Perchè il materialismo basta

Aperto da SamuelSilver, 15 Settembre 2018, 19:04:40 PM

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Sariputra

#300
Carlo e Ipazia, rappresentazione non significa, come ho già scritto, che il mondo materiale non esiste o che c'è coincidenza tra la costruzione mentale e il mondo, ma significa che non lo posso conoscere per quello che è , ma solo per rappresentazioni (pertanto "elefante" è una mia rappresentazione, il fatto di provare la percezione dolorosa dello schiacciamento dato dal finirci sotto no... ;D ). La scienza è quindi una rappresentazione  di strumenti atti a questo scopo, cioè a conoscere in modo più corretto la rappresentazione che la 'mente' si fa del 'mondo'. Il mondo è lo sfondo, la rappresentazione ciò che la 'mente' vi proietta sopra . Processo inevitabile e necessario purché si sia consapevoli  che è una proiezione e non lo sfondo.
La costruzione scientifica non è arbitraria e soggettiva ma ha il suo limite, del quale bisogna, a mio parere, esser consapevoli (ossia non costruirsi una proiezione immaginaria, e rappresentazione quindi, di una scienza 'assoluta'...).
Il leone e la leonessa hanno pari dignità perché, senza sfondo, dove si proietta la rappresentazione mentale? E senza questa proiezione come è dato esser consapevoli dello 'sfondo'?
Vedi pertanto che il "principio di complementarietà", come lo definisci, non è rigettato ma invece, in quest'ottica, pare addirittura più saldo filosoficamente (ovviamente sempre a parer mio...ossia della mia rappresentazione di non-filosofo ;D).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Carlo Pierini

#301
Citazione di: Sariputra il 15 Ottobre 2018, 16:12:56 PM
Carlo e Ipazia, rappresentazione non significa, come ho già scritto, che il mondo materiale non esiste o che c'è coincidenza tra la costruzione mentale e il mondo, ma significa che non lo posso conoscere per quello che è , ma solo per rappresentazioni (pertanto "elefante" è una mia rappresentazione, il fatto di provare la percezione dolorosa dello schiacciamento dato dal finirci sotto no... ;D ).

CARLO
Beh, ma se scappi è perché la tua rappresentazione di quell'aspetto dell'elefante che può schiacciarti è una rappresentazione corretta, cioè corrispondente con ciò che realmente è l'elefante.
Insomma, chi l'ha detto che il nostro intelletto - con la sua capacità di osservare, di comparare tra loro una molteplicità di fenomeni osservati e di astrarre da essi le leggi e i principi che li ordinano e che li relazionano - non sia lo strumento più adatto per rappresentare il mondo per quello che è? Chi l'ha detto che l'intelletto sia l'"assolutamente altro" dal mondo e che non sia, invece, un'entità ontologicamente complementare ad esso? Dove sta scritto che non abbia ragione Leibniz quando afferma l'esistenza di una <<armonia prestabilita>> tra linguaggio umano e mondo? ...O Spinoza quando afferma l'esistenza di una corrispondenza ontologica originaria tra l'<<ordo et connexio rerum>> e l'<<ordo et connexio idearum>>? ...O Platone quando afferma l'esistenza di un "nous", cioè di un regno metafisico delle Idee che sono modelli originari delle cose create, tale che "conoscere" le cose non significhi altro che risalire a quelle idee archetipiche sulla base dell'osservazione delle cose stesse e dell'astrazione-riflessione intellettuale? ...O il Vangelo quando afferma che la sostanza del mondo è il Verbo o il Logos?  
In definitiva, su cosa si basa questa cazzo di ideologia, oggi tanto di moda, secondo cui la rappresentazione umana del mondo non avrebbe nulla a che vedere col mondo?
La mia risposta è: si basa sulle fantasie oziose di chi non si rende conto che se l'intelletto fosse assolutamente "altro" dal mondo, se le sue rappresentazioni non avessero nulla a che vedere col mondo, ogni conoscenza sarebbe impossibile e la nostra cultura non differirebbe in nulla da quella dei nostri antenati scimpanzè; ma soprattutto non sarebbe mai nata quella forma di sapere che chiamiamo "scienza" che in soli tre secoli ha permesso all'uomo di volare fin sulla Luna, di inviare delle sonde su pianeti e comete e di mostrarci da vicino come sono fatti, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, di alleviare la nostra fatica fisica grazie alla costruzione di macchine di ogni tipo e dimensione, ...e tali e tante altre conquiste che solo tre o quattro secoli fa sarebbero state catalogate come "magìe"!
Che altro dovrebbe succedere per convincere delle persone potenzialmente intelligenti che l'idea relativista è una fantasia masochista priva di qualunque fondamento e che, invece, la conoscenza del mondo non solo è possibile, ma è già una realtà di fatto, è già un processo più o meno graduale di accrescimento in estensione e in profondità del nostro sapere sia su noi stessi che sul mondo?

Sariputra

#302
@Carlo Pierini
dare del 'relativista' al Sari è come dare della "donna morigerata" alla Cicciolina... ;D
In realtà sono fondamentalmente un anti-speculativo. Non amo il proliferare incontrollato delle teorie sul "reale" (qualunque cosa s'intenda soggettivamente con questo termine...).
Pertanto sono necessariamente un critico dell'esperienza.
Essere un critico dell'esperienza comporta essere inevitabilmente anche un critico dell'esperienza  percettiva da cui scaturisce il pensiero, esperienza percettiva che anche ne determina i limiti , secondo me.
Alla mente che si rappresenta il 'mondo' non interessa il fatto di  conoscere in sé e per sé, ma gli interessa solamente perché essa si possa "realizzare" meglio. Dunque, i fenomeni che la mente si rappresenta, non hanno un valore in sé, ma solo in rapporto  a questa 'realizzazione' e quindi come mezzo per soddisfare questo desiderio.
Dire "il mondo non è che la mia rappresentazione" significa esercitare la critica sull'esperienza percettiva. C'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la coscienza critica di questa rappresentazione. Diventare consapevoli di una rappresentazione  in quanto tale, significa esserne autocoscienti. Questa è la libertà data dall'autocoscienza critica di ogni rappresentazione/ teoria. E ciò comporta che la critica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. Perché la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni.
Un esempio di 'coscienza critica' mi pare quello della consapevolezza che viviamo oggi in un momento storico permeato dal "mito del dato" (Wilfrid Sellars ne era un autorevole critico radicale ho scoperto...).
Mi fermo qui perché mi accorgo che, come sempre, tendo a ripetere gli stessi concetti. :(
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Ipazia

La scienza, attraverso la falsificazione, è la prima maestra nella critica dell'esperienza percettiva e affossatrice di teorie sul "reale". Sempre pronta ad aggiornare i propri modelli rappresentativi appena compare una nuova scoperta agli occhi, non della propria consapevole limitatissima percezione sensoriale della realtà, ma di protesi artificiali la cui "percezione" ne dilata i confini.

La filosofia fa bene a presidiare le pretese volgarmente egemoniche dello scientismo, ma c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. E poichè la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni, sa perfettamente distinguere una pratica che funziona da una che non funziona, traendo le ovvie conclusioni sulle rappresentazioni teoriche che le sottendono.

Tanto l'aumentata "percezione" delle macchine sempre più intelligenti che l'importanza e dimensione crescente della cosa per noi sulla cosa in sè , rendono problematica e bisognosa di aggiornamenti la risposta metafisica. L'ontologia corre e la metafisica ha il fiato grosso.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Carlo Pierini

#304
Citazione di: Sariputra il 16 Ottobre 2018, 00:25:08 AM
@Carlo Pierini
dare del 'relativista' al Sari è come dare della "donna morigerata" alla Cicciolina... ;D
In realtà sono fondamentalmente un anti-speculativo. Non amo il proliferare incontrollato delle teorie sul "reale" (qualunque cosa s'intenda soggettivamente con questo termine...).
Pertanto sono necessariamente un critico dell'esperienza.
Essere un critico dell'esperienza comporta essere inevitabilmente anche un critico dell'esperienza  percettiva da cui scaturisce il pensiero, esperienza percettiva che anche ne determina i limiti , secondo me.
Alla mente che si rappresenta il 'mondo' non interessa il fatto di  conoscere in sé e per sé, ma gli interessa solamente perché essa si possa "realizzare" meglio. Dunque, i fenomeni che la mente si rappresenta, non hanno un valore in sé, ma solo in rapporto  a questa 'realizzazione' e quindi come mezzo per soddisfare questo desiderio.
Dire "il mondo non è che la mia rappresentazione" significa esercitare la critica sull'esperienza percettiva.
CARLO
Sari, tu stai monologando, cioè non ribatti alle mie obiezioni, come se io non ci fossi o non avessi scritto assolutamente nulla. Infatti già ho ripetuto più volte (e tu lo hai ignorato) che dire "il mondo non è che la mia rappresentazione" è una tua rappresentazione della conoscenza ed è falsa perché fonde insieme illegittimamente due concetti che devono restare distinti: quello di "mondo" e quello di "rappresentazione". Solo Dio può dire "il mondo è una mia rappresentazione", mentre per noi umani il mondo esisteva già prima della nostra esistenza e del nostro rappresentarlo. Persino i bambini sanno che i termini "rappresentazione" e "percezione" hanno senso solo se esistono TRE cose ben distinte: 1) un soggetto che percepisce-rappresenta; 2) un oggetto percepito-rappresentato; 3) una rappresentazione dell'oggetto, la quale può essere vera o falsa a seconda che essa corrisponda o meno con l'oggetto.
Ergo, l'affermazione: "il mondo è rappresentazione", è un inaccettabile aborto del pensiero e, pertanto, deve essere sostituita con: "la conoscenza è una corretta rappresentazione del mondo".

SARIPUTRA
C'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la coscienza critica di questa rappresentazione. Diventare consapevoli di una rappresentazione in quanto tale, significa esserne autocoscienti. Questa è la libertà data dall'autocoscienza critica di ogni rappresentazione/ teoria. E ciò comporta che la critica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. Perché la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni.

CARLO
Stai giocando con le parole. Infatti non esiste solo "la rappresentazione del mondo" e "la critica di questa rappresentazione", ma esiste 1) un soggetto che rappresenta il mondo, 2) un mondo che è rappresentato e 3) una rappresentazione che può essere vera o falsa. Pertanto, la critica, se vuole essere seria, deve essere mossa a partire da questi TRE elementi, altrimenti è una critica mossa su una falsa rappresentazione della conoscenza.

Sariputra

#305
@Carlo Pierini
Non è che non ti sto rispondendo è che non ci intendiamo proprio... :( o forse diamo significati diversi ai termini...lo stesso mi sembra con Ipazia.
Non voglio togliere nulla alla scienza ... magari solo non farne un totem...essere consapevole dei limiti...limiti della rappresentazione.
Questa è la mia posizione, con cui voi evidentemente non concordate...pazienza.:)
Il mondo è bello perché è vario (dicono... :-\)
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Carlo Pierini

IPAZIA
c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione.

CARLO
Non è esattamente così: anche la pratica delle rappresentazioni è oggetto di rappresentazione. Ti faccio un esempio: l'uso di equazioni matematiche per esprimere delle leggi fisiche è una "pratica delle rappresentazioni". Eppure esistono due rappresentazioni diverse e inconciliabili di questa "pratica": quella di Hume-...Sgiombo, secondo cui l'immutabilità-eternità della logica matematica non garantisce l'immutabilità-eternità delle leggi fisiche che essa esprime, e quella di Pitagora-Platone-Galilei-Leibniz-Spinoza-...Pierini che, invece, concepisce i numeri come gli eterni archetipi del creato, cioè i modelli immutabili sui quali sono plasmate le leggi immutabili-deterministiche del mondo.

SARIPUTRA
Non è che non ti sto rispondendo è che non ci intendiamo proprio... o forse diamo significati diversi ai termini...lo stesso mi sembra con Ipazia.
Non voglio togliere nulla alla scienza ... magari solo non farne un totem...essere consapevole dei limiti...limiti della rappresentazione.

CARLO
Il problema, caro Sari, non è la mancanza di intesa sui termini, ma che la tua fede buddhista ti inclina a credere che la conoscenza intellettuale del mondo (e di noi stessi) sia puramente accessoria, limitata, non essenziale, anzi, che sia addirittura una dannosa forma di saccenteria o di presunzione retorica. Ed è questo che ti porta a sottoscrivere qualunque filosofia che getti discredito sull'intelletto, indipendentemente dalla bontà o meno delle argomentazioni che la supportano.
Io invece credo che la via dell'intelletto sia complementare alla via del cuore, cioè, alla via della retta azione e della retta condotta di vita. Come dice Jung:

<<La fede è un carisma (dono della grazia) per colui che la possiede, ma non è una via d'uscita per chi ha bisogno di capire qualche cosa prima di credere. Giacché infine la natura ha dato l'intelletto all'uomo e certo per qualcosa di meglio che per mentire e ingannare>>. [JUNG: Simboli della trasformazione - pg.231]

Ipazia

Citazione di: Carlo Pierini il 16 Ottobre 2018, 13:26:02 PM
IPAZIA
c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione.

CARLO
Non è esattamente così: anche la pratica delle rappresentazioni è oggetto di rappresentazione. Ti faccio un esempio: l'uso di equazioni matematiche per esprimere delle leggi fisiche è una "pratica delle rappresentazioni". Eppure esistono due rappresentazioni diverse e inconciliabili di questa "pratica": quella di Hume-...Sgiombo, secondo cui l'immutabilità-eternità della logica matematica non garantisce l'immutabilità-eternità delle leggi fisiche che essa esprime, e quella di Pitagora-Platone-Galilei-Leibniz-Spinoza-...Pierini che, invece, concepisce i numeri come gli eterni archetipi del creato, cioè i modelli immutabili sui quali sono plasmate le leggi immutabili-deterministiche del mondo.

Mi riferivo alla pratica tecnica delle rappresentazioni non al metalinguaggio logico-matematico che le rende universalmente fruibili e realizzabili. Sul linguaggio della Natura non mi pronuncio. Sicuramente è un linguaggio sulla natura di quella parte della natura che è l'homo sapiens. Dire di più sarebbe violare il 7.mo e ultimo punto del Tractatus.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Carlo Pierini

Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 14:13:26 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 16 Ottobre 2018, 13:26:02 PM
IPAZIA
c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione.

CARLO
Non è esattamente così: anche la pratica delle rappresentazioni è oggetto di rappresentazione. Ti faccio un esempio: l'uso di equazioni matematiche per esprimere delle leggi fisiche è una "pratica delle rappresentazioni". Eppure esistono due rappresentazioni diverse e inconciliabili di questa "pratica": quella di Hume-...Sgiombo, secondo cui l'immutabilità-eternità della logica matematica non garantisce l'immutabilità-eternità delle leggi fisiche che essa esprime, e quella di Pitagora-Platone-Galilei-Leibniz-Spinoza-...Pierini che, invece, concepisce i numeri come gli eterni archetipi del creato, cioè i modelli immutabili sui quali sono plasmate le leggi immutabili-deterministiche del mondo.
IPAZIA
Mi riferivo alla pratica tecnica delle rappresentazioni non al metalinguaggio logico-matematico che le rende universalmente fruibili e realizzabili. 

CARLO
Non capisco a cosa ti riferisci. Una rappresentazione è sempre e comunque un metalinguaggio.

Ipazia

Il suo risultato pratico, no. E' un artefatto, un prodotto materiale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Carlo Pierini

Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 14:41:41 PM
Il suo risultato pratico, no. E' un artefatto, un prodotto materiale.
CARLO
...Ma un risultato pratico non è una rappresentazione. 
Insomma, fammi un esempio di <<pratica tecnica delle rappresentazioni>> altrimenti non ci capiamo. 

Ipazia

#311
CARLO

...Ma un risultato pratico non è una rappresentazione.

IPAZIA

L'ho detto io per prima, e l'hai pure nerettato

CARLO

Insomma, fammi un esempio di "pratica tecnica delle rappresentazioni" altrimenti non ci capiamo.

IPAZIA

il pc, la bicicletta,...
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 16 Ottobre 2018, 11:25:56 AM
La scienza, attraverso la falsificazione, è la prima maestra nella critica dell'esperienza percettiva e affossatrice di teorie sul "reale". Sempre pronta ad aggiornare i propri modelli rappresentativi appena compare una nuova scoperta agli occhi, non della propria consapevole limitatissima percezione sensoriale della realtà, ma di protesi artificiali la cui "percezione" ne dilata i confini.

La filosofia fa bene a presidiare le pretese volgarmente egemoniche dello scientismo, ma c'è la rappresentazione (del mondo) e c'è la pratica di questa rappresentazione. E ciò comporta che la pratica delle rappresentazioni non è essa stessa una nuova rappresentazione. E poichè la mente/coscienza si porta sul piano della consapevolezza critica e non su quello delle rappresentazioni, sa perfettamente distinguere una pratica che funziona da una che non funziona, traendo le ovvie conclusioni sulle rappresentazioni teoriche che le sottendono.

Tanto l'aumentata "percezione" delle macchine sempre più intelligenti che l'importanza e dimensione crescente della cosa per noi sulla cosa in sè , rendono problematica e bisognosa di aggiornamenti la risposta metafisica. L'ontologia corre e la metafisica ha il fiato grosso.

Non vedo come lo sviluppo della scienza possa porre problemi o costringere a "rincorse col fiato corto" la filosofia (l' ontologia generale, compresi i suoi eventuali "contenuti od oggetti metafisici"), per lo meno per quel che riguarda le filosofie razionalistiche (quanto alle poi religioni e alle filosofie irrazionalistiche non solo la scienza, ma anche una sana filosofia metafisica può ben contribuire a superarle).
Anzi, probabilmente meglio perché non si limitano ad estendere i confini dello scientificamente conosciuto, ma vanno a snidare religioni e filosofie irrazionalistiche anche dei loro "rifugi metafisici" inaccessibili alla scienza. 

Se anche si sapesse tutto dell' universo fisico, un religioso potrebbe sempre dire che l' inesistenza di Dio non é confutabile.
E non la scienza ma la filosofia potrebbe ribattere che inconfutabile é ' esistenza di un Dio umanamente insignificante, una specie di "Superman" completamente trascendente il mondo fisico - materiale e che se ne frega dei destini umani (lo sforzo di credere indmostrabilmente-inconfutabilmente nel quale non varrebbe di certo la pena), ma quella di un Dio provvidente, immensamente buono e onnipotente é assurda data l' evidente esistenza del male.

La stessa impossibilità dei "miracoli" (interventi divini, o anche diabolici, in natura) non può essere scientificamente dimostrata, ma soltanto filosoficamente si può dimostrare che la possibilità di miracoli  é contraddittoria  con la credenza nella conoscenza scientifica, la quale necessita come conditio sine qua non (indimostrabile) del divenire materiale ordinato secondo regole o leggi universali e costanti, le quali devono necessariamente essere pensate ineccepibili per poterne parlare sensatamente, non autocontraddittoriamente: questa é gnoseologia, o come preferiscono dire gli anglosassoni, epistemologia, cioé una branca della filosofia.

Ipazia

Citazione di: sgiombo il 16 Ottobre 2018, 20:08:09 PM

Non vedo come lo sviluppo della scienza possa porre problemi o costringere a "rincorse col fiato corto" la filosofia (l' ontologia generale, compresi i suoi eventuali "contenuti od oggetti metafisici"), per lo meno per quel che riguarda le filosofie razionalistiche
(quanto alle poi religioni e alle filosofie irrazionalistiche non solo la scienza, ma anche una sana filosofia metafisica può ben contribuire a superarle).
Anzi, probabilmente meglio perché non si limitano ad estendere i confini dello scientificamente conosciuto, ma vanno a snidare religioni e filosofie irrazionalistiche anche dei loro "rifugi metafisici" inaccessibili alla scienza.

Se anche si sapesse tutto dell' universo fisico, un religioso potrebbe sempre dire che l' inesistenza di Dio non é confutabile.
E non la scienza ma la filosofia potrebbe ribattere che inconfutabile é ' esistenza di un Dio umanamente insignificante, una specie di "Superman" completamente trascendente il mondo fisico - materiale e che se ne frega dei destini umani (lo sforzo di credere indmostrabilmente-inconfutabilmente nel quale non varrebbe di certo la pena), ma quella di un Dio provvidente, immensamente buono e onnipotente é assurda data l' evidente esistenza del male.

La stessa impossibilità dei "miracoli" (interventi divini, o anche diabolici, in natura) non può essere scientificamente dimostrata, ma soltanto filosoficamente si può dimostrare che la possibilità di miracoli  é contraddittoria  con la credenza nella conoscenza scientifica, la quale necessita come conditio sine qua non (indimostrabile) del divenire materiale ordinato secondo regole o leggi universali e costanti, le quali devono necessariamente essere pensate ineccepibili per poterne parlare sensatamente, non autocontraddittoriamente: questa é gnoseologia, o come preferiscono dire gli anglosassoni, epistemologia, cioé una branca della filosofia.

La metafisica è ancora lì a cercare la cosa in sè, quando non solo la scienza ce la presenta in maniera più convincente (in tal senso l'ontologia corre sulle sue ali), ma è arrivata perfino a capire che l'ineffabilità della cosa in sè è una vecchia paturnia filosofica di cui possiamo tranquillamente fare a meno, contando solo la cosa-per-noi su cui la scienza compie quotidianamente i suoi miracoli.

E' pur vero che la metafisica atea può snidare gli ultimi rifugi di dio, mica ci vuole tanto, bastava Voltaire. Ma dopo Nietzsche si è entrati in una fase di ritirata strategica di tipo spiritualista fino alla cupezza di un essere-per-la-morte che si sposa col peggio della politica novecentesca, lasciando varchi imponenti al ritorno della superstizione.

Nella traiettoria da Schopenauer a Nietzsche passando per Marx ci sarà pure una sfumatura di positivismo, ma c'è un elemento essenziale per intervenire efficacemente sulla realtà propria del sapere filosofico che Marx sintetizza fin dall'undicesima tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno finora interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo.». Filosofia della prassi, elaborata diversamente da Nietzsche, ma sempre su proprie ali che oggi non volano più. E stancamente si rivive l'antica storia dell'ancella di altri saperi, inclusa una rediviva religione. Oppure svolazzamenti nella gabbia dei tempi eroici: Parmenide, Platone, Aristotele, Kant,... con le loro minestre ontologiche riscaldate sempre rigorosamente con la maiuscola davanti. Buona notte Filosofia. Che il risveglio ti sia lieve e arrivi presto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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