Perché c’è qualcosa anziché il nulla?

Aperto da Vito J. Ceravolo, 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM

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InVerno

Citazione di: acquario69 il 22 Febbraio 2017, 04:33:14 AM
Sgiombo l'individualismo e' venuto fuori dopo il medioevo e si e' progressivamente radicato,fino ad arrivare ai nostri giorni all'individuo atomo e assoluto.
L'individuo non era e non si sentiva "separato" dai suoi simili o da tutto cio che lo circondava...la sua concezione era di tipo organico e/o olistico.
L'individualismo( non la solitudine o l'esistenzialismo) non è un incidente di percorso, come essere umano hai la possibilità di coltivare relazioni personali significative al massimo con cento-centocinquanta persone, ma più probabilmente le mantieni con un numero molto più basso che corrisponde alla tua cerchia familiare, o ti attieni al galateo di Kant che non voleva ci fossero più di 13 persone a tavola per giusti e ovvi motivi. I miti e le ideologie hanno costruito identità più ampie ma sempre settarie e legate a confini ideologici o nazionali o religiosi. Se oggi le persone non legassero con il "tutto", con il loro "essere tutti umani" non si spiegherebbe come da qualche anno il numero di suicidi ha superato il numero di morti in guerra, e come invece i guerrafondai medievali fossero cosi legati con il tutto da massacrare le persone oltre ad un determinato e arbitriario confine e farne dell'atto in se motivo di gloria e successo. La violenza imperante del mondo premoderno non si sposa esattamente con la visione di "stare tutti sulla stessa barca", e non mi addentro riguardo ai vari "Tutto" trascendentali perchè in ogni caso hanno fallito nel fungere da collante sociale. Se l'unico argomento contro la storia è la supposta capacità di "immedesimarsi nella mente del contadino medievale" e da li trarre conclusioni riguardo il suo individualismo, stiamo freschi?
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

sgiombo

Citazione di: Duc in altum! il 22 Febbraio 2017, 10:03:18 AM
**  scritto da sgiombo:
CitazionePerché la scienza si occupa di natura e non del (persunto, per quanto mi riguarda) "soprannaturale".
Essa non si basa su rivelazioni (nel finale dello show o meno) da parte di presunte "menti sacerdotali che avrebbero fatto partire il tutto"
Ma già la natura, dal momento che non sappiamo come e perché si sia "ordinata", è qualcosa di soprannaturale.
La scienza, per esempio, studia e ci spiega Saturno, ma come davvero Saturno sia giunto lì (e perché lì e non al posto di Marte), la scienza non lo sa, intanto però si basa su questa rivelazione irrisolta.

La scienza, alla domanda della discussione: Perché c'è qualcosa anziché il nulla?, quesito basilare della natura di cui si occupa, può replicare, così come ognuno di noi, solo con una ragione di fede, solo con una probabile teoria, che in termini pratici però, e non è una cosa da poco, diviene la soluzione personale al perché io esisto, come mai ci sono, condizionando, soprattutto nelle relazioni, tutta la nostra esistenza e il vero senso della vita che, come tu ben sostieni, accade indipendentemente da qualsiasi eventuale opinione su di esso, che continua a realizzarsi, anche se noi non centriamo il suo bersaglio.

CitazioneIl fatto é che, come hai scritto tu stesso, "la scienza fa quel che può" (come ogni altra iniziativa o attività umana).

Dunque non può risolvere problemi filosofici come quello del "perché c' é qualcosa anziché il nulla".

Né ha mai preteso di essere onnisciente anche solo in quello che é il suo campo di indagine, cioé la natura (casomai l' ha preteso o pretende -indebitamente- qualche filosofo scientista).

Ma non per questo, né per il fatto che non sappiamo perché la natura é ordinata (nè abbiamo certerzza assoluta, indubitabile che lo sia; mentre sul come lo sia -se lo é; se determinati assunti indimostrabili sono veri- la scienza sa non poco) non ne fa qualcosa di "soprannaturale" (affermare che la natura sia soprannaturale é fra l' altro una contraddizione).

maral

Citazione di: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 18:59:31 PM
Quel qualcosa di reale, se il predicato "esiste realmente un certo cavallo" è vero, era appunto il cavallo (successivamente) denotato dal concetto di "cavallo" (indipendentemente dal fatto che questa predicazione sia fatta "fra sé e sé" o sia manifestata e condivisa pubblicamente; la qual cosa può casomai aumentare la fondatezza o la credibilità del predicato, in virtù dell' intersoggettività dell' osservazione che ne può dare conferma, ma non la sua verità).
Ma non c'è nessun cavallo, c'è qualcosa che sta accadendo e in questo qualcosa non c'è ancora né un soggetto (ad esempio tu che vedi il cavallo) né un oggetto (appunto il cavallo). Quando il cavallo appare come significato di questo accadere, appare anche il significato di te come soggetto, ma quello che è accaduto non c'è più. Quando il significato "cavallo" appare (che, ripeto non è ciò che originariamente è accaduto, ma l'evocazione di quel qualcosa che è originariamente accaduto) allora vale la coerenza di ciò che dici ed entra in gioco il potere denotativo del linguaggio, che non denota però quello che realmente è accaduto, ma il significato di ciò che è accaduto, riferendolo a te come soggetto che nell'accadere immediato e originario non c'eri.
A un bambino che non ha mai visto un cavallo, ad esempio un bambino molto piccolo, puoi essere sicuro che il cavallo non appare come a te, perché non ne ha il significato che ne hai tu e il significato che vedi tu che intendi la parola "cavallo" per come essa è divenuta contrassegno evocativo di tutta una serie di esperienze che hai vissuto non è quello che vede lui pur essendo per entrambi assolutamente reale. E quello che sente lui che non vede distinguendoli né un cavallo né se stesso soggetto di quel vedere, non è per nulla meno reale di quello che vedi tu in tutta chiarezza, ossia che ci sei tu con davanti, ben distinto e separato, un bel cavallo.

CitazioneNo, guarda che se la passerella è un' allucinazione, allora non c' è "mantenersi nei pressi del proprio saper vivere pur volendolo conoscere", non c' è "costruzione della propria conoscenza (so di sapere) per poterla sempre decostruire (non so di sapere)" che tenga: se si pretende di andare al centesimo piano del grattacielo di fronte ci si sfracella inesorabilmente; solo se la passerella è reale, si può sperare di arrivarci sani e salvi (a parte eventuali incidenti di percorso).
L'allucinazione la valuti tale dall'esterno, in ragione dei significati che richiamano le tue esperienze che sono state condivise e riflesse da altri soggetti. In ogni caso non c'è proprio nessuna passerella in sé, c'è qualcosa che accade e che significa: sono una passerella, ci sono io e ci sei tu, se vuoi puoi usarmi per passare oltre". Nessuna allucinazione il soggetto la intende come qualcosa di inesistente (nessun soggetto ha mai pensato: questa passerella è un'allucinazione, ma ci passo sopra lo stesso), sono gli altri che non vedendo alcun accaduto che abbia il significato di passerella pensano che la tua sia un'allucinazione.
Solo in funzione di una diversa esperienza dei significati si può parlare di allucinazioni, non di cose di per se stesse reali o meno, perché quello che effettivamente sperimentiamo è l'accadere di qualcosa che si rappresenta in forma di significato riflesso alla luce di esperienze di prassi fatte con altri e condivise con altri grazie alle quali abbiamo imparato a conoscere e a muoverci nel mondo in un modo che si ritiene affidabile, ossia in generale prevedibilmente sicuro. Al di fuori di questa condivisibilità non c'è nessuna realtà "esterna" a cui si abbia accesso.

CitazioneLa discussone secondo me potrebbe (in teoria; e "salvo imprevisti o complicazioni") svolgersi comprensibilmente e non come un dialogo fra sordi (ma evidentemente di fatto ci sono "imprevisti o complicazioni") se invece del concetto alquanto problematico di "realtà assoluta" ci si limitasse a considerare quelli di "realtà in quanto oggetto -ente o evento- che esiste o diviene indipendentemente dall' eventuale accadere realmente anche del fatto che sia pensato o meno (es.: il cavallo di mio nonno)" e "realtà unicamente in quanto oggetto di pensiero, che non esisterebbe se non accadesse realmente il fatto che sia pensato e che esiste realmente unicamente nell' ambito del pensiero come suo contenuto (es.: un ippogrifo)".

Se si considera la caratteristica del tutto peculiare di un certo genere di eventi reali, i pensieri (concetti, predicati, discorsi teorie, ecc.), i quali, oltre ad essere reali "di per sé" come tutti gli altri eventi, come tutti gli eventi genericamente intesi, inoltre significano (connotano) altri da loro stessi diversi enti o eventi, dei quali non necessariamente accadono realmente (avverbio pleonastico) anche denotazioni reali.
Ma ho forse detto che la realtà esiste solo come prodotto del pensiero? Mi pare l'esatto contrario, ho affermato che la realtà proprio in quanto ci si presenta come rappresentazione mentale (comunque, anche quando dici che il monte Cervino c'è anche se non lo si percepisce, contraddicendo l'esse est percipi, stai dando una rappresentazione mentale di quel monte) falsifica non una fantomatica "realtà assoluta", ma quell'evento che accade. La realtà assoluta sono d'accordissimo con te a lasciarla stare, perché non la possiamo né vedere né concepire e nemmeno avvicinare più o meno e questo per il fatto banale che ne facciamo parte, quindi non possiamo porci all'esterno di essa per darci un attimo un'occhiata e dire com'è. Quello che diciamo parla solo dei significati delle cose ("cavallo" è significato di qualcosa che accade) e i significati non sono le cose, ma solo segni che per dirceli traduciamo con altri segni vocali o grafici come qui, sperando risultino almeno un po' condivisibili in un senso che restituisce e mantiene il senso di noi stessi. 

sgiombo

#228
Citazione di: maral il 24 Febbraio 2017, 21:49:46 PM
Citazione di: sgiombo il 20 Febbraio 2017, 18:59:31 PM
Quel qualcosa di reale, se il predicato "esiste realmente un certo cavallo" è vero, era appunto il cavallo (successivamente) denotato dal concetto di "cavallo" (indipendentemente dal fatto che questa predicazione sia fatta "fra sé e sé" o sia manifestata e condivisa pubblicamente; la qual cosa può casomai aumentare la fondatezza o la credibilità del predicato, in virtù dell' intersoggettività dell' osservazione che ne può dare conferma, ma non la sua verità).
Ma non c'è nessun cavallo, c'è qualcosa che sta accadendo e in questo qualcosa non c'è ancora né un soggetto (ad esempio tu che vedi il cavallo) né un oggetto (appunto il cavallo).
CitazioneTi raccomando, quando vedi un cavallo e dunque secondo te "non c' é nessun cavallo reale", di non innervosire il cavallo per te inesistente e comunque di stare alla larga dalle sue "inesistenti" zampe posteriori: conosco persone (esistenti) che si sono prese terribili calcioni (reali) da cavalli reali.





Quando il cavallo appare come significato di questo accadere, appare anche il significato di te come soggetto, ma quello che è accaduto non c'è più. Quando il significato "cavallo" appare (che, ripeto non è ciò che originariamente è accaduto, ma l'evocazione di quel qualcosa che è originariamente accaduto) allora vale la coerenza di ciò che dici ed entra in gioco il potere denotativo del linguaggio, che non denota però quello che realmente è accaduto, ma il significato di ciò che è accaduto, riferendolo a te come soggetto che nell'accadere immediato e originario non c'eri.
CitazioneSe intendi dre che esistenza reale del cavallo e pensiero reale del cavallo sono due diversi fatti reali sono d' accordo.
Ma per definizione sei il predicato (reale) "esiste questo cavallo" é vero, allora esiste realmente anche questo cavallo.
A un bambino che non ha mai visto un cavallo, ad esempio un bambino molto piccolo, puoi essere sicuro che il cavallo non appare come a te, perché non ne ha il significato che ne hai tu e il significato che vedi tu che intendi la parola "cavallo" per come essa è divenuta contrassegno evocativo di tutta una serie di esperienze che hai vissuto non è quello che vede lui pur essendo per entrambi assolutamente reale. E quello che sente lui che non vede distinguendoli né un cavallo né se stesso soggetto di quel vedere, non è per nulla meno reale di quello che vedi tu in tutta chiarezza, ossia che ci sei tu con davanti, ben distinto e separato, un bel cavallo.
CitazioneChe di enti ed eventi reali si possano dare interpretazioni diverse e più o meno vere, avere conoscenze vere più o meno limitate, illusorie convinzioni più o meno false non fa sì che enti ed eventi reali (i soliti cavalli) siano tali nello stesso modo (illusorio) in cui lo sono enti ed eventi di fantasia (i soliti ippogrifi).




CitazioneNo, guarda che se la passerella è un' allucinazione, allora non c' è "mantenersi nei pressi del proprio saper vivere pur volendolo conoscere", non c' è "costruzione della propria conoscenza (so di sapere) per poterla sempre decostruire (non so di sapere)" che tenga: se si pretende di andare al centesimo piano del grattacielo di fronte ci si sfracella inesorabilmente; solo se la passerella è reale, si può sperare di arrivarci sani e salvi (a parte eventuali incidenti di percorso).
L'allucinazione la valuti tale dall'esterno, in ragione dei significati che richiamano le tue esperienze che sono state condivise e riflesse da altri soggetti. In ogni caso non c'è proprio nessuna passerella in sé, c'è qualcosa che accade e che significa: sono una passerella, ci sono io e ci sei tu, se vuoi puoi usarmi per passare oltre". Nessuna allucinazione il soggetto la intende come qualcosa di inesistente (nessun soggetto ha mai pensato: questa passerella è un'allucinazione, ma ci passo sopra lo stesso), sono gli altri che non vedendo alcun accaduto che abbia il significato di passerella pensano che la tua sia un'allucinazione.
Solo in funzione di una diversa esperienza dei significati si può parlare di allucinazioni, non di cose di per se stesse reali o meno, perché quello che effettivamente sperimentiamo è l'accadere di qualcosa che si rappresenta in forma di significato riflesso alla luce di esperienze di prassi fatte con altri e condivise con altri grazie alle quali abbiamo imparato a conoscere e a muoverci nel mondo in un modo che si ritiene affidabile, ossia in generale prevedibilmente sicuro. Al di fuori di questa condivisibilità non c'è nessuna realtà "esterna" a cui si abbia accesso.
CitazionePurtroppo invece ci sono state (realmente) persone (sotto allucinogeni) che hanno avuto allucinazioni di passerelle fra la finestra al centesimo piano del loro grattacielo e quella dell' edificio di fronte e hanno cercato di passarci su; e poiché purtroppo, malgrado qualsiasi possibile "diversa esperienza dei significati che si rappresenta in forma di significato riflesso alla luce di esperienze di prassi fatte con altri e condivise con altri, ecc.", passerelle reali e passerelle immaginarie non sono affatto entrambe "qualcosa che accade e che significa: sono una passerella, ci sono io e ci sei tu, se vuoi puoi usarmi per passare oltre", ma lo sono solo quelle reali, si sono inesorabilmente schiantate al suolo (un po' come -ma con conseguenze reali ben più gravi- quelli che credendo allucinatori dei cavalli reali si sono beccati dei terribili calcioni).




CitazioneLa discussone secondo me potrebbe (in teoria; e "salvo imprevisti o complicazioni") svolgersi comprensibilmente e non come un dialogo fra sordi (ma evidentemente di fatto ci sono "imprevisti o complicazioni") se invece del concetto alquanto problematico di "realtà assoluta" ci si limitasse a considerare quelli di "realtà in quanto oggetto -ente o evento- che esiste o diviene indipendentemente dall' eventuale accadere realmente anche del fatto che sia pensato o meno (es.: il cavallo di mio nonno)" e "realtà unicamente in quanto oggetto di pensiero, che non esisterebbe se non accadesse realmente il fatto che sia pensato e che esiste realmente unicamente nell' ambito del pensiero come suo contenuto (es.: un ippogrifo)".

Se si considera la caratteristica del tutto peculiare di un certo genere di eventi reali, i pensieri (concetti, predicati, discorsi teorie, ecc.), i quali, oltre ad essere reali "di per sé" come tutti gli altri eventi, come tutti gli eventi genericamente intesi, inoltre significano (connotano) altri da loro stessi diversi enti o eventi, dei quali non necessariamente accadono realmente (avverbio pleonastico) anche denotazioni reali.
Ma ho forse detto che la realtà esiste solo come prodotto del pensiero?
CitazioneMi sembra proprio di sì!

Mi pare l'esatto contrario, ho affermato che la realtà proprio in quanto ci si presenta come rappresentazione mentale (comunque, anche quando dici che il monte Cervino c'è anche se non lo si percepisce, contraddicendo l'esse est percipi, stai dando una rappresentazione mentale di quel monte) falsifica non una fantomatica "realtà assoluta", ma quell'evento che accade. La realtà assoluta sono d'accordissimo con te a lasciarla stare, perché non la possiamo né vedere né concepire e nemmeno avvicinare più o meno e questo per il fatto banale che ne facciamo parte, quindi non possiamo porci all'esterno di essa per darci un attimo un'occhiata e dire com'è. Quello che diciamo parla solo dei significati delle cose ("cavallo" è significato di qualcosa che accade) e i significati non sono le cose, ma solo segni che per dirceli traduciamo con altri segni vocali o grafici come qui, sperando risultino almeno un po' condivisibili in un senso che restituisce e mantiene il senso di noi stessi.
CitazioneGiusta osservazione.
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").

Aggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
r

maral

Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Mi limito a queste tue ultime affermazioni che penso ci consenta di capirci meglio. Io penso che ogni evento sia reale e ogni evento ci coinvolge nel suo significare che appunto è la manifestazione di quelle relazioni, ma questo significare (l'essere il monte Cervino di quell'evento o l'essere un cavallo di quell'altro evento) non si riferisce a un monte Cervino o a un cavallo in sé reale, ma appunto a quell'evento nel contesto in cui si manifesta e che ha il senso di reale nella misura in cui esso può venire condiviso tra tutti i soggetti che lo vivono. Questa condivisibilità non nasce dal nulla, non è arbitraria, ma è il risultato di quello che sappiamo fare insieme agli altri, è il risultato del nostro saper vivere nel mondo che precede la coscienza che abbiamo di esso e la determina, di un saper vivere che viene prima di qualsiasi conoscenza che sa di cavalli, di montagne e anche di ippogrifi, perché è la matrice di ogni immagine e significato nella sua relativa parzialità.

Aggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.[/quote]
Ecco, proprio questo ripetersi regolare di certi accadimenti "in modo da tutti constatabile" nel mondo in cui insieme si interagisce vivendo che ci dà il senso di realtà di quello che accade e ci rassicura sulla sua prevedibilità consistente. L'esperienza della realtà è in ciò che per tutti dura e a cui insieme si può dare affidamento, non è nell'essere un cavallo o un ippogrifo la differenza tra realtà e un'allucinazione, ma è appunto ne potersi produrre di significati condivisibili, prevedibili e ripetibili per quello che il contesto in cui abbiamo imparato a vivere lo permette.
La conoscenza scientifica si basa su un metodo che definisce in che modo si possono costruire questi contesti affinché ciò che vi appare possa apparire da tutti condiviso in modo ripetibile come se il soggetto con la sua aleatorietà non vi fosse (o fosse un soggetto del tutto sovraindividuale e collettivo), essa quindi non vede la realtà, ma la costruisce artificialmente nel modo più efficace per tutti coloro che ne apprendono e ne seguono i metodi.

maral

#230
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Sono d'accordo, ma quello che è in sé e con cui veniamo a essere in relazione non è un monte Cervino in sé o un cavallo in sé, ma l'accadere di qualcosa il cui significa si presenta come monte Cervino o come cavallo non in modo arbitrario, ma in relazione di un contesto stabilito dal nostro saper vivere in modo condiviso con altri, fatto di prassi condivise nel tempo e nel luogo in cui ci si trova a vivere sapendo vivere ben prima del sapere di vivere, ben prima cioè di conoscere cosa è il monte Cervino o cosa sono i cavalli.  

CitazioneAggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
La differenza tra ciò che ci appare reale e ciò che ci appare come sogno o allucinazione, sta appunto, come giustamente dici, nella regolarità intersoggettiva di quello che ci si manifesta, una regolarità che costituisce proprio in quanto tale la base solida di una prevedibilità attendibile e condivisibile. Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, ma si presenta in relazione alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive.
La conoscenza scientifica permette di costruire dei contesti di condivisione in modo particolarmente efficace proprio perché esclude l'aleatorietà della componente soggettiva espressa nei significati trasformando il soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato nel modo di operare e tradurre ciò che osserva in dati. Istituendo prassi di conoscenza comuni e condivise la scienza non rileva il mondo com'è, ma viene continuamente a costruire e ricostruire un mondo sempre più condivisibile tra tutti i soggetti che usano correttamente le procedure. In questo mondo ciò che la scienza vede non è "la realtà" in sé di ciò che accade, ma la selezione di quei significati che verifica ripetibilmente come condivisi da ogni osservatore. In tal modo essa ricrea artificialmente il mondo nel suo significare per renderlo ripetibile e condivisibile, per trasformarlo in un dato oggettivo che è sempre ben diverso da ciò di cui facciamo effettiva esperienza, ma che può apparire come la realtà fondamentale, reale in quanto oggettiva di ciò di cui facciamo esperienza.

sgiombo

Citazione di: maral il 27 Febbraio 2017, 22:33:38 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Mi limito a queste tue ultime affermazioni che penso ci consenta di capirci meglio. Io penso che ogni evento sia reale e ogni evento ci coinvolge nel suo significare che appunto è la manifestazione di quelle relazioni, ma questo significare (l'essere il monte Cervino di quell'evento o l'essere un cavallo di quell'altro evento) non si riferisce a un monte Cervino o a un cavallo in sé reale, ma appunto a quell'evento nel contesto in cui si manifesta e che ha il senso di reale nella misura in cui esso può venire condiviso tra tutti i soggetti che lo vivono. Questa condivisibilità non nasce dal nulla, non è arbitraria, ma è il risultato di quello che sappiamo fare insieme agli altri, è il risultato del nostro saper vivere nel mondo che precede la coscienza che abbiamo di esso e la determina, di un saper vivere che viene prima di qualsiasi conoscenza che sa di cavalli, di montagne e anche di ippogrifi, perché è la matrice di ogni immagine e significato nella sua relativa parzialità.
CitazioneDissento completamente.
A significare sono solo taluni determinati enti o eventi fenomenici (esse st percipi!) che diconsi "simboli" (parole, segnali stradali, icone dei desktop dei computer, ecc.) e non gli enti ed eventi fenomenici in generale.
E mentre il monte Cervino è reale in quanto cosa (montagna) indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (come montagna fenomenica allorché è percepita; come potenziale manifestazione fenomenica intersoggettiva che, salvo che sia coperto da nuvole reali, si attua nella coscienza di chiunque, non cieco vada a Zermatt e guardi verso sudest o a Valtournanche e guardi verso nordest), invece l' ippogrifo Pegaso può esistere solo come concetto, contenuto di pensiero in un pensiero pensato, detto, letto, udito o scritto oppure come dipinto o scultura o armamentario teatrale.
C' è una bella differenza!
La stessa che c'é fra una passerella reale che mi consente di andare sull' altro grattacielo senza sfracellarmi e una allucinatoria che mi fa sfracellare: dimmi se è poco!
Che per intenderci si ci deve accordare socialmente sui simboli usati per comunicare è ovvio ma irrilevante: non salverà certamente nessuno dallo sfracellarsi se ha l' allucinazione della passerella e pensa di usarla!
E contrariamente alle pretese e aspirazioni del potere capitalistico attuale (e di altri passati altrettanto oppressivi e antidemocratici) non c' è convenzione sociale più o meno spontanea od imposta che trasformi le falsità ideologiche in verità, ciò che i potenti millantano in realtà: per questo servo panem et circenses, preti (un tempo) e giornalisti (oggi)!


Aggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
Ecco, proprio questo ripetersi regolare di certi accadimenti "in modo da tutti constatabile" nel mondo in cui insieme si interagisce vivendo che ci dà il senso di realtà di quello che accade e ci rassicura sulla sua prevedibilità consistente. L'esperienza della realtà è in ciò che per tutti dura e a cui insieme si può dare affidamento, non è nell'essere un cavallo o un ippogrifo la differenza tra realtà e un'allucinazione, ma è appunto ne potersi produrre di significati condivisibili, prevedibili e ripetibili per quello che il contesto in cui abbiamo imparato a vivere lo permette.
La conoscenza scientifica si basa su un metodo che definisce in che modo si possono costruire questi contesti affinché ciò che vi appare possa apparire da tutti condiviso in modo ripetibile come se il soggetto con la sua aleatorietà non vi fosse (o fosse un soggetto del tutto sovraindividuale e collettivo), essa quindi non vede la realtà, ma la costruisce artificialmente nel modo più efficace per tutti coloro che ne apprendono e ne seguono i metodi.
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CitazioneMa che c' entrano i significati condivisibili?
Cervino e cavalli si ripetono regolarmente di fatto, indipendentemente dal fatto che siano inoltre pensati o meno, in quanto accadimenti reali in modo da tutti constatabile (senza virgolette; salvo difetti degli organi di senso o impedimenti altrettanto reali) nel mondo in cui insieme si interagisce vivendo; gli ippogrifi neanche per sogno (...anzi: proprio unicamente "per sogno")!
L'esperienza della realtà è in ciò che per tutti dura e a cui insieme si può dare affidamento, il che accade de- (l' essere un) cavallo e non de- (-l' essere) un ippogrifo, che é la differenza tra la realtà e un'allucinazione; ma il potersi produrre di significati condivisibili permette di pensare e comunicare (anche ciò che non è reale), mentre l' accadere reale è proprio soltanto di enti ed eventi (intersoggettivi) prevedibili e ripetibili in determinate circostanze per tutti gli osservatori "adeguati", indipendentemente da quello che é il contesto in cui abbiamo imparato a vivere (un selvaggio che non abbia mai abbandonato una foresta senza strade percorribile solo a piedi se un bel giorno giunge in città vede benissimo macchine e camion (e per fortuna, perché se la loro realtà dipendesse solo dal suo proprio contesto culturale, da ciò che consce, ne finirebbe travolto).

sgiombo

Citazione di: maral il 27 Febbraio 2017, 23:13:51 PM
Citazione di: sgiombo il 24 Febbraio 2017, 22:47:21 PM
Quando dico che il Cervino c' é anche quando non lo vedevo perché non c' ero intendo non letteralmente le percezioni fenomeniche che lo costituiscono, ma invece qualcosa di in sé che ad esse corrisponde biunivocamente e la cui realtà é necessario sia in determinate relazioni con quella dei soggetti di esperienza affinché questi abbiano l' esperienza del (=accada nella loro coscienza l' esistenza del) Cervino.

Però quello che diciamo parla anche (non sempre; a volte sì, a volte no, a seconda dei casi) di enti ed eventi reali, significati dai concetti che li denotano (il cavallo reale dal concetto del "cavallo reale").
Sono d'accordo, ma quello che è in sé e con cui veniamo a essere in relazione non è un monte Cervino in sé o un cavallo in sé, ma l'accadere di qualcosa il cui significa si presenta come monte Cervino o come cavallo non in modo arbitrario, ma in relazione di un contesto stabilito dal nostro saper vivere in modo condiviso con altri, fatto di prassi condivise nel tempo e nel luogo in cui ci si trova a vivere sapendo vivere ben prima del sapere di vivere, ben prima cioè di conoscere cosa è il monte Cervino o cosa sono i cavalli.  

CitazioneQuello che è reale e con cui veniamo ad essere in relazione sono le sensazioni fenomeniche che costituiscono Cervino e cavalli (fenomenici in quanto enti ed eventi reali; indipendentemente dall' essere eventualmente pure pensati) e non affatto ippogrifi (fenomenici unicamente in quanto pensati, contenuti di pensiero, immaginazione); e questo del tutto indipendentemente dal modo di vivere e da prassi condivise o meno da chiunque (altrimenti il selvaggio appena arrivato in città potrebbe tranquillamente attraversare incolume "col rosso" la strada affollatissima percorsa da auto e camion a tutta velocità!


CitazioneAggiunta"del giorno dopo":
Ripensandoci (la notte porta consiglio) ho quasi l' impressione che il tuo sia un modo di dire sostanzialmente le stesse cose che penso io ma con un linguaggio forzatamente "tecnico" (proprio forse di qualche scuola filosofica attuale) a cui mi sembri molto affezionato.

Non ho mai negato, anzi ho sempre baldanzosamente affermato (mi piace molto scandalizzare i ben pensanti in tutti i campi) che "esse est percipi" (Berkeley) e dunque le cose come il monte Cervino esistono realmente solo in quanto sono percepite (allorché e fintanto che accadono le sensazioni da cui unicamente sono costituiti).

Però, se é vera la conoscenza scientifica (come credo di fatto) c' é una bella differenza fra sogni, allucinazioni, fantasie (artistiche o meno) da una parte e realtà "autentica" (materiale) dall' altra: questa si può ammettere (non dimostrare né tantomeno mostrare) che sia intersoggettiva e accada con una certa regolarità e costanza in determinate circostanze in modo da tutti constatabile (verificabile); mentre quelle (pur essendo ugualmente fenomeniche) accadono solo soggettivamente e in certe circostanze particolari (sonno, allucinazioni, ispirazione artistica, ecc.) non essendo possible rilevarne la conformità con (integrarle ne-) la "concatenazione causale (considerabile propria, sia pure indimostrabilmente: Hume!)" della realtà (materiale) autentica, cosicché non subiscono le trasformazioni naturali proprie di essa ma semplicemente vengono immediatamente, "automaticamente" meno ("di punto in bianco") al venir meno delle condizioni oniriche, allucinatorie o fantastiche in cui (realmente; ma in quanto tali: sogni, ecc.) accadono.
La differenza tra ciò che ci appare reale e ciò che ci appare come sogno o allucinazione, sta appunto, come giustamente dici, nella regolarità intersoggettiva di quello che ci si manifesta, una regolarità che costituisce proprio in quanto tale la base solida di una prevedibilità attendibile e condivisibile. Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, ma si presenta in relazione alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive.
La conoscenza scientifica permette di costruire dei contesti di condivisione in modo particolarmente efficace proprio perché esclude l'aleatorietà della componente soggettiva espressa nei significati trasformando il soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato nel modo di operare e tradurre ciò che osserva in dati.

Citazione 
Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, perché si presenta del tutto indipendentemente alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive (altrimenti ai tempi dell' antica Roma sarebbero stati reali Giove, Saturno, Venere, chimere, centauri, ecc.
La conoscenza scientifica, contrariamente alla narrativa e alla poesia non costruisce trame e racconti arbitrari, ma ipotizza teorie e le sottopone a verifica (o meglio falsificazione) empirica, osservativa diretta o sperimentale.
L' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale non la costruisce la scienza trasformando il soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato, ma la presuppone come reale.

Istituendo prassi di conoscenza comuni e condivise la scienza non rileva il mondo com'è, ma viene continuamente a costruire e ricostruire un mondo sempre più condivisibile tra tutti i soggetti che usano correttamente le procedure. In questo mondo ciò che la scienza vede non è "la realtà" in sé di ciò che accade, ma la selezione di quei significati che verifica ripetibilmente come condivisi da ogni osservatore. In tal modo essa ricrea artificialmente il mondo nel suo significare per renderlo ripetibile e condivisibile, per trasformarlo in un dato oggettivo che è sempre ben diverso da ciò di cui facciamo effettiva esperienza, ma che può apparire come la realtà fondamentale, reale in quanto oggettiva di ciò di cui facciamo esperienza.
CitazioneMa toh!, sorpresa!
Non ti facevo scientista! Non ti credevo uno che attribuisce alla scienza l' onnipotenza!

maral

Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 08:44:10 AM

Quello che è reale e con cui veniamo ad essere in relazione sono le sensazioni fenomeniche che costituiscono Cervino e cavalli (fenomenici in quanto enti ed eventi reali; indipendentemente dall' essere eventualmente pure pensati) e non affatto ippogrifi (fenomenici unicamente in quanto pensati, contenuti di pensiero, immaginazione); e questo del tutto indipendentemente dal modo di vivere e da prassi condivise o meno da chiunque (altrimenti il selvaggio appena arrivato in città potrebbe tranquillamente attraversare incolume "col rosso" la strada affollatissima percorsa da auto e camion a tutta velocità!
Sgiombo, cavalli, ippogrifi e montagne sono tutti traduzioni di significati il cui senso realtà fenomenica è dato dal rinforzo che queste immagini acquistano da prassi ancestrali condivise del mondo in cui si vive diventando abitudini e automatismi interpretativi di cui non ci rendiamo normalmente più conto. E' proprio per questo che il selvaggio non può in città attraversare con il rosso, il significato del rosso è proprio nel contesto in cui ora si trova e deve imparare a tenerne conto se vuole vivere lì, in quel contesto. I significati, in qualsiasi forma si presentino, riflettono sempre aspetti del tutto reali dei contesti in cui viviamo, ma non valgono allo stesso modo in ogni contesto poiché ogni contesto li produce in modo diverso.


Citazione
Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, perché si presenta del tutto indipendentemente alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive (altrimenti ai tempi dell' antica Roma sarebbero stati reali Giove, Saturno, Venere, chimere, centauri, ecc.
E infatti lo erano, ma non in senso oggettivo come la scienza si illude oggi debba essere la realtà. Lo erano nella misura in cui quei contesti li presentavano come significati veri di quello che realmente accadeva. E vale lo stesso anche per noi al giorno d'oggi, la nostra conoscenza scientifica è vera in relazione a un contesto condiviso di prassi e modi di conoscere, non certo in termini assoluti validi da sempre e per sempre. Qualsiasi verifica vale fatti salvi i contesti e gli strumenti che ne istituiscono i parametri di validità, e quindi i significati, non c'è alcuna verifica assoluta, non è che quando verifichiamo qualcosa usciamo dal mondo in cui ci troviamo per vedere le cose in sé. Ogni verifica è sempre mediata da significati culturali che ne istituiscono il valore e la significatività., non ci sono verifiche dirette se non in ciò che immediatamente accade di sentire (ma ciò che immediatamente sentiamo in misura soggettiva e intersoggettiva in genere è colto ben più dalla poesia e dall'arte che dalla scienza)
CitazioneL' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale non la costruisce la scienza trasformandoil soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato, ma la presuppone come reale.
L'intersoggettività non la inventa la scienza, ma è data da prassi condivise, dagli stessi modi di agire nel mondo a cui partecipiamo e quindi di trovarci e di sentirci. La scienza stabilisce con estremo rigore, attraverso gli strumenti che si interpongono tra osservatore e osservato, questi modi con cui è lecito guardare il mondo per vedere tutti lo stesso mondo in modo ripetibile e oggettivo e considerare questo mondo così costruito la realtà.


CitazioneMa toh!, sorpresa!
Non ti facevo scientista! Non ti credevo uno che attribuisce alla scienza l' onnipotenza!
Infatti la scienza non è onnipotente, ma mette in scena la rappresentazione che meglio illude di potenza di tutte quelle che l'umanità fino a oggi ha saputo costruire. Non c'è dubbio che la mitologia della conoscenza tecnico scientifica sbaraglia di gran lunga ogni altra mitologia che fino a oggi l'umanità abbia conosciuto.


maral

Inserisco uno schema per meglio chiarire il discorso (cliccandoci sopra si vede ingrandita)

L'area arancione a sinistra della figura possiamo considerarla come l'area di ciò che è reale in cui si sviluppa l'esistenza (che sa in quanto esiste, ma non sa di sapere) indicata dalla linea gialla punteggiata. Su questa linea qualcosa realmente accade come momento di discontinuità  che genera un'immagine nella zona di colore sfumato. Nell'immagine non c'è ancora né un soggetto né un oggetto, essa è il segno originario di una relazione che si sviluppa nelle polarità di oggetto (che cosa è accaduto) e soggetto (a chi è accaduto) nella parte azzurra a destra della figura. Questa parte azzurra rappresenta l'area di ciò che veniamo a conoscere. Soggetto e oggetto che si trovano in essa collocati, sono quindi figure del conoscere, nella relazione che sempre li lega.
La presenza dell'oggetto, di ciò che intendiamo come oggetto reale, è data dal rinforzo proveniente dalla conoscenza condivisa (linea continua rossa nell'area blu), ossia le prassi che insieme seguiamo, il nostro modo di vedere le cose nel mondo in cui viviamo. Sono queste che ci danno il senso della realtà oggettuale, non quello che realmente accade nella zona arancione, sono le tracce e i resti di un enorme cammino di conoscenza che proviene dalle origini ancestrali dell'intero genere umano, dalla sua storia biologica che lo lega all'universo stesso e culturale. Esse identificano ciò che realmente è accaduto nel contesto che determinano e quindi il soggetto stesso a cui è accaduto, entrambi come significati estremi di una distanza che li mantiene in reciproca relazione. il soggetto che diventa così soggetto che conosce rientra nel cammino della conoscenza.
In realtà sia la linea gialla (linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale e in tal senso corrisponde al continuo accadere di nulla) che la linea rossa (linea della conoscenza) si implicano costantemente in un unico percorso, ma è solo lungo la conoscenza che qualcosa che esiste può apparire e venire identificato e condiviso in un significare che fa parte dei contesti di conoscenza, mentre è solo sulla linea gialla che quel qualcosa che si rivela in un significato esiste.
L'oggetto conosciuto non è pertanto mai l'accadimento reale, ma è il modo di manifestarsi significando dell'accadimento reale alla luce di una conoscenza condivisa in un contesto, quando è già accaduto.

sgiombo

Citazione di: maral il 28 Febbraio 2017, 14:16:38 PM
Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 08:44:10 AM

Quello che è reale e con cui veniamo ad essere in relazione sono le sensazioni fenomeniche che costituiscono Cervino e cavalli (fenomenici in quanto enti ed eventi reali; indipendentemente dall' essere eventualmente pure pensati) e non affatto ippogrifi (fenomenici unicamente in quanto pensati, contenuti di pensiero, immaginazione); e questo del tutto indipendentemente dal modo di vivere e da prassi condivise o meno da chiunque (altrimenti il selvaggio appena arrivato in città potrebbe tranquillamente attraversare incolume "col rosso" la strada affollatissima percorsa da auto e camion a tutta velocità!
Sgiombo, cavalli, ippogrifi e montagne sono tutti traduzioni di significati il cui senso realtà fenomenica è dato dal rinforzo che queste immagini acquistano da prassi ancestrali condivise del mondo in cui si vive diventando abitudini e automatismi interpretativi di cui non ci rendiamo normalmente più conto. E' proprio per questo che il selvaggio non può in città attraversare con il rosso, il significato del rosso è proprio nel contesto in cui ora si trova e deve imparare a tenerne conto se vuole vivere lì, in quel contesto. I significati, in qualsiasi forma si presentino, riflettono sempre aspetti del tutto reali dei contesti in cui viviamo, ma non valgono allo stesso modo in ogni contesto poiché ogni contesto li produce in modo diverso.
CitazioneSe questo significa che semafori reali, cavalli reali, montagne reali, passerelle reali  hanno, del tutto indipendentemente da qualsiasi -eventuale- espressione della cultura umana (prassi più o meno ancestrali, più o meno condivise, ecc.), una "qualità ontologica" (reale) completamente diversa da quella di ippogrifi, cavalli immaginari, montagne immaginarie e passerelle immaginarie (fantastica), allora sono d' accodo; altrimenti no.




Citazione
Questa regolarità condivisibile non è arbitraria, perché si presenta del tutto indipendentemente alle prassi esercitate insieme nel tempo e nel luogo in cui si vive (altrimenti ai tempi dell' antica Roma sarebbero stati reali Giove, Saturno, Venere, chimere, centauri, ecc.
E infatti lo erano, ma non in senso oggettivo come la scienza si illude oggi debba essere la realtà. Lo erano nella misura in cui quei contesti li presentavano come significati veri di quello che realmente accadeva. E vale lo stesso anche per noi al giorno d'oggi, la nostra conoscenza scientifica è vera in relazione a un contesto condiviso di prassi e modi di conoscere, non certo in termini assoluti validi da sempre e per sempre. Qualsiasi verifica vale fatti salvi i contesti e gli strumenti che ne istituiscono i parametri di validità, e quindi i significati, non c'è alcuna verifica assoluta, non è che quando verifichiamo qualcosa usciamo dal mondo in cui ci troviamo per vedere le cose in sé. Ogni verifica è sempre mediata da significati culturali che ne istituiscono il valore e la significatività., non ci sono verifiche dirette se non in ciò che immediatamente accade di sentire (ma ciò che immediatamente sentiamo in misura soggettiva e intersoggettiva in genere è colto ben più dalla poesia e dall'arte che dalla scienza)
Citazione A meno di non abbracciare lo scetticismo, che conseguentemente imporrebbe di tacere, se invece si ammette per vero il minimo indispensabile di indimostrabile né constatabile che comunemente si attribuisce a chiunque sia sano di mente e segue, più o meno criticamente, il senso comune, allora la scienza non si illude affatto circa l' oggettività del reale e la sua conoscenza da parte sua e (al contrario di: magia, alchimia, animismo, astrologia, olismi vari, tradizioni ancestrali varie, ecc., ecc., ecc.; compresa ovviamente la mitologia romana antica), bensì ne ha conoscenza, per quanto del tutto ovviamente relativa, limitata.


Se fossi coerente in questa credenza dovresti considerare illusori, fra le tantissime altre cose, che il tuo computer funzioni, sia collegato ad altri fra cui il mio e che ti permetta di comunicare con me e glia altri del forum, e dunque dovresti evitare di illuderti di farlo; a meno che, contrariamente a me,  non pensi  facendolo che ti stai semplicemente abbandonando a una serie di fantasie irreali, tanto per rilassarti (personalmente credo invece di stare cercando di aumentare, nei limiti del possibile, la mia comprensione di me e del mondo in cui mi trovo, per cui se le cose stessero veramente così ti pregherei di dirmelo esplicitamente onde evitare di farmi perdere del temo, avendo io altri modi di rilassarmi quando necessario).
 
Per verificare qualcosa (di fenomenico: sinteticamente a posteriori; o di logico: analiticamente a priori) non c' è alcun bisogno di uscire dal mondo in cui ci troviamo per vedere le cose in sé; nel primo caso è anzi necessario starci (e ovviamente tenere conto del nostro starci).
 
Il modo di cogliere (meglio) le cose proprio della poesia e dell' arte ad una parte e e quello di cogliere (meglio) le cose proprio della scienza dall' altra sono completamente diversi e validi ciascuno nel suo ben diverso ruolo (a meno di confondere ippogrifi e cavalli reali: la notte hegeliana).

CitazioneL' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale non la costruisce la scienza trasformandoil soggetto individuale in un soggetto collettivo rigorosamente uniformato, ma la presuppone come reale.
L'intersoggettività non la inventa la scienza, ma è data da prassi condivise, dagli stessi modi di agire nel mondo a cui partecipiamo e quindi di trovarci e di sentirci. La scienza stabilisce con estremo rigore, attraverso gli strumenti che si interpongono tra osservatore e osservato, questi modi con cui è lecito guardare il mondo per vedere tutti lo stesso mondo in modo ripetibile e oggettivo e considerare questo mondo così costruito la realtà.
CitazioneL' intersoggettività scientifica (e di tante altre cose della normale esperienza) non è affatto data da prassi condivise, dagli stessi modi di agire nel mondo a cui partecipiamo e quindi di trovarci e di sentirci: si può recitare collettivamente l' Orlando Furioso in centomila persone e all' ippogrifo Pegaso non si conferisce comunque alcuna intersoggettività scientifica (né meramente empirica-episodica-aneddottica).
 
L' intersoggettività dei fenomeni materiali è invece postulata (consapevolmente o meno da parte chi la pratica) dalla scienza.
 
Se si vede tutti lo stesso mondo in modo ripetibile e oggettivo, allora questo mondo non è arbitrariamente costruito come oggetto di fantasia (sia pure collettivamente condivisa) ma invece reale e intersoggettivo.




CitazioneMa toh!, sorpresa!
Non ti facevo scientista! Non ti credevo uno che attribuisce alla scienza l' onnipotenza!
Infatti la scienza non è onnipotente, ma mette in scena la rappresentazione che meglio illude di potenza di tutte quelle che l'umanità fino a oggi ha saputo costruire. Non c'è dubbio che la mitologia della conoscenza tecnico scientifica sbaraglia di gran lunga ogni altra mitologia che fino a oggi l'umanità abbia conosciuto.
Citazione Credo che ci siano mitologie ben più strampalate e anche di fatto più diffuse nel mondo di quelle scientistiche (quanta gente legge gli oroscopi, gira se vede un gatto nero, fa le corna o si tocca i coglioni se vede un carro funebre!).
Le quali peraltro sono tutt' altra cosa dell' intersoggettiva conoscenza scientifica!

sgiombo

Citazione di: maral il 28 Febbraio 2017, 16:36:35 PM
Inserisco uno schema per meglio chiarire il discorso (cliccandoci sopra si vede ingrandita)

L'area arancione a sinistra della figura possiamo considerarla come l'area di ciò che è reale in cui si sviluppa l'esistenza (che sa in quanto esiste, ma non sa di sapere) indicata dalla linea gialla punteggiata. Su questa linea qualcosa realmente accade come momento di discontinuità  che genera un'immagine nella zona di colore sfumato. Nell'immagine non c'è ancora né un soggetto né un oggetto, essa è il segno originario di una relazione che si sviluppa nelle polarità di oggetto (che cosa è accaduto) e soggetto (a chi è accaduto) nella parte azzurra a destra della figura. Questa parte azzurra rappresenta l'area di ciò che veniamo a conoscere. Soggetto e oggetto che si trovano in essa collocati, sono quindi figure del conoscere, nella relazione che sempre li lega.
La presenza dell'oggetto, di ciò che intendiamo come oggetto reale, è data dal rinforzo proveniente dalla conoscenza condivisa (linea continua rossa nell'area blu), ossia le prassi che insieme seguiamo, il nostro modo di vedere le cose nel mondo in cui viviamo. Sono queste che ci danno il senso della realtà oggettuale, non quello che realmente accade nella zona arancione, sono le tracce e i resti di un enorme cammino di conoscenza che proviene dalle origini ancestrali dell'intero genere umano, dalla sua storia biologica che lo lega all'universo stesso e culturale. Esse identificano ciò che realmente è accaduto nel contesto che determinano e quindi il soggetto stesso a cui è accaduto, entrambi come significati estremi di una distanza che li mantiene in reciproca relazione. il soggetto che diventa così soggetto che conosce rientra nel cammino della conoscenza.
In realtà sia la linea gialla (linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale e in tal senso corrisponde al continuo accadere di nulla) che la linea rossa (linea della conoscenza) si implicano costantemente in un unico percorso, ma è solo lungo la conoscenza che qualcosa che esiste può apparire e venire identificato e condiviso in un significare che fa parte dei contesti di conoscenza, mentre è solo sulla linea gialla che quel qualcosa che si rivela in un significato esiste.
L'oggetto conosciuto non è pertanto mai l'accadimento reale, ma è il modo di manifestarsi significando dell'accadimento reale alla luce di una conoscenza condivisa in un contesto, quando è già accaduto.
CitazioneNon c' era bisogno di questo schema per ribadire che non distingui (= letteralmente confondi) esperienze reali e costrutti immaginari, oggetti di esperienze reali (cavalli) e oggetti di fantasia (ippogrifi), che infatti collochi entrambi in quella "notte hegeliana" che chiami "oggetto" (tanto di fantasia quanto di autentica esperienza, indifferentemente: tutti neri, come le vacche di notte sembrano; ma non sono).

maral

Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 18:00:19 PM
Non c' era bisogno di questo schema per ribadire che non distingui (= letteralmente confondi) esperienze reali e costrutti immaginari, oggetti di esperienze reali (cavalli) e oggetti di fantasia (ippogrifi), che infatti collochi entrambi in quella "notte hegeliana" che chiami "oggetto" (tanto di fantasia quanto di autentica esperienza, indifferentemente: tutti neri, come le vacche di notte sembrano; ma non sono).
Li distinguo perfettamente invece, ma so di non essere io a distinguerli, bensì il contesto in cui vivo che determina, in base al significato condiviso delle esperienze quali significati possono apparire reali e quali no. Sono i contesti che dà a ogni vacca il suo diverso colore, non le "vacche in sé".

Phil

@maral
Quando la filosofia usa immagini esplicative, la trovo sempre molto intrigante... per questo, pur non avendo avuto modo di seguire la discussione sovrastante, chiedo delucidazioni sullo schema:

- se ho ben capito, la zona sfumata è quella in cui si arresta lo scettico (che mette in dubbio l'esistenza della zona arancione e della linea gialla); lo schema stesso presuppone tuttavia che la zona arancione sia attingibile, e per questo raffigurabile nello schema, contraddicendo l'ipotesi secondo cui il soggetto ragiona e conosce solo all'interno della zona blu... il filo giallo è dunque un'ipotesi teoretica o lo prendiamo come assioma anapodittico (innescando tutti i problemi tipici del noumeno e suoi simili)? 
Detto altrimenti, se la linea gialla "corrisponde al continuo accadere di nulla"(cit.) poiché è la "linea dell'esistenza che non possiamo vedere come tale"(cit.) come possiamo parlarne e ragionarci?

- in che senso "l'esistenza sa in quanto esiste, ma non sa di sapere" (cit.)? Il sapere è proprio dell'uomo, ma non dell'esistenza, che è una condizione e in quanto tale, non pensa (così come l'accadere non filosofeggia, etc.)

- c'è una freccia che va da "immagine" a "soggetto"; è possibile per un'immagine avere senso per un soggetto senza che essa sia prima "oggetto"? Come può l'immagine "polarizzarsi" nel soggetto (vs oggetto) se il soggetto preesiste all'immagine (l'uomo che vede l'ippogrifo precede crono-logicamente l'immagine dell'ippogrifo) e se il soggetto può cogliere intelligibilmente solo oggetti (e non immagini)?

maral

Citazione di: sgiombo il 28 Febbraio 2017, 17:57:59 PM
Se questo significa che semafori reali, cavalli reali, montagne reali, passerelle reali  hanno, del tutto indipendentemente da qualsiasi -eventuale- espressione della cultura umana (prassi più o meno ancestrali, più o meno condivise, ecc.), una "qualità ontologica" (reale) completamente diversa da quella di ippogrifi, cavalli immaginari, montagne immaginarie e passerelle immaginarie (fantastica), allora sono d' accodo; altrimenti no.
La qualità ontologica diversa è il riflesso della diversità di contesto in cui ciò che accade si traduce in un significato più o meno condiviso.

CitazioneA meno di non abbracciare lo scetticismo, che conseguentemente imporrebbe di tacere, se invece si ammette per vero il minimo indispensabile di indimostrabile né constatabile che comunemente si attribuisce a chiunque sia sano di mente e segue, più o meno criticamente, il senso comune, allora la scienza non si illude affatto circa l' oggettività del reale e la sua conoscenza da parte sua e (al contrario di: magia, alchimia, animismo, astrologia, olismi vari, tradizioni ancestrali varie, ecc., ecc., ecc.; compresa ovviamente la mitologia romana antica), bensì ne ha conoscenza, per quanto del tutto ovviamente relativa, limitata.

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