arrivò Hume, che pur considerando la causalità un'ipotesi ragionevole, riteneva che in realtà è indimostrabile. Così come la conoscenza scientifica. In entrambi i casi, ci affidiamo all'"abitudine".


Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca").
CitazioneMa le "forme" e "categorie" "a-priori" non sono empiricamente dimostrabili né mostrabili come applicabili con certezza di verità all' esperienza fenomenica: Kant si illude di superare lo scetticismo humeiano, ma in realtà non lo supera affatto!




Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.
CitazioneMa se ben lo intendo erano "oggetti" e non sensazioni immediate solo in quanto cose in sé o noumeno, non i quanti fenomeni.




E qui sta l'antinomia/indecidibilità della filosofia kantiana: da un lato afferma che la nostra mente ordina le sensazioni per renderle comprensibili, dall'altro affinché ciò sia possibile devono esistere oggetti esterni. La filosofia kantiana, perciò arriva ad una sorta di paradosso: gli oggetti esterni sono necessari per rendere l'esperienza comprensibile e quindi sono parte della rappresentazione e, allo stesso tempo, devono essere anche "esterni" ad essa  

Ora quanto detto sopra lo vedo come una sorta di "paradosso", che, in pratica, riflette la nostra limitatezza. Se, infatti, neghiamo la validità delle "categorie" e delle "forme", finiamo per dover ammettere che non possiamo conoscere nemmeno la nostra stessa esperienza sensibile (Hume diceva che al massimo potevamo fare "ipotesi ragionevoli" e su questo, secondo me, è "più coerente" di Kant, visto che Kant, effettivamente non dimostra quanto afferma).

CitazionePerfettamente d' accordo!




Se, invece, concordiamo con i "realisti trascendentali" (Cartesio/Spinoza...) rimane il problema che non si può sapere che relazione c'è tra la nostra "esperienza sensibile" e "gli oggetti reali". Se, diciamo che la "realtà esterna" dipende ontologicamente dalla mente finiamo in una forma di idealismo (es: Berkeley e Hegel).

La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato  ::) ).
CitazioneSecondo me l' apparente paradosso (che mi sembra proprio della tua interpretazione errata -ma potrei invece sbagliarmi io!- di Kant e non del grande konigsberghese) si scioglie facilmente distinguendo fra "oggetto" (di sensazione e non di conoscenza), impropriamente inteso come apparenza fenomenica nell' ambito della nostra coscienza (quelle materiali -res cogitans- non sono propriamente oggettive ma possono solo essere -indimostrabilmente postulate- essere intersoggettive; cioè reciprocamente corrispondenti -e non "cose" uguali, che non avrebbe senso, né men che meno le medesime "cose"- fra le diverse esperienze fenomeniche dei diversi soggetti); e "oggetto" propriamente inteso come cosa in sé o noumeno (in determinate relazioni con l' altra cosa in sé che é l' oggetto allorché accadono i determinati fenomeni coscienti; quelli materiali se soggetti ed oggetti sono diverse cose in sé, mentali se riflessivamente si identificano nella medesima cosa in sé).




Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni

CitazionePerfettamente d' accordo salvo "sentire" anziché "conoscere" (e solo conseguentemente il conoscere ciò che si sente).




date dalle filosofie empiriste (Berkeley, Hume) e dalle filosofie razionaliste (Spinoza, Cartesio) per le quali, rispettivamente, c'è a priori un problema di applicare i concetti all'esperienza e c'è anche il problema di capire che conoscenza ci può dare, in ultima analisi, l'esperienza. Rispetto Kant per il tentativo di risolvere il problema anche se, effettivamente, ha generato un'altra "antinomia" e quindi di fatto forse non è riuscito a risolvere questi problemi.


Il "realismo diretto" perciò,  non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza

CitazioneQui devo ripetere che per me é un fatto del tutto ovvio non richiedente alcuna spiegazione.




e, inoltre, non spiega perché la nostra esperienza "ci fa conoscere" la "realtà esterna". Per esempio, come dicevo, un teista può "spiegare" la "corrispondenza" tra le nostre "facoltà mentali" e l'esperienza sostenendo che Dio ha creato il mondo in un modo a noi comprensibile ("spiegando" così il dilemma di Einstein, secondo cui "la cosa più incomprensibile dell'universo è la sua comprensibilità").

CitazionePer me un falso dilemma, un problema mal posto; anzi inesistente.




Oppure un platonico può spiegare la validità dello studio empirico della natura dicendo che la natura "partecipa" alla "Forme". Un materialista però, semplicemente, deve sempre "prendere atto" della "validità" dei concetti senza riuscire a dare alcuna spiegazione per cui tale "validità" c'è (pur sostenendo che è così e non c'è nessun motivo per cui è così)**. Diverso è lo scettico "tout-court" per il quale non si può conoscere una ragione di tale "corrispondenza" ("sospendendo il giudizio" su tale questione)*.

CitazionePer me é sempre un falso dilemma, un problema mal posto; anzi inesistente.




*se devo essere onesto, strettamente parlando, la mia attuale posizione non può essere che quella "scettica" visto che non sono veramente convinto da nessuna alternativa proposta, anche se alcune alternative mi affascinano e mi sembrano più "ragionevoli", per così dire, di altre. Detto ciò, ritengo che questo "dilemma" forse è veramente insolubile con la razionalità, lo studio "empirico" (e ovviamente anche la ragionevolezza che non può dare "soluzioni" ma "ipotesi ragionevoli", quando va bene - come dicevo, per avere una sorta di "sicurezza" si dovrebbe avere forse una "esperienza straordinaria" che non si potrebbe nemmeno chiamare "esperienza", strettamente parlando...)  :)

**P.S. Secondo me, come filosofia, è insoddisfacente perché nemmeno prova a dare una spiegazione di tale "corrispondenza". Questo è il motivo per cui non sono materialista. Per me "non è ovvio" che ci sia questa "comprensibilità" e critico il materialismo proprio perché sembra essere indifferente a questo problema (ovviamente, non sto dicendo che il materialista è "più dogmatico" di altri...  :) tuttavia, talvolta mi sembra che la filosofia materialista semplicemente ignori questo problema...).

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
La "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa. 
Citazione
Secondo me la "filosofia materialista" non riesce a risolvere il problema perché non ne ha una comprensione corretta; infatti per via puramente e semplicemente neuroscientifica non si può risolvere.

Dire che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura) é assurdo: nei cervelli si possono trovare solo neuroni (e cellule gliali, vasi, ecc), assoni, sinapsi, potenziali d' azione ed eccitazioni e d inibizioni trans-sinaptiche (perfettamente riducibili a particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.: materia tout court) e non affatto coscienza: nessun colorato arcobaleno o panorama se il "titolare "di un cervello che si osserva sta vedendo un arcobaleno o un panorama, nessun odio, amore, paura, soddisfazione, speranza, immaginazione, ecc. se sta odiando, amando, provando soddisfazione, sperando immaginando, ecc.).
Per il semplice motivo che non é l' esperienza** (del suo "titolare") ad essere nel cervello osservato, ma invece il cervello (osservato) ad essere nella coscienza* (di chi o osserva).


Per la chiusura causale del mondo fisico (senza la quale sarebbero possibili i miracoli e la scienza andrebbe a farsi benedire; magari anche letteralmente, da qualche prete o stregone) la res cogitans non può avere alcun effetto di alcun genere (qualsiasi cosa possa significare "trascendentale"), non può agire in alcun modo sulla res extensa.





Di tutto il bestiario filosofico narrato, mi pare che Kant sia quello che si avvicina di più alla realtà. Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo, capaci di trascendere col ragionamento logico i livelli meramente empirici dell'esperienza.
Citazione
La conoscenza e la spiegazione scientifica della comparsa nel corso dell' evoluzione biologica delle facoltà conoscitive umane, quella filosofica (gnoseologica o come si preferisce di fatto dire epistemologica) dei fondamenti, significato, natura, limiti, condizioni, ecc. della conoscenza e quella pure filosofica (ontologica) dei rapporti materia (cerebrale) - coscienza  sono tre ben diversi ordini di questioni, da non confondersi.
In particolare la scienza biologica ci spiega benissimo come si é evoluto il cervello umano e conseguentemente il comportamento umano da esso "diretto" o regolato, ma nulla dei rapporti mente - cervello: per la biologia la coscienza potrebbe benissimo non accompagnare alcun cervello, uomini e animali potrebbero essere delle sorta di zombi "funzionanti" (agenti) come agiscono senza averne coscienza, e nulla cambierebbe, per nulla potremmo accorgercene.




Come una particella subatomica siamo contemporaneamente massa e onda, esperienza empirica e trascendentale. Non vi è alcuna contraddizione perchè siamo entrambe le cose. Mi auguro che scienza e filosofia finiscano con l'accorgersene, mettendo nella spazzatura della loro storia dispute tardonominalistiche il cui tempo è scaduto.
Citazione
NOn si tratta affatto di dispute tardonominalistiche fra scienza e filosofia da gettare nella spazzatura ma invece di problemi (per me soggettivamente interessantissimi!): si tratta di comprendere in che senso (che significano queste affermazioni) siamo contemporaneamente materia cerebrale (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da altri, nell' ambito delle loro coscienze*), e  la nostra propria esperienza cosciente** (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da noi stessi).



PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
Citazione
NOn comprendo: per me la verità é sempre verità per qualcuno che la conosce (se nessuno crede nulla esistono fatti, non verità, né falsità; le quali sono caratteristiche proprie di quei peculiari fatti che sono i predicati o affermazioni o giudizi).
E la veridicità é la caratteristica del soggetto di un' affermazione che dice il vero (a meno di non considerarla come mero sinonimo di "verità" attribuendola all' affermazione stessa).

Ipazia

Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
La "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa.
Secondo me la "filosofia materialista" non riesce a risolvere il problema perché non ne ha una comprensione corretta; infatti per via puramente e semplicemente neuroscientifica non si può risolvere.

Dire che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura) é assurdo: nei cervelli si possono trovare solo neuroni (e cellule gliali, vasi, ecc), assoni, sinapsi, potenziali d' azione ed eccitazioni e d inibizioni trans-sinaptiche (perfettamente riducibili a particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.: materia tout court) e non affatto coscienza: nessun colorato arcobaleno o panorama se il "titolare "di un cervello che si osserva sta vedendo un arcobaleno o un panorama, nessun odio, amore, paura, soddisfazione, speranza, immaginazione, ecc. se sta odiando, amando, provando soddisfazione, sperando immaginando, ecc.).
Per il semplice motivo che non é l' esperienza** (del suo "titolare") ad essere nel cervello osservato, ma invece il cervello (osservato) ad essere nella coscienza* (di chi o osserva).

L'uomo compreso il suo pensiero, è parte della natura, che ne influenza profondamente il cogito. ABC del materialismo marxista. Ma anche delle neuroscienze e del buonsenso. Che le neuroscienze siano in alto mare lo so. Ma hanno tutto il sacrosanto diritto, senza fingere ipotesi, di ricercare.

Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Per la chiusura causale del mondo fisico (senza la quale sarebbero possibili i miracoli e la scienza andrebbe a farsi benedire; magari anche letteralmente, da qualche prete o stregone) la res cogitans non può avere alcun effetto di alcun genere (qualsiasi cosa possa significare "trascendentale"), non può agire in alcun modo sulla res extensa.

La res cogitans modifica, attraverso l'operari umano, la natura. Biotecnologie, un esempio a caso. Anche questo è abc del marxismo.

Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
La conoscenza e la spiegazione scientifica della comparsa nel corso dell' evoluzione biologica delle facoltà conoscitive umane, quella filosofica (gnoseologica o come si preferisce di fatto dire epistemologica) dei fondamenti, significato, natura, limiti, condizioni, ecc. della conoscenza e quella pure filosofica (ontologica) dei rapporti materia (cerebrale) - coscienza  sono tre ben diversi ordini di questioni, da non confondersi.
In particolare la scienza biologica ci spiega benissimo come si é evoluto il cervello umano e conseguentemente il comportamento umano da esso "diretto" o regolato, ma nulla dei rapporti mente - cervello: per la biologia la coscienza potrebbe benissimo non accompagnare alcun cervello, uomini e animali potrebbero essere delle sorta di zombi "funzionanti" (agenti) come agiscono senza averne coscienza, e nulla cambierebbe, per nulla potremmo accorgercene.

Non la farei così complicata. Le facoltà cognitive umane sono un prodotto evolutivo naturale.

Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
NOn si tratta affatto di dispute tardonominalistiche fra scienza e filosofia da gettare nella spazzatura ma invece di problemi (per me soggettivamente interessantissimi!): si tratta di comprendere in che senso (che significano queste affermazioni) siamo contemporaneamente materia cerebrale (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da altri, nell' ambito delle loro coscienze*), e  la nostra propria esperienza cosciente** (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da noi stessi).

Mia spiegazione: siamo contemporaneamente physis e psichè. La (auto)coscienza è il connettore tra le due sfere, il medium della dimensione psicofisica. Separarle con il rasoio, fosse pure quello di Occam, non si ottiene nulla di meglio che due cadaveri. Disjecta membra, come diceva il buon Karl.

Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
NOn comprendo: per me la verità é sempre verità per qualcuno che la conosce (se nessuno crede nulla esistono fatti, non verità, né falsità; le quali sono caratteristiche proprie di quei peculiari fatti che sono i predicati o affermazioni o giudizi).
E la veridicità é la caratteristica del soggetto di un' affermazione che dice il vero (a meno di non considerarla come mero sinonimo di "verità" attribuendola all' affermazione stessa).

Rispondevo ad apeiron che intende la matematica come verità, mentre è soltanto veridica (soggetto che dice il vero) nel suo ristretto ambito onto-logico, epifenomenico rispetto alla "forma" della razionalità umana.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione
CitazioneSgiombo:

Premetto che di marxismo penso di conoscere un po' di più dell' "abc" (anche perché non essendo un corpus di testi sacri non esiste alcuna "versione ufficialmente accettata", con tanto di "imprimatur", né del marxismo complessivamente inteso, né di alcun suo "abc").
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 13:21:45 PM




Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
La "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa.
Secondo me la "filosofia materialista" non riesce a risolvere il problema perché non ne ha una comprensione corretta; infatti per via puramente e semplicemente neuroscientifica non si può risolvere.

Dire che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura) é assurdo: nei cervelli si possono trovare solo neuroni (e cellule gliali, vasi, ecc), assoni, sinapsi, potenziali d' azione ed eccitazioni e d inibizioni trans-sinaptiche (perfettamente riducibili a particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.: materia tout court) e non affatto coscienza: nessun colorato arcobaleno o panorama se il "titolare "di un cervello che si osserva sta vedendo un arcobaleno o un panorama, nessun odio, amore, paura, soddisfazione, speranza, immaginazione, ecc. se sta odiando, amando, provando soddisfazione, sperando immaginando, ecc.).
Per il semplice motivo che non é l' esperienza** (del suo "titolare") ad essere nel cervello osservato, ma invece il cervello (osservato) ad essere nella coscienza* (di chi o osserva).

L'uomo compreso il suo pensiero, è parte della natura, che ne influenza profondamente il cogito. ABC del materialismo marxista. Ma anche delle neuroscienze e del buonsenso. Che le neuroscienze siano in alto mare lo so. Ma hanno tutto il sacrosanto diritto, senza fingere ipotesi, di ricercare.
Citazione
Questa banalissima ovvietà (piuttosto che abc del marxismo, mero buon senso) che L'uomo compreso il suo pensiero, è parte della natura, che ne influenza profondamente il cogito non é certamente la soluzione della questione dei rapporti cervello-mente.

Le neuroscienze, compiendo progressi a mio parere filosoficamente assai poco rilevanti (secondo me bastava quello che si sapeva quasi un secolo e mezzo fa, ai tempi di Broca e Wernicke per impostare il problema filosofico su basi  scientificamente assai consistenti) non hanno fatto che confermare e "illustrare sempre meglio nei dettagli" il fatto che ogni determinata esperienza cosciente  necessariamente coesiste con determinato eventi neurofisiologici nell' ambito di un determinato cervello .
Ma questo é precisamente solo il punto di partenza per affrontare la questione filosofica (che taluni credono di risolvere "eliminativisticamente", negando contro l' evidenza empirica dei fatti la realtà della coscienza "soggettiva" (dei "qualia"). altri identificandola, pure contro l' evidenza empirica dei fatti, con quelle ben altre, diverse, seppur necessariamente coesistenti, cose che sono tali processi neurofisiologici, altri pretendono che "emerga da" o sopravvenga a" essi, altri che con essi interferisca causalmente contro la chiusura causale del mondo fisico, io nel mio piccolo che vi corrisponda biunivocamente, altri ancora ecc.). 

Dunque nessuno si sogna di vietare (e ci mancherebbe altro!) alle scienze neurofisiologiche di fare il suo mestiere (nel quale si trovano tutt' altro che "in alto mare"), ma nemmeno la neurofisiologia (o lo scientismo o il positivismo) può pretendere di vietare alla filosofia di trattare queste ed altre teorie esplicative dl problema, nell ' intento di risolverlo (se possibile).

Se poi tu (a mio parere contro il marxismo inteso correttamente; sebbene dimostri di averne un' eccellente conoscenza -concetto ovviamente ben diverso da quello di conoscenza "perfetta", assolutamente indenne da fraintendimenti- per la quale ti faccio i miei sinceri complimenti) ritieni che le scienze naturali bastino a comprendere la questione (e forse anche la diversa questione del materialismo storico e dell' economia politica), fai pure.
Per conto mio invece non bastano proprio.




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CitazioneCitazione da: sgiombo - Tue Nov 06 2018 11:53:24 GMT+0100 (Ora standard dell'Europa centrale)

Per la chiusura causale del mondo fisico (senza la quale sarebbero possibili i miracoli e la scienza andrebbe a farsi benedire; magari anche letteralmente, da qualche prete o stregone) la res cogitans non può avere alcun effetto di alcun genere (qualsiasi cosa possa significare "trascendentale"), non può agire in alcun modo sulla res extensa.

La res cogitans modifica, attraverso l'operare umano, la natura. Biotecnologie, un esempio a caso. Anche questo è abc del marxismo.
Citazione(A parte l' ultima pretesa che sia l' abc del marxismo) Concordo in pieno (ma non l' ho mai negato).
Ma é irrilevante circa la questione dei rapporti mente - cervello (che a mio parere va affrontata dandolo ovviamente per scontato).




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Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
La conoscenza e la spiegazione scientifica della comparsa nel corso dell' evoluzione biologica delle facoltà conoscitive umane, quella filosofica (gnoseologica o come si preferisce di fatto dire epistemologica) dei fondamenti, significato, natura, limiti, condizioni, ecc. della conoscenza e quella pure filosofica (ontologica) dei rapporti materia (cerebrale) - coscienza  sono tre ben diversi ordini di questioni, da non confondersi.
In particolare la scienza biologica ci spiega benissimo come si é evoluto il cervello umano e conseguentemente il comportamento umano da esso "diretto" o regolato, ma nulla dei rapporti mente - cervello: per la biologia la coscienza potrebbe benissimo non accompagnare alcun cervello, uomini e animali potrebbero essere delle sorta di zombi "funzionanti" (agenti) come agiscono senza averne coscienza, e nulla cambierebbe, per nulla potremmo accorgercene.

Non la farei così complicata. Le facoltà cognitive umane sono un prodotto evolutivo naturale.
CitazioneChe le facoltà cognitive umane sono un prodotto evolutivo naturale é ovvio (e da me mai negato), ma limitarsi a questa ovvietà ("farla così semplice") non solo non risolve la questione, ma dimostra anche che la si ignora tout court (beninteso: niente di male, ognuno coltiva gli interessi che più gli aggradano).




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Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
NOn si tratta affatto di dispute tardonominalistiche fra scienza e filosofia da gettare nella spazzatura ma invece di problemi (per me soggettivamente interessantissimi!): si tratta di comprendere in che senso (che significano queste affermazioni) siamo contemporaneamente materia cerebrale (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da altri, nell' ambito delle loro coscienze*), e  la nostra propria esperienza cosciente** (mia spiegazione filosofica: in quanto osservati da noi stessi).

Mia spiegazione: siamo contemporaneamente physis e psichè. La (auto)coscienza è il connettore tra le due sfere, il medium della dimensione psicofisica. Separarle con il rasoio, fosse pure quello di Occam, non si ottiene nulla di meglio che due cadaveri. Disjecta membra, come diceva il buon Karl.
CitazioneParole che trovo molto vaghe ed oscure, che mi sembrano piuttosto enunciare la negazione del problema che tentarne una comprensione e un tentativo di soluzione.





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Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2018, 11:53:24 AM
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.
NOn comprendo: per me la verità é sempre verità per qualcuno che la conosce (se nessuno crede nulla esistono fatti, non verità, né falsità; le quali sono caratteristiche proprie di quei peculiari fatti che sono i predicati o affermazioni o giudizi).
E la veridicità é la caratteristica del soggetto di un' affermazione che dice il vero (a meno di non considerarla come mero sinonimo di "verità" attribuendola all' affermazione stessa).

Rispondevo ad apeiron che intende la matematica come verità, mentre è soltanto veridica (soggetto che dice il vero) nel suo ristretto ambito onto-logico, epifenomenico rispetto alla "forma" della razionalità umana.
CitazioneLa matematica mi sembra piuttosto astratta rispetto ala realtà fenomenica immediatamente esperita che "epifenomenica rispetto alla "forma" della razionalità umana" (locuzione cui non saprei che senso dare).

Apeiron

Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AMLa "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa. Di tutto il bestiario filosofico narrato, mi pare che Kant sia quello che si avvicina di più alla realtà. Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo, capaci di trascendere col ragionamento logico i livelli meramente empirici dell'esperienza. Come una particella subatomica siamo contemporaneamente massa e onda, esperienza empirica e trascendentale. Non vi è alcuna contraddizione perchè siamo entrambe le cose. Mi auguro che scienza e filosofia finiscano con l'accorgersene, mettendo nella spazzatura della loro storia dispute tardonominalistiche il cui tempo è scaduto.


Ciao Ipazia,

Direi che la "filosofia materialistica" può accettare in parte e solo in parte quel tipo di ragionamento  :) ...

La "filosofia materialistica" assume che le nostre categorie mentali possano essere utilizzate per comprendere la "realtà esterna" alla nostra esperienza cosciente, assumendo, inoltre, che tale "realtà esterna" si possa conoscere empiricamente. Facendo così "si allontana" sia da Cartesio sia da Kant (pur conservando analogie con entrambi...).

Da Cartesio perché, secondo Cartesio, a-priori la conoscenza empirica non ci può dare una conoscenza adeguata sulla realtà esterna.

Da Kant, perché la "realtà esterna" è comprensibile dalle nostre categorie perché tale "realtà esterna" è implicata dall'ordinamento delle nostre sensazioni (ovvero applicando la causalità alle sensazioni, queste ultime non si possono spiegare senza "realtà esterna", perciò la "realtà esterna" è paradossalmente "interna" alla nostra rappresentazione).

La "filosofia Kantiana" cerca di spiegare la validità dell'applicazione delle nostre categorie mentali all'esperienza (e quindi, per Kant, la scienza) assumendo che l'esperienza viene ordinata dalla nostra mente in un certo modo. Hume e Cartesio criticherebbero Kant per l'assunzione, seppur per motivi diversi e, inoltre, è ben da vedere quanto questo tentativo di spiegazione riesce effettivamente a spiegare...

Andando nel dettaglio del tuo intervento:
Citazione
Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura).
[preferirei il termine "mente" piuttosto che "pensiero" che può essere una parola fuorviante ma lasciando perdere ciò], questo però non è un punto "assodato" è una assunzione della filosofia materialistica (peraltro, c'è anche quello che è definito "the hard problem of consciousness"...).

Citazione
Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa

se ciò è vero qui si assume che si può riuscire fino a che punto le facoltà trascendentali "distorcono" la "res extensa" (che per il materialismo, è la "realtà vera"). Ovvero: se non diciamo che la "realtà esterna" è parte della rappresentazione come possiamo dire che tale "realtà esterna" è "conoscibile" (dubbio Cartesiano)? In pratica, qui c'è l'assunzione del realismo diretto già criticata sia dagli empiristi (Hume, Berkeley...) che dai razionalisti (Cartesio, Spinoza) che da Kant.  Per Cartesio e Spinoza il problema è che non c'è nessuna categoria che il nostro sistema percettivo ci possa dare una conoscenza della "realtà esterna". Per Hume e Berkeley, i sensi non dimostrano l'esistenza della "materia". Per Kant, non si può sapere come è "la realtà indipendentemente dalle nostre rappresentazioni".

Citazione
Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo

per farlo, si deve assumereche tale spiegazione valga nel tempo (quindi in qualche modo, ci deve essere qualcosa che è "indipendente" dal tempo...).

Il punto è che così non superilo scetticismo di Hume e Cartesio (cosa che ha provato a fare Kant senza ahimè riuscirci)

Vedo che ci sono molte assunzioni e pochi tentativi di spiegare perché:
1) perché si può conoscere qualcosa di indipendente dalle "rappresentazioni";
2) e ammesso ciò, perché si può conoscere qualcosa.

Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.

Se appoggi la filosofia Kantiana no problem.
Se appoggi la filosofia materialistica, invece, devi assumere che possiamo distinguere la "verità" dalla "veridicità" altrimenti, è una filosofia materialistica solo di nome. In fin dei conti, se assumi la "filosofia materialistica" e credi che le neuroscienze possano darci una conoscenza della realtà aldilà delle nostre "funzioni trascendentali" assumi che la "realtà esterna" è conoscibile  :)

Da qui il mio richiamo al problema della matematica. Ma visto che ha portato un po' fuori strada (anche se, il buon Einstein - che era un realista diretto o quasi - affermava che "l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità...Il fatto che sia comprensibile è un miracolo")

Perché tale di "realtà esterna" indipendente dalle nostre funzioni trascendentali si possono conoscere le proprietà?  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Sgiombo

CitazioneQui farei una prima obiezione:
Conoscere =/= sentire
Conoscere == predicare circa il sentire (o altro) conformemente alla realtà (del sentire o altro).
Nessun possibile oggetto di conoscenza é sentito indipendentemente dall' esperienza (per definizione); dunque nessuna sensazione (e non conoscenza) può accadere indipendentemente dall' esperienza costituita da sensazione (o sensazioni), tutti gli oggetti di sensazione sono sentiti tramite l' esperienza, anzi in quanto sensazioni costituenti l' esperienza; ma se continuano ad esistere anche senza l' esperienza (anche se e quando le sensazioni non accadono realmente, anche indipendentemente dalla eventuale realtà di queste, allora sono cosa diversa da esse, dall' esperienza), allora non sono costituite da sensazioni ovvero apparenze sensibili (fenomeni) ma invece da cose reali in sé e non apparenti ma congetturabili (noumeno).

Apeiron

vero però senza il "supporto" dell'esperienza (ed, eventualmente, ciò che può essere ricavato in modo indubitabile da essa) la "conoscenza" è una congettura (cosa su cui anche tu sei d'accordo  ;) )
Onestamente, pensavo che fosse chiaro che, ad esempio, "realismo empirico" significa proprio che si ha conoscenza di qualcosa che è indipendente ontologicamente e che lo si può conoscere tramite l'esperienza (e quindi, in ultima analisi le sensazioni...). Non capisco cosa cambia questa tua precisazione (per me era già implicita...) 


Sgiombo

CitazioneNon si riferiscono all' epistemologia (allo studio della conoscenza) ma all' ontologia (alla realtà): le sensazioni sono fatti, non conoscenze (conoscenze sono invece -peculiari sensazioni costituite da- proposizioni, pensieri, predicati veri circa fatti (come le sensazioni o eventualmente altro); veri o "conformi" (concetto da definire per bene) ai fatti stessi.
 
Traducendo dalla questione (secondo me mal posta) delle sensazioni in quella (corretta) delle conoscenze circa le sensazioni, allora circa queste ultime si pone il problema se ad esistere o meno indipendentemente dal soggetto sono le sensazioni (fenomeni) o gli oggetti in sé (noumeno) delle stesse
 
Se le sensazioni (fenomeni) necessitano di un soggetto (in sé, da esse diverso, reale anche indipendentemente da esse: noumeno), allora i fenomeni sono indubbiamente dipendenti dal soggetto, mentre il noumeno (le cose in sé oggetto di sensazione fenomenica) potrebbero:
 
o esistere (essendo ben altra cosa ei fenomeni) indipendentemente dall' esistenza del soggetto e dei fenomeni o sensazioni: realismo:
 
oppure semplicemente non esistere: irrealismo (o idealismo a là Berkeley: esistono solo le sensazioni e non loro specifici oggetti, loro "oggetto" essendo in ultima analisi alquanto aspecificamente Dio che le fa esistere[font="Segoe UI", "Helvetica Neue", "Liberation Sans", "Nimbus Sans L", Arial, sans-serif] 
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Apeiron

Beh "trascendentale" e "empirico" sono concetti epistemologici. Il loro significato è nel campo epistemologico. Riguardo ad "idealismo" ed "empirismo" direi che è invece abbastanza ovvio che il significato è ontologico. Sulla questione del noumeno torno più avanti.

Sgiombo

CitazioneUna volta reimpostata correttamente (secondo me) la questione come questione delle sensazioni e non delle conoscenze (delle sensazioni), si può credere che gli oggetti in sé (noumeno) esistono indipendentemente dalle sensazioni e dai soggetti di sensazione (essi stessi in sé o noumeno), con esse correlate (biunivocamente corrispondenti) ma da essi diverse: altre "cose"!
Ma non lo si può dimostrare logicamente né tantomeno (per definizione) constatare empircamente (e questo vale pari pari per il soggetto delle sensazioni, cosa in sé o noumeno anch' esso).
Quello che si percepisce sensibilmente sono solo fenomeni, sensazioni: "esse est percipi"; e forse hanno oggetti reali in sé (noumeno) da esse stesse del tutto diversi (ad esse solo correlati, corrispondenti), forse no: lo si può credere solo per fede.
Questa é la posizione di Hume (e naturalmente mia), mentre mi sembra (se non li fraintendo) che per Kant e "in un certo senso" per Spinoza l' esistenza reale delle cose in sé o noumeno (per quanto inteso in maniera del tutto indeterminata) sia certa (sebbene per Kant esso non sia conoscibile nelle caratteristiche determinate che lo costituiscono -razionalmente- dalla ragion pratica ma solo -a mio parere irrazionalmente- dalla ragion pratica).

Apeiron

concordo... pure su Kant (udite, udite!)  ;D o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie). 

Sgiombo

CitazioneQui entra in ballo la conoscenza delle sensazioni.
La quale per me può limitarsi a essere una conoscenza "episodica" o "aneddottica" di singoli enti o eventi particolari concreti immediatamente esperiti; oppure può (limitatamente ai fenomeni materiali: res extensa, in quanto misurabili qantitativamente e postulabili essere intersoggettivi) ambire ad essere conoscenza scientifica, ovvero conoscenza delle modalità generali astratte, universali e costanti del divenire; ma in questo caso richiede la verità di talune conditiones sine qua non indimostrabili né empiricamente constatabili: oltre all' intersoggettività, il divenire ordinato secondo concatenazioni causali (di questa infondatezza razionale, di questa incertezza o dubitabilità in linea teorica o di principio é ben consapevole Hume, mentre -se ben l' ho compreso- Kant pretende di fondarne la certezza sulle -per me inesistenti, se non come tendenze comportamentali e non come credenze certe; casomai come "credute certezze" e non come "certezze reali" - forme a priori 
Apeiron

Penso di essere d'accordo e penso che anche la "mia interpretazione di Kant" sia d'accordo con quanto dici (forse non sarebbe d'accordo con la critica che "gli" fai alla fine, ma hai ragione :)  - anche se, a rigore, Hume non ha mai realmente dubitato della ragionevolezza della causalità...)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

#444
Sgiombo

CitazioneFin qui concordo con Cartesio: le qualità primarie, per il fatto di essere misurabili direttamente, non sono meno fenomeniche o più in sé (il loro "esse" non é meno "pecipi") di quelle secondarie.

Apeiron

Idem...

Sgiombo

CitazioneApeiron
Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza.

Citazione
CitazioneQui naturalmente dissento da Cartesio (sempre seguendo l' immenso Hume) sulla certezza del soggetto del "cogito" (l' "ego" che ne sarebbe -erroneamente- dedotto) e sulla cosiddetta "prova ontologica" dell' esistenza di Dio e tutto ciò che ne ricava.

Apeiron

Concordo.

Tra l'altro anche Kant, pur ritenendo "verità indubitabili" le forme e le categorie riteneva che le prove dell'esistenza di Dio non potevano portare a niente perché Dio non è un oggetto dell'esperienza fenomenico (per Kant). Così come non lo è nemmeno l'universo nella sua interezza (non può essere "osservato" dall'esterno, per così dire...). In ambo i casi, la ragione - per Kant- genera antinomie e, al massimo, congetture. Inoltre, Kant dice la stessa cosa anche per l'anima (l'"io noumenico") e il libero arbitrio.

Sgiombo


CitazioneFu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento.

Citazione
CitazioneMa soprattutto che provocava, causava la loro presenza come meri fenomeni nella nostra coscienza.


Apeiron
Vero

Sgiombo


CitazioneApeiron
Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca").

Citazione
CitazioneMa le "forme" e "categorie" "a-priori" non sono empiricamente dimostrabili né mostrabili come applicabili con certezza di verità all' esperienza fenomenica: Kant si illude di superare lo scetticismo humeiano, ma in realtà non lo supera affatto!

Apeiron
Concordo... non puoi dimostrarlo. A meno che non riesci a conoscere "direttamente" la "natura della mente"...conoscenza che non è né necessaria logicamente né empiricamente (Wittgenstein nel Tractatus pur riconoscendo all'idealismo trascendentale che "il mondo è il mio mondo" e che le proposizioni devono avere un contenuto** critica l'idealismo trascendentale perché postula un "ordine a priori" nell'esperienza).

**per Kant, il "contenuto" che fa andare fuori dal mondo fenomenico è, per certi versi, l'etica (anche se, in realtà non dà vera conoscenza). Per Wittgenstein, le scienze naturali producevano "proposizioni sensate" perché potevano essere ricondotte all'empirico (era vicino al neopositivismo logico - anche se non lo era, come è evidente dalla parte finale del Tractatus stesso...)

Sgiombo

CitazioneApeiron
Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.

Citazione

CitazioneMa se ben lo intendo erano "oggetti" e non sensazioni immediate solo in quanto cose in sé o noumeno, non i quanti fenomeni.

Apeiron

Sono indipendenti dalla nostra esistenza ma al tempo stesso sono "interni" all'esperienza cosciente (o meglio, alla "rappresentazione") perché sono necessari per spiegare la presenza delle sensazioni. Quindi non sono "fenomeni" in quanto sensazioni, bensì sono all'interno del mondo fenomenico in quanto sono implicati dalla causalità (che è una forma regolativa a-priori). O almeno questo è quello che pensa "Kant interpretato da me"  ::)  

Sgiombo

CitazioneApeiron
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato   ).

Citazione
CitazioneSecondo me l' apparente paradosso (che mi sembra proprio della tua interpretazione errata -ma potrei invece sbagliarmi io!- di Kant e non del grande konigsberghese) si scioglie facilmente distinguendo fra "oggetto" (di sensazione e non di conoscenza), impropriamente inteso come apparenza fenomenica nell' ambito della nostra coscienza (quelle materiali -res cogitans- non sono propriamente oggettive ma possono solo essere -indimostrabilmente postulate- essere intersoggettive; cioè reciprocamente corrispondenti -e non "cose" uguali, che non avrebbe senso, né men che meno le medesime "cose"- fra le diverse esperienze fenomeniche dei diversi soggetti); e "oggetto" propriamente inteso come cosa in sé o noumeno (in determinate relazioni con l' altra cosa in sé che é l' oggetto allorché accadono i determinati fenomeni coscienti; quelli materiali se soggetti ed oggetti sono diverse cose in sé, mentali se riflessivamente si identificano nella medesima cosa in sé).


Apeiron

E invece credo di no  ;D secondo "la mia interpretazione di Kant" o "Kant interpretato da me", gli oggetti esterni, pur essendo ontologicamente indipendenti dall'esistenza del soggetto, sono pur parte della rappresentazione in quanto sono necessari nell'ordinamento della "causalità". Su questo punto si capisce, secondo me, il fatto che Kant voleva distanziarsi da Berkeley/Hume e Cartesio/Spinoza e il motivo della critica rivoltagli da Fichte, Schelling e Hegel, secondo i quali non ha completato la sua "rivoluzione" (per questi filosofi, il "mondo esterno" era la creazione di una coscienza...per Kant ciò era possibile solo per Dio, la cui esistenza non poteva essere dimostrata con la "ragion pura" ma al massimo postulata dalla ragion pratica. Per il trio appena nominato tale coscienza era lo "Spirito" che ha creato il mondo esterno e di cui noi siamo "manifestazioni" - se non li ho fraintesi  :) )

Sgiombo

CitazioneApeiron
Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni

Citazione

CitazionePerfettamente d' accordo salvo "sentire" anziché "conoscere" (e solo conseguentemente il conoscere ciò che si sente).
Concordo...

Sgiombo
CitazioneApeiron
Il "realismo diretto" perciò,  non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza

Citazione
CitazioneQui devo ripetere che per me é un fatto del tutto ovvio non richiedente alcuna spiegazione.


Apeiron
Non è affatto ovvio che una "realtà esterna", indipendente ontologicamente da noi e non parte della nostra rappresentazione, sia regolare (assunzione 1) e che tali regolarità siano comprensibili da noi (assunzione 2) - ci sono anche altre assunzioni ma mi fermo qui. Onestamente, non capisco il motivo per cui a te sembra così "ovvio"  :)

Come diceva Einstein:"l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità...Il fatto che sia comprensibile è un miracolo"
E Einstein era un realista diretto o molto vicino al realismo diretto se non ricordo male...

Ciao!


X Ipazia,

fai conto che ho detto che questo casino era iniziato con Cartesio perché è lui che ha messo in dubbio tutto. Anche Hume poi ha messo in discussione l'applicazione dei concetti all'esperienza. 
Con la questione delle "categorie" e delle "forme" a-priori Kant voleva dare un fondamento certo alla scienza per eliminare la possibilità che argomenti come quelli proposti da Cartesio e Hume potevano mostrare che si poteva dubitare della scienza. L'intenzione di Kant perciò era quella di dare alla scienza un fondamento indubitabile, irrefutabile, certo...se poi il suo tentativo sia fallito è un altro discorso :) 

Ovviamente, uno può "fregarsene" di questo tipo di dubbi, usando un approccio pragmatico ;) (in fin dei conti anche Hume poi sceglieva di "credere" nella ragionevolissima ipotesi che la causalità era vera - e che quindi non aveva senso pratico di dubitare che prendendo a pugni un muro si potevano avere danni alle mani)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Ipazia

@ Apeiron

Io assumo il punto di vista della cosa-per-noi, non della cosa-in-sè. Da questa prospettiva "pragmatica" e realista le cose sono molto più semplici e richiedono meno dimostrazioni. Quello che la ricerca scientifica offre mi basta e avanza. Ad essa consegno l'ontologia degli enti materiali incluso l'Essere e il suo ibrido Creatore. Ritengo tale posizione filosofica sostanzialmente materialista. A questo punti tu dici: non mi basta. Concordo e pertanto mi riservo uno spazio ontologico particolare, cui attribuisco un carattere trascendentale, agli enti immateriali prodotti  dall'attività umana (res cogitans) interagendo con la Natura (res extensa) non intesa come realtà esterna vista da fuori, ma da dentro da una sua parte interagente. Tale interazione modifica la natura sia materialmente che "spiritualmente", trascendendo la legge esclusiva del DNA. Il processo ha caratteristiche dialettiche, di feedback, retroattive ed è su questa dialettica che si gioca il destino umano, la sua progettualità. Anche questa posizione mi pare compatibile con una filosofia materialistica (homo sive natura). Certamente non meccanicistica e dogmaticamente deterministica. Peraltro, delle patenti di ortodossia scolastica, non mi preoccupo granchè. Mi basta ridurre tutto il reale alla sua dimensione - in divenire -antropologicamente rappresentabile. La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 06 Novembre 2018, 21:48:24 PM


Apeiron

vero però senza il "supporto" dell'esperienza (ed, eventualmente, ciò che può essere ricavato in modo indubitabile da essa) la "conoscenza" è una congettura (cosa su cui anche tu sei d'accordo  ;) ).
Onestamente, pensavo che fosse chiaro che, ad esempio, "realismo empirico" significa proprio che si ha conoscenza di qualcosa che è indipendente ontologicamente e che lo si può conoscere tramite l'esperienza (e quindi, in ultima analisi le sensazioni...). Non capisco cosa cambia questa tua precisazione (per me era già implicita...)
Citazione

Sgiombo:
La conoscenza delle sensazioni é una cosa (un fatto), le sensazioni sono altre cose (altri fatti).

"Ciò di cui si ha sensazione" può essere inteso come le sensazioni stesse (un albero che vedo), delle quali "esse est percipi", e dunque qualcosa di non indipendente (anzi: di identico) ontologicamente dalle sensazioni stesse (e dal rispettivo soggetto, se reale; anche se non solo da tutto ciò); oppure come la cosa in sé (se reale) che "si manifesta come le (corrisponde biunivocamente alle) sensazioni , ma é indipendente da esse (é reale anche e  e quando non lo sono le corrispondenti sensazioni con le quali "si manifesta" fenomenicamente) e dal rispettivo soggetto.





CitazioneNon si riferiscono all' epistemologia (allo studio della conoscenza) ma all' ontologia (alla realtà): le sensazioni sono fatti, non conoscenze (conoscenze sono invece -peculiari sensazioni costituite da- proposizioni, pensieri, predicati veri circa fatti (come le sensazioni o eventualmente altro); veri o "conformi" (concetto da definire per bene) ai fatti stessi.

Traducendo dalla questione (secondo me mal posta) delle sensazioni in quella (corretta) delle conoscenze circa le sensazioni, allora circa queste ultime si pone il problema se ad esistere o meno indipendentemente dal soggetto sono le sensazioni (fenomeni) o gli oggetti in sé (noumeno) delle stesse

Se le sensazioni (fenomeni) necessitano di un soggetto (in sé, da esse diverso, reale anche indipendentemente da esse: noumeno), allora i fenomeni sono indubbiamente dipendenti dal soggetto, mentre il noumeno (le cose in sé oggetto di sensazione fenomenica) potrebbero:

o esistere (essendo ben altra cosa ei fenomeni) indipendentemente dall' esistenza del soggetto e dei fenomeni o sensazioni: realismo:

oppure semplicemente non esistere: irrealismo (o idealismo a là Berkeley: esistono solo le sensazioni e non loro specifici oggetti, loro "oggetto" essendo in ultima analisi alquanto aspecificamente Dio che le fa esistere

Apeiron

Beh "trascendentale" e "empirico" sono concetti epistemologici. Il loro significato è nel campo epistemologico. Riguardo ad "idealismo" ed "empirismo" direi che è invece abbastanza ovvio che il significato è ontologico. Sulla questione del noumeno torno più avanti.
Citazione
Sgiombo:
Ma non stavamo parlando di ontologia?







Apeiron

concordo... pure su Kant (udite, udite!)  ;D o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie).
CitazioneNOn capisco la differenza: gli assiomi i quali  sono imposti (= il credere nella verità dei quali é imposto) dalla ragion pratica che cosa sono se non conoscenza (che esistono Dio, l' anima individuale immortale e il libero arbitrio)?





Apeiron

 a rigore, Hume non ha mai realmente dubitato della ragionevolezza della causalità...)
Citazione
Ne ha realmente dubitato, anche se ovviamente si é sempre comportato "ragionevolmente", come se non ne dubitasse (differenza fra conoscenza o teoria e pratica).

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 06 Novembre 2018, 22:13:20 PM

CitazioneApeiron
Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.

Citazione

Citazione
CitazioneSgiombo:
Ma se ben lo intendo erano "oggetti" e non sensazioni immediate solo in quanto cose in sé o noumeno, non i quanti fenomeni.
Apeiron

Sono indipendenti dalla nostra esistenza ma al tempo stesso sono "interni" all'esperienza cosciente (o meglio, alla "rappresentazione") perché sono necessari per spiegare la presenza delle sensazioni. Quindi non sono "fenomeni" in quanto sensazioni, bensì sono all'interno del mondo fenomenico in quanto sono implicati dalla causalità (che è una forma regolativa a-priori). O almeno questo è quello che pensa "Kant interpretato da me"  ::)  
CitazioneSgiombo:
Concordo se (come mi pare di comprendere ora) stai parlando di cose come gli atomi, le particelle-onde, i campi di forza, ecc.: questi non sono cose in sé ma invece ciò che si teorizza (si conosce come non falsificato) circa i fenomeni (il "mondo fenomenico" analizzato nelle modalità del suo divenire, nei suoi aspetti anche non immediatamente evidenti ma da ipotizzare per spiegare il divenire di quelli immediatamente evidenti: non usciamo dall' "esse est percipi", ma semplicemente percepiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente; o meglio consideriamo, pensiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente ciò che percepiamo.








CitazioneApeiron
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato   ).

Citazione
CitazioneSgiombo:
Secondo me l' apparente paradosso (che mi sembra proprio della tua interpretazione errata -ma potrei invece sbagliarmi io!- di Kant e non del grande konigsberghese) si scioglie facilmente distinguendo fra "oggetto" (di sensazione e non di conoscenza), impropriamente inteso come apparenza fenomenica nell' ambito della nostra coscienza (quelle materiali -res cogitans- non sono propriamente oggettive ma possono solo essere -indimostrabilmente postulate- essere intersoggettive; cioè reciprocamente corrispondenti -e non "cose" uguali, che non avrebbe senso, né men che meno le medesime "cose"- fra le diverse esperienze fenomeniche dei diversi soggetti); e "oggetto" propriamente inteso come cosa in sé o noumeno (in determinate relazioni con l' altra cosa in sé che é l' oggetto allorché accadono i determinati fenomeni coscienti; quelli materiali se soggetti ed oggetti sono diverse cose in sé, mentali se riflessivamente si identificano nella medesima cosa in sé).
Apeiron

E invece credo di no  ;D secondo "la mia interpretazione di Kant" o "Kant interpretato da me", gli oggetti esterni, pur essendo ontologicamente indipendenti dall'esistenza del soggetto, sono pur parte della rappresentazione in quanto sono necessari nell'ordinamento della "causalità". Su questo punto si capisce, secondo me, il fatto che Kant voleva distanziarsi da Berkeley/Hume e Cartesio/Spinoza e il motivo della critica rivoltagli da Fichte, Schelling e Hegel, secondo i quali non ha completato la sua "rivoluzione" (per questi filosofi, il "mondo esterno" era la creazione di una coscienza...per Kant ciò era possibile solo per Dio, la cui esistenza non poteva essere dimostrata con la "ragion pura" ma al massimo postulata dalla ragion pratica. Per il trio appena nominato tale coscienza era lo "Spirito" che ha creato il mondo esterno e di cui noi siamo "manifestazioni" - se non li ho fraintesi  :) )
CitazioneSgiombo:
Se per "oggetti esterni" intendi le cose in sé (o il noumeno) dissento: sono ontologicamente indipendenti dall' esistenza del soggetto di coscienza e diversi (altre "cose") dalle rappresentazioni fenomeniche.

Se invece (dicendo che sono necessari nell'ordinamento della "causalità"; comunque credibile per fede e non dimostrabile) intendi che sono aspetti "nascosti", non immediatamente evidenti della realtà fenomenica ma deducibili dai suoi aspetti immediatamente evidenti (atomi, particelle-onde, ecc.), comunque non reali indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche (e dal rispettivo soggetto, se é reale anch' esso), allora concordo. 








Sgiombo
CitazioneApeiron
Il "realismo diretto" perciò,  non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza

Citazione
CitazioneQui devo ripetere che per me é un fatto del tutto ovvio non richiedente alcuna spiegazione.


Apeiron
Non è affatto ovvio che una "realtà esterna", indipendente ontologicamente da noi e non parte della nostra rappresentazione, sia regolare (assunzione 1)
CitazioneSgiombo:
Deve esserlo se si vuole spiegare con essa l' intersoggettività dei fenomeni materiali e i rapporti cervello coscienza (altro modo di farlo non vedo, se non una leibniziana armonia prestabilita, nella quale il noumeno nemmeno esiste; casomai esiste Dio).








e che tali regolarità siano comprensibili da noi (assunzione 2) - ci sono anche altre assunzioni ma mi fermo qui. Onestamente, non capisco il motivo per cui a te sembra così "ovvio"  :)
CitazioneSgiombo:
Ma da noi le regolarità del noumeno o cosa in sé non sono comprensibili (nemmeno immaginabili); lo sono solo quelle (postulabili ma non dimostrabili) dei fenomeni).








In fin dei conti anche Hume poi sceglieva di "credere" nella ragionevolissima ipotesi che la causalità era vera - e che quindi non aveva senso pratico di dubitare che prendendo a pugni un muro si potevano avere danni alle mani)
CitazioneMa nella piena consapevolezza dell' infondatezza razionale di questa credenza.

Ciao!

Apeiron

Citazione di: Ipazia il 07 Novembre 2018, 10:50:56 AM@ Apeiron Io assumo il punto di vista della cosa-per-noi, non della cosa-in-sè. Da questa prospettiva "pragmatica" e realista le cose sono molto più semplici e richiedono meno dimostrazioni. Quello che la ricerca scientifica offre mi basta e avanza. Ad essa consegno l'ontologia degli enti materiali incluso l'Essere e il suo ibrido Creatore. Ritengo tale posizione filosofica sostanzialmente materialista.

@Ipazia,

beh, diciamo che è un "materialismo" molto particolare, il tuo (ho difficoltà a chiamarlo "materialismo", ma posso capire il motivo che ti porta a farlo ed è legittimo...). Rilevo una influenza del "relazionalismo" di Carlo Rovelli... sbaglio?
Chi è il "Creatore"?  :)  

Citazione di: Ipazia il 07 Novembre 2018, 10:50:56 AM
 A questo punti tu dici: non mi basta. Concordo e pertanto mi riservo uno spazio ontologico particolare, cui attribuisco un carattere trascendentale, agli enti immateriali prodotti dall'attività umana (res cogitans) interagendo con la Natura (res extensa) non intesa come realtà esterna vista da fuori, ma da dentro da una sua parte interagente. Tale interazione modifica la natura sia materialmente che "spiritualmente", trascendendo la legge esclusiva del DNA. Il processo ha caratteristiche dialettiche, di feedback, retroattive ed è su questa dialettica che si gioca il destino umano, la sua progettualità. Anche questa posizione mi pare compatibile con una filosofia materialistica (homo sive natura). Certamente non meccanicistica e dogmaticamente deterministica. Peraltro, delle patenti di ortodossia scolastica, non mi preoccupo granchè. Mi basta ridurre tutto il reale alla sua dimensione - in divenire -antropologicamente rappresentabile. La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco.

Penso di capire... punto di vista interessante! 

Quello che a me piace del relazionalismo, è che, effettivamente, sembra che si basa su un ragionamento che sembra funzionare bene nella fisica stessa. Galileo ha scoperto che le velocità erano definite in relazione ad un determinato riferimento. Einstein addirittura arriva a dire lo stesso per la simultaneità (e, quindi, anche per distanze e durate). Quello che i vari riferimenti hanno veramente in comune - a parte, ad esempio il valore della velocità della luce - sono le "regolarità" dei fenomeni. Tuttavia, mentre Minkowski riteneva che la "vera realtà" era uno "spazio-tempo quadridimensionale" da cui ogni riferimento "ricavava" le sue prospettive, è anche vero che noi non sperimentiamo uno "spazio-tempo quadridimensionale", bensì le "prospettive" (che Minkowski paragonava ad "ombre"). Usando, quindi, il gergo di Minkowski mentre lo "spazio-tempo quadridimensionale" sembra qualcosa di "astratto", le "ombre" sembrano molto "concrete" (anche se hanno una "realtà" puramente relazionale...quindi, effettivamente, sembrano essere "ombre"). La metafisica di Rovelli sembra dire che, in realtà, ci sono solo ombre. Ho abbastanza difficoltà a "immaginarmi" una "realtà" del genere, ma è anche vero che già un mondo dove non sono "definite" le velocità (vedi Galileo, se non prendi "sistemi di riferimento privilegiati") è contro-intuitivo. 

La filosofia di Kant, per certi versi, mi sembra "l'analogo" con le coscienze (anche se, in Kant, lo stato ontologico della "cosa in sé" non è ben chiarito...). In questo caso, però, se noi abbiamo accesso alla sola "cosa-per-noi" come spieghiamo il fatto di riuscire a interagire tra di noi? :)  sembra una domanda un po' stupida, ma il rischio dell'approccio Kantiano è proprio quello di "scivolare" in una sorta di solipsismo epistemologico o addirittura ontologico (mi pare che Carnap ha esplicitamente detto che il neopositivismo è "solipsismo ontologico" o "metodologico" e il neopositivismo deve molto a Kant. Così come (almeno) il "primo" Wittgenstein, che arriva a dire che "ciò che il solipsismo intende è del tutto corretto, solo che non si può dire"...). Secondo me "qualcosa" di importante viene "segnalato", per così dire, da queste filosofie ma forse questo "qualcosa" si riduce all'antinomia di cui parlavo a sgiombo, ovvero ammettere che ci sono cose che esistono in modo indipendente da noi (la Luna esiste quando non la osservo - e anche prima che nascessi e dopo la mia dipartita molto probabilmente) e ciononostante sono parte della rappresentazione/esperienza/mondo fenomenico. Chiaramente è una antinomia o un "paradosso"... 

Sgiombo,

Citazione
La conoscenza delle sensazioni é una cosa (un fatto), le sensazioni sono altre cose (altri fatti).

"Ciò di cui si ha sensazione" può essere inteso come le sensazioni stesse (un albero che vedo), delle quali "esse est percipi", e dunque qualcosa di non indipendente (anzi: di identico) ontologicamente dalle sensazioni stesse (e dal rispettivo soggetto, se reale; anche se non solo da tutto ciò); oppure come la cosa in sé (se reale) che "si manifesta come le (corrisponde biunivocamente alle) sensazioni , ma é indipendente da esse (é reale anche e  e quando non lo sono le corrispondenti sensazioni con le quali "si manifesta" fenomenicamente) e dal rispettivo soggetto.

Apeiron

Adesso capisco la distinzione, grazie. 

Ritengo che Kant sia, nella Ragion Pura, agnostico sulla cosa in sé. Tuttavia, per Kant, non è necessario chiamare in "causa" il noumeno per "rendere conto" dei fenomeni anche quando non li si osserva. Per Kant, traduco da una citazione dall'inglese "la conoscenza delle cose come effettive non richiede, certamente, l'immediata percezione (e, quindi, le sensazioni di cui siamo coscienti) dell'oggetto la cui esistenza è da conoscere " (A225/B272). Come dicevo, per spiegare l'insorgere delle sensazioni non è necessario "scomodare" il noumeno, per Kant (visto che sia le sensazioni che le cause delle sensazioni sono parti del "mondo empirico"/"mondo fenomenico"). Per lui, questo bastava per spiegare l'inter-soggettività e il fatto che viviamo in un mondo "condiviso".

Onestamente, però, credo che questo ragionamento produca solo un'antinomia, come dicevo (antinomia, peraltro interessante...). 

CitazioneSgiombo:
Ma non stavamo parlando di ontologia?
Apeiron

Ho avuto un lapsus. "Trascendentale" = "conoscenza indipendente dall'esperienza" /"Empirico" = "conoscenza derivata dall'esperienza".
"Realismo" = "esistenza indipendente dall'esistenza oggettiva" /"Idealismo" = "esistenza dipendente dall'esistenza soggettiva".

Ergo, stiamo parlando di entrambe. Il "paradosso" è che per Kant l'esperienza è "costruita" dalla mente e ciononostante in questa costruzione ci sono oggetti che esistono indipendentemente dalla mente ("realismo empirico"). La costruzione viene fatta tramite forme e categorie a priori, "a priori" e quindi che non si conoscono con l'esperienza. Inoltre, essendo "proprietà" della nostra mente, non possono "esistere" all'infuori di essa (ovviamente, esistono in altre menti) - "idealismo trascendentale".  

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[font="Segoe UI", "Helvetica Neue", "Liberation Sans", "Nimbus Sans L", Arial, sans-serif]Apeiron

concordo... pure su Kant (udite, udite!)   o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie). 



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CitazioneSgiombo:
NOn capisco la differenza: gli assiomi i quali  sono imposti (= il credere nella verità dei quali é imposto) dalla ragion pratica che cosa sono se non conoscenza (che esistono Dio, l' anima individuale immortale e il libero arbitrio)?
Apeiron

Sono imposti dalla "pratica", dal dovere morale. In pratica, l'etica richiede quei postulati. Ma questa è una richiesta, non una conoscenza "di per sé". Meglio adesso? :)


Citazione
Apeiron

 a rigore, Hume non ha mai realmente dubitato della ragionevolezza della causalità...)
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Ne ha realmente dubitato, anche se ovviamente si é sempre comportato "ragionevolmente", come se non ne dubitasse (differenza fra conoscenza o teoria e pratica).




Apeiron

Concordo! Diciamo che ne ha dimostrato l'indimostrabilità (argomento peraltro non nuovo, Sesto Empirico a quanto pare aveva già messo in dubbio l'induzione con un'argomentazione praticamente identica)  :) d'altro canto, però, c'è, diciamo, la "quasi" certezza che sia così  :)


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CitazioneSgiombo:

CitazioneSgiombo:
Concordo se (come mi pare di comprendere ora) stai parlando di cose come gli atomi, le particelle-onde, i campi di forza, ecc.: questi non sono cose in sé ma invece ciò che si teorizza (si conosce come non falsificato) circa i fenomeni (il "mondo fenomenico" analizzato nelle modalità del suo divenire, nei suoi aspetti anche non immediatamente evidenti ma da ipotizzare per spiegare il divenire di quelli immediatamente evidenti: non usciamo dall' "esse est percipi", ma semplicemente percepiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente; o meglio consideriamo, pensiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente ciò che percepiamo.

Apeiron

Credo che ci stiamo avvicinando :)


Ma questo è il "casino" della filosofia Kantiana. Per rendere sensata la rappresentazione gli "oggetti" devono esistere (la Ragion Pura lo "richiede", per così dire). Però la rappresentazione è, ovviamente, appunto una "rappresentazione" e quindi interna. 

Kant arriva addirittura a fare una distinzione tra l'arcobaleno e le gocce che lo "causano". Arriva a distinguere le apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" (in un certo senso, visto che come dici tu "ipotizziando" "percepiamo meglio") ma al contempo lo si fa (visto che la rappresentazione non avrebbe alcun senso senza tali "cose" non direttamente percepite) ;D

Quindi la Ragion Pura arriva ad un paradosso. In pratica, gli "oggetti" sono esterni ed interni a seconda di come li si considera. Ovviamente, è difficile giustificare che qualcosa sia all'interno della rappresentazione e indipendente ontologicamente da noi (per questo motivo ritengo che la filosofia Kantiana arriva ad una indecidibilità/antinomia...per Kant, forse, non c'era questa "antinomia" visto che da quanto mi sembra di capire pensava di aver risolto il dibattito tra razionalisti ed empiristi dando il tanto ricercato fondamento "certo" alla conoscenza scientifica). 



CitazioneSgiombo:
Se per "oggetti esterni" intendi le cose in sé (o il noumeno) dissento: sono ontologicamente indipendenti dall' esistenza del soggetto di coscienza e diversi (altre "cose") dalle rappresentazioni fenomeniche.

Se invece (dicendo che sono necessari nell'ordinamento della "causalità"; comunque credibile per fede e non dimostrabile) intendi che sono aspetti "nascosti", non immediatamente evidenti della realtà fenomenica ma deducibili dai suoi aspetti immediatamente evidenti (atomi, particelle-onde, ecc.), comunque non reali indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche (e dal rispettivo soggetto, se é reale anch' esso), allora concordo. 
Apeiron

Qui in realtà credo di concordare con te e non con il "mio Kant", anche se, in realtà, quello che dice è consistente seppur "paradossale" :)  nel senso, se la rappresentazione è ordinata, ovviamente, necessita degli "oggetti esterni" (quelli che Kant chiama "cose in sé empiriche"), tuttavia la rappresentazione non è "indipendente" da noi. Però, "punta" a qualcosa di esterno. La filosofia Kantiana arriva lì (da come leggo Kant, lui credeva che veramente il "puntare" era un "dimostrare", in realtà  :) ). Non va oltre, secondo me. Andare oltre, significa parlare della "realtà-così-come-è". E non abbiamo alcuna garanzia che "essa" - se c'è, come ben dici tu - sia come è "richiesto" dalla Ragion Pura. Nel rifiuto all'idealismo (anche se è un tentativo di rifiutare il solipsismo), Kant dice che solo con qualcosa di "esterno" possiamo avere auto-coscienza (grazie alla distinzione "interno" ed "esterno"...). Quindi per Kant la Ragion Pura "prova" l'esistenza di "qualcosa di esterno". Ma di questo "qualcosa" non possiamo sapere "come è veramente" indipendentemente dalle nostre categorie trascendentali (in realtà, a rigore, nemmeno "se c'è" ma assumendo che c'è vale quello che dicevo). 


CitazioneSgiombo:
Ma da noi le regolarità del noumeno o cosa in sé non sono comprensibili (nemmeno immaginabili); lo sono solo quelle (postulabili ma non dimostrabili) dei fenomeni).
Apeiron

Mi riferivo alla "cosa in sé". Per un realista diretto, però dovremmo conoscere la "cosa in sé"  ;)

Perchè, però, dici che non possiamo nemmeno comprendere e immaginare le (eventuali) regolarità del noumeno? Mi aspettavo che dicevi che, ammesso che esistono, non possiamo sapere quali sono... :)

Ciao!
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 09 Novembre 2018, 19:38:52 PM
Secondo me "qualcosa" di importante viene "segnalato", per così dire, da queste filosofie ma forse questo "qualcosa" si riduce all'antinomia di cui parlavo a sgiombo, ovvero ammettere che ci sono cose che esistono in modo indipendente da noi (la Luna esiste quando non la osservo - e anche prima che nascessi e dopo la mia dipartita molto probabilmente) e ciononostante sono parte della rappresentazione/esperienza/mondo fenomenico. Chiaramente è una antinomia o un "paradosso"...
Citazione
Che secondo me si risolve distinguendo fra:
cosa in sé (noumeno; per esempio corrisponde alla mia visione della luna) che esistequando non la osservo - e anche prima che nascessi e dopo la mia dipartita molto probabilmente;
e
fenomeni (la mia visione della luna) che esistono solo quando li sento (solo quando osservo la luna).




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Citazione
La conoscenza delle sensazioni é una cosa (un fatto), le sensazioni sono altre cose (altri fatti).

"Ciò di cui si ha sensazione" può essere inteso come le sensazioni stesse (un albero che vedo), delle quali "esse est percipi", e dunque qualcosa di non indipendente (anzi: di identico) ontologicamente dalle sensazioni stesse (e dal rispettivo soggetto, se reale; anche se non solo da tutto ciò); oppure come la cosa in sé (se reale) che "si manifesta come le (corrisponde biunivocamente alle) sensazioni , ma é indipendente da esse (é reale anche e  e quando non lo sono le corrispondenti sensazioni con le quali "si manifesta" fenomenicamente) e dal rispettivo soggetto.

Apeiron

Adesso capisco la distinzione, grazie.

Ritengo che Kant sia, nella Ragion Pura, agnostico sulla cosa in sé. Tuttavia, per Kant, non è necessario chiamare in "causa" il noumeno per "rendere conto" dei fenomeni anche quando non li si osserva. Per Kant, traduco da una citazione dall'inglese "la conoscenza delle cose come effettive non richiede, certamente, l'immediata percezione (e, quindi, le sensazioni di cui siamo coscienti) dell'oggetto la cui esistenza è da conoscere " (A225/B272). Come dicevo, per spiegare l'insorgere delle sensazioni non è necessario "scomodare" il noumeno, per Kant (visto che sia le sensazioni che le cause delle sensazioni sono parti del "mondo empirico"/"mondo fenomenico"). Per lui, questo bastava per spiegare l'inter-soggettività e il fatto che viviamo in un mondo "condiviso".

Onestamente, però, credo che questo ragionamento produca solo un'antinomia, come dicevo (antinomia, peraltro interessante...).
Citazione
Ma secondo me non é così che pensava Kant.
Secondo me parlava solo della conoscenza (in generale e in particolare scientifica) del "mondo fenomenico", che abbiamo anche quando non osserviamo nel senso che sappiamo che se osserviamo in un determinato modo, allora vediamo determinati fenomeni.
La cosa in sé o noumeno é reale del tutto indipendentemente dalla realtà del mondo fenomenico e rispettivi soggetti (e secondo me anche per Kant questo ne spiega fra l' altro l' intersoggettività; limitata sua parte materiale).
Invece il "mondo fenomenico" inteso come l' insieme di tutte le realmente presenti, realmente passate, realmente future e le meramente potenziali (che accadrebbero, nel passato, nel presente e nel futuro puntualmente, inevitabilmente qualora si dessero le "opportune" condizioni di osservazione) é distinto dalle singole, particolari esperienze (presentemente in atto) vissute da ciascuno, le quali ne fanno parte (ma evidentemente non lo esauriscono), nonché da quelle passate e future (realmente tali) e da quelle meramente potenziali; e ulteriormente costituito anche da ciò che la scienza teorizza come spiegazioni di tali esperienze in quanto, almeno in un certo senso, le causano nel loro divenire -per Hume meramente postulato essere- ordinato, come molecole, atomi, particelle-onde, campi di forza, ecc. (che pure, malgrado la loro inosservabilità d fatto ne fanno comunque parte, almeno nel senso che ne sono componenti per l' appunto non direttamente percepibili ma teorizzabili per comprendere la dinamica di ciò che ne épervepibile, per conoscerlo scientificamente, calcolarlo, manipolarlo tecnicamente).





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CitazioneSgiombo:
Ma non stavamo parlando di ontologia?
Apeiron

Ho avuto un lapsus. "Trascendentale" = "conoscenza indipendente dall'esperienza" /"Empirico" = "conoscenza derivata dall'esperienza".
"Realismo" = "esistenza indipendente dall'esistenza oggettiva" /"Idealismo" = "esistenza dipendente dall'esistenza soggettiva".

Ergo, stiamo parlando di entrambe. Il "paradosso" è che per Kant l'esperienza è "costruita" dalla mente e ciononostante in questa costruzione ci sono oggetti che esistono indipendentemente dalla mente ("realismo empirico"). La costruzione viene fatta tramite forme e categorie a priori, "a priori" e quindi che non si conoscono con l'esperienza. Inoltre, essendo "proprietà" della nostra mente, non possono "esistere" all'infuori di essa (ovviamente, esistono in altre menti) - "idealismo trascendentale".  
Citazione
Per me é semplicemente intersoggettività (cioè soggettività, ma con qualcosa di condiviso indipendentemente dal singolo particolare soggetto, di corrispondente fra tutti i reali o potenziali soggetti.




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Apeiron

concordo... pure su Kant (udite, udite!)   o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie).



Citazione

CitazioneSgiombo:
NOn capisco la differenza: gli assiomi i quali  sono imposti (= il credere nella verità dei quali é imposto) dalla ragion pratica che cosa sono se non conoscenza (che esistono Dio, l' anima individuale immortale e il libero arbitrio)?
Apeiron

Sono imposti dalla "pratica", dal dovere morale. In pratica, l'etica richiede quei postulati. Ma questa è una richiesta, non una conoscenza "di per sé". Meglio adesso? :)
Citazione
Veramente no:  mi sembra sempre la richiesta di una credenza, che si presume essere vera (cioè conoscenza).




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CitazioneSgiombo:
Concordo se (come mi pare di comprendere ora) stai parlando di cose come gli atomi, le particelle-onde, i campi di forza, ecc.: questi non sono cose in sé ma invece ciò che si teorizza (si conosce come non falsificato) circa i fenomeni (il "mondo fenomenico" analizzato nelle modalità del suo divenire, nei suoi aspetti anche non immediatamente evidenti ma da ipotizzare per spiegare il divenire di quelli immediatamente evidenti: non usciamo dall' "esse est percipi", ma semplicemente percepiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente; o meglio consideriamo, pensiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente ciò che percepiamo.

Apeiron

Credo che ci stiamo avvicinando :)


Ma questo è il "casino" della filosofia Kantiana. Per rendere sensata la rappresentazione gli "oggetti" devono esistere (la Ragion Pura lo "richiede", per così dire). Però la rappresentazione è, ovviamente, appunto una "rappresentazione" e quindi interna.

Kant arriva addirittura a fare una distinzione tra l'arcobaleno e le gocce che lo "causano". Arriva a distinguere le apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" (in un certo senso, visto che come dici tu "ipotizziando" "percepiamo meglio") ma al contempo lo si fa (visto che la rappresentazione non avrebbe alcun senso senza tali "cose" non direttamente percepite) ;D

Quindi la Ragion Pura arriva ad un paradosso. In pratica, gli "oggetti" sono esterni ed interni a seconda di come li si considera. Ovviamente, è difficile giustificare che qualcosa sia all'interno della rappresentazione e indipendente ontologicamente da noi (per questo motivo ritengo che la filosofia Kantiana arriva ad una indecidibilità/antinomia...per Kant, forse, non c'era questa "antinomia" visto che da quanto mi sembra di capire pensava di aver risolto il dibattito tra razionalisti ed empiristi dando il tanto ricercato fondamento "certo" alla conoscenza scientifica).

Citazione
Sì, mi sembra che aumenta la nostra reciproca comprensione .

Concordo con la distinzione fra apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" proprio del "mondo fenomenico".
NOn trovo però nulla di problematico o addirittura paradossale: i fenomeni materiali sono interni alla coscienza (soggettivi), ma corrispondenti fra le diverse esperienze di qualsiasi soggetto (intersoggettivi), "pubblici" e non "privati" (contrariamente a quelli mentali che sono meramente soggettivi) in quanto manifestazioni (fenomeniche) di una realtà in sé (noumeno) che é la stessa per tutti





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CitazioneSgiombo:
Se per "oggetti esterni" intendi le cose in sé (o il noumeno) dissento: sono ontologicamente indipendenti dall' esistenza del soggetto di coscienza e diversi (altre "cose") dalle rappresentazioni fenomeniche.

Se invece (dicendo che sono necessari nell'ordinamento della "causalità"; comunque credibile per fede e non dimostrabile) intendi che sono aspetti "nascosti", non immediatamente evidenti della realtà fenomenica ma deducibili dai suoi aspetti immediatamente evidenti (atomi, particelle-onde, ecc.), comunque non reali indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche (e dal rispettivo soggetto, se é reale anch' esso), allora concordo.

Apeiron


Qui in realtà credo di concordare con te e non con il "mio Kant", anche se, in realtà, quello che dice è consistente seppur "paradossale" :)  nel senso, se la rappresentazione è ordinata, ovviamente, necessita degli "oggetti esterni" (quelli che Kant chiama "cose in sé empiriche"), tuttavia la rappresentazione non è "indipendente" da noi. Però, "punta" a qualcosa di esterno. La filosofia Kantiana arriva lì (da come leggo Kant, lui credeva che veramente il "puntare" era un "dimostrare", in realtà  :) ). Non va oltre, secondo me. Andare oltre, significa parlare della "realtà-così-come-è". E non abbiamo alcuna garanzia che "essa" - se c'è, come ben dici tu - sia come è "richiesto" dalla Ragion Pura. Nel rifiuto all'idealismo (anche se è un tentativo di rifiutare il solipsismo), Kant dice che solo con qualcosa di "esterno" possiamo avere auto-coscienza (grazie alla distinzione "interno" ed "esterno"...). Quindi per Kant la Ragion Pura "prova" l'esistenza di "qualcosa di esterno". Ma di questo "qualcosa" non possiamo sapere "come è veramente" indipendentemente dalle nostre categorie trascendentali (in realtà, a rigore, nemmeno "se c'è" ma assumendo che c'è vale quello che dicevo).
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Qui concordo in pieno.
Ma mi sembra che Kant ne consideri una conoscibilità "non puramemte raziocinativa", attraverso la ragion pratica.




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CitazioneSgiombo:
Ma da noi le regolarità del noumeno o cosa in sé non sono comprensibili (nemmeno immaginabili); lo sono solo quelle (postulabili ma non dimostrabili) dei fenomeni).
Apeiron

Mi riferivo alla "cosa in sé". Per un realista diretto, però dovremmo conoscere la "cosa in sé"  ;)

Perchè, però, dici che non possiamo nemmeno comprendere e immaginare le (eventuali) regolarità del noumeno? Mi aspettavo che dicevi che, ammesso che esistono, non possiamo sapere quali sono... :)
Citazione
Per "non immaginabili" intendevo che non ce ne possiamo fare una raffigurazione mentale, fantastica (alla maniera in cui ci immaginiamo qualcosa di fenomenico mai percepito (che che so, una giraffa da parte di un europeo che ai tempi di Kant, in assenza di fotografie e non disponendo di dipinti, se la fosse sentita descrivere come "una sorta di capra dal collo lunghissimo -un po' più di un suo arto inferiore- senza barba, dal pelo corto giallastro a "chiazze" marroni).

Ciao!

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