Perché c’è qualcosa anziché il nulla?

Aperto da Vito J. Ceravolo, 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM

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sgiombo

#240
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 15:57:27 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 18:00:19 PM
Non c' era bisogno di questo schema per ribadire che non distingui (= letteralmente confondi) esperienze reali e costrutti immaginari, oggetti di esperienze reali (cavalli) e oggetti di fantasia (ippogrifi), che infatti collochi entrambi in quella "notte hegeliana" che chiami "oggetto" (tanto di fantasia quanto di autentica esperienza, indifferentemente: tutti neri, come le vacche di notte sembrano; ma non sono).
Li distinguo perfettamente invece, ma so di non essere io a distinguerli, bensì il contesto in cui vivo che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no. Sono i contesti che dà a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé".
Citazione"Mettendomi nei tuoi panni" mi domando:
Che senso ha discutere con me (e con chiunque altro) se é il contesto in cui ciascuno vive (e non la realtà oggettiva alla quale i pensieri e le credenze, per essere veri, devono adeguarsi) che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no? Se sono i contesti che danno a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé" per come oggettivamente sono in realtà?

Diversi contesti, diverse credenze, tutte parimenti vere, ciascuna nel suo proprio contesto (e in barba a ciò che realmente accade): che senso ha confrontarle?
Ha senso invece per chi, come me, crede che non "tutte le credenze fanno brodo" (ciascuna in un qualche contesto), ma ci sono criteri, per quanto arbitrariamente stabilibili ma comunque condivisibili, per sapere che cosa é vero e che cosa é falso; e innanzitutto non il fatto che una tesi si inquadri più o meno bene in un conteso culturale qualsiasi, ma invece che dica che qualcosa di reale é reale (o che qualcosa di non reale non é reale).

Se il colore alle vacche glielo do io ad libitum, fregandomene di come realmente sono, tanto vale chiudermi nel solipsismo: tanto chiunque altro attribuirà loro il colore che più gli aggrada con lo steso diritto di chiunque altro, me compreso: dunque che ognuno si faccia i cavolacci suoi (si dipinga arbitrariamente le sue vacche immaginarie coi colori che preferisce) "in santa pace"!

sgiombo

#241
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 17:01:10 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 17:57:59 PM
Se questo significa che semafori reali, cavalli reali, montagne reali, passerelle reali  hanno, del tutto indipendentemente da qualsiasi -eventuale- espressione della cultura umana (prassi più o meno ancestrali, più o meno condivise, ecc.), una "qualità ontologica" (reale) completamente diversa da quella di ippogrifi, cavalli immaginari, montagne immaginarie e passerelle immaginarie (fantastica), allora sono d' accodo; altrimenti no.
La qualità ontologica diversa è il riflesso della diversità di contesto in cui ciò che accade si traduce in un significato più o meno condiviso.
CitazioneQuel tale che cercò di percorrere una passerella immaginaria e si ritrovò sfracellato al suolo aveva nel suo contesto allucinatorio o immaginario una passerella col significato, più o meno condiviso, di essere reale.
...Peccato che, alla faccia del contesto e del significato che in esso vi si attribuiva in maniera più o meno condivisa, la passerella non fosse reale e il malcapitato si sfracellasse al suolo!


maral

Citazione di: Phil il 01 Marzo 2017, 16:09:02 PM
@maral
Quando la filosofia usa immagini esplicative, la trovo sempre molto intrigante... per questo, pur non avendo avuto modo di seguire la discussione sovrastante, chiedo delucidazioni sullo schema:

- se ho ben capito, la zona sfumata è quella in cui si arresta lo scettico (che mette in dubbio l'esistenza della zona arancione e della linea gialla); lo schema stesso presuppone tuttavia che la zona arancione sia attingibile, e per questo raffigurabile nello schema, contraddicendo l'ipotesi secondo cui il soggetto ragiona e conosce solo all'interno della zona blu... il filo giallo è dunque un'ipotesi teoretica o lo prendiamo come assioma anapodittico (innescando tutti i problemi tipici del noumeno e suoi simili)?
Detto altrimenti, se la linea gialla "corrisponde al continuo accadere di nulla"(cit.) poiché è la "linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale"(cit.) come possiamo parlarne e ragionarci?
Lo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla. La linea gialla in realtà non appare (per questo è punteggiata), è solo un modo di rappresentare che qualcosa continuamente accade: quel nulla che continuamente accade assumendo la forma informe di qualcosa e si traduce in un'immagine originaria in cui quel qualcosa comincia a prendere forma come qualcosa che è accaduto e pone la domanda che chiede di conoscere: "cosa è accaduto?". La linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade e che chiede di essere conosciuto attraverso la domanda che genera accadendo. E' la vita che continuamente ci anima (poiché sa vivere) e di cui non siamo coscienti, è il nostro essere qui vivendo, respirando senza sapere di respirare, sapendo vivere per il fatto stesso che si vive, mentre il nostro cuore pulsa senza sapere di pulsare.

Citazione- in che senso "l'esistenza sa in quanto esiste, ma non sa di sapere" (cit.)? Il sapere è proprio dell'uomo, ma non dell'esistenza, che è una condizione e in quanto tale, non pensa (così come l'accadere non filosofeggia, etc.)
Nel senso appunto che sa esistere anche se non sa di esistere. L'uomo, in quanto essere cosciente che parla, è l'unico ente che oltre a sapere esistere (come sa esistere una pianta, un insetto, un lombrico, ma anche una roccia o una montagna) incontra il sapere di esistere, incontra cioè la zona blu e l'incontro è assai problematico, è la matrice di ogni problema.

Citazione- c'è una freccia che va da "immagine" a "soggetto"; è possibile per un'immagine avere senso per un soggetto senza che essa sia prima "oggetto"? Come può l'immagine "polarizzarsi" nel soggetto (vs oggetto) se il soggetto preesiste all'immagine (l'uomo che vede l'ippogrifo precede crono-logicamente l'immagine dell'ippogrifo) e se il soggetto può cogliere intelligibilmente solo oggetti (e non immagini)?
L'immagine originaria (originaria in quanto è all'alba di ciò che si comincia a conoscere e non è da intendersi come immagine solo visiva) indica il crearsi di una separazione, di una distanza tra il sapere e il vivere, soggetto e oggetto non sono che gli estremi di questa distanza che, pur separati, si mantengono tra loro in relazione per cui non vi può essere l'uno senza l'altro, né l'uno prima dell'altro. Il soggetto (io come essere umano che dico queste cose) non precedo ciò che vedo, ma nasco insieme a ciò che vedo e sento nell'immagine. Solo una volta che il soggetto è confermato dal contesto e acquista persistenza in relazione agli oggetti del mondo che conosce può volgersi alle sue immagini credendo di esserne l'autore, mentre ne è stato il prodotto. Quella consistenza reale del mondo e di un io nel mondo a cui fa riferimento Sgiombo è quindi solo il risultato del processo cognitivo che si sviluppa tutto nella zona blu, ma che continuamente partecipa della zona arancione dell'esistenza che non conosce, ma solo vive, esiste.

Ci sono due frecce in basso e in alto nel disegno che vanno dalla zona arancione alla zona blu e viceversa, esse rappresentano il fatto che in realtà le due zone partecipano dello stesso cammino, sono reciprocamente una nell'altra e l'una tende continuamente a essere compresa nell'altra (essere parte dell'altra), poiché mentre il saper vivere (l'esistenza) chiede, attraverso le immagini che produce di sapere di vivere vivendo, il sapere di vivere chiede di sapervivere (così, tutto attaccato), ossia, semplicemente, chiede continuamente di vivere.

Phil

@maral
Grazie per i chiarimenti.

Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla.
(corsivo mio) Quindi tutto inizia della zona blu, dal soggetto che si chiede cosa c'è oltre il suo blu e quindi si traccia una zona arancione.

Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla in realtà non appare (per questo è punteggiata), è solo un modo di rappresentare che qualcosa continuamente accade: quel nulla che continuamente accade assumendo la forma informe di qualcosa e si traduce in un'immagine 
Credo che se accade non è nulla, e se è un nulla per la nostra conoscenza non possiamo predicare niente che lo riguardi positivamente (come accadere, originare, etc.). Ammenoché non si tratti di una congettura teoretica... Affermare che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade 
è contraddittorio, poiché se è nulla per la coscienza, non può essere rappresentato da essa, nemmeno con un tentativo (poiché non si ha nulla per impostarlo...).

Quando dici che 
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMquel nulla che continuamente accade assumendo la forma informe di qualcosa e si traduce in un'immagine originaria in cui quel qualcosa comincia a prendere forma come qualcosa che è accaduto e pone la domanda che chiede di conoscere: "cosa è accaduto?"
non personifichi forse il nulla (poiché il chiedere è attività umana) rischiando di non realizzare che la domanda non è posta dal nulla (che in quanto tale non chiede) ma dall'uomo? La trappola del linguaggio "heidegerianeggiante" (non heidegeriano) è che poetizza animando e proiettando capacità umane anche su ciò che non è umano, e sono proprio queste licenze poetiche che rischiano di fuorviare con belle metafore come
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMil nostro cuore pulsa senza sapere di pulsare. 
giocando poeticamente (ma non filosoficamente) sulla duplicità del "sapere", come "conoscere" ed "essere in grado": ma una pianta o un sasso non sanno esistere in nessuno dei due sensi, semplicemente esistono (forse  ;D ). 
Non a caso, non è plausibile il contrario, ovvero che non sappiano esistere (quindi se non è sensato che un ente non sappia esistere, è insensato o ridondante sostenere che sappia esistere).

Parimenti mi pare che il chiedere circolare (che coinvolge una zona solamente ipotizzata) 
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMCi sono due frecce in basso e in alto nel disegno che vanno dalla zona arancione alla zona blu e viceversa, esse rappresentano il fatto che in realtà le due zone partecipano dello stesso cammino, sono reciprocamente una nell'altra e l'una tende continuamente a essere compresa nell'altra (essere parte dell'altra), poiché mentre il saper vivere (l'esistenza) chiede, attraverso le immagini che produce di sapere di vivere vivendo, il sapere di vivere chiede di sapervivere (così, tutto attaccato), ossia, semplicemente, chiede continuamente di vivere.
è ambiguamente incentrato sulla personificazione dell'esistenza del saper vivere. Tale personificazione pervasiva potrebbe essere sintomo dell'antropocentrismo del soggetto che, anche quando prova a porsi come semplice pezzo del puzzle, finisce inevitabilmente per deformare la  ricerca a sua immagine e somiglianza, confermando così sia che l'ipotetica zona arancione è inverificabile e inintelligibile (quindi potrebbe non esserci affatto), sia che il chiedere "cosa è accaduto?" è sempre un chiedersi (riflessivo, chiedere a se stessi), quindi il rischio di domande infondate o irrisolvibili fa parte del gioco umano del domandare.

maral

Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2017, 18:13:30 PM
"Mettendomi nei tuoi panni" mi domando:
Che senso ha discutere con me (e con chiunque altro) se é il contesto in cui ciascuno vive (e non la realtà oggettiva alla quale i pensieri e le credenze, per essere veri, devono adeguarsi) che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no? Se sono i contesti che danno a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé" per come oggettivamente sono in realtà?
Ma il contesto è costituito proprio da ciò che ognuno fa con gli altri. Ciò che mi appare reale è in ragione di un essere sempre insieme agli altri che mi corrispondono e mi si oppongono (come qui tu Sgiombo, che sei, insieme a ogni altro qui, con il tuo modo di vedere le cose parte fattivo di quel contesto che determina il significato delle cose anche per me), non è quello che penso io o che pensi tu che stabilisce il colore delle vacche, è ciò che ci collega insieme mentre ne parliamo. E' esattamente il contrario di una visione solipsistica centrata sull'ego da solo pensante e svincolato dai pensieri e dalle immaginazioni altrui. Il fatto poi che ogni contesto produce una verità condivisa mai definitiva, ma sempre in cammino poiché la realtà sempre ci sopravanza, è la chiara negazione che possa esservi un contesto assoluto, contesto di tutti i contesti, o meglio è l'affermazione che esso, se pure c'è, rimane del tutto inaccessibile, proprio come il nulla assoluto che introduce questa discussione.
CitazioneQuel tale che cercò di percorrere una passerella immaginaria e si ritrovò sfracellato al suolo aveva nel suo contesto allucinatorio o immaginario una passerella col significato, più o meno condiviso, di essere reale.
...Peccato che, alla faccia del contesto e del significato che in esso vi si attribuiva in maniera più o meno condivisa, la passerella non fosse reale e il malcapitato si sfracellasse al suolo!
E' vero Sgiombo, ma quel tale è ciascuno di noi, perché ogni passerella interpretata fuori dal contesto che la rende reale si dimostra poi sempre, nelle sue conseguenze, un'allucinazione. E questo non è pura una metafora, anche se a leggerlo come metafora è più facile da condividere.

maral

#245
Citazione di: Phil il 01 Marzo 2017, 22:21:33 PM
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla.
(corsivo mio) Quindi tutto inizia della zona blu, dal soggetto che si chiede cosa c'è oltre il suo blu e quindi si traccia una zona arancione.
Direi piuttosto che tutto inizia da un soggetto che comincia a sentire che tutto non inizia da lui e in tal modo "disconosce", ossia prende a decostruire ciò che conosce. Questo momento inaugura un sapere di non sapere che nasce certamente dal soggetto e lo riguarda, ma lo travalica (perché se non lo travalicasse di fatto si resterebbe sempre nel sapere di sapere e nelle illusioni ad esso implicite di un sapere progressivo).

CitazioneCredo che se accade non è nulla, e se è un nulla per la nostra conoscenza non possiamo predicare niente che lo riguardi positivamente (come accadere, originare, etc.). Ammenoché non si tratti di una congettura teoretica... Affermare che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade
è contraddittorio, poiché se è nulla per la coscienza, non può essere rappresentato da essa, nemmeno con un tentativo (poiché non si ha nulla per impostarlo...).
E' nulla per la nostra coscienza e tuttavia accade continuamente, come accade il sonno profondo, come accade il nostro respirare e il rispondere appropriato e inconsapevole del nostro corpo che sa rispondere e lo dimostra vivendo. E' la dimensione inconscia che racchiude ogni conoscenza pur apparendovi inclusa quando ce la rappresentiamo. E' la storia di miliardi di individui di cui non sapremo mai nulla, ma che hanno vissuto e vivendo determinato ciò che ora siamo. E' la meta del paradossale "diventare ciò che si è" di Nietzsche, è "il luogo ove non si è mai stati, ma a cui bisogna ritornare". E' forse, ancora più propriamente, quel Tao della sapienza orientale, che sfugge a ogni rappresentazione e di cui nulla si può dire se non in negativo  pur essendo sempre in positivo (2 e 1 nello stesso tempo). E' la matrice a cui non vi è accesso proprio perché ci siamo da sempre e sempre dentro, ne siamo sempre parte. Qualsiasi cosa io qui dica o tracci in figura può però solo evocarlo, non rappresentarlo e men che meno definirlo e solo ciò che si definisce può essere analizzato alla luce del principio di non contraddizione, non ciò che si evoca.

CitazioneQuando dici che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PM...
non personifichi forse il nulla (poiché il chiedere è attività umana) rischiando di non realizzare che la domanda non è posta dal nulla (che in quanto tale non chiede) ma dall'uomo?
Non sto personificando il nulla, piuttosto tento di annullare l'antropomorfismo che immagina l'uomo come autore originario di ogni domanda. L'uomo ha un linguaggio, ma la domanda precede quel linguaggio, il linguaggio riformula e ritraduce continuamente la domanda secondo una semantica e una sintassi tentando di rispondere a partire da un'immagine che introduce la domanda stessa, un'immagine che non è l'uomo a immaginare, ma che immagina l'uomo ed è proprio con la domanda che un essere umano comincia ad apparire. (sappiamo quanto questa immagine originaria e sfuggente abbia assunto nella storia umana una prima conformazione divina attraverso il mito, ma essa non abita nell'azzurro dei cieli - qui è un altro Dio che vi abita, un Dio che tutto conosce e tutto può- abita invece presso la vita sapiente di sassi, degli animali e delle piante che sanno senza  conoscere)


Citazionegiocando poeticamente (ma non filosoficamente) sulla duplicità del "sapere", come "conoscere" ed "essere in grado": ma una pianta o un sasso non sanno esistere in nessuno dei due sensi, semplicemente esistono (forse  ;D ).
Non a caso, non è plausibile il contrario, ovvero che non sappiano esistere (quindi se non è sensato che un ente non sappia esistere, è insensato o ridondante sostenere che sappia esistere).
Ma siamo sicuri che giocare poeticamente non sia un modo più serio e profondo di giocare filosoficamente? Lo so, è questione di gusti, ma merita di rifletterci, non fosse altro perché proprio il gioco poetico (o artistico in genere) è quello che più ci porta nei pressi dell'immagine originaria che è la porta di una zona altrimenti inaccessibile, la soglia che si apre sul nulla che sa e questo lo sa fare l'arte (poetica e non solo) molto meglio della riflessione logica razionale.
Le piante e i sassi sanno esistere perfettamente, sanno come si fa ad esistere e lo dimostrano esistendo (dunque sapere esistere ed esistere non sono la stessa cosa, ma esistere è il mostrarsi del sapere esistere). L'essere umano, oltre a esistere e a sapere esistere, sa di esistere. Anche se in genere accade limitatamente e saltuariamente, poiché il sapere di esistere, pur facendo parte dell'esistenza, agisce contrapponendovisi per poter poi ritenere di saper dominare efficacemente l'esistenza. Per  esempio: noi sappiamo scendere le scale per lo più senza avere coscienza di come si muovono i piedi (sono i piedi che sanno scendere le scale e lo dimostrano scendendole), ma se vogliamo sapere di come i piedi scendono le scale, scendere le scale diventa molto più problematico, i piedi rischiano di inciampare, dobbiamo fermarci al pianerottolo per tentare di conoscere il movimento dei piedi. Per forza, il sapere di fare, spezza innanzitutto l'unità del saper fare per conoscere il collegamento tra il sapere e il fare.


CitazioneParimenti mi pare che il chiedere circolare (che coinvolge una zona solamente ipotizzata) ...
è ambiguamente incentrato sulla personificazione dell'esistenza del saper vivere. Tale personificazione pervasiva potrebbe essere sintomo dell'antropocentrismo del soggetto che, anche quando prova a porsi come semplice pezzo del puzzle, finisce inevitabilmente per deformare la  ricerca a sua immagine e somiglianza, confermando così sia che l'ipotetica zona arancione è inverificabile e inintelligibile (quindi potrebbe non esserci affatto), sia che il chiedere "cosa è accaduto?" è sempre un chiedersi (riflessivo, chiedere a se stessi), quindi il rischio di domande infondate o irrisolvibili fa parte del gioco umano del domandare.
Sì può essere, ma puoi provare a vederla all'opposto come un tentativo di decostruire l'antropocentrismo, condotto da un soggetto che si depersonifica a partire dalla sua persona e lo prova a fare non nei termini dei trucchi di un oggettivismo logico o scientifico che immaginano la possibilità di sguardi sovranamente oggettivi, ma in un avvicinarsi evocando quella immagine originaria che sta sulla soglia, come l'immagine viva di un sogno (che ci è giunto come non sognato da noi) che poi, appena desti subito svanisce lasciando solo qualche resto sempre più irriconoscibile che ci accompagna per un po'.

sgiombo

Citazione di: maral il 02 Marzo 2017, 09:20:42 AM
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2017, 18:13:30 PM
"Mettendomi nei tuoi panni" mi domando:
Che senso ha discutere con me (e con chiunque altro) se é il contesto in cui ciascuno vive (e non la realtà oggettiva alla quale i pensieri e le credenze, per essere veri, devono adeguarsi) che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no? Se sono i contesti che danno a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé" per come oggettivamente sono in realtà?

Ma il contesto è costituito proprio da ciò che ognuno fa con gli altri. Ciò che mi appare reale è in ragione di un essere sempre insieme agli altri che mi corrispondono e mi si oppongono (come qui tu Sgiombo, che sei, insieme a ogni altro qui, con il tuo modo di vedere le cose parte fattivo di quel contesto che determina il significato delle cose anche per me), non è quello che penso io o che pensi tu che stabilisce il colore delle vacche, è ciò che ci collega insieme mentre ne parliamo. E' esattamente il contrario di una visione solipsistica centrata sull'ego da solo pensante e svincolato dai pensieri e dalle immaginazioni altrui. Il fatto poi che ogni contesto produce una verità condivisa mai definitiva, ma sempre in cammino poiché la realtà sempre ci sopravanza, è la chiara negazione che possa esservi un contesto assoluto, contesto di tutti i contesti, o meglio è l'affermazione che esso, se pure c'è, rimane del tutto inaccessibile, proprio come il nulla assoluto che introduce questa discussione.

CitazioneE' ben qui la contraddizione: se non esiste una realtà oggettiva con la quale "testare" le opinioni che si confrontano, non ha alcun senso confrontarle, poiché l' una vale l' altra del tutto indifferentemente (se una serratura si apre con qualsiasi chiave non ha alcun senso un confronto fra chiavi diverse; l' avrebbe invece solo se occorresse trovare quella o quelle che la aprono distinguendola da quelle che non servono all' uopo, anche se si può benissimo pensare -falsamente- che la aprano anch' esse).

Inoltre se ciò che stabilisce il colore della vacche fosse ciò che ci collega insieme mentre ne parliamo, allora poiché per me sono "bianche" (fuor di metafora: immaginario =/= reale) e per te sono "nere (immaginario = reale) allora le vacche sarebbero contraddittoriamente sia bianche che nere (non credo che nella metafora avrebbero un qualche senso vacche a pois o a scacchi, che comunque non sarebbero né le vacche che "vedi tu", nere in "tinta unita", né quelle che "vedo" io, bianche "in tinta unita").

CitazioneQuel tale che cercò di percorrere una passerella immaginaria e si ritrovò sfracellato al suolo aveva nel suo contesto allucinatorio o immaginario una passerella col significato, più o meno condiviso, di essere reale.
...Peccato che, alla faccia del contesto e del significato che in esso vi si attribuiva in maniera più o meno condivisa, la passerella non fosse reale e il malcapitato si sfracellasse al suolo!

E' vero Sgiombo, ma quel tale è ciascuno di noi, perché ogni passerella interpretata fuori dal contesto che la rende reale si dimostra poi sempre, nelle sue conseguenze, un'allucinazione. E questo non è pura una metafora, anche se a leggerlo come metafora è più facile da condividere.

CitazioneIndipendentemente dal contesto una passerella immaginaria é tale che se cerchi di percorrerla ti sfracelli al suolo (perché non é altro che il contenuto dei tuoi pensieri, é solo qualcosa che tu pensi), mentre una passerella reale é tale che ti consente di arrivare dall' altra parte dell' abisso (perché esiste nella realtà, oltre ad essere eventualmente anche da te pensata).

Infatti l' unica interpretazione che riesco sensatamente a cogliere nel concetto di "interpretazione di qualcosa fuori dal contesto che la rende reale, rendendola invece un' allucinazione" é che se interpreto l' ippogrifo Pegaso, anziché veracemente come un oggetto di fantasia nell' ambito della letteratura (per esempio nell' Orlando Furioso), falsamente come un animale reale, alla stregua del cavallo che ha vinto l' ultimo Derby, allora prendo lucciole per lanterne.
E se non colgo la differenza, allora brancolo nel buio della notte hegeliana in cui tutte le vacche -nonché tutti gli equini, alati o meno, reali o fantastici- sembrano nere.

maral

#247
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:51:27 PM
E' ben qui la contraddizione: se non esiste una realtà oggettiva con la quale "testare" le opinioni che si confrontano, non ha alcun senso confrontarle, poiché l' una vale l' altra del tutto indifferentemente (se una serratura si apre con qualsiasi chiave non ha alcun senso un confronto fra chiavi diverse; l' avrebbe invece solo se occorresse trovare quella o quelle che la aprono distinguendola da quelle che non servono all' uopo, anche se si può benissimo pensare -falsamente- che la aprano anch' esse).
Sgiombo, non c'è una realtà oggettiva assoluta con cui ci si possa confrontare, ma c'è una realtà oggettivamente condivisibile (fatta di prassi e dei modi di intendere il mondo che ne consegue) con la quale siamo tenuti per vivere a misurare le nostre chiavi diverse, individualmente soggettive. Dunque il confronto vale sempre e dal confronto risulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni. Il valore di verità è del tutto conservato in ciò che dico (e lo ripeto per l'ennesima volta) in quanto vale in modo dirimente in relazione al contesto in cui si usa quella chiave, è il contesto che fa funzionare una chiave anziché un'altra e rende percorribili alcune passerelle e non altre.
Noi esistiamo in questo mondo ove le immagini assumono valore di realtà in rapporto proprio al mondo in cui esistiamo e se non ci comportiamo di conseguenza sempre in questo mondo ci sfracelliamo. Ma non possiamo pretendere che la realtà che oggettivamente appare in questo mondo valga in assoluto per tutti i mondi del passato, presente e futuro diversi dal nostro. Ogni mondo condivide e ammette la sua verità e quindi la sua regola per conoscere, percorrerlo e viverci.
Tutto qui, ma se ci si rende conto di questo si compie un salto fondamentale in termini etici, proprio in quanto la si smette di ritenere che il nostro modo di vivere e di conoscere debba valere per tutti, perché è capace di rivelare (il nostro) come stanno e sono sempre state le cose in sé per tutti in ogni contesto culturale.
La verità è un'abitudine a fare significato condiviso insieme, un'abitudine condivisa che ci fa essere quello che siamo permettendoci di vivere conoscendo e regolandoci di conseguenza, ciascuno qui e ora e non in assoluto, non in sé, quindi ogni mondo presenta la sua verità in cui comunque occorre collocarsi per non precipitare.
Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura che richiede la sua chiave, perché nessuna chiave è giusta in sé, ma ogni chiave diversamente e relativamente a ogni serratura.

maral

Citazione di: maral il 02 Marzo 2017, 10:45:39 AM
Citazione di: Phil il 01 Marzo 2017, 22:21:33 PM
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLo schema, come tutto ciò che rappresenta, è elemento della zona blu, che immagina una zona arancione per tracciarla.
(corsivo mio) Quindi tutto inizia della zona blu, dal soggetto che si chiede cosa c'è oltre il suo blu e quindi si traccia una zona arancione.
Direi piuttosto che tutto inizia da un soggetto che comincia a sentire che tutto non inizia da lui e in tal modo "disconosce", ossia prende a decostruire ciò che conosce. Questo momento inaugura un sapere di non sapere che nasce certamente dal soggetto e lo riguarda, ma lo travalica (perché se non lo travalicasse di fatto si resterebbe sempre nel sapere di sapere e nelle illusioni ad esso implicite di un sapere progressivo).

CitazioneCredo che se accade non è nulla, e se è un nulla per la nostra conoscenza non possiamo predicare niente che lo riguardi positivamente (come accadere, originare, etc.). Ammenoché non si tratti di una congettura teoretica... Affermare che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PMLa linea gialla non è però né una mera ipotesi teoretica, né un assioma anapodittico, è solo il tentativo del tutto inadeguato, di rappresentare quel nulla (nulla per la conoscenza) che continuamente accade
è contraddittorio, poiché se è nulla per la coscienza, non può essere rappresentato da essa, nemmeno con un tentativo (poiché non si ha nulla per impostarlo...).
E' nulla per la nostra coscienza e tuttavia accade continuamente, come accade il sonno profondo, come accade il nostro respirare e il rispondere appropriato e inconsapevole del nostro corpo che sa rispondere e lo dimostra vivendo. E' la dimensione inconscia che racchiude ogni conoscenza pur apparendovi inclusa quando ce la rappresentiamo. E' la storia di miliardi di individui di cui non sapremo mai nulla, ma che hanno vissuto e vivendo determinato ciò che ora siamo. E' la meta del paradossale "diventare ciò che si è" di Nietzsche, è "il luogo ove non si è mai stati, ma a cui bisogna ritornare". E' forse, ancora più propriamente, quel Tao della sapienza orientale, che sfugge a ogni rappresentazione e di cui nulla si può dire se non in negativo  pur essendo sempre in positivo (2 e 1 nello stesso tempo). E' la matrice a cui non vi è accesso proprio perché ci siamo da sempre e sempre dentro, ne siamo sempre parte. Qualsiasi cosa io qui dica o tracci in figura può però solo evocarlo, non rappresentarlo e men che meno definirlo e solo ciò che si definisce può essere analizzato alla luce del principio di non contraddizione, non ciò che si evoca.

CitazioneQuando dici che
Citazione di: maral il 01 Marzo 2017, 19:56:02 PM...
non personifichi forse il nulla (poiché il chiedere è attività umana) rischiando di non realizzare che la domanda non è posta dal nulla (che in quanto tale non chiede) ma dall'uomo?
Non sto personificando il nulla, piuttosto tento di annullare l'antropomorfismo che immagina l'uomo come autore originario di ogni domanda. L'uomo ha un linguaggio, ma la domanda precede quel linguaggio, il linguaggio riformula e ritraduce continuamente la domanda secondo una semantica e una sintassi tentando di rispondere a partire da un'immagine che introduce la domanda stessa, un'immagine che non è l'uomo a immaginare, ma che immagina l'uomo ed è proprio con la domanda che un essere umano comincia ad apparire. (sappiamo quanto questa immagine originaria e sfuggente abbia assunto nella storia umana una prima conformazione divina attraverso il mito, ma essa non abita nell'azzurro alto dei cieli - qui è un altro Dio che vi abita, un Dio che tutto conosce e tutto può- abita invece presso la vita sapiente delle rocce, degli animali e delle piante che sanno senza  conoscere)


Citazionegiocando poeticamente (ma non filosoficamente) sulla duplicità del "sapere", come "conoscere" ed "essere in grado": ma una pianta o un sasso non sanno esistere in nessuno dei due sensi, semplicemente esistono (forse  ;D ).
Non a caso, non è plausibile il contrario, ovvero che non sappiano esistere (quindi se non è sensato che un ente non sappia esistere, è insensato o ridondante sostenere che sappia esistere).
Ma siamo sicuri che giocare poeticamente non sia un modo più serio e profondo di giocare filosoficamente? Lo so, è questione di gusti, ma merita di rifletterci, non fosse altro perché proprio il gioco poetico (o artistico in genere) è quello che più ci porta nei pressi dell'immagine originaria che è la porta di una zona altrimenti inaccessibile, la soglia che si apre sul nulla che sa e questo lo sa fare l'arte (poetica e non solo) molto meglio della riflessione logica razionale.
Le piante e i sassi sanno esistere perfettamente, sanno come si fa ad esistere e lo dimostrano esistendo (dunque sapere esistere ed esistere non sono la stessa cosa, ma esistere è il mostrarsi del sapere esistere). L'essere umano, oltre a esistere e a sapere esistere, sa di esistere. Anche se in genere accade limitatamente e saltuariamente, poiché il sapere di esistere, pur facendo parte dell'esistenza, agisce contrapponendovisi per poter poi ritenere di saper dominare efficacemente l'esistenza. Per  esempio: noi sappiamo scendere le scale per lo più senza avere coscienza di come si muovono i piedi (sono i piedi che sanno scendere le scale e lo dimostrano scendendole), ma se vogliamo sapere di come i piedi scendono le scale, scendere le scale diventa molto più problematico, i piedi rischiano di inciampare, dobbiamo fermarci al pianerottolo per tentare di conoscere il movimento dei piedi. Per forza, il sapere di fare, spezza innanzitutto l'unità del saper fare per conoscere il collegamento tra il sapere e il fare.


CitazioneParimenti mi pare che il chiedere circolare (che coinvolge una zona solamente ipotizzata) ...
è ambiguamente incentrato sulla personificazione dell'esistenza del saper vivere. Tale personificazione pervasiva potrebbe essere sintomo dell'antropocentrismo del soggetto che, anche quando prova a porsi come semplice pezzo del puzzle, finisce inevitabilmente per deformare la  ricerca a sua immagine e somiglianza, confermando così sia che l'ipotetica zona arancione è inverificabile e inintelligibile (quindi potrebbe non esserci affatto), sia che il chiedere "cosa è accaduto?" è sempre un chiedersi (riflessivo, chiedere a se stessi), quindi il rischio di domande infondate o irrisolvibili fa parte del gioco umano del domandare.
Sì può essere, ma puoi provare a vederla all'opposto come un tentativo di decostruire l'antropocentrismo, condotto da un soggetto che si depersonifica a partire dalla sua persona e lo prova a fare non nei termini dei trucchi di un oggettivismo logico o scientifico che immaginano la possibilità di sguardi sovranamente oggettivi, ma in un avvicinarsi evocando quella immagine originaria che sta sulla soglia, come l'immagine viva di un sogno (che ci è giunto come non sognato da noi) che poi, appena desti subito svanisce lasciando solo qualche resto sempre più irriconoscibile che ci accompagna per un po'.

sgiombo

#249
Citazione di: maral il 02 Marzo 2017, 22:40:37 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:51:27 PM
E' ben qui la contraddizione: se non esiste una realtà oggettiva con la quale "testare" le opinioni che si confrontano, non ha alcun senso confrontarle, poiché l' una vale l' altra del tutto indifferentemente (se una serratura si apre con qualsiasi chiave non ha alcun senso un confronto fra chiavi diverse; l' avrebbe invece solo se occorresse trovare quella o quelle che la aprono distinguendola da quelle che non servono all' uopo, anche se si può benissimo pensare -falsamente- che la aprano anch' esse).
Sgiombo, non c'è una realtà oggettiva assoluta con cui ci si possa confrontare, ma c'è una realtà oggettivamente condivisibile (fatta di prassi e dei modi di intendere il mondo che ne consegue) con la quale siamo tenuti per vivere a misurare le nostre chiavi diverse, individualmente soggettive.
Citazione"Realtà oggettivamente condivisibile" significa "realtà che può -N.B.: non deve necessariamente!- essere condivisa", cioè che è reale indipendentemente da qualsiasi eventuale (possibile e non necessaria) condivisione".
E in esssa non hanno denotazione reale tutti i concetti variamente denotati che si possono pensare e che di fatto si pensano (ad esempio i cavalli sì, gli ippogrifi no); e inoltre le denotazioni reali di quei concetti che si pensano e che ne sono "dotati", che vi si riferiscono, sono tali (reali) anche indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno pure dei concetti che ad esse si riferiscono (anche se non vengono pensate).
Conclusione: vi sono cose (realmente) pensate non reali (ippogrifi; se non ovviamente, tautologicamente in quanto pensate) e cose reali che non sono inoltre anche (realmente) pensate.



Dunque il confronto vale sempre e dal confronto risulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni.
Citazionerisulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni non dal confronto fra vari modi di pensare a prescindere dalla realtà (nel quale c' è tutto e il contrario di tutto e non vi è differenza di colore e tutto sembra "ugualmente nero": l' esserci di una passerella reale per non sfracellarsi e l' esserci di una passerella immaginaria per sfracellarsi; è solo nel confronto con la serratura reale che si può stabilire quali chiavi funzionano e quali no, non certo dal confronto delle chiavi fra loro a prescindere dalla serratura reale, che può essere interessante ma non é dirimente); bensì dal confronto fra i vari modi di pensare e la realtà.



Il valore di verità è del tutto conservato in ciò che dico (e lo ripeto per l'ennesima volta) in quanto vale in modo dirimente in relazione al contesto in cui si usa quella chiave, è il contesto che fa funzionare una chiave anziché un'altra e rende percorribili alcune passerelle e non altre.
CitazioneIl contesto che fa funzionare la chiave è il contesto reale (la serratura reale) e non il contesto culturale, ideale, pensato (il confronto di una chiave con l' altra): le chiavi vanno confrontate con la serratura reale e non fra loro per capire quali funzionano (fuor di metafora: le credenze vanno confrontate non fra loro -questo può essere interessante e utile, anche ai fini euristici, ma non é dirimente- ma con la realtà per capire quali siano vere).



Noi esistiamo in questo mondo ove le immagini assumono valore di realtà in rapporto proprio al mondo in cui esistiamo e se non ci comportiamo di conseguenza sempre in questo mondo ci sfracelliamo. Ma non possiamo pretendere che la realtà che oggettivamente appare in questo mondo valga in assoluto per tutti i mondi del passato, presente e futuro diversi dal nostro.
CitazioneMa chi avrebbe mai avuto una simile pretesa autocontraddittoria, assurda???



Ogni mondo condivide e ammette la sua verità e quindi la sua regola per conoscere, percorrerlo e viverci.
CitazioneOgni mondo reale e non ogni "contesto culturale più o meno condiviso"!



Tutto qui, ma se ci si rende conto di questo si compie un salto fondamentale in termini etici, proprio in quanto la si smette di ritenere che il nostro modo di vivere e di conoscere debba valere per tutti, perché è capace di rivelare (il nostro) come stanno e sono sempre state le cose in sé per tutti in ogni contesto culturale.
CitazioneNon confondiamo etica e ontologia, senso del dovere e conoscenza della realtà!

Il nostro modo di vivere non vale per tutti: e chi l' avrebbe mai preteso???

Ma non esiste affatto un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, non si può pretendere di conoscere (veracemente) inventandosi con la fantasia sfrenata "presunte realtà ad libitum", ma solo adeguando il proprio pensiero alla realtà effettivamente data, al "come stanno le cose in sé per tutti indipendentemente da qualsiasi eventuale contesto culturale".



La verità è un'abitudine a fare significato condiviso insieme, un'abitudine condivisa che ci fa essere quello che siamo permettendoci di vivere conoscendo e regolandoci di conseguenza, ciascuno qui e ora e non in assoluto, non in sé, quindi ogni mondo presenta la sua verità in cui comunque occorre collocarsi per non precipitare.
Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura che richiede la sua chiave, perché nessuna chiave è giusta in sé, ma ogni chiave diversamente e relativamente a ogni serratura.
CitazioneNO!
La verità (per definizione) è adeguazione del pensiero alla realtà quale accade e accadrebbe comunque, anche indipendentemente dall' eventuale essere pure oggetto di pensiero, anche se non fosse pensata e conosciuta (salvo ovviamente, tautologicamente il fatto di essere inoltre anche pensata e conosciuta).

Si può condividere insieme in un numero di illusi (credenti il falso) grande quanto si vuole l' abitudine  a credere che esistono gli ippogrifi o che la terra è piatta o al centro dell' universo, ma gli ippogrifi continuano a non esistere e la terra a non essere piatta e non al centro dell' universo.
Non è che prima di Copernico la terra fosse al centro dell' universo e dopo si è spostata in periferia!
Se la passerella reale non c' è, allora per non precipitare occorre collocarsi nel modo teorico in cui (si sa che) non c' è e non in un mondo teorico qualsiasi, in cui magari (si pretende di sapere che) c' è: in questo modo ci si sfracella di sicuro!

Infatti per l' appunto Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura reale che richiede la sua chiave (proprio quella, e non qualsiasi chiave), perché nessuna chiave è giusta in sé, ma sono giuste non tutte le chiavi (non ogni chiave) ma solo quelle che lo sono (diversamente l' una dall' altra) e relativamente alle serrature reali (diverse l' una dall' altra).

maral

#250
Citazione di: sgiombo il 03 Marzo 2017, 11:53:56 AM
"Realtà oggettivamente condivisibile" significa "realtà che può -N.B.: non deve necessariamente!- essere condivisa", cioè che è reale indipendentemente da qualsiasi eventuale (possibile e non necessaria) condivisione".
E in esssa non hanno denotazione reale tutti i concetti variamente denotati che si possono pensare e che di fatto si pensano (ad esempio i cavalli sì, gli ippogrifi no); e inoltre le denotazioni reali di quei concetti che si pensano e che ne sono "dotati", che vi si riferiscono, sono tali (reali) anche indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno pure dei concetti che ad esse si riferiscono (anche se non vengono pensate).
Conclusione: vi sono cose (realmente) pensate non reali (ippogrifi; se non ovviamente, tautologicamente in quanto pensate) e cose reali che non sono inoltre anche (realmente) pensate.
Sì realtà condivisibile significa che può essere condivisa, ma c'è sempre un fondo di condivisione fondamentale in cui ci si muove insieme, fatto di esperienze comuni e di una storia comune che stabilisce significati che si considerano insieme veri o falsi, ove questa verità e falsità non è certo data solo dalle cose in sé che come tali non possiamo né conoscere né tanto meno definire, ma solo viverle come accadimenti. Qualcosa è accaduto a me come a chi ha visto un ippogrifo, cosa? Il cosa lo definisce sempre parzialmente un significato che è il prodotto delle nostre esperienze, che non sono assolute e non sono né mie né tue.



Citazionerisulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni non dal confronto fra vari modi di pensare a prescindere dalla realtà (nel quale c' è tutto e il contrario di tutto e non vi è differenza di colore e tutto sembra "ugualmente nero": l' esserci di una passerella reale per non sfracellarsi e l' esserci di una passerella immaginaria per sfracellarsi; è solo nel confronto con la serratura reale che si può stabilire quali chiavi funzionano e quali no, non certo dal confronto delle chiavi fra loro a prescindere dalla serratura reale, che può essere interessante ma non é dirimente); bensì dal confronto fra i vari modi di pensare e la realtà.
Ma la serratura reale a cui ti riferisci non ce l'hai, perché nel momento in cui la conosci non può essere la serratura in sé e per sé proprio perché la conosci e la usi con un significato. La serratura che tu consideri reale in sé e per sé è qualcosa che ha il significato di essere una serratura reale in sé e per sé. Né la chiave né la serratura sono reali in sé, ma sono reali per noi, nel loro venirci a significare nei contesti in cui le viviamo.




CitazioneIl contesto che fa funzionare la chiave è il contesto reale (la serratura reale) e non il contesto culturale, ideale, pensato (il confronto di una chiave con l' altra): le chiavi vanno confrontate con la serratura reale e non fra loro per capire quali funzionano (fuor di metafora: le credenze vanno confrontate non fra loro -questo può essere interessante e utile, anche ai fini euristici, ma non é dirimente- ma con la realtà per capire quali siano vere).
Ma cos'è la serratura reale? E' forse reale perché la apre la chiave reale? E allora cos'è la chiave reale? quella che mi apre la serratura reale perbacco! Capisci il circolo vizioso del discorso che vieni a fare? Qual è la prima cosa reale in sé da cui partire?

CitazioneMa chi avrebbe mai avuto una simile pretesa autocontraddittoria, assurda???
Tu, quando affermi che ci sono cose reali in sé e che come tali le possiamo conoscere.
Tutto quello che la realtà manifesta è solo che qualcosa accade nel nulla di un puro accadere e accadendo è subito parte di noi (dove il noi ancora non c'è). Siamo noi stessi che cominciamo ad accadere nel nostro significato quando qualcosa sta accadendo nel suo significato che è sempre relativo al contesto in cui del tutto concretamente ci accade di vivere.

CitazioneOgni mondo reale e non ogni "contesto culturale più o meno condiviso"!
E di nuovo cos'è il mondo reale di per sé? Cosa rende reale il mondo se non significati ereditati da millenni e prodotto da miliardi di pratiche di conoscenza condivise che letteralmente producono ciò che siamo?


CitazioneNon confondiamo etica e ontologia, senso del dovere e conoscenza della realtà!

Il nostro modo di vivere non vale per tutti: e chi l' avrebbe mai preteso???
Alla base di ogni ontologia c'è sempre un modo di sentire etico, proprio come ogni etica nasce a partire da un'ontologia. Possiamo non confonderle, ma non possiamo non vedere quanto costantemente si implicano.

CitazioneMa non esiste affatto un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, non si può pretendere di conoscere (veracemente) inventandosi con la fantasia sfrenata "presunte realtà ad libitum", ma solo adeguando il proprio pensiero alla realtà effettivamente data, al "come stanno le cose in sé per tutti indipendentemente da qualsiasi eventuale contesto culturale".
Infatti, non ti sei ancora reso conto, nonostante continui a ripeterlo, che non sto dicendo affatto che ci sia un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, né c'è alcuna fantasia sfrenata nel conoscere. E questo vale per tutti, anzi ce ne è uno solo, proprio quello che ognuno vive, insieme agli altri come reale, con limitate varianti individuali che fanno la differenza tra l'uno e l'altro soggetto.



CitazioneNO!
La verità (per definizione) è adeguazione del pensiero alla realtà quale accade e accadrebbe comunque, anche indipendentemente dall' eventuale essere pure oggetto di pensiero, anche se non fosse pensata e conosciuta (salvo ovviamente, tautologicamente il fatto di essere inoltre anche pensata e conosciuta).
Accadrebbe comunque certo, ma cosa accade? Quello che accade ci accade nella forma in cui accade perché così si fa conoscere e il modo in cui si fa conoscere dipende dai soggetti che insieme la conoscono.

CitazioneSi può condividere insieme in un numero di illusi (credenti il falso) grande quanto si vuole l' abitudine  a credere che esistono gli ippogrifi o che la terra è piatta o al centro dell' universo, ma gli ippogrifi continuano a non esistere e la terra a non essere piatta e non al centro dell' universo.
Non è che prima di Copernico la terra fosse al centro dell' universo e dopo si è spostata in periferia!
No, la terra è sempre stata dove è, ma il suo significato è stato diverso. Che la terra non sia piatta e non ci sia un centro dell'universo sta nel nostro significato che diamo all'accadere del luogo in cui viviamo, esattamente come stava nel significato di chi viveva 4000 anni fa ed era convinto quanto noi che il suo significato fosse del tutto reale, proprio come noi e avrebbe ritenuto pazzesco quello che oggi noi sappiamo della terra.



CitazioneSe la passerella reale non c' è, allora per non precipitare occorre collocarsi nel modo teorico in cui (si sa che) non c' è e non in un mondo teorico qualsiasi, in cui magari (si pretende di sapere che) c' è: in questo modo ci si sfracella di sicuro!

Infatti per l' appunto Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura reale che richiede la sua chiave (proprio quella, e non qualsiasi chiave), perché nessuna chiave è giusta in sé, ma sono giuste non tutte le chiavi (non ogni chiave) ma solo quelle che lo sono (diversamente l' una dall' altra) e relativamente alle serrature reali (diverse l' una dall' altra).
E' quello che dico anch'io, solo che la passerella reale in sé o la chiave reale in sé non si può in alcun modo trovare, semplicemente perché siamo dentro alla realtà, dunque non si può vedere la realtà per come è. Tutto quello che si può fare e che dobbiamo fare è ascoltarci l'un l'altro per capire quali significati insieme possiamo dare a quello che ci accade. Ed è così che l'ontologia ritrova il suo fondamento etico, ed è così che ci si può confrontare su un forum anche avendo opinioni diversi sui fondamenti della realtà.

Come scrive Sini in "Inizio":« Capita allora che a noi filosofi, dal tempo di Talete consapevoli adepti del dio delle macchine e dei frantoi, continui a riservarsi il compito di invitare i nostri fratelli a quel lucido incantesimo cui accennava Nietzsche: la capacità di sognare più vero, la capacità di dirsi, sognando: vedi sto sognando

sgiombo

Citazione di: maral il 04 Marzo 2017, 22:46:58 PM
Citazione di: sgiombo il 03 Marzo 2017, 11:53:56 AM
"Realtà oggettivamente condivisibile" significa "realtà che può -N.B.: non deve necessariamente!- essere condivisa", cioè che è reale indipendentemente da qualsiasi eventuale (possibile e non necessaria) condivisione".
E in esssa non hanno denotazione reale tutti i concetti variamente denotati che si possono pensare e che di fatto si pensano (ad esempio i cavalli sì, gli ippogrifi no); e inoltre le denotazioni reali di quei concetti che si pensano e che ne sono "dotati", che vi si riferiscono, sono tali (reali) anche indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno pure dei concetti che ad esse si riferiscono (anche se non vengono pensate).
Conclusione: vi sono cose (realmente) pensate non reali (ippogrifi; se non ovviamente, tautologicamente in quanto pensate) e cose reali che non sono inoltre anche (realmente) pensate.
Sì realtà condivisibile significa che può essere condivisa, ma c'è sempre un fondo di condivisione fondamentale in cui ci si muove insieme, fatto di esperienze comuni e di una storia comune che stabilisce significati che si considerano insieme veri o falsi, ove questa verità e falsità non è certo data solo dalle cose in sé che come tali non possiamo né conoscere né tanto meno definire, ma solo viverle come accadimenti. Qualcosa è accaduto a me come a chi ha visto un ippogrifo, cosa? Il cosa lo definisce sempre parzialmente un significato che è il prodotto delle nostre esperienze, che non sono assolute e non sono né mie né tue.
CitazionePer definizione ciò che fa vere o false le credenze non è la loro condivisione in una cerchia più o meno ampia di soggetti di conoscenza, bensì la loro conformità con la realtà; solitamente non con la realtà in sé ma invece con la realtà fenomenica (assunta essere intersoggettiva nel caso di quella materiale) quale è anche indipendentemente dall' eventuale essere pure oggetto di conoscenza: che la terra fosse al centro dell' universo fino al sedicesimo secolo era opinione amplissimamente condivisa, ma non per questo non era falsa.


E una conoscenza vera che fosse saputa da una sola persona e non condivisa con nessuno (per esempio la relatività prima che Einstein la pubblicasse) non per questo non sarebbe vera.





Citazionerisulterà che ci sono delle chiavi vere e delle chiavi false che non funzionano, delle vacche nere, delle vacche pezzate, delle vacche bianche e marroni non dal confronto fra vari modi di pensare a prescindere dalla realtà (nel quale c' è tutto e il contrario di tutto e non vi è differenza di colore e tutto sembra "ugualmente nero": l' esserci di una passerella reale per non sfracellarsi e l' esserci di una passerella immaginaria per sfracellarsi; è solo nel confronto con la serratura reale che si può stabilire quali chiavi funzionano e quali no, non certo dal confronto delle chiavi fra loro a prescindere dalla serratura reale, che può essere interessante ma non é dirimente); bensì dal confronto fra i vari modi di pensare e la realtà.
Ma la serratura reale a cui ti riferisci non ce l'hai, perché nel momento in cui la conosci non può essere la serratura in sé e per sé proprio perché la conosci e la usi con un significato. La serratura che tu consideri reale in sé e per sé è qualcosa che ha il significato di essere una serratura reale in sé e per sé. Né la chiave né la serratura sono reali in sé, ma sono reali per noi, nel loro venirci a significare nei contesti in cui le viviamo.
CitazioneSe la conosco veracemente (senza che le dia alcun significato: mica è un simbolo!), allora è proprio quella chiave che apre quella serratura.


Il fatto che la conosca non ne fa affatto un' altra chiave che non apre la serratura!


La chiave della porta di casa mia, come tante altre chiavi e al contrario di tante altre cose pensabili e pensate (come gli ippogrifi), è realissima: non vivo nel mondo delle favole...almeno io!).





CitazioneIl contesto che fa funzionare la chiave è il contesto reale (la serratura reale) e non il contesto culturale, ideale, pensato (il confronto di una chiave con l' altra): le chiavi vanno confrontate con la serratura reale e non fra loro per capire quali funzionano (fuor di metafora: le credenze vanno confrontate non fra loro -questo può essere interessante e utile, anche ai fini euristici, ma non é dirimente- ma con la realtà per capire quali siano vere).
Ma cos'è la serratura reale? E' forse reale perché la apre la chiave reale? E allora cos'è la chiave reale? quella che mi apre la serratura reale perbacco! Capisci il circolo vizioso del discorso che vieni a fare? Qual è la prima cosa reale in sé da cui partire?
CitazioneMa quale mai circolo (preteso) "vizioso" ? ! ? ! ? !


E' casomai una tautologia: la chiave reale si definisce come quell' attrezzo che apre una serratura reale!


Non  pretendo certo di "dimostrare" che la chiave è reale perché apre una serratura reale, la quale è reale perché è aperta dalla chiave reale!
Invece provo ad usare la chiave che constato reale per aprire la serratura che parimenti constato reale: se è quella "giusta" la apre, tutto lì (constatazioni empiriche)!





CitazioneMa chi avrebbe mai avuto una simile pretesa autocontraddittoria, assurda???
Tu, quando affermi che ci sono cose reali in sé e che come tali le possiamo conoscere.
Tutto quello che la realtà manifesta è solo che qualcosa accade nel nulla di un puro accadere e accadendo è subito parte di noi (dove il noi ancora non c'è). Siamo noi stessi che cominciamo ad accadere nel nostro significato quando qualcosa sta accadendo nel suo significato che è sempre relativo al contesto in cui del tutto concretamente ci accade di vivere.

CitazioneNo, guarda che sono innumerevoli le volte in cui ho affermato a chiare lettere nel forum che se ci sono cose reali in sé, come credo fideisticamente, allora sono altra cosa dalle percezioni fenomeniche che ho, cioè dalle cose che posso conoscere; non sono le mie sensazioni ma gli oggetti di esse come io ne sono il soggetto.


Io affermo invece che ci sono cose fenomeniche e non affatto in sé che possiamo conoscere, e che sono reali sia nel caso che le conosciamo sia qualora non le conosciamo.


Non devi confondere cose reali indipendentemente dall' essere eventualmente anche conosciute e cose in sé o noumeno, si tratta di concetti ben diversi fra loro!


"Qualcosa accade nel nulla di un puro accadere" è uno pseudoconcetto autocontraddittorio, senza senso: nel nulla secondo logica non può accadere alcunché e non affatto accadere qualcosa.
Idem per qualcosa che "è subito parte di noi (dove il noi ancora non c'è)".






CitazioneOgni mondo reale e non ogni "contesto culturale più o meno condiviso"!
E di nuovo cos'è il mondo reale di per sé? Cosa rende reale il mondo se non significati ereditati da millenni e prodotto da miliardi di pratiche di conoscenza condivise che letteralmente producono ciò che siamo?
CitazioneSignificati ereditati da millenni e prodotti da miliardi di pratiche di conoscenza condivise possono costituire (al limite "produrre") conoscenze (ma pure false credenze!) e non affatto cose (enti ed eventi) reali; altrimenti sarebbero reali ippogrifi, centauri, chimere e chi più ne ha più ne metta!






CitazioneNon confondiamo etica e ontologia, senso del dovere e conoscenza della realtà!

Il nostro modo di vivere non vale per tutti: e chi l' avrebbe mai preteso???
Alla base di ogni ontologia c'è sempre un modo di sentire etico, proprio come ogni etica nasce a partire da un'ontologia. Possiamo non confonderle, ma non possiamo non vedere quanto costantemente si implicano.
CitazioneMa il fatto è che tu indebitamente le confondevi (e lo fai anche più sotto):

"Tutto qui, ma se ci si rende conto di questo si compie un salto fondamentale in termini etici, proprio in quanto la si smette di ritenere che il nostro modo di vivere e di conoscere debba valere per tutti, perché è capace di rivelare (il nostro) come stanno e sono sempre state le cose in sé per tutti in ogni contesto culturale",

Attribuendomi indebitamente la pretesa che il mio modo di vivere debba valere per tutti (aberrazione etica!) per il fatto che affermo non che un presunto "mio" modo di conoscere, ma il "modo di conoscere" inteso (comunemente) come predicazione della realtà di ciò che è reale e/o della irrealtà di ciò che non è reale vale per tutti (corretta relazione della gnoseologia all' ontologia; per definizione! Per ciò che comunemente parlando in lingua italiana si intende con "conoscere" e con "realtà").






CitazioneMa non esiste affatto un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, non si può pretendere di conoscere (veracemente) inventandosi con la fantasia sfrenata "presunte realtà ad libitum", ma solo adeguando il proprio pensiero alla realtà effettivamente data, al "come stanno le cose in sé per tutti indipendentemente da qualsiasi eventuale contesto culturale".
Infatti, non ti sei ancora reso conto, nonostante continui a ripeterlo, che non sto dicendo affatto che ci sia un numero indefinito e arbitrario di modi di conoscere, né c'è alcuna fantasia sfrenata nel conoscere. E questo vale per tutti, anzi ce ne è uno solo, proprio quello che ognuno vive, insieme agli altri come reale, con limitate varianti individuali che fanno la differenza tra l'uno e l'altro soggetto.
CitazioneNo, guarda che questo è proprio quanto da me instancabilmente affermato e da te altrettanto instancabilmente negato (anche appena qui sopra in questo stesso intervento che sto criticando; e pure poco più sotto)!






CitazioneNO!
La verità (per definizione) è adeguazione del pensiero alla realtà quale accade e accadrebbe comunque, anche indipendentemente dall' eventuale essere pure oggetto di pensiero, anche se non fosse pensata e conosciuta (salvo ovviamente, tautologicamente il fatto di essere inoltre anche pensata e conosciuta).
Accadrebbe comunque certo, ma cosa accade? Quello che accade ci accade nella forma in cui accade perché così si fa conoscere e il modo in cui si fa conoscere dipende dai soggetti che insieme la conoscono.
CitazioneIl modo in cui é conosciuto (per dirlo alquanto antropomorficamente: "in cui si fa conoscere"), certo!

Ma non affatto il modo in cui realmente accade, che sia conosciuto o meno.

Infatti, al contrario di quanto da te preteso anche qui appena sopra (e pure più sotto), il conoscere e in generale il pensare qualcosa è ben altra cosa dall' accadere realmente di tale "qualcosa", che si può dare anche senza che si dia il conoscere e in generale il pensare: cavalli reali (mentre si può anche dare il pensare ciò che non accade realmente: ippogrifi!).






CitazioneSi può condividere insieme in un numero di illusi (credenti il falso) grande quanto si vuole l' abitudine  a credere che esistono gli ippogrifi o che la terra è piatta o al centro dell' universo, ma gli ippogrifi continuano a non esistere e la terra a non essere piatta e non al centro dell' universo.
Non è che prima di Copernico la terra fosse al centro dell' universo e dopo si è spostata in periferia!
No, la terra è sempre stata dove è, ma il suo significato è stato diverso. Che la terra non sia piatta e non ci sia un centro dell'universo sta nel nostro significato che diamo all'accadere del luogo in cui viviamo, esattamente come stava nel significato di chi viveva 4000 anni fa ed era convinto quanto noi che il suo significato fosse del tutto reale, proprio come noi e avrebbe ritenuto pazzesco quello che oggi noi sappiamo della terra.
CitazioneLa terra è stata dov' è (o meglio si è mossa dove si è mossa) senza significare alcunché: mica ce l' ha messa intenzionalmente un dio per insegnare qualcosa a qualcuno!
Infatti che la terra non sia piatta e non ci sia un centro dell'universo sta nella realtà e non solo nel significato delle nostre affermazioni vere su di essa, mentre non stava per neinte nel modo in cui la pensava falsamente, al contrario di noi, chi viveva 4000 anni fa e avrebbe ritenuto falsamente pazzesco quello che oggi noi sappiamo veracemente della terra.







CitazioneSe la passerella reale non c' è, allora per non precipitare occorre collocarsi nel modo teorico in cui (si sa che) non c' è e non in un mondo teorico qualsiasi, in cui magari (si pretende di sapere che) c' è: in questo modo ci si sfracella di sicuro!

Infatti per l' appunto Ogni porta ha la chiave giusta, ma è la diversa serratura reale che richiede la sua chiave (proprio quella, e non qualsiasi chiave), perché nessuna chiave è giusta in sé, ma sono giuste non tutte le chiavi (non ogni chiave) ma solo quelle che lo sono (diversamente l' una dall' altra) e relativamente alle serrature reali (diverse l' una dall' altra).
E' quello che dico anch'io, solo che la passerella reale in sé o la chiave reale in sé non si può in alcun modo trovare, semplicemente perché siamo dentro alla realtà, dunque non si può vedere la realtà per come è. Tutto quello che si può fare e che dobbiamo fare è ascoltarci l'un l'altro per capire quali significati insieme possiamo dare a quello che ci accade. Ed è così che l'ontologia ritrova il suo fondamento etico, ed è così che ci si può confrontare su un forum anche avendo opinioni diversi sui fondamenti della realtà.

Come scrive Sini in "Inizio":« Capita allora che a noi filosofi, dal tempo di Talete consapevoli adepti del dio delle macchine e dei frantoi, continui a riservarsi il compito di invitare i nostri fratelli a quel lucido incantesimo cui accennava Nietzsche: la capacità di sognare più vero, la capacità di dirsi, sognando: vedi sto sognando
CitazioneA parte la solita confusione fra "cose in sé (noumeno)" e "cose (fenomeniche) reali anche indipendentemente dall' essere pure, inoltre, (realmente) pensate, conosciute o meno", non vedo perché mai non si possa riflessivamente conoscere qualcosa di cui si è parte, all' interno della quale si é.
Fin dai tempi di Socrate ("gnothis hautòn") l' autoconoscienza è stata tranquillamente accettata come sensatissima e possibilissima senza che nessuno, a quanto mi consta, ne abbia dimostrato l' impossibilità!
 
Ripeto che l' etica della tolleranza e del confronto critico con gli altri non va assolutamente confusa con la gnoseologia e l' ontologia; la quale non si può affatto "costruire" ad libitum ma alla quale ci si deve (se la si vuol conoscere: niente di obbligatorio per nessuno, per carità! Chi vuol credere che gli ippogrifi sono altrettanto reali dei cavalli faccia pure! E ci mancherebbe altro!) adeguare con i nostri pensieri.
 
MI dispiace per Sini e per Nietzche, ma sognando si può magari fare dell' ottima poesia o arte figurativa, ma non conoscere (se non del tutto fortuitamente e improbabilissimamente; "inaffidabilmente"), di norma si pendono invece lucciole per lanterne.
Per conoscere si deve pensare la realtà per come essa è e non affatto per come la fantasia o il sogno ce la fanno sembrare.

maral

Caro Sgiombo in conclusione mi pare che abbiamo portato questo thread ben oltre lo spunto iniziale e forse troppo oltre per mantenere il tema. Mi riprometto di riprendere in un altro, appena ne avrò il tempo anche per rifletterci sopra, il discorso sull'intreccio tra ontologia, epistemologia ed etica.
Per il momento, riguardo al discorso, che resta a mio avviso impossibile, sulla conoscenza delle cose in sé mi limito a osservare che non le ho mai viste né conosciute, ancor meno degli ippogrifi, e che, anche se nel sogno che mi vive non vedo in giro ippogrifi, non mi scandalizzerei se qualcuno li avesse visti, cercherei di capire il significato di ciò che accade nei sogni, diversi dal mio, che lo vivono.
Di allucinazioni di passerelle penso invece di averne avute, come tutti, tante e il brutto è che ci se ne accorge solo a posteriori, quando si precipita, prima no, prima sembrano passerelle solide e sicure, il mondo pare confermarcelo, perché il mondo è proprio sempre e solo nel significato che in esso risulta condiviso e da qui nascono tutti i suoi inganni, le sue promesse e le sue rassicuranti certezze "oggettive".

sgiombo

Citazione di: maral il 07 Marzo 2017, 11:22:54 AM
Caro Sgiombo in conclusione mi pare che abbiamo portato questo thread ben oltre lo spunto iniziale e forse troppo oltre per mantenere il tema. Mi riprometto di riprendere in un altro, appena ne avrò il tempo anche per rifletterci sopra, il discorso sull'intreccio tra ontologia, epistemologia ed etica.
Per il momento, riguardo al discorso, che resta a mio avviso impossibile, sulla conoscenza delle cose in sé mi limito a osservare che non le ho mai viste né conosciute, ancor meno degli ippogrifi, e che, anche se nel sogno che mi vive non vedo in giro ippogrifi, non mi scandalizzerei se qualcuno li avesse visti, cercherei di capire il significato di ciò che accade nei sogni, diversi dal mio, che lo vivono.

CitazioneMi limito, per chiudere la discussione, a ribadire che nemmeno io ho mai affermato che ho percepito (contraddizione!) o conosciuto con certezza cose in sé, ma solo apparenze fenomeniche coscienti


Di allucinazioni di passerelle penso invece di averne avute, come tutti, tante e il brutto è che ci se ne accorge solo a posteriori, quando si precipita, prima no, prima sembrano passerelle solide e sicure, il mondo pare confermarcelo, perché il mondo è proprio sempre e solo nel significato che in esso risulta condiviso e da qui nascono tutti i suoi inganni, le sue promesse e le sue rassicuranti certezze "oggettive".

CitazioneMa per fortuna più spesso si vedono passerelle reali (indipendente da qualsissi eventuale significato più o meno condiviso) e non si precipita.

Eutidemo

Citazione di: donquixote il 30 Gennaio 2017, 20:04:58 PM
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM«[...] affinché il nulla non esista deve negarsi all'esistenza implicando così l'esistenza stessa. Una logica negativa per cui è necessario che esista l'esistenza per la non esistenza del nulla [...]. [...] Se il "nulla assoluto" è impossibilitato a esistere per la sua identità priva di valore, allora il nulla non può accadere e necessariamente deve accadere qualcos'altro affinché ad accadere non sia il nulla. Che è come dire: il nulla non può esserci, altrimenti il nulla sarebbe, ma se il nulla non può esserci allora "qualcosa"; perché: se non c'è nulla allora o c'è nulla, il che contraddirebbe il non esserci del nulla, o c'è qualcosa. E badate bene: se con l'inversione verbo-soggetto la frase non cambia di significato, allora il misterioso "non c'è nulla" brilla come "nulla non c'è" quindi necessariamente qualcosa. Anche se poi "non c'è nulla" o "nulla non c'è" possano rispondere a domande diverse, pur mantenendo lo stesso risultato. Relativamente si potrebbe dire: "non c'è nulla di quello che intendevo ma c'è altro" oppure "nulla non c'è, guarda bene". A questo punto sospendiamo qui la domanda heideggeriana e riassumiamo le diverse logiche sopra espresse [...]» Ceravolo V.J., Mondo. Strutture portanti, Editore Il Prato, Collana Cento Talleri, 2016 (dicembre), Nihil negativum e privatum, pp. 133-134 Libro sul sito della casa editrice Il Prato, collana Cento talleri academia.edu VJCeravolo facebook VJCeravolo Ciò che qui ho riportato è un piccolo estratto del paragrafo "3.15. Nihil negativum e privatum" del suddetto libro, dove si esamina la differenza fra nulla assoluto e relativo, così da abbattere ciò che Jim Holt (Perché il mondo esiste?) chiama "l'ultimo baluardo del nichilismo".

Il vocabolo nulla così come il vocabolo Tutto hanno una connotazione particolare e non hanno un opposto; non trattandosi di vocaboli sottoposti a "definizione", quindi a limitazione, non c'è niente che gli si possa opporre poichè l'opposizione dovrebbe situarsi al di fuori del loro limite, della loro definizione, che non esiste. Il Tutto comprende tutto ciò che è (quindi da esso niente può essere escluso) e dunque il nulla è solo un opposto in senso grammaticale che non ha e non può avere alcun tipo di esistenza. È solo una parola senza alcun significato e senza alcun nesso con la realtà, per quanto ampia la si possa considerare. Se il nulla  fosse o esistesse (sotto qualunque forma) allora il Tutto non sarebbe più tale poichè vi sarebbe qualcosa al di fuori di esso e dunque non sarebbe più il Tutto. L'esistenza non può sussistere di per sé perchè l'esistenza è un predicato, un attributo, una condizione secondaria che per sussistere necessita di una condizione primaria: l'essenza; la frase "il nulla esiste" è doppiamente contraddittoria poichè non è possibile attribuire una qualità (l'esistenza) a qualcosa che non ha essenza. "Non c'è nulla" o "nulla c'è" sono solo modi di dire colloquiali e semplicistici che non hanno alcuna valenza filosofica, come se ne sentono tanti tutti i giorni.


Il tuo ragionamento è condivisibile; almeno a seconda al significato che vogliamo attribuire alle parole.
Ed infatti, si potrebbe anche dire che:
- 'opposto di "nulla" non è "tutto", bensì "qualcosa":
- l'opposto di "tutto" non è nulla, bensì "parte".
Ed invero, ad esempio, suole dirsi: "Senti qualcosa? No, nulla!".
Ovvero: "E questo è tutto quello che hai da dire? No, solo una parte!".
Senza considerare che "tutto" può essere inteso anche in senso relativo ("ho passato tutta la notte a dormire"); mentre, in senso assoluto, effettivamente, come dici tu, suona un po' ambiguo.
Lo stesso dicasi per il nulla!
In effetti, anzi, come tu giustamente osservi, la frase "il nulla esiste" è doppiamente contraddittoria poichè non è possibile attribuire una qualità (l'esistenza) a qualcosa che non ha essenza. "Non c'è nulla" o "nulla c'è" sono solo modi di dire colloquiali e semplicistici che non hanno alcuna valenza filosofica, come se ne sentono tanti tutti i giorni.
Se poi per "tutto" intendiamo l'Universo nel suo complesso, che ha dei confini già misurati, oltre potremmo anche dire che c'è il "nulla"; ma questo è un altro discorso.

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