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Perché fare filosofia?

Aperto da Gasacchino, 27 Agosto 2016, 15:10:57 PM

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Gasacchino

In questo topic pongo una questione molto semplice: 
     ha senso fare filosofia? Ha un'utilità? Se sì cosa?

Una persona che dedica la sua vita alla filosofia, fa un dono all'umanità o solo o sé stessa? In fin dei conti ho come l'impressione che la filosofia poggi sul nulla e sia fine a sé stessa. 
Mi rendo conto che per quanto porsi la domanda sia semplice, la risposta o le risposte, non sia altrettanto facili da dare. Per quanto mi riguarda la pongo qua che credo che potrò avere sicuramente risposte quantomeno interessanti.

Ringrazio coloro che si cimenteranno nel rispondere a questo mio quesito.

Jacopus

Bella domanda. A cui possono seguire tanti diverse risposte. La prima che mi è venuta in mente è questa: "la filosofia è uno dei più potenti antidoti alla violenza". Anche le teorie che giustificano la violenza hanno infatti un nucleo "discorsivo". La spada, con il suo freddo metallo che taglia il collo è una cosa, l'incitazione a tagliare il collo con la spada tramite filosofia è un atto diverso.
La filosofia è inoltre depositata nei libri, nei frammenti greci, in atti scritti che possono essere confrontati e che possono dialogare fra loro, come saggi sempre disponibili, che possono metterci in guardia, che possono farci vedere il passato per non ripetere gli stessi errori e che soprattutto cercano di andare al fondamento delle cose e delle azioni, per capire chi è l'uomo e qual'è il suo compito nel mondo.
Il fascino della filosofia è dato anche dalla sua debolezza. Il fatto stesso che tu ti domandi "perchè fare filosofia" è parte di quel fascino. Non chiederesti mai allo stesso modo " perchè fare ingegneria". La filosofia è talmente critica che è in grado di criticare anche sè stessa, ma in questo mantiene una riserva di senso immensa, contrapposta alle conoscenze "tecniche" che si limitano a risolvere un compito o a quelle "teologiche" che risolvono le domande dell'uomo attraverso una storia escatologica.
Poi c'è una seconda motivazione. Studiare la storia della filosofia apre la mente e permette di entrare nella storia dell'uomo forse meglio di ogni altro tipo di "storia", perché la filosofia è l'essenza di quell'epoca anche se arriva di notte, a giochi fatti, come la civetta di Minerva.
C'è anche una terza motivazione. Per capire il mondo occorre esercitarsi e la filosofia è la palestra più attrezzata che vi sia. Occorre però avere spirito critico, senso di abnegazione e anche forse una certa dose di intuitività, di capacità di leggere le connessioni fra gli eventi.
Ovviamente prima di "fare filosofia" occorre conoscerla, e quindi penso che il tuo sia un invito a studiare la filosofia, poiché "fare" filosofia è riservato solo a pochi di noi, persone davvero speciali e che hanno una specie di missione da assolvere.
Non sono un esperto di filosofia, nonostante tutta questa tiritela, ma penso che la crisi della filosofia dipenda dall'esplosione del sapere umano, che non può più essere manovrato da un'unica mente, come ai tempi di Leonardo. La specializzazione ci rende tutti tecnici di qualcosa ma in questo modo si perde il contatto fra tutta l'umanità, si perde il senso del "fare qualcosa" a cui la filosofia invece saprebbe rispondere se ben interrogata.
Anche questa frase della Yourceanair mi è venuta in mente mentre sto rispondendo:
"fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro l'inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

Anche stavolta temo non si possa prescindere dal chiarire il termine centrale: cosa si intende con "filosofia"?

Proporrei due osservazioni:
- "fare filosofia" non credo comporti sempre "dedicare la propria vita alla filosofia"(semi-cit.): la prima è una laboriosa attività mentale (semplificando), la seconda sembra quasi alludere ad un mestiere (che quindi richiede qualifiche, orari, "dipendenze" ed una certa "produttività"...).
- Gasacchino, perché hai l'impressione che la filosofia "poggi sul nulla"(cit.)? Per me è il contrario: la filosofia è "parassitaria", non può prescindere dallo "sfruttare" ciò che è altro da lei (basta pensare alle cosiddette filosofie "al genitivo": filosofia della scienza, della religione, dell'arte, della politica, della matematica, della storia, etc.). 
La filosofia si può applicare a tutto ciò che è linguaggio (verbale, artistico, scientifico o altro...), e se ciò non è possibile, allora Lei traduce in linguaggio ciò che non lo è (l'esperienza sensibile, un intuizione metafisica, un meccanismo inconscio, etc.) per poterci "lavorare".

Coniugando i due punti precedenti possiamo, secondo me, iniziare a tratteggiare una risposta alla domanda su cosa sia la filosofia: è un'attività mentale (che quindi produce direttamente poco di materiale, al massimo qualche libro o filmato di conferenza... anche se indirettamente le sue conseguenze cambiano la storia...), che è comprensiva e comprendente di ciò che la circonda, ovvero è "curiosità problematizzante".

Parafrasando il titolo del topic, assecondando la prospettiva proposta (come si fa con i matti!): perché cimentarsi in un'attività mentale che muta la curiosità in problemi? Con quale utilità?

Non voglio rispondere ora per lasciare che altri affrontino il discorso, magari da altre prospettive...

P.s. Mentre scrivevo ha postato Jacopus, di cui condivido in gran parte il discorso, tranne l'affermazione che il "fare filosofia" sia "elitario": non il fare, ma il campare facendo filosofia, è elitario  ;D

cvc

Penso si debba fare filosofia per imparare a pensare in modo ordinato, per far sì che la propria mente non sia un guazzabuglio di idee che cozzano l'una contro l'altra. Poi il termine filosofia si presta a varie interpretazioni e usi. Il pericolo maggiore, sempre secondo me, è quello di assumere un atteggiamento, un modo di pensare troppo astratto che faccia perdere di vista l'importanza pratica del filosofare: la serenità che ne deriva. Poi c'è anche chi vive la filosofia in senso drammatico, la filosofia è proprio questo: la libertà di estrarre il senso delle cose districandosi nella jungla dei pre-concetti.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Phil

Citazione di: cvc il 27 Agosto 2016, 19:00:44 PMassumere un atteggiamento, un modo di pensare troppo astratto che faccia perdere di vista l'importanza pratica del filosofare
Questa considerazione mi ha fatto venire in mente due episodi, riguardanti Talete, che ben descrivono i due stereotipi della filosofia, quello della "testa fra le nuvole":
«Come successe a Talete, o Teodoro, che mentre osservava le stelle e guardava in alto cadde in un fosso, ed una serva tracia, si dice, si burlò di lui molto spiritosamente, domandandogli come potesse pretendere di osservare le cose del cielo quando non sapeva vedere quel che aveva davanti ai piedi»
(Platone, Teeteto)

e quello della "saggezza", anche in senso pratico:
«Raccontano dunque che qualcuno, rinfacciandogli la sua povertà, asserisse che la filosofia non era di alcuna utilità pratica; allora Talete, che, grazie alle sue conoscenze astronomiche, prevedeva una grossa raccolta di olive, prese in affitto fin dall'inverno i frantoi di Mileto e di Chio a condizioni vantaggiose perché nessuno ne offriva di più, dando come caparra un po' di denaro di cui disponeva. Al momento opportuno, quando la richiesta divenne forte e urgente, li cedette di nuovo al prezzo che voleva e ne trasse molto denaro» (Aristotele, Politica)

In entrambi i casi il filosofo ha scrutato il cielo, ma quanto è stato differente il risultato!  ;D

cvc

Citazione di: Phil il 27 Agosto 2016, 20:53:16 PM
Citazione di: cvc il 27 Agosto 2016, 19:00:44 PMassumere un atteggiamento, un modo di pensare troppo astratto che faccia perdere di vista l'importanza pratica del filosofare
Questa considerazione mi ha fatto venire in mente due episodi, riguardanti Talete, che ben descrivono i due stereotipi della filosofia, quello della "testa fra le nuvole":
«Come successe a Talete, o Teodoro, che mentre osservava le stelle e guardava in alto cadde in un fosso, ed una serva tracia, si dice, si burlò di lui molto spiritosamente, domandandogli come potesse pretendere di osservare le cose del cielo quando non sapeva vedere quel che aveva davanti ai piedi»
(Platone, Teeteto)

e quello della "saggezza", anche in senso pratico:
«Raccontano dunque che qualcuno, rinfacciandogli la sua povertà, asserisse che la filosofia non era di alcuna utilità pratica; allora Talete, che, grazie alle sue conoscenze astronomiche, prevedeva una grossa raccolta di olive, prese in affitto fin dall'inverno i frantoi di Mileto e di Chio a condizioni vantaggiose perché nessuno ne offriva di più, dando come caparra un po' di denaro di cui disponeva. Al momento opportuno, quando la richiesta divenne forte e urgente, li cedette di nuovo al prezzo che voleva e ne trasse molto denaro» (Aristotele, Politica)

In entrambi i casi il filosofo ha scrutato il cielo, ma quanto è stato differente il risultato!  ;D
La filosofia sembra aver perso proprio la ricerca della saggezza, e il filosofo è diventato un cumulo di conoscenze. Per cui la cosa importante è aumentare la propria cultura e non la capacità di trarne frutto. Anche perché o si pensa che esiste un anima o ci si perde nel relativismo, quindi anche il frutto (il bene) è sempre un qualcosa contingente ed effimero. E la conoscenza pare sempre più impegnata a cercare di dimostrare che non esiste un'anima, concetto anacronistico per la civiltà della tecnica. Al massimo si riconosce l'esistenza di una coscienza, ma anche questa appare come una concessione provvisoria, in attesa che si trovi un algoritmo che ci liberi anche da quest'altra presenza imbarazzante.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

Citazione di: cvc il 28 Agosto 2016, 08:20:13 AM

La filosofia sembra aver perso proprio la ricerca della saggezza, e il filosofo è diventato un cumulo di conoscenze. Per cui la cosa importante è aumentare la propria cultura e non la capacità di trarne frutto. Anche perché o si pensa che esiste un anima o ci si perde nel relativismo, quindi anche il frutto (il bene) è sempre un qualcosa contingente ed effimero. E la conoscenza pare sempre più impegnata a cercare di dimostrare che non esiste un'anima, concetto anacronistico per la civiltà della tecnica. Al massimo si riconosce l'esistenza di una coscienza, ma anche questa appare come una concessione provvisoria, in attesa che si trovi un algoritmo che ci liberi anche da quest'altra presenza imbarazzante.
CitazioneSe non si crede nell' esistenza di un' anima soprannaturale, immortale non necessariamente si cade nel relativismo (in fatto di etica, come suppongo intenda):
per me non é affatto vero che "se Dio é morto tutto é lecito"

La coscienza e l' autocoscienza sono fatti reali, che si può magari cercare di ignorare, ma non annulare.

Concordo invece col tuo precedente intervento:
"Penso si debba fare filosofia per imparare a pensare in modo ordinato, per far sì che la propria mente non sia un guazzabuglio di idee che cozzano l'una contro l'altra. Poi il termine filosofia si presta a varie interpretazioni e usi. Il pericolo maggiore, sempre secondo me, è quello di assumere un atteggiamento, un modo di pensare troppo astratto che faccia perdere di vista l'importanza pratica del filosofare: la serenità che ne deriva. Poi c'è anche chi vive la filosofia in senso drammatico, la filosofia è proprio questo: la libertà di estrarre il senso delle cose districandosi nella jungla dei pre-concetti".

cvc

Sgiombo: "Se non si crede nell' esistenza di un' anima soprannaturale, immortale non necessariamente si cade nel relativismo (in fatto di etica, come suppongo intenda):
per me non é affatto vero che "se Dio é morto tutto é lecito"

La coscienza e l' autocoscienza sono fatti reali, che si può magari cercare di ignorare, ma non annulare".

.............................


A me risuona ancora nelle orecchie una frase di Pavlov, secondo cui il concetto di anima per lo scienziato è un fastidio. È un fastidio, presumo, perché lo scienziato non può spiegare l'anima, e nemmeno partire da solide basi cui applicare il suo metodo e giungere a teoremi e dimostrazioni. Per Pavlov la personalità umana è questione di riflessi, riflessi condizionati, associazioni e abitudini. Io sono anche d'accordo con Pavlov sul fatto che l'anima non sia materia scientifica, ma non sul fatto che l'approccio scientifico sia l'unica lente da cui osservare i fenomeni umani. L'anima emerge dall'arte, dalla letteratura, da quella parte dei rapporti umani che è difficile esprimere col linguaggio e filtrare con la logica. Io non credo che tu neghi l'anima, infatti parli di coscienza e autocoscienza. Sono concetti solo più tecnici, ma che si riferiscono allo stesso problema: dare un senso alla vita, al fatto che sto pensando, a quella faccia che vedo allo specchio, alla voce del mio discorso interiore che non mi abbandona mai. Certo, la logica non può dimostrare l'esistenza o meno dell'anima. La logica inizia a funzionare dal punto in cui si dice l'anima esiste o dal punto in cui si dice che non esiste. La logica funziona in entrambe le prospettive. Però qui non si tratta di dare un senso giusto o sbagliato, prerogativa, questa, della logica. Si tratta di dedurre intuitivamente un senso in quanto valore, non misurabile in termini quantitativi, ma in quanto riconosciuto da quella parte di noi che giudica ad un livello più profondo di coscienza. Oppure, per farla breve, l'anima può esistere o non esistere, ma per me la vita è il mondo hanno più senso se faccio come se esistesse. Il punto è se per quelli secondo cui l'anima non esiste la vita abbia un senso oppure no. Non dubito che l'abbia per te e per quelli che come te non si soffermano alla superficie delle cose. Ma una volta che il mondo, come inconscio collettivo, intuisce che può fare a meno di questa presenza fastidiosa dentro di sé, il senso lo trova? Se non lo trova, vive alla giornata. Se lo trova, come nel tuo caso, si ritrova con un senso non facilmente condivisibile con altri, sicuramente non universalmente condivisibile. Perché l'anima ha un suo significato tradizionalmente condiviso, venendo meno questo si cade nel relativismo. Ma il relativismo cos'altro è se non individualismo? E l'individualismo, se da un lato promuove la creatività e ci permette di giungere a conoscenze che migliorano enormemente le nostre vite; d'altra parte ci porta inevitabilmente a rompere con i valori tradizionalmente condivisi. Quello fra individualismo (o relativismo) e perdita dei valori (tradizionalmente condivisi: etica, giustizia, pace, solidarietà, libertà, ecc..) pare un conflitto perenne che non si vede come possa spegnersi.  E mi fermo qui, con in mente Eraclito e l'armonia dei contrari.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

sgiombo

Citazione di: cvc il 29 Agosto 2016, 15:29:39 PM
Sgiombo: "Se non si crede nell' esistenza di un' anima soprannaturale, immortale non necessariamente si cade nel relativismo (in fatto di etica, come suppongo intenda):
per me non é affatto vero che "se Dio é morto tutto é lecito"

La coscienza e l' autocoscienza sono fatti reali, che si può magari cercare di ignorare, ma non annulare".

.............................


A me risuona ancora nelle orecchie una frase di Pavlov, secondo cui il concetto di anima per lo scienziato è un fastidio. È un fastidio, presumo, perché lo scienziato non può spiegare l'anima, e nemmeno partire da solide basi cui applicare il suo metodo e giungere a teoremi e dimostrazioni. Per Pavlov la personalità umana è questione di riflessi, riflessi condizionati, associazioni e abitudini. Io sono anche d'accordo con Pavlov sul fatto che l'anima non sia materia scientifica, ma non sul fatto che l'approccio scientifico sia l'unica lente da cui osservare i fenomeni umani. L'anima emerge dall'arte, dalla letteratura, da quella parte dei rapporti umani che è difficile esprimere col linguaggio e filtrare con la logica. Io non credo che tu neghi l'anima, infatti parli di coscienza e autocoscienza. Sono concetti solo più tecnici, ma che si riferiscono allo stesso problema: dare un senso alla vita, al fatto che sto pensando, a quella faccia che vedo allo specchio, alla voce del mio discorso interiore che non mi abbandona mai. Certo, la logica non può dimostrare l'esistenza o meno dell'anima. La logica inizia a funzionare dal punto in cui si dice l'anima esiste o dal punto in cui si dice che non esiste. La logica funziona in entrambe le prospettive. Però qui non si tratta di dare un senso giusto o sbagliato, prerogativa, questa, della logica. Si tratta di dedurre intuitivamente un senso in quanto valore, non misurabile in termini quantitativi, ma in quanto riconosciuto da quella parte di noi che giudica ad un livello più profondo di coscienza. Oppure, per farla breve, l'anima può esistere o non esistere, ma per me la vita è il mondo hanno più senso se faccio come se esistesse. Il punto è se per quelli secondo cui l'anima non esiste la vita abbia un senso oppure no. Non dubito che l'abbia per te e per quelli che come te non si soffermano alla superficie delle cose. Ma una volta che il mondo, come inconscio collettivo, intuisce che può fare a meno di questa presenza fastidiosa dentro di sé, il senso lo trova? Se non lo trova, vive alla giornata. Se lo trova, come nel tuo caso, si ritrova con un senso non facilmente condivisibile con altri, sicuramente non universalmente condivisibile. Perché l'anima ha un suo significato tradizionalmente condiviso, venendo meno questo si cade nel relativismo. Ma il relativismo cos'altro è se non individualismo? E l'individualismo, se da un lato promuove la creatività e ci permette di giungere a conoscenze che migliorano enormemente le nostre vite; d'altra parte ci porta inevitabilmente a rompere con i valori tradizionalmente condivisi. Quello fra individualismo (o relativismo) e perdita dei valori (tradizionalmente condivisi: etica, giustizia, pace, solidarietà, libertà, ecc..) pare un conflitto perenne che non si vede come possa spegnersi.  E mi fermo qui, con in mente Eraclito e l'armonia dei contrari.
CitazioneLe parole che citi di Pavlov si possono per lo meno anche intendere (anche se forse così non faceva il loro autore), a mio parere correttamente, nel senso che per lo studio scientifico del comportamento animale in generale e umano in particolare (non certo la personalità umana, che è altra cosa) il concetto "soprannaturale" di anima é ovviamente fuorviante (personalmente direi più dannoso che fastidioso).
Ma ciò che è scientificamente studiabile non esaurisce per me la realtà (e dunque la conoscenza scientifica non esaurisce la conoscenza): esiste anche la res cogitans (non riducibile alla res extensa del cervello, non "emergente" da, né "sopravveniente" ad essa, quale che sia il senso che si possa attribuire a questi concetti); la quale non è quantificabile (non misurabile stabilendovi rapporti esprimibili mediante numeri), non é intersoggettiva, e dunque non é conoscibile scientificamente (ma è conoscibile in generale, e in particolare flosoficamente; ovviamente limitatamente, relativamente; mannaggia alla cacofonia dei ripetuti avverbi!).
 
Dunque mi sembra di concordare con te, per lo meno nella sostanza della questione, e per lo meno nella misura in cui identifichi l' "anima" con la coscienza e l'autocoscienza (entità/eventi non naturali-materiali, non conoscibili scientificamente, ma nemmeno entità/eventi "soprannaturali" interferenti causalmente con enti ed eventi naturali, materiali, almeno secondo me).
 
Però la logica è diversa cosa dalle scienze naturali (cui pure è indispensabile), ed é indispensabile anche per studiare e conoscere  non scientificamente, filosoficamente- la res cogitans (e la realtà in generale).
 
La vita per me, che non credo in un' "anima" soprannaturale interferente con la natura fisica", non ha un "senso" oggettivo ma può averne solo uno soggettivo, arbitrariamente, soggettivamente  cercato ed assunto.
Se non lo si trova, o per lo meno se neanche lo si cerca, allora ci si sofferma alla superficie delle cose, si vive alla giornata.
Ma non credo che senza la credenza in un' anima soprannaturale si cada necessariamente nel relativismo etico e nell' individualismo amorale, almeno nel senso (debole, se vogliamo) che pur non accettando una serie di valori e imperativi "in linea di principio" oggettivamente validi per tutti (ma è difficile pensare che ne possano esistere se non dettati da una divinità; ed impossibile per lo meno di fatto convenire universalmente su una divinità e su determinati suoi comandamenti da tutti condivisibili), si constata "in linea di fatto" l' esistenza nella specie umana (e non solo) di tendenze comportamentali e alla valutazione dei comportamenti (propri ed altrui) che sono universali (universalmente diffusi); e che, pur non essendo dimostrabili razionalmente ma solo irrazionalmente avvertiti (ripeto: di fatto universalmente), sono razionalmente (scientificamente) spiegabili nel loro esistere realmente con la teoria biologica dell' evoluzione delle specie viventi per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (intesa correttamente, non "a la Dawkins").
 
Mi corre peraltro l' obbligo di affermare che credo nella "scienza umana" (non scienza in senso stretto o "scienza naturale") del materialismo storico, per la quale i valori etici universali sono condizionati nel loro maggiore o minore affermarsi nelle varie epoche storiche e nei vari ambienti sociali, e inoltre accompagnati da "applicazioni relativamente particolari-concrete" che sono mutevoli nel tempo e nello spazio dipendentemente dalla dialettica fra rapporti di produzione e sviluppo delle forze produttive (quest' ultimo da intendersi secondo me in un senso in parte diverso da quello -sostanzialmente quantitativo- di Engels e Marx, analogamente al fatto che nelle scienze naturali la simultaneità è da intendersi dopo Einstein in senso in parte diverso da quello di Galileo e Newton; ma qui ci sarebbe un lungo discorso da fare).

Mi sento comunque in obbligo anche di manifestare una importante "sintonia generale" con quanto affermi, col tuo atteggiamento di fronte alla vita, malgrado gli evidenti (ma forse in un qualche senso importante del termine non "sostanziali") elementi di dissenso teorico.

Phil

Secondo me, il relativismo (pensato come pluralismo) non è un rischio o una malattia destabilizzante, ma la constatazione dell'autoreferenza (storica e logica) di ogni cultura o prospettiva (il che non implica che tutti debbano essere entusiasti di questa consapevolezza); e, per restare in tema, è la condizione di possibilità dell'apertura ermeneutica a cui la filosofia può instradare.

Qualcuno altrove ha citato l'immagine antropomorfizzata della giustizia, la dama con la spada e la bilancia, e credo che, metaforicamente, la signora (o signorina?) ci porga anche un aut-aut, una scelta paradigmatica fra la bilancia (che ci insegna che non esistono un "pesante" e un "leggero" che non siano relativi ad un altro "pesante"/"leggero" usato come criterio) e la spada (che simboleggia l'assolutezza di una unica separazione definitiva fra vero e falso, e fra tutte le altre coppie dicotomiche... assolutezza che può talvolta spingere a combattere ed uccidere chi non è d'accordo, in nome dell'unica verità posseduta...).

Il relativismo porta all'individualismo e alla perdita di valori? Non necessariamente, direi, perché è il contesto pragmatico delle società ad avere esigenze comunitarie: sapere che ogni legislazione, ogni lingua, ogni cultura è relativa (autoreferente, ma non più "giusta" o "vera" delle altre), non impedisce, di fatto, il funzionamento sovra-individuale di quella legislazione, quella lingua e quella cultura... 
Credo che, in generale, sia una questione di consapevolezza: riconoscere che è ritenuto corretto un comportamento, non perché lo vuole un dio (perfetto e assoluto), ma solo perché è il codice civile (convenzionale e arbitrario) ad imporlo, non inficia una autentica e profonda condivisione delle idee di base che motivano quel comportamento... pur nella consapevolezza che altri non sono d'accordo (e che non c'è sempre necessariamente una "ragione" ed un "torto" assoluti, ma sono, appunto, relativi al rispettivo contesto di giudizio...).

P.s. Qualcuno potrebbe obiettare che il relativismo è contraddittorio perché non relativizza la sua stessa prospettiva, ma (senza scomodare la "teoria dei tipi" di Russell che disinnesca tale antinomia), si tratta in fondo di una contraddizione solo apparente: il vero relativista infatti non si (im)pone come "postino della verità", ma propone il relativismo come uno dei molti paradigmi di lettura, sempre relativo ad un orizzonte plurale con altre molteplici possibilità (e se anche tale relativista propende per l'omonimo orientamento, coerentemente, non può esprimere valutazioni assolute sulle altre prospettive...).

Gasacchino

Grazie della risposta Jacopus, ma vorrei fare alcune osservazioni/domande:
Citazione di: Jacopus il 27 Agosto 2016, 15:56:09 PMBella domanda. A cui possono seguire tanti diverse risposte. La prima che mi è venuta in mente è questa: "la filosofia è uno dei più potenti antidoti alla violenza". Anche le teorie che giustificano la violenza hanno infatti un nucleo "discorsivo". La spada, con il suo freddo metallo che taglia il collo è una cosa, l'incitazione a tagliare il collo con la spada tramite filosofia è un atto diverso. La filosofia è inoltre depositata nei libri, nei frammenti greci, in atti scritti che possono essere confrontati e che possono dialogare fra loro, come saggi sempre disponibili, che possono metterci in guardia, che possono farci vedere il passato per non ripetere gli stessi errori e che soprattutto cercano di andare al fondamento delle cose e delle azioni, per capire chi è l'uomo e qual'è il suo compito nel mondo.
Non nego che questo uso della ragione possa essere attribuito alla filosofia, piuttosto tendo a discutere le basi dalle quali esso si sviluppa. Vorrei però sottolineare come il discorso razionale non sia una prerogativa unica della filosofia, come la creazione di un sapere al quale fare riferimento, che anzi potrei ritenere discutibile vista a frammentarietà di questo in ambito filosofico.

Non dico nulla sul secondo punto perché ci sta anche per me.

Citazione di: Jacopus il 27 Agosto 2016, 15:56:09 PMC'è anche una terza motivazione. Per capire il mondo occorre esercitarsi e la filosofia è la palestra più attrezzata che vi sia. Occorre però avere spirito critico, senso di abnegazione e anche forse una certa dose di intuitività, di capacità di leggere le connessioni fra gli eventi. Ovviamente prima di "fare filosofia" occorre conoscerla, e quindi penso che il tuo sia un invito a studiare la filosofia, poiché "fare" filosofia è riservato solo a pochi di noi, persone davvero speciali e che hanno una specie di missione da assolvere.
Alla terza motivazione rispondo riprendendo la frammentarietà del sapere filosofico, davvero è un Sapere? Mai un filosofo ha detto qualcosa di simile ad un altro. La missione del filosofo alla quale alludi, che solo pochi possono compiere quale sarebbe per te? Studiando storia filosofia ho incontrato solo tante teorie che non hanno mai portato a nulla di unitario.

Gasacchino

Allora Phil
Citazione di: Phil il 27 Agosto 2016, 16:06:00 PMAnche stavolta temo non si possa prescindere dal chiarire il termine centrale: cosa si intende con "filosofia"?
Proporrei due osservazioni:
- "fare filosofia" non credo comporti sempre "dedicare la propria vita alla filosofia"(semi-cit.): la prima è una laboriosa attività mentale (semplificando), la seconda sembra quasi alludere ad un mestiere (che quindi richiede qualifiche, orari, "dipendenze" ed una certa "produttività"...).
- Gasacchino, perché hai l'impressione che la filosofia "poggi sul nulla"(cit.)? Per me è il contrario: la filosofia è "parassitaria", non può prescindere dallo "sfruttare" ciò che è altro da lei (basta pensare alle cosiddette filosofie "al genitivo": filosofia della scienza, della religione, dell'arte, della politica, della matematica, della storia, etc.). La filosofia si può applicare a tutto ciò che è linguaggio (verbale, artistico, scientifico o altro...), e se ciò non è possibile, allora Lei traduce in linguaggio ciò che non lo è (l'esperienza sensibile, un intuizione metafisica, un meccanismo inconscio, etc.) per poterci "lavorare".  
Ammetto che potrei essere stato impreciso, quindi mi correggo subito. Con filosofia intendo fondamentalmente quella non applicata, perché (così rispondo anche al secondo punto) parlare di filosofia politica, vuol dire parlare di politica. In questo caso il termine filosofia è abbastanza superfluo, al massimo specifica che tipo di approccio si ha, ma si rimane pur sempre inerenti al campo al quale la filosofia si appoggia. Detto ciò non trovo convincente come risposta al "poggiarsi su nulla" della filosofia, quando mi sembra si tratti di tutt'altro. 
Ritornando a cosa intendo per filosofia, direi che un esempio possa essere la metafisica. Questa filosofia che davvero sembra essere fine a sé stessa e fondate sulle fantasie del filosofo di turno.

Citazione di: Phil il 27 Agosto 2016, 16:06:00 PMConiugando i due punti precedenti possiamo, secondo me, iniziare a tratteggiare una risposta alla domanda su cosa sia la filosofia: è un'attività mentale (che quindi produce direttamente poco di materiale, al massimo qualche libro o filmato di conferenza... anche se indirettamente le sue conseguenze cambiano la storia...), che è comprensiva e comprendente di ciò che la circonda, ovvero è "curiosità problematizzante".  
Sì la filosofia dovrebbe essere questo, l'ho sempre amata pensando al teorico "amore per il sapere" che ad essa dovrebbe essere insito, ma con non poco sconforto mi sono reso conto che purtroppo non comprende poi tanto bene la realtà, altrimenti (come già ho proposto nella risposta a Jacopus) si avrebbe un sapere unitario e non un agglomerato di teorie e filosofie opposte le une alle altre. Diciamo che vedo abbastanza tradito questo obiettivo professato dalla filosofia.

Phil

Citazione di: Gasacchino il 30 Agosto 2016, 22:22:10 PMCon filosofia intendo fondamentalmente quella non applicata [...] parlare di filosofia politica, vuol dire parlare di politica. In questo caso il termine filosofia è abbastanza superfluo, al massimo specifica che tipo di approccio si ha, ma si rimane pur sempre inerenti al campo al quale la filosofia si appoggia.
Se "mutiliamo" la filosofia, o ogni altra disciplina, privandola della sua applicazione, è normale che la disciplina "storpia" che rimane ci sembri fine a se stessa... la filosofia vive proprio di quell'approccio che citi nell'esempio della politica: parlare di politica, parlare filosoficamente di politica, o parlare di filosofia politica, è piuttosto differente (esempio banale: la televisione si occupa di politica o di filosofia della politica?).

Citazione di: Gasacchino il 30 Agosto 2016, 22:22:10 PMRitornando a cosa intendo per filosofia, direi che un esempio possa essere la metafisica [...] la filosofia [...] l'ho sempre amata pensando al teorico "amore per il sapere" che ad essa dovrebbe essere insito [...] Diciamo che vedo abbastanza tradito questo obiettivo professato dalla filosofia 
Chiaramente se per filosofia intendiamo la metafisica ("scaduta" il secolo scorso), restiamo delusi dalla divergenza fra la sua ambizione e l'attuale plausibilità delle risposte proposte... proprio per questo bisognerebbe considerare la filosofia applicata, che è quella ancora "attiva".

Citazione di: Gasacchino il 30 Agosto 2016, 22:22:10 PMcon non poco sconforto mi sono reso conto che purtroppo non comprende poi tanto bene la realtà, altrimenti [...] si avrebbe un sapere unitario e non un agglomerato di teorie e filosofie opposte le une alle altre
Credo che il cuore della filosofia sia proprio fornire differenti approcci interpretativi ("non fatti, ma interpretazioni" diceva qualcuno), non un'unica risposta incontrovertibile e definitiva, come tendono a fare le cosiddette "scienze della natura". Come mai le filosofie sono molte e talvolta antagoniste? Perché "l'uomo è misura di tutte le cose" (come diceva qualcun'altro), ma di uomini ce ne sono tanti, quindi ci sono tante "misure" e tante prospettive (vedi il post n.9 sul pluralismo  ;) ).
L'ideale di un sapere unitario e senza obiezioni è quindi perseguibile solo in ambiti che non coinvolgono l'agire umano (come invece fanno l'etica, l'estetica, la politica, la religione, etc.), e questo ce lo insegna... esatto, proprio la filosofia!

P.s. E visto che sono in vena di citazioni e parafrasi: "per sancire l'inutilità della filosofia, occorre fare filosofia..."

maral

Citazione di: Gasacchino il 27 Agosto 2016, 15:10:57 PM
In questo topic pongo una questione molto semplice:
    ha senso fare filosofia? Ha un'utilità? Se sì cosa?

Una persona che dedica la sua vita alla filosofia, fa un dono all'umanità o solo o sé stessa? In fin dei conti ho come l'impressione che la filosofia poggi sul nulla e sia fine a sé stessa.
Mi rendo conto che per quanto porsi la domanda sia semplice, la risposta o le risposte, non sia altrettanto facili da dare. Per quanto mi riguarda la pongo qua che credo che potrò avere sicuramente risposte quantomeno interessanti.

Ringrazio coloro che si cimenteranno nel rispondere a questo mio quesito.
Il senso principale della filosofia è riflettere sul significato delle domande che non hanno risposta, nella misura in cui, nonostante non abbiano risposta, non si riesce a fare a meno di porsele.
Per questo, a chi cerca risposte, la filosofia appare come un girare a vuoto. Chi vuole delle risposte è meglio si dedichi ad altre discipline o si affidi alla fede.

sgiombo

Citazione di: maral il 31 Agosto 2016, 21:43:19 PM

Il senso principale della filosofia è riflettere sul significato delle domande che non hanno risposta, nella misura in cui, nonostante non abbiano risposta, non si riesce a fare a meno di porsele.
Per questo, a chi cerca risposte, la filosofia appare come un girare a vuoto. Chi vuole delle risposte è meglio si dedichi ad altre discipline o si affidi alla fede.

CitazioneBella definizione (anche se per me alquanto, paradossale, felicemente provocatoria)!

E' tua o di chi?

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