Perchè il materialismo basta

Aperto da SamuelSilver, 15 Settembre 2018, 19:04:40 PM

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Carlo Pierini

Citazione di: SamuelSilver il 15 Settembre 2018, 19:04:40 PM Il riduzionismo e il materialismo sono spesso criticati perchè, sembrerebbe, non riescono a spiegare la coscienza e l'esperienza soggettiva di ognuno.

CARLO
Esistono molti eventi oggettivi (non solo l'esperienza soggettiva) che evidenziano l'insufficienza del monismo. In una prospettiva monista, infatti, è impossibile spiegare come si possano ottenere:

1 - un comportamento finalistico (l'uomo progetta finalisticamente) da una biologia non finalista;
2 - il pensiero da una materia biologica non pensante;
3 - il sogno da una biologia non sognante;
4 - un solo "io" soggettivo da miliardi di cellule neuronali oggettive;
5 - una "percezione" del proprio corpo senza distinguere il corpo dal soggetto che lo percepisce;
6 - una repressione (o controllo) degli istinti senza distinguere gli istinti dal soggetto che li reprime;
7 - un comportamento etico-filosofico-religioso da un DNA non-etico-filosofico-religioso (il nostro DNA coincide al 98% con quello degli scimpanzè);
8 - una evoluzione culturale da una non-evoluzione biologica (il nostro DNA si stabilizzò circa 200-300 mila anni fa);
9 - una mente malata da un cervello sano;
10 - una mente capace di libere decisioni da una biologia soggetta a leggi deterministiche;
11 - una mente femminile da una biologia maschile e viceversa (omosessualità).


davintro

quote author=SamuelSilver link=topic=1241.msg24180#msg24180 date=1537140307]
Citazione
Citazione di: viator il 16 Settembre 2018, 19:26:17 PMSalve. Per SamuelSilver : Ho apprezzato il fatto che (mi sembra) tu condivida il concetto per il quale la qualità delle cose, una volta risolta a livello essenziale, finisca invariabilmente per rivelarsi solo come un insieme di rapporti (precedentemente ignoti) tra le diverse quantità dei loro ingredienti e delle relazioni tra questi.
[size=undefined] Si, questo è esattamente ciò che penso. [/size]
CitazioneNon amo le trattazioni chilometriche. A proposito di monade e materialismo, anzi del "contrario" del materialismo, se vorrai potrai dare un'occhiata al "nuovo" argomento che ho inaugurato minuti fa. Cordialmente. PS : Ho apprezzato anche la tua chiarezza e ragionevolezza, nonché la persino eccessiva educazione con la quale sempre ti esprimi.
[size=undefined] Si mi rendo conto che è piuttosto lunga come argomentazione, ma lo è perchè ho cercato di essere il più chiaro possibile: sacrifico volentieri la sintesi se ciò vuol dire far capire meglio il messaggio. Grazie degli apprezzamenti comunque e per quanto riguarda l'eccessiva educazione, lo faccio perchè un'atmosfera positiva è essenziale per qualsiasi scambio di opinioni ragionevole: in questo modo si è più disposti ad ascoltare ed eventualmente accettare ciò che gli altri hanno da dire. Vorrei ora rispondere a Sgiombo. [/size]
Citazione
Citazione di: sgiombo il 16 Settembre 2018, 12:54:07 PM Mi scuso con SamuelSilver per l' incalzare un po' ossessivo delle obiezioni e integrazioni alle obiezioni, ma l' argomento mi sta tantissimo a cuore ...contrariamente alla maggior parte dei frequentatori del forum, a quanto pare, purtroppo
[size=undefined] [size=undefined]Innanzitutto non c'è bisogno di scuse: d'altronde si sta parlando di ragionamenti scaturiti da tue idee ed è normale essere pignoli. Ciò che vorrei chiarire è la parte del "fantasma nella macchina". Mi accorgo ora dell'inevitabile confusione scaturita dal mio erroneo utilizzo del termine "vedere". Mi rendo conto che è paradossale pensare che ci sia qualcuno che "vede" gli eventi cerebrali dentro di noi poichè in questo modo si andrebbe avanti all'infinito nell'ipotizzare omuncoli dentro altri omuncoli. Mi scuso per la confusione e chiedo di sostituire le parti in cui parlo di "vedere" con quanto segue. La differenza tra punto di vista esterno e interno che ho descritto si può riassumere con: essere i qualia è diverso dal "vedere" i qualia (che sarebbe come a dire "essere un tavolo è diverso dal vedere un tavolo"). Io non affermo che con il punto di vista interno qualcuno possa vedere i propri qualia, ciò che intendevo è che il punto di vista interno corrisponde all'essere i qualia, mentre quello esterno corrisponde al "vedere" i qualia. Cosa vuol dire vedere i qualia? Vuol dire che io, in quanto qualia, sono influenzato dai qualia di qualcun'altro. Ora bisognerebbe fare un passo ulteriore affermando che i qualia sono processi cerebrali. Ne consegue che: essere dei processi cerebrali è differente dal "vedere" dei processi cerebrali. Cosa vuol dire vedere i processi cerebrali? Vuol dire che io, in quanto processo cerebrale, sono influenzato dai processi cerebrali (attraverso, per esempio, la visione di immagini fMRI) di un cervello diverso dal mio. Si potrebbe anche dire che l'essere influenzati da processi cerebrali del proprio cervello è diverso dall'essere influenzati da processi cerebrali del cervello altrui. L'apparente limitatezza del materialismo nello spiegare i fenomeni mentali sarebbe dovuta a questa diversità. Spiegare i fenomeni mentali, infatti, corrisponde unicamente alla descrizione di tali fenomeni in termini di processi cerebrali visti dall'esterno. L'ipotetica ulteriore spiegazione che il materialismo non riesce a dare corrisponde in realtà all'esperienza soggettiva di essere questi processi cerebrali. Ma questa non è una spiegazione. Se sto cercando di spiegare come fa Tizio a percepire un fiore, poter entrare nella sua mente e provare quello che prova lui non aggiunge niente, da un punto di vista funzionale, alla spiegazione materiale che potrei dare dall'esterno, se non il fatto che ora ho in memoria l'esperienza di essere stato i processi cerebrali di Tizio e di aver visto il fiore come lo vede lui (ed ecco Paul Churchland). Ma ciò che interessa non è avere in memoria le esperienze soggettive di tutti, ma spiegare queste esperienze in termini oggettivi e utili a chiunque. Spero di essere stato più chiaro questa volta. [/size] [/quote][/size]

 

trovo corretto distinguere un piano descrittivo-fenomenologico nel quale tramite l'esperienza si esperiscono i "qualia", le esperienze vissute nella misura in cui le avverte soggettivamente, rispetto alla questione esplicativa-causale, per la quale uno scienziato naturale ricerca le cause neurologiche, di ordine materiale, dei processi materiali. Ma questa distinzione non può essere esasperata al punto di farci dimenticare la necessita di un nesso di proporzionalità che sempre dovrebbe intercorrere tra causa ed effetto. La spiegazione causale di un fenomeno non può prescindere dall'osservazione della natura dell'effetto, ma deve individuare una causa adeguata ad essa, e per questo non si può trascurare l'esperienza interna delle qualità dei fenomeni nella soggettività, al contrario è a partire da essa che vanno considerate delle cause adeguate ad esse. Nell'esperienza interna avvertiamo la nostra vita come una realtà attuale, costantemente dinamica, in cui ogni istante presente da un lato si protende a trattenere  il residuo delle esperienze passate e dall'altro si slancia verso il futuro, mentre dal punto di vista dell'esperienza esterna, lo studio implica la staticizzazione dell'oggetto, la sua cristalizzazione all'interno di un particolare contesto spazio-temporale in cui l'osservazione viene effettuata: l'osservazione esterna, che nell'ottica rigorosamente materialistica dovrebbe essere l'unico possibile approccio allo studio della coscienza perché unico punto di vista in cui comprendere il cervello, necessita che la realtà osservata risponda a delle leggi causali costanti individuabili a partire dalla realtà che osservo in determinato tempo, realtà che deve per così dire "stare ferma", perché intendendola come un dinamismo, sarebbe impossibile notare come i meccanismi che la governano in un certo momento continuerebbero a vigere anche negli altri. La cosa si può capire con l'esempio della fotografia: pensare che l'osservazione esterna colga la realtà in forma più veritiera rispetto all'esperienza soggettiva nella mia coscienza sarebbe come pensare che la foto di un uccello in volo, cioè un uccello "oggettivizzato", rappresentato in un oggetto esterno al mio sguardo soggettivo come appunto la foto, rappresenti il volo dell'uccello più autenticamente che il mio sguardo nudo e soggettivo, che coglie il volo nella sua dinamicità. La verità non è nella foto, nell'oggettivazione, che vede l'uccello fermo, ma nell'esperienza soggettiva del suo dinamismo, della sua attualità, la verità della foto presupporrebbe la staticità del suo oggetto, quando ritrae qualcosa in movimento si fa sfocata, "viene mossa" (faccio notare che anche ipotizzando la possibilità di continui scatti ripetuti di foto, ancora non avremmo rappresentata la realtà del volo, ma solo una serie di immagini statiche da cui non si può indurre l'unità dinamica del processo di volo: una somma di staticità non fa il movimento, il movimento presuppone l'interiorità qualitativa della spinta del soggetto in questione, nel nostro esempio, l'energia vitale dell'uccello). Quindi se ci interessa lo studio della soggettività, che per definizione, indica l'attualità e la dinamicità di un ente che come "soggetto" compie delle azioni, la pretesa di rappresentarlo perfettamente e compiutamente dall'esterno, come un "oggetto" che staticamente e passivamente attende di essere osservato, appare inadeguata, in quanto è proprio l'approccio esterno e oggettivante che per i suoi limiti strutturali è incapace di dar conto del dinamismo e dell'originalità della vita cosciente, che proprio in quanto "soggettiva", "attiva", non può essere trattata come un oggetto passivo, senza subire una distorsione quantomeno parziale della sua rappresentazione, come appunto un foto sfocata che ritrae qualcosa che si muove.

viator

#17
Salve. Per Carlo Pierini : Cito: "Esistono molti eventi oggettivi (non solo l'esperienza soggettiva) che evidenziano l'insufficienza del monismo. In una prospettiva monista, infatti, è impossibile spiegare come si possano ottenere:....."
....segue elenco.
Certo che con l'oggettività qui siamo proprio a cavallo : elenchi tutta una serie di considerazioni umane prodotte da un umano e relative alla specie umana. Evidentemente pensi che noi siamo "diversi", "superiori", "spirituali" ed "oggettivi" solo perchè siamo gli unici a potersi dichiarare tali. Non troviamo nessuno che si dia la pena di contraddirci.
Della serie "noi (magari:"io") semo li mejo e li artri sò nessuno !". Vabbè.....concetto poco logico ma umanamente comprensibile.
Non basta mettersi allo specchio per essere belli. Chi siamo dobbiamo chiederlo a noi stessi.......come siamo dovremmo invece chiederlo agli altri. Ma gli altri abitanti del mondo tacciono.

Per quanto riguarda poi i diversi punti da te elencati, nel complesso essi si limitano a ribadire che il genere umano possiede delle specificità. Non mi sembra un risultato interessante.
Nel particolare invece trovo che a ciascuno di essi si possa repricare tranquillamente dal punto di vista monistico. Io non lo faccio poichè dovresti sapere che non amo le trattazioni prolisse.

Mi limiterò a commentarne un paio : "1 - un comportamento finalistico (l'uomo progetta finalisticamente) da una biologia non finalista;".
L'uomo tenta di dare uno scopo alle proprie azioni. Ci penserà il mondo ad accontentarlo o meno. Anche ragni ed uccelli finalizzano i propri comportamenti alla costruzione di tele e nidi. Stendiamo un velo pietoso sul finalismo biologico, zoologico, umano. A meno che tu pensi che il comportamento dell'uomo possa tendere a raggiungere un fine trascendente, magari la paradisiaca eterna felicità dei credenti.


"8 - una evoluzione culturale da una non-evoluzione biologica (il nostro DNA si stabilizzò circa 200-300 mila anni fa);".
Il funzionamento della biologia (e in generale dell'evoluzione e diversificazione del Mondo) consiste nell'innovare introducendo variazioni basate sull'esistente, il quale non viene distrutto per generare il nuovo, ma viene come accantonato e conservato poichè la funzione dell'ex-esistente invecchiato consiste nel "restare a disposizione" per poter poi nuovamente tornare in gioco se per caso il nuovo risultasse inadatto o comunque dovesse venir distrutto dagli eventi. Questa è la ragione per cui il DNA tende a restare lo stesso mentre ciò che viene costruito sulla base delle informazioni genetiche si evolve a dismisura. Sono gli umani che a volte buttano il vecchio pensando che ormai non serva più ! Certo che paragonare la miserabilità dell'evoluzione culturale umana con i contenuti dell'evoluzione dell'intero Mondo non fa molto onore alla tua ampiezza di vedute! Cordialmente.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

viator

#18
Salve. Per Sgiombo: Ecco un tuo inciso che mi piace. Cito :

L' "inconscio" non so cosa sia e non mi interessa.
Certamente non é la stessa cosa della mente la quale é parte della coscienza.".


Apprezzo la franchezza della prima parte e sono d'accordo sulla prima metà della seconda parte.

Per quanto la relazione tra mente e coscienza mi sento di replicarti ciò che ho già scritto in proposito all'interno del presente "thread", ora modificandolo marginalmente :

Il fatto che si possa essere contemporaneamente coscienti e dementi (mentre invece è impossibile una produzione mentale in stato di incoscienza a me  sembra dimostri che la nascita di una mente risulti evolutivamente successiva alla apparizione di una coscienza.

Facciamo che la gerarchia evolutiva (e poi quindi anche funzionale) dei contenuti cerebrali sia la seguente : sistema nervoso (strumento che mette in relazione l'interno del corpo con il suo esterno) - percezione sensoriale (traduzione degli stimoli in codice psichico) - psiche (contenente semplicemente ed unicamente - alla nostra nascita - l'istinto di sopravvivenza, successivamente si riempie di contenuti ulteriori, generando una specie di catalogo interiore formato dalla classificazione delle esperienze in FAVOREVOLI o NOCIVE alla sopravvivenza - il catalogo si chiama INCONSCIO o MEMORIA PSICHICA) - coscienza (la capacità psichica di distinguere il sé dal fuori di sé - si inaugura a questo punto il mondo culturale umano) - mente (capacità di connettere tra di loro cause ed effetti utilizzando la MEMORIA MENTALE o COSCIENTE) - intelletto (capacità di esprimere in modo codificato e comunicabile i rapporti tra le cause e gli effetti)- ragione (capacità di selezionare i comportamenti in base alla loro utilità) - capacità di astrazione (capacità di estrapolare l'ignoto dal noto) - trascendenza(capacità di esprimere concetti non basati sull'esperienza della percezione).

Trovi convincente, incompleto, deludente o demenziale un simile percorso ? Saluti
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

sgiombo

Citazione di: Carlo Pierini il 17 Settembre 2018, 13:39:21 PM

CARLO
Non c'è scuola di psicologia che non riconosca nell'inconscio una delle componenti fondamentali della psiche. Vuoi dire, allora, che le osservazioni della psicologia sono totalmente prive di valore? ...Che il concetto di psiche si esaurisce in quello di "coscienza"? Per te, i sogni e le visioni hanno un'origine cosciente? I loro contenuti  derivano esclusivamente dal "vissuto" cosciente?

Inoltre: in psicologia, "coscienza" e "inconscio" si configurano come le due costituenti fondamentali della psiche, laddove per "psiche" si intende essenzialmente ciò che comunemente chiamiamo anche "anima", o "mente". Ecco: per quale ragione tu, invece, hai ribaltato questa "nomenclatura" chiamando "mente" una parte della coscienza (quale parte?) e "inconscio" qualcosa di inessenziale ai fini della comprensione della psiche?
CitazioneSgiombo:

Non conosco scuole di psicologia che trattino la materia scientificamente (forse é solo ignoranza in materia da parte mia).

D' altra parte ritengo molti filosofi, a cominciare dagli antichi stoici ed epicurei, conoscitori dell' animo umano molto migliori di qualsiasi psicologo moderno.

SGIOMBO
Il noumeno, non essendo fenomeno (apparenza sensibile, cosciente) non può identificarsi né con la coscienza in generale, né con la mente in particolare (forse potrebbe identificarsi con l' "inconscio", se sapessi che cosa é).

CARLO
In psicologia l'inconscio interagisce con la coscienza, anzi la conflittualità coscienza/inconscio è considerata alla base della maggior parte dei disturbi psichici. Mentre, per te, il noumeno è al di là di ogni possibile esperienza.
Citazione
Sgiombo:
Certo.

Ma letteralmente "inconscio" significa "non appartenente ovvero non apparente alla coscienza", che é quasi la stessa definizione della "cosa in sé", della quale ben poco si può conoscere (con certezza nemmeno se esista realmente) proprio per il suo non apparire empiricamente alla coscienza.

E poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?
Citazione
Sgiombo:
Lo identifico con Kant con la cosa in sé, dunque al di là dell' esperienza cosciente, sia materiale che mentale, letteralmente "metafisica" (al di là della materia) e metapsichica (al di là del pensiero, della mente).

sgiombo

Citazione di: viator il 17 Settembre 2018, 17:34:30 PM
Salve. Per Sgiombo: Ecco un tuo inciso che mi piace. Cito :

L' "inconscio" non so cosa sia e non mi interessa.
Certamente non é la stessa cosa della mente la quale é parte della coscienza.".


Apprezzo la franchezza della prima parte e sono d'accordo sulla prima metà della seconda parte.

Per quanto la relazione tra mente e coscienza mi sento di replicarti ciò che ho già scritto in proposito all'interno del presente "thread", ora modificandolo marginalmente :

Il fatto che si possa essere contemporaneamente coscienti e dementi (mentre invece è impossibile una produzione mentale in stato di incoscienza a me  sembra dimostri che la nascita di una mente risulti evolutivamente successiva alla apparizione di una coscienza.
Citazione
La coscienza non é in relazione con l' evoluzione biologica, la quale riguarda i corpi (cervelli compresi) e i comportamenti, che nei vertebrati "guidati" o "regolati" dai cervelli.
Alcuni o tutti gli altri viventi (tranne ciascuno di noi) potrebbero benissimo essere delle specie di zombi privi di coscienza e non ci sarebbe modo diaccrgersene: tutto accadrebbe nel mondo (fenomenico) materiale del tutto esattamente come avviene ammettendo che anche agli altri sistemi nervosi per lo meno sufficientemente complessi di animali corrispondesse (ma non: si identificasse!) un' esperienza cosciente.
Nemmeno la selezione naturale potrebbe "accorgersi", per parlare metaforicamente ed alquanto antropomorficamente a scopo esplicativo, se i vari animali siano coscienti o meno, dal momento che il loro comportamento non sarebbe distinguibile in alcun modo nei due casi.

Facciamo che la gerarchia evolutiva (e poi quindi anche funzionale) dei contenuti cerebrali sia la seguente : sistema nervoso (strumento che mette in relazione l'interno del corpo con il suo esterno) - percezione sensoriale (traduzione degli stimoli in codice psichico) - psiche (contenente semplicemente ed unicamente - alla nostra nascita - l'istinto di sopravvivenza, successivamente si riempie di contenuti ulteriori, generando una specie di catalogo interiore formato dalla classificazione delle esperienze in FAVOREVOLI o NOCIVE alla sopravvivenza - il catalogo si chiama INCONSCIO o MEMORIA PSICHICA) - coscienza (la capacità psichica di distinguere il sé dal fuori di sé - si inaugura a questo punto il mondo culturale umano) - mente (capacità di connettere tra di loro cause ed effetti utilizzando la MEMORIA MENTALE o COSCIENTE) - intelletto (capacità di esprimere in modo codificato e comunicabile i rapporti tra le cause e gli effetti)- ragione (capacità di selezionare i comportamenti in base alla loro utilità) - capacità di astrazione (capacità di estrapolare l'ignoto dal noto) - trascendenza(capacità di esprimere concetti non basati sull'esperienza della percezione).

Trovi convincente, incompleto, deludente o demenziale un simile percorso ? Saluti
Citazione
Non esistono gerarchie in natura, in particolare nell' evoluzione biologica (qui mi pare tu cada in quello stesso antropocentrismo che giustamente rimproveri a Carlo Pierini).

E francamente trovo del tutto fantasiosa e alquanto campata in aria la tua successione di pretesi stadi evolutivi del sistema nervoso centrale e conseguentemente del comportamento dei vertebrati (suppongo, anche se non lo espliciti), che ha innanzitutto un' aspetto "radiato in più direzioni divergenti" (fra le classi dei pesci a scheletro  cartilagineo, pesci a scheletro osseo, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi placentati e  marsupiali e anche al' interno di ciascuna di esse) nelle quali comunque componenti sensoriali, e varietà di comportamenti sono andate sostanzialmente di pari passo e non attraverso successivi ben distinti "stadi monotematici", per così dire, nei vari gruppi biologici reciprocamente diversificantisi, con uno sviluppo eccezionale, "mostruosamente ipertrofico" delle facoltà intellettive e raziocinative nell' uomo rispetto alle altre specie.

sgiombo

Citazione
CitazioneRisposta a SamuelSilver

(Ho intenzione di rispondere anche a Paul11: pazienza, non mi sono dimenticato, ma "il tempo é tiranno" -che non é un vieto luogo comune- e ho tenuto per ultimi i due interlocutori più impegnativi).

Secondo me i tuoi ragionamenti filano se si assume un atteggiamento "epistemologicamente materialistico", o forse é meglio dire "metodologicamente materialistico", quello di fatto proprio delle scienze naturali, le quali si occupano dei fenomeni materiali – naturali (fisici o comunque riducibili a fenomeni fisici) senza porsi (non necessariamente di per se stesse, anche se a nessun loro cultore é ovviamente vietato farlo "in privato", ma non in quanto ricercatore scientifico) questioni filosofiche circa la natura dei loro oggetti di indagine e le relazioni fra essi e altri eventuali ambiti della realtà.
Le scienza naturali vanno coltivate "come se" fosse vero il monismo materialismo (e questo a prescindere dalla questione filosofica se lo sia effettivamente o meno) in quanto si occupano dei fenomeni materiali dei quali indagano le (postulabili ma non dimostrabili: Hume!) modalità generali universali astratte del divenire, le quali non possono ammettere interferenze con cause non fisiche – naturali – materiali (chiusura causale del mondo fisico).
Anche la neurologia assume questo atteggiamento metodologico, anche se si occupa pure delle correlazioni fra processi fisiologici cerebrali e stati di coscienza, confrontando gli uni come si osservano empiricamente in maniera intersoggettiva (come fanno anche tutte le altre discipline scientifiche con le loro materie di indagine) e gli altri come vengono osservati introspettivamente, nei loro caratteri meramente soggettivi, e raccontati dai "titolari" dei vari cervelli considerati.
Il prescindere dal problema filosofico dell' ontologia generale per assumere un materialismo metodologico mi sembra dunque del tutto accettabile e giustificato per chi si dedichi alla neurologia scientifica; ma mi sembra che tu ti occupi professionalmente, se ho ben capito, di scienze cognitive, e dunque immagino che assuma un atteggiamento un po' più interdisciplinare, come si suol dire (ma questo almeno in qualche misura potrebbe essere davvero un luogo comune vero e proprio), di quanto sono soliti fare i neurologi e non dia per scontato il monismo materialistico come mera premessa metodologica, ma invece lo sottoponga a critica (magari per finire con l' assumerlo a ragion veduta, avendolo corroborato attraverso il superamento di argomenti critici).
Ripropongo dunque anche in questo intervento le mie critiche al monismo materialistico (tuo in particolare, ma anche in generale).

Credo che l' indubbia distinzione fra punto di vista interno e punto di vista esterno non comporti differenza fra i due casi circa la natura di "qualia" = sensazioni ovvero percezioni = "dati di coscienza" = "apparenze fenomeniche" = "fenomeni" (= ecc. -?-) di tutto ciò che costituisce l' uno e l' altro punto di vista stesso: tutto ciò di cui si ha certezza oltre ogni ragionevole dubbio, se lo si vive = se lo si sente = se appare = se accade (= ecc. -?-) sono "dati i coscienza" o "qualia" o ecc., sia che si tratti di esperienze esterne, dl mondo materiale, sia che si tratti di esperienze interiori o introspettive, del mondo mentale.
Sono "qualia = ecc." tanto i qualia mentali (desideri, soddisfazioni, insoddisfazioni, concetti, predicati, convinzioni, credenze, dubbi, sentimenti, ecc.), quanto i qualia materiali (superfici colorate, magari in movimento, suoni, odori, sapori, sensazioni, tattili, ecc.).
Essi sono accadimenti di coscienza, reali in solo e unicamente quanto tali, cioè se e quando accadono come tali (fenomeni, qualia, ecc.).
Quelli mentali sono meramente soggettivi, "privati", propri unicamente dell' esperienza cosciente di ciascuno, mentre quelli materiali sono postulabili (non dimostrabili né tantomeno mostrabili empiricamente: a-ri-Hume!) essere intersoggettivi, cioè reciprocamente confrontabili fra le diverse esperienze coscienti, in particolare per quanto riguarda i rispettivi rapporti quantitativi, che sono gli stesi per tutti, salvo un' inevitabile margine di approssimazione: non posso dire se la mia soddisfazione nel dialogare con te sia maggiore della tua nel dialogare con me o viceversa, né tantomeno di quanto la sia, mentre possiamo concordare piuttosto facilmente che un certo sacco di mele pesa il doppio o il triplo o 1,726 volte di più di un certo altro sacco.
Ma questa intersoggettività non ne fa qualcosa di più reale dei qualia fenomenici (od oggetti, enti ed eventi costituiti da insiemi e successioni di qualia fenomenici) mentali, ma semplicemente qualcosa di diversamente -differenza non quantitativa, ma qualitativa!-reale: la mia soddisfazione nel discutere con te é (per fortuna!) qualcosa di assolutamente reale, non meno (né più) di questo schermo di computer o di questa tastiera qui davanti a me, così come la é (purtroppo!) anche la mia entomofobia.
I processi cerebrali visti da Tizio nel cervello di Caio (nell' ambito dell' esperienza cosciente di Tizio stesso) sono costituiti da insiemi-successioni di qualia fenomenici esattamente come lo sono le esperienze coscienti in quel momento vissute da Caio: nessuno dei due coesistenti separatamente (trascendentisi) e reciprocamente corrispondenti insiemi - successioni di qualia fenomenici é in nessun senso "più reale" (o "meno reale") dell' altro, anche se i primi sono intersoggettivi, mentre dei secondi intersoggettivi sono unicamente quelli materiali (per esempio quelli della coscienza di Caio se egli sta vedendo un albero) e non quelli mentali (non quelli della coscienza di Caio se egli sta pensando al problema dei rapporti mente-cervello).

Ma soprattutto non é che i qualia ovvero sensazioni ovvero fenomeni ovvero ecc. materiali, per il fatto di essere intersoggettivi, sono "cose in sé, reali anche allorché non sono percepite nell' ambito di una o più esperienze coscienti: se lo si pretendesse si cadrebbe in una patente contraddizione, affermando che sono reali anche allorché non sono reali, non accadono realmente!
Esattamente come nel caso dei qualia ovvero sensazioni ovvero fenomeni, ovvero ecc. mentali, né più né meno, il loro "esse est percipi" (Berkeley e Hume): quel qualcosa che é ragionevole credere reale anche quando chiudiamo gli occhi e dunque i qualia costituenti l' albero qui nel giardino (= l' albero qui nel giardino) non sono reali, cosicche nonappena li riapriamo puntualmente rivediamo (intersoggettivamente) l' albero (= l' albero = i qualia che lo costituiscono di nuovo é reale mentre prima non lo era affatto), esattamente come quel qualcosa che é ragionevole credere reale anche quando non pensiamo a nulla, non facciamo introspezione e dunque i qualia costituenti noi stessi (= noi stessi) non sono reali, cosicché nonappena ripensiamo a noi stessi puntualmente risentiamo dentro di noi (in maniera meramente soggettiva) i nostri pensieri, sentimenti, "stati d' animo", cioè noi stessi (= noi stessi = i qualia che ci costituiscono di nuovo siamo reali mentre prima non lo eravamo affatto), ebbene questo (o questi) "qualcosa" non possono essere l' albero e noi stessi (intesi in quanto i nostri pensieri) rispettivamente, dal momento che altrimenti tali cose (costituite esclusivamente, "esaustivamente" di qualia rispettivamente materiali e mentali) sarebbero state reali/accadute realmente anche quando non erano reali/non accadevano realmente.
Può trattarsi invece solo, necessariamente di qualcosa di non costituito da qualia o dati di coscienza o sensazioni, ecc., di qualcosa di non apparente (dal greco e a là Kant: "fenomeni") ma invece solo congetturabile (dal greco e a là Kant: noumeno").

Dunque per studiare la neurologia si può assumere (far finta che) che esista solo la materia e che essa esista indipendentemente dal fatto di essere percepita o meno, e che i qualia mentali siano il cervello sentito in un altro modo, "da un' altro punto di vista", ma per capre in generale cosa c' é/accade realmente, "come é fatto il mondo" bisogna rendersi conto che né il pensiero né la materia esistono anche allorché non se ne ha coscienza essendo entrambi puramente e semplicemente qualcosa di apparente alla (o nella) coscienza (in maniera meramente soggettiva o intersoggettiva a seconda dei casi), ma invece che ciò che esiste in tali occasioni é qualcosa di non percepito, non apparente alla coscienza, e dunque né materiale né mentale
Citazione di: SamuelSilver il 17 Settembre 2018, 01:25:07 AM

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Ora bisognerebbe fare un passo ulteriore affermando che i qualia sono processi cerebrali. Ne consegue che: essere dei processi cerebrali è differente dal "vedere" dei processi cerebrali. Cosa vuol dire vedere i processi cerebrali? Vuol dire che io, in quanto processo cerebrale, sono influenzato dai processi cerebrali (attraverso, per esempio, la visione di immagini fMRI) di un cervello diverso dal mio. Si potrebbe anche dire che l'essere influenzati da processi cerebrali del proprio cervello è diverso dall'essere influenzati da processi cerebrali del cervello altrui.
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CitazioneIn realtà i processi cerebrali del tuo cervello sono qualcosa che accade (intersoggettivamente) nell' ambito delle coscienze di altri soggetti di coscienza, in un certo senso sei tu visto da altri, mentre tu visto da te stesso sei i tuoi pensieri; ma tu in quanto realmente esistente anche indipendentemente dall' essere visto da te o da altri, anche se e quando non ti vedi e non ti vedono, non sei né l' uno né gli altri.
E processi cerebrali del proprio cervello accadono nelle esperienze coscienti di altri soggetti e non possono influenzare il "titolare" del cervello stesso ma solo i suoi comportamenti così come sono osservati da altri (= le esperienze di altri), mentre i processi cerebrali del cervello altrui accadono nella propria esperienza cosciente e nel suo ambito influenzano i comportamementi dei rispettivi "titolari".
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L'apparente limitatezza del materialismo nello spiegare i fenomeni mentali sarebbe dovuta a questa diversità. Spiegare i fenomeni mentali, infatti, corrisponde unicamente alla descrizione di tali fenomeni in termini di processi cerebrali visti dall'esterno.
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CitazioneI fenomeni mentali sono determinate cose che accadono in determinate coscienze, mentre (le descrizioni de-) i corrispondenti processi cerebrali sono altre cose che accadono in altre coscienze di osservatori: sono per così dire la stessa cosa né mentale né cerebrale, in generale non fenomenica ma in sé: diversa dall' uno e dall' altro modo di essere osservata.
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L'ipotetica ulteriore spiegazione che il materialismo non riesce a dare corrisponde in realtà all'esperienza soggettiva di essere questi processi cerebrali. Ma questa non è una spiegazione. Se sto cercando di spiegare come fa Tizio a percepire un fiore, poter entrare nella sua mente e provare quello che prova lui non aggiunge niente, da un punto di vista funzionale, alla spiegazione materiale che potrei dare dall'esterno, se non il fatto che ora ho in memoria l'esperienza di essere stato i processi cerebrali di Tizio e di aver visto il fiore come lo vede lui (ed ecco Paul Churchland). Ma ciò che interessa non è avere in memoria le esperienze soggettive di tutti, ma spiegare queste esperienze in termini oggettivi e utili a chiunque.
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CitazioneCosì facendo non aggiungi altro alla descrizione del mondo materiale, ma non  spieghi affatto la relazione fra i fenomeni materiali del cervello di Tizio e l' esperienza cosciente di Tizio stesso, che inevitabilmente va di ari passo ai processi cerebrali da te osservati ma é un' altra cosa che ti limiti a ignorare (é un'altra "visione" non di tali processi, ma invece di qualcosa di in sé non fenomenico da essi diverso (così come nient' altro che un' altra diversa visone della stessa cosa non fenomenica é il cervello di Tizio nella tua coscienza)


viator

#22
Salve. Per Sgiombo. Per gerarchia intendo la successione cronologica dell'evoluzione, stabilendo che ciò che è apparso prima risulta filogeneticamente più importante di ciò che esso ha generato e che quindi l'ha seguito. Nelle costruzioni ciò che sta sopra può esistere e fungere solo se sostenuto da ciò che sta sotto.

Non capisco cosa c'entri il concentrarsi sui vertebrati. Si tratta di un percorso comune che i diversi generi e specie hanno compiuto in parti variabili (gli attuali organismi unicellulari sono tuttora fermi alla prima tappa, i mammiferi sono fermi allo stadio psichico, l'uomo ha percorso tutte le tappe). Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

sgiombo

Citazione di: paul11 il 17 Settembre 2018, 01:35:54 AM
ciao Sgiombo, ,
adatto che mi interessa la filosofia della mente, ma non riesco a capire il tuo sistema, alquanto originale mi pare, farei uno schema di questo tipo per comprenderlo:
1) dal punto di vista ontologico esiste un insieme chiamato coscienza al cui interno vi sono ontologicamente  il cervello e la mente
2) l'agente conoscitivo esperienziale si trova nella coscienza
3) il cervello è meramente elemento materiale ,neuroni, ecc ricevente oggetti del mondo sensibile, ma non è agente conoscitivo
4) la mente è ontologicamente oggetto del pensiero, delle riflessioni,ma non è agente conoscitivo
CitazioneChiarimenti da parte mia:

Sul punto 2 L' agente conoscitivo esperienziale, il soggetto dell' esperienza cosciente, secondo me non é nella coscienza, ma é qualcosa di in sé (noumeno): infatti può essere reale anche quando non accadono esperienze coscienti (continuiamo ad esistere -come cose in sé- anche durante il sonno senza sogni).
Sul punto 4 la mente é i pensieri (e sentimenti, ecc.: la cartesiana res cogitans intesa però in quanto meri "contenuti di coscienza"), fa parte, con la materia, della coscienza ("esse est percipi", Berhkeley e Hume) per questo non può essere agente conoscitivo, reale anche allorché non agisce).

Il processo relazionale:
i sensi reagiscono alle onde elettromagnetiche e attraverso i nervi trasmettono al cervello quelle onde che si depositano nel cervello.
CitazionePer fare il pignolo, nel caso degli altri sensi corporei diversi dalla vista si tratta di altre forme di energia non elettromagnetica, e inoltre i nervi trasmettono al cervello impulsi nervosi (potenziali d' azione) e non onde elettromagnetiche; ma credo che intendevi dire proprio questo, dunque che siamo d' accordo.

La coscienza prende dal cervello l'informazione e la elabora, nel senso che pensa, lei dà ordini al cervello
CitazioneQui mi fraintendi completamente.Per me tra materia (cervello in particolare) e coscienza non ci sono interazioni (in generale; e in particolare scambio di informazioni. Che deve avvenire per forza tramite "supporti" materiali) per la chiusura causale del mondo fisico.
Coscienza e cervello "vanno di pari passo su sentieri paralleli" senza reciprocamente interferire perché sono manifestazioni coscienti (anche il cervello, ma nell' ambito di altre coscienze, non di quella del suo "titolare") delle stesse, medesime cose in sé.

la mente rappresenta il deposito delle informazioni del pensiero
CitazionePer me mente e pensiero sono sinonimi.


Sempre la coscienza, essendone sede dell'agente conoscitivo preleva quindi i contenuti sensibili dal cervello fisco e i contenuti del pensiero, riflessioni dalla mente.
CitazioneLa coscienza é per me l' insieme degli eventi fenomenici, sentiti, avvertiti per l' appunto coscientemente, tanto fisici-materiali, quanto mentali-cogitativi; il divenire dei primi, se é vera la conoscenza scientifica, segue leggi universali e costanti che non ammettono l' interferenza di qualcosa di non fisico-materiale quali sono i secondi (chiusura causale del mondo fisico).

Dimmi dove sbaglio, perchè per un confronto dovrei capire il tuo sistema
CitazioneSpero di esservi riuscito.
Ovviamente mi farà piacere dare eventuali ulteriori spiegazioni

sgiombo

#24
Citazione di: viator il 17 Settembre 2018, 21:24:12 PM
Salve. Per Sgiombo. Per gerarchia intendo la successione cronologica dell'evoluzione, stabilendo che ciò che è apparso prima risulta filogeneticamente più importante di ciò che esso ha generato e che quindi l'ha seguito. Nelle costruzioni ciò che sta sopra può esistere e fungere solo se sostenuto da ciò che sta sotto. Saluti.


Si tratta di diversità di importanza meramente soggettive, arbitrarie: in natura, oggettivamente, tutto ha la medesima importanza (mentre soggettivamente del destino della zanzara anofele mi importa infinitamente meno che del destino dell' homo sapiens; peraltro qualche nesso reciproco c' é fra i destini di per lo meno moltissime delle specie viventi).

Ribadisco le considerazioni già espresse sullo sviluppo-differenziazione delle differenti classi di vertebrati e delle diverse specie nell' ambito di ciascuna di esse.
CitazioneNon capisco cosa c'entri il concentrarsi sui vertebrati. Si tratta di un percorso comune che i diversi generi e specie hanno compiuto in parti variabili (gli attuali organismi unicellulari sono tuttora fermi alla prima tappa, i mammiferi sono fermi allo stadio psichico, l'uomo ha percorso tutte le tappe). Saluti.
« Ultima modifica: Oggi alle 21:37:32 da viator »

L' evoluzione biologica non é una corsa a tappe, ma un processo multidirezionale, "divergente" un po'in tutte le direzioni.
E ribadisco ancora che le differenze, per me assai vaghe e poco chiare, fra diversi aspetti dei comportamenti animali da te elencate si sono ingenerale evolute non separatamente, in successione, una per volta, separatamente l' una dall' altra, ma reciprocamente influenzandosi e interferendo nel loro sviluppo.

Carlo Pierini

#25
Citazione di: sgiombo il 17 Settembre 2018, 18:09:08 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 17 Settembre 2018, 13:39:21 PM

CARLO
Non c'è scuola di psicologia che non riconosca nell'inconscio una delle componenti fondamentali della psiche. Vuoi dire, allora, che le osservazioni della psicologia sono totalmente prive di valore? ...Che il concetto di psiche si esaurisce in quello di "coscienza"? Per te, i sogni e le visioni hanno un'origine cosciente? I loro contenuti  derivano esclusivamente dal "vissuto" cosciente?

Inoltre: in psicologia, "coscienza" e "inconscio" si configurano come le due costituenti fondamentali della psiche, laddove per "psiche" si intende essenzialmente ciò che comunemente chiamiamo anche "anima", o "mente". Ecco: per quale ragione tu, invece, hai ribaltato questa "nomenclatura" chiamando "mente" una parte della coscienza (quale parte?) e "inconscio" qualcosa di inessenziale ai fini della comprensione della psiche?
CitazioneSgiombo:
Non conosco scuole di psicologia che trattino la materia scientificamente (forse é solo ignoranza in materia da parte mia).

CARLO
Beh, se consideriamo la "coscienza" e la "mente" come entità metafisiche, sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza. La scienza si occupa di grandezze quantificabili, non di metafisica.

Cit. SGIOMBO
Il noumeno, non essendo fenomeno (apparenza sensibile, cosciente) non può identificarsi né con la coscienza in generale, né con la mente in particolare (forse potrebbe identificarsi con l' "inconscio", se sapessi che cosa é)


Cit. CARLO
In psicologia l'inconscio interagisce con la coscienza, anzi la conflittualità coscienza/inconscio è considerata alla base della maggior parte dei disturbi psichici. Mentre, per te, il noumeno è al di là di ogni possibile esperienza.


SGIOMBO:
Certo.
Ma letteralmente "inconscio" significa "non appartenente ovvero non apparente alla coscienza", che é quasi la stessa definizione della "cosa in sé", della quale ben poco si può conoscere (con certezza nemmeno se esista realmente) proprio per il suo non apparire empiricamente alla coscienza.


CARLO
Tutte le scuole psicologiche convengono che l'inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. Insomma, così come il mondo esterno non appartiene alla coscienza, ma si manifesta (come dici tu: appare) ad essa, altrettanto accade con l'inconscio. Quindi non capisco cosa significa quel tuo considerare sinonimi <<non appartenente>> e <<non apparente>>. Come il mondo esterno, anche l'inconscio appare alla coscienza, proprio perché non le appartiene. Come scrive Jung:

<<Le immagini inconsce, non sono pallide ombre, ma determinanti psichiche potentemente attive che non possiamo mai privare della loro energia col semplice negarle. [...] L'equivalente del mondo interno è solo il mondo esterno, e come raggiungo questo per mezzo degli organi sensoriali, raggiungo quello per mezzo dell'anima>>".    [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg. 232]

...E che quelle di Jung non sono solo chiacchiere, me lo hanno dimostrato molte esperienze personali, di cui ne ho raccontata qualcuna in questo forum, per esempio:

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un'altra-'visione'-archetipica/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/gli-archetipi-esistono-io-li-ho-'visti'!/

https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/un-sogno-archetipico/msg21742/#msg21742

Cit. CARLO
E poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?

SGIOMBO:
Lo identifico con Kant con la cosa in sé, dunque al di là dell'esperienza cosciente, sia materiale che mentale, letteralmente "metafisica" (al di là della materia) e metapsichica (al di là del pensiero, della mente).


CARLO
E' proprio questo che non è accettabile né alla ragione né al buon senso: se la cosa è materiale/sensibile, dire che "la cosa in sé" è al di là della materia e che non ha niente a che vedere con la cosa è ridicolo. A meno che non si intenda impropriamente la "cosa in sé" come il noumeno platonico, cioè, come l'idea originaria della cosa, il modello metafisico da cui la cosa stessa discende, il "progetto divino" o archetipo del quale la cosa è l'incarnazione sensibile; modello-archetipo che, proprio in quanto idea pensabile, è virtualmente conoscibile attraverso la conoscenza della sua manifestazione fisica, cioè, attraverso la conoscenza dei fenomeni con cui essa si manifesta.
In altri termini, mi sembra del tutto arbitraria e illogica l'idea kantiana di una "cosa" e di una "cosa in sé" separate da un abisso che nessuna conoscenza può mai colmare. Se la "cosa in sé" è pensabile ed è il modello di una "cosa" osservabile e conoscibile, per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla cosa al suo modello? Per il capriccio di Kant? Perché Kant ha vissuto in un'epoca di riflusso anti-cattolico (l'Illuminismo) in cui era di moda rendere inconoscibile-inaccessibile qualunque entità metafisica?
Se Tommaso considerava conoscibile persino Dio attraverso la conoscenza del Creato - che egli concepiva "fatto a immagine e somiglianza" del suo Creatore -, perché la "cosa in sé" (il noumeno platonico) - che è anch'essa fatta a immagine e somiglianza della "cosa" - dovrebbe essere inconoscibile? Quali sono le vere ragioni di questo presunto invalicabile abisso tra la cosa e il suo archetipo?
Ecco, finché qualcuno non fornirà una risposta solida a questa domanda, io continuerò a pensare conformemente a ciò che osservo; e cioè che la conoscenza si evolve, cresce e prospera nel tempo, sia in estensione che in profondità, fino al punto che riusciamo persino a prevedere l'esistenza di cose ancor prima di osservarle, o di altre che non sono direttamente percepibili (come le leggi e i principi della natura); e che dunque non esistono ragioni per porre dei limiti alle possibilità di conoscere. 
Di dogmi privi di fondamento e di arbitrarie "colonne d'Ercole" non sappiamo proprio che farcene, che sia Kant o chiunque altro a decretarli.

P.S.
Ti sei dimenticato di dirmi cosa intendi per "mente" e perché non ne accetti il significato generale di psiche, o anima, come lo intende la psicologia.

green demetr

Il problema del riduzionismo è che non fa i conti con il cotesto in cui è calato.

Soluzioni come quelle dell'emergentismo, e dei qualia, riportano di base al problema degli attributi.

Perchè gli uni e perchè non altri? (e per inciso i riduzionismi servono proprio per non farsi queste domande!)

Il problema chiave è sempre quello dell'evoluzismo darwiniano e delle sue pretese. Ma lo stesso Darwin capì la necessità ad un ritorno al problema dell'adattamento. (è forse questo il senso del 3d di cui si domanda SamuelSilver? ossia quel "bastare", si intende per una delle progressive sorti dell'umanità?)

L'adattamento, che sia quello relativo a fenomeni percettivi o mentali, che sia quello dei qualia o della materia in sè, ci pone di fronte al problema del soggetto.

Il soggetto che si pone di fronte al problema politico dell'adattamento, ossia al problema ecologico di tanta filosofia contemporanea.

Invece il riduzionismo con la sua applicazione meramente gnoseologica, di fatto è uno degli strumenti che il Potere impiega per mantenere lo status quo.

Il materialismo non basta a niente, e anche stando semplicemente nei canoni della morale bigotta di questi tempi, pensiamo solo ai danni che l'eugenetica (riduzionismo par excellence) ha prodotto, quando impugnata da un potere politico (quello nazista).

Se l'uomo è solo ciò che è e non anche quello che sogna, diventa il contropasso ideologico, ad una attività che forse basta solo a livello scientifico, ma che rende ciechi sul Mondo.

Fare entrare questo genere di discussioni, che appartengono solo alla scienza e alle sue presunte divisioni di settore, significa far morire la filosofia, come ormai molti giovani filosofi finalmente si stanno rendendo conto.

Il divide et impera dei romani non dovrebbe valere ancora come monito?

Varrebbe anche introdurre la variabile del tempo, cosa è il tempo in una visione riduzionista del mondo? E' dentro o è fuori della coscienza o della mente, come meglio dicono loro?
Vai avanti tu che mi vien da ridere

sgiombo

Citazione di: Carlo Pierini il 17 Settembre 2018, 22:26:45 PM


CARLO
Beh, se consideriamo la "coscienza" e la "mente" come entità metafisiche, sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza. La scienza si occupa di grandezze quantificabili, non di metafisica.
CitazioneSGIOMBO:
Scusa la franchezza, ma per me cercare di discutere con te é semplicemente penoso!

Quando mai avrei preteso che la "mia teoria" filosofica sia scienza?
Certo, mi interesso anche di scienza, ma é un' altra cosa.

Spero che non mi vorrai raccontare che la psicoanalisi di Freud o di Jung si occupano di grandezze quantificabili (ergo: sono scienza; parole tue)!



Cit. SGIOMBO
Il noumeno, non essendo fenomeno (apparenza sensibile, cosciente) non può identificarsi né con la coscienza in generale, né con la mente in particolare (forse potrebbe identificarsi con l' "inconscio", se sapessi che cosa é)

Cit. CARLO
In psicologia l'inconscio interagisce con la coscienza, anzi la conflittualità coscienza/inconscio è considerata alla base della maggior parte dei disturbi psichici. Mentre, per te, il noumeno è al di là di ogni possibile esperienza.

CitazioneEsatto.

Ma non vedo come (anzi: trovo contraddittorio, insensato!) pretendere che, se qualcosa -letteralmente- non é conosciuto, possano esserne conosciuti i rapporti di "conflittualità con la coscienza (ovviamente conoscibile, quest' ultima).



SGIOMBO:
Certo.
Ma letteralmente "inconscio" significa "non appartenente ovvero non apparente alla coscienza", che é quasi la stessa definizione della "cosa in sé", della quale ben poco si può conoscere (con certezza nemmeno se esista realmente) proprio per il suo non apparire empiricamente alla coscienza.


CARLO
Tutte le scuole psicologiche convengono che l'inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. Insomma, così come il mondo esterno non appartiene alla coscienza, ma si manifesta (come dici tu: appare) ad essa, altrettanto accade con l'inconscio. Quindi non capisco cosa significa quel tuo considerare sinonimi <<non appartenente>> e <<non apparente>>. Come il mondo esterno, anche l'inconscio appare alla coscienza, proprio perché non le appartiene. Come scrive Jung:
CitazioneChe l' inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. (o non invece sogni visoni, ecc. accadono senza bisogno di essere manifestazione di alcun inconscio) non può certo essere verificato-falsificato empiricamente: ergo non si tratta di scienza ma di ipotesi gratuite (e i -credo rarissimi- casi in cui funzioano terapeuticamente credo vadano ascritti al' effetto placebo).



Cit. CARLO
E poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?

SGIOMBO:
Lo identifico con Kant con la cosa in sé, dunque al di là dell'esperienza cosciente, sia materiale che mentale, letteralmente "metafisica" (al di là della materia) e metapsichica (al di là del pensiero, della mente).


CARLO
E' proprio questo che non è accettabile né alla ragione né al buon senso: se la cosa è materiale/sensibile, dire che "la cosa in sé" è al di là della materia e che non ha niente a che vedere con la cosa è ridicolo. A meno che non si intenda impropriamente la "cosa in sé" come il noumeno platonico, cioè, come l'idea originaria della cosa, il modello metafisico da cui la cosa stessa discende, il "progetto divino" o archetipo del quale la cosa è l'incarnazione sensibile; modello-archetipo che, proprio in quanto idea pensabile, è virtualmente conoscibile attraverso la conoscenza della sua manifestazione fisica, cioè, attraverso la conoscenza dei fenomeni con cui essa si manifesta.
In altri termini, mi sembra del tutto arbitraria e illogica l'idea kantiana di una "cosa" e di una "cosa in sé" separate da un abisso che nessuna conoscenza può mai colmare. Se la "cosa in sé" è pensabile ed è il modello di una "cosa" osservabile e conoscibile, per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla cosa al suo modello? Per il capriccio di Kant? Perché Kant ha vissuto in un'epoca di riflusso anti-cattolico (l'Illuminismo) in cui era di moda rendere inconoscibile-inaccessibile qualunque entità metafisica?
Se Tommaso considerava conoscibile persino Dio attraverso la conoscenza del Creato - che egli concepiva "fatto a immagine e somiglianza" del suo Creatore -, perché la "cosa in sé" (il noumeno platonico) - che è anch'essa fatta a immagine e somiglianza della "cosa" - dovrebbe essere inconoscibile? Quali sono le vere ragioni di questo presunto invalicabile abisso tra la cosa e il suo archetipo?
Ecco, finché qualcuno non fornirà una risposta solida a questa domanda, io continuerò a pensare conformemente a ciò che osservo; e cioè che la conoscenza si evolve, cresce e prospera nel tempo, sia in estensione che in profondità, fino al punto che riusciamo persino a prevedere l'esistenza di cose ancor prima di osservarle, o di altre che non sono direttamente percepibili (come le leggi e i principi della natura); e che dunque non esistono ragioni per porre dei limiti alle possibilità di conoscere.
Di dogmi privi di fondamento e di arbitrarie "colonne d'Ercole" non sappiamo proprio che farcene, che sia Kant o chiunque altro a decretarli.

P.S.
Ti sei dimenticato di dirmi cosa intendi per "mente" e perché non ne accetti il significato generale di psiche, o anima, come lo intende la psicologia.
CitazioneEcco che cosa intendevo dicendo che per me discutere con te é penosissimo: continui fraintendimenti e distorsioni delle mie affermazioni da arte tua!

La teoria dl "noumeno platonico" mi sembra una farneticazione irrazionalistica del tutto arbitraria, infondata.
Mentre non ho mai detto che la cosa in sé "non ha nulla ache fare ma solo che non presenta interferenze causali e invece le diviene in corrispondenza biunivoca con la materia (e con la mente).
E' impossibile identificare la cosa in sé con i fenomeni che le corrispondono (e di cui non é il "modello") per il principio di non contraddizione (non sto a ripetere ancore le argomentazioni già infinite volte proposte nel forum); ma si può benissimo ipotizzare  congetturare.

Pretendere che per il fatto della crescita di fatto constatata delle conoscenze non vi si possano porre limiti sarebbe come pretendere che per l fatto di aumentare di statura, un bambino debba diventi sempre più infinitamente alto.

Circa l' ultimi rimprovero: non c' é peggior sordo di chi non voglia sentire e eeggior cieco di ci non voglia vedere.

SamuelSilver

Vorrei ora rispondere velocemente a Green demetr, poi con più calma risponderò anche agli altri.

Perdona la mia ignoranza ma non so cosa siano il problema degli attributi e dell'adattamento, non so neanche quali siano le pretese dell'evoluzionismo: l'evoluzionismo sarebbe più pretenzioso delle sue alternative (come il creazionismo)?

Non credo affatto che il il riduzionismo sia uno degli strumenti del potere per mantenere lo status quo (non vedo l'eugenetica ne come il riduzionismo per antonomasia ne come una prova sufficiente per la tua affermazione), la religione se la cava decisamente meglio in questo ambito. Secondo me, poi, le cose stanno comunque migliorando anche nella religione, il discorso del potere e dello status quo oggi può certamente essere ancora valido, ma non in modo stringente come qualche decennio o secolo fa. Ma anche se tu avessi ragione riguardo al riduzionismo come strumento del potere, la cosa non dovrebbe essere presa comunque in considerazione: evitare di seguire una linea di pensiero che pare logica e realistica solo perchè la società ne sta già facendo un uso sbagliato non mi sembra il miglior modo per ragionare o per fare filosofia. Se, per assurdo, al tempo di Galileo ci fosse stata una società che sfruttava l'eliocentrismo per mantenere il potere e lo status quo, ripudiare l'eliocentrismo in se solo per un'antipatia verso tale società sarebbe stato decisamente poco ragionevole. L'eliocentrismo è ovviamente diverso da un'idea filosofica in quanto si tratta di scienza, ma al tempo di Galileo la scienza e la tecnologia erano decisamente poco sviluppate: le prove che la terra girasse intorno al sole erano convincenti all'incirca come le prove che il materialismo e il riduzionismo siano reali.

Con "il materialismo basta" intendo dire che è sufficiente per rendere conto dei fenomeno mentali.

Questo genere di discussioni non appartengono alla scienza (a quale settore poi?), infatti esiste la filosofia della mente che si occupa proprio di questi problemi (come quello mente-corpo) e non mi sembra che essa stia facendo morire la "vera" filosofia. 

Spero di aver adeguatamente risposto alle tue critiche.

Carlo Pierini

#29
Cit. CARLO
Beh, se consideriamo la "coscienza" e la "mente" come entità metafisiche, sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza. La scienza si occupa di grandezze quantificabili, non di metafisica.

SGIOMBO:
Quando mai avrei preteso che la "mia teoria" filosofica sia scienza?

CARLO
Non lo hai mai preteso; ma quando ti ho chiesto: << Per quale ragione hai ribaltato la comune "nomenclatura" della Psicologia chiamando "mente" una parte della coscienza?>> tu, invece di rispondermi, mi hai detto: <<Non conosco scuole di psicologia che trattino la materia scientificamente>>. Come dovevo interpretare questa tua risposta, se non nel senso che, per te, è degno di essere preso in considerazione solo ciò che è scientifico? Ma adesso che hai chiarito che le tue tesi non hanno pretese scientifiche, puoi tranquillamente rispondere alla mia domanda.

SGIOMBO
Spero che non mi vorrai raccontare che la psicoanalisi di Freud o di Jung si occupano di grandezze quantificabili.

CARLO
Ho appena detto che: <<...sia la tua teoria che l'intera psicologia sono al di fuori della scienza>>. Cosa può voler dire?

Cit. SGIOMBO
Letteralmente "inconscio" significa "non appartenente ovvero non apparente alla coscienza", che é quasi la stessa definizione della "cosa in sé", della quale ben poco si può conoscere (con certezza nemmeno se esista realmente) proprio per il suo non apparire empiricamente alla coscienza.

Cit. CARLO
Tutte le scuole psicologiche convengono che l'inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. Insomma, così come il mondo esterno non appartiene alla coscienza, ma si manifesta (come dici tu: appare) ad essa, altrettanto accade con l'inconscio. Quindi non capisco cosa significa quel tuo considerare sinonimi <<non appartenente>> e <<non apparente>>. Come il mondo esterno, anche l'inconscio appare alla coscienza, proprio perché non le appartiene.

SGIOMBO
Che l' inconscio, pur non appartenendo alla coscienza, si manifesta alla coscienza attraverso sogni, visioni e persino come disturbi della coscienza: idee o fantasie ossessive, impulsi incontrollabili, raptus, stati depressivi, sentimenti di indegnità o di colpa, ecc.. (o non invece sogni visoni, ecc. accadono senza bisogno di essere manifestazione di alcun inconscio) non può certo essere verificato-falsificato empiricamente: ergo non si tratta di scienza ma di ipotesi gratuite (e i -credo rarissimi- casi in cui funzionano terapeuticamente credo vadano ascritti all'effetto placebo).

CARLO
Ancora con la scienza? Non hai appena detto che le tue tesi non pretendono di essere scientifiche? E allora perché pretendi scientificità alle tesi che non si conformano alle tue? La logica dei "due pesi e due misure"?
Non l'hai ancora capito che, se vuoi sostenere la "gratuità" del concetto (non quantificabile) di "inconscio" non puoi impugnare l'argomento della non-scientificità, ma devi sporcarti le manine ed entrare nel merito delle osservazioni disciplinari che rendono necessario quel concetto ai fini di una corretta interpretazione delle dinamiche psichiche? Altrimenti ti comporti esattamente come gli scientisti che, comodamente, considerano gratuita qualsiasi ipotesi che non rientri nei canoni di misurabilità e di riproducibilità sperimentale. Quindi la domanda è: perché ritieni il concetto di inconscio un'ipotesi gratuita? Dov'è che sbagliano gli psicologi nel ritenerlo necessario? Come spiegheresti quelle mie esperienze "visionarie" (che ti ho linkato) senza ricorrere al concetto di inconscio?

Cit. CARLO
E poi ancora non ho capito se intendi "noumeno" nel suo significato platonico o in quello kantiano. Perché da una parte lo identifichi (come Kant) con la "cosa in sé" (né fisica né metafisica), e dall'altra gli dài una connotazione metafisica, come Platone. Potresti chiarire meglio questo punto?

Cit. SGIOMBO:
Lo identifico con Kant con la cosa in sé, dunque al di là dell'esperienza cosciente, sia materiale che mentale, letteralmente "metafisica" (al di là della materia) e metapsichica (al di là del pensiero, della mente).

Cit. CARLO
E' proprio questo che non è accettabile né alla ragione né al buon senso: se la cosa è materiale/sensibile, dire che "la cosa in sé" è al di là della materia e che non ha niente a che vedere con la cosa è ridicolo. A meno che non si intenda impropriamente la "cosa in sé" come il noumeno platonico, cioè, come l'idea originaria della cosa, il modello metafisico da cui la cosa stessa discende, il "progetto divino" o archetipo del quale la cosa è l'incarnazione sensibile; modello-archetipo che, proprio in quanto idea pensabile, è virtualmente conoscibile attraverso la conoscenza della sua manifestazione fisica, cioè, attraverso la conoscenza dei fenomeni con cui essa si manifesta.
In altri termini, mi sembra del tutto arbitraria e illogica l'idea kantiana di una "cosa" e di una "cosa in sé" separate da un abisso che nessuna conoscenza può mai colmare. Se la "cosa in sé" è pensabile ed è il modello di una "cosa" osservabile e conoscibile, per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla cosa al suo modello? Per il capriccio di Kant? Perché Kant ha vissuto in un'epoca di riflusso anti-cattolico (l'Illuminismo) in cui era di moda rendere inconoscibile-inaccessibile qualunque entità metafisica?
Se Tommaso considerava conoscibile persino Dio attraverso la conoscenza del Creato - che egli concepiva "fatto a immagine e somiglianza" del suo Creatore -, perché la "cosa in sé" (il noumeno platonico) - che è anch'essa fatta a immagine e somiglianza della "cosa" - dovrebbe essere inconoscibile? Quali sono le vere ragioni di questo presunto invalicabile abisso tra la cosa e il suo archetipo?
Ecco, finché qualcuno non fornirà una risposta solida a questa domanda, io continuerò a pensare conformemente a ciò che osservo; e cioè che la conoscenza si evolve, cresce e prospera nel tempo, sia in estensione che in profondità, fino al punto che riusciamo persino a prevedere l'esistenza di cose ancor prima di osservarle, o di altre che non sono direttamente percepibili (come le leggi e i principi della natura); e che dunque non esistono ragioni per porre dei limiti alle possibilità di conoscere.
Di dogmi privi di fondamento e di arbitrarie "colonne d'Ercole" non sappiamo proprio che farcene, che sia Kant o chiunque altro a decretarli.
P.S.
Ti sei dimenticato di dirmi cosa intendi per "mente" e perché non ne accetti il significato generale di psiche, o anima, come lo intende la psicologia.

SGIOMBO
La teoria di "noumeno platonico" mi sembra una farneticazione irrazionalistica del tutto arbitraria, infondata.

CARLO
E' vero il contrario. La teoria degli archetipi (noumeno e archetipo sono essenzialmente sinonimi) è supportata da migliaia di osservazioni disciplinari sia nel campo della psicologia (Jung) sia nel campo della Storia comparata delle idee religiose (Eliade, Guénon, Alleau, Evola, Zolla, Hillman, Williamson, ecc.). Mentre la tesi della "inconoscibilità della cosa in sé" kantiana è un dogma filosofico allo stato puro, privo di motivazioni sia logiche che di tipo osservativo.

SGIOMBO
Mentre non ho mai detto che la cosa in sé "non ha nulla a che fare ma solo che non presenta interferenze causali e invece le diviene in corrispondenza biunivoca con la materia (e con la mente).
E' impossibile identificare la cosa in sé con i fenomeni che le corrispondono (e di cui non é il "modello") per il principio di non contraddizione (non sto a ripetere ancore le argomentazioni già infinite volte proposte nel forum); ma si può benissimo ipotizzare congetturare.

CARLO
Il problema della "cosa in sé" kantiana è la sua nullità epistemica, la sua fantasmaticità; sappiamo ciò che non è, ma non sappiamo ciò che è: non è la cosa, non è fenomeno, non è modello della cosa, non ha alcuna relazione con l'esperienza, non è conoscibile. Non è. Esattamente come tutto ciò che non esiste: un significante vuoto e privo di significato, un inconsistente flatus vocis. Una burla filosofica.

SGIOMBO
Pretendere che per il fatto della crescita di fatto constatata delle conoscenze non vi si possano porre limiti sarebbe come pretendere che per il fatto di aumentare di statura, un bambino debba diventi sempre più infinitamente alto.

CARLO
Mi riferivo al porre limiti arbitrari e infondati, cioè, privi di argomentazioni di supporto. La conoscenza è una bambina che sa ancora ben poco del mondo e di sé; e la sua crescita non ha niente di innaturale o di illogico.

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