Perché c’è qualcosa anziché il nulla?

Aperto da Vito J. Ceravolo, 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM

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Sariputra

#165
I momenti, o stadi, della dialettica possono trovare una specie di schema, che un pò rappresenta anche gli stadi dell'evoluzione della coscienza filosofica.
Per primo vi è il momento del dogmatismo, l'indulgere nella filosofia speculativa. Questa "naturale" disposizione metafisica dà vita a due o più sistemi filosofici. Sistemi che non sono semplicemente diversi, ma opposti e contrari uno all'altro; spiegano le cose da punti di vista in conflitto.. Poichè questo conflitto  non è di origine e di portata empirica diventiamo consapevoli della gravità del conflitto e pure sospettosi della pretesa del pensiero di darci la conoscenza della realtà. Nasce in questo modo la critica.
Il secondo momento nasce con la consapevolezza dell'illusione trascendentale, ossia la soggettività del pensiero. La critica dialettica mette in luce le pretese della ragione sèpeculativa e lo fa mettendo in evidenza la contraddizione interna presente in ogni opinione, con argomentazioni mediante riduzione all'assurdo. la critica è shunyata, negazione del pensiero come rivelatore del reale. Tutti i giudizi sono costruzioni del pensiero ( sia essere che non-essere, che né essere nè non essere, ecc.).
Il pensiero è soggettivo rispetto al reale. Se non vi fosse un incondizionato ( nirvikalpa, tattva o dharmata) però. a cui il pensiero non ha accesso, non potrebbe esservi nessuna coscienza della soggettività del pensiero. L'incondizionato trascende il pensiero; ma ci è certamente accessibile tramite l'intuizione.
La morte del pensiero è la nascita di prajna, conoscenza priva di distinzioni  (jnanam advayam). Per il madhyamika , la scomparsa effettiva e completa del pensiero ( il famoso Silenzio) è l'intuizione del reale.; questa intuizione non sorge da qualche luogo, ma è stata sempre presente. E' soltanto oscurata dal pensiero. nagarjuna dichiara chi non lo capisce come colui che non distingue tra verità incondizionata e verità convenzionale. L'assoluto non è quindi una realtà posta contro un'altra, l'empirico. L'assoluito visto attraverso le forme del pensiero è fenomeno ( samsara, lett. "coperto"). La differenza è epistemologica o soggettiva e non ontologica.
La coscienza filosofica giunge a frutto tramite l'azione del suo dinamismo interno, attraverso i tre momenti della dialettica: dogmatismo, critica ( shunyata) e intuizione ( prajna). Nella sua naturale utilizzazione la filosofia speculativa è dogmatica ( vari sistemi di pensiero). Si arriva inevitabilmente al conflitto e la filosofia diventa critica, autocosciente dei limiti e delle insufficienze della ragione (coscienza della relatività dei fenomeni). I fenomeni sono sunya, interdipendenti. La maturazione completa della critica porta come culmine all'intuizione del reale.
E' impossible negare che vi sia coscienza dell'intero processo ( dogmatismo-relativismo critico-intuizione del reale).

@Phil
Sono d'accordo su molto di quello che hai scritto. Ma un conto è un relativismo critico delle presunte verità dogmatiche metafisiche,quindi un processo dialettico di consapevolezza dei loro limiti.  Se questo è una posizione o una non-posizione è proprio un problema di logica, nemmeno importante e che penso si giochi soprattutto sul piano semantico del significato convenzionale dei termini. Un conto è invece una chiara posizione nichilistica per cui la non vi è nessuna necessità di andare oltre e si rimane nello stato di approssimazione perenne negando perfino di avere coscienza di vivere in uno stato di approssimazione, per non contraddire il relativismo assoluto...Penso che bisognerebbe stare alla larga da tutti gli estremi. estremi che poi finiscono per sortire gli stessi effetti pratici: la stasi, l'impossibilità di andare oltre. La metafisica dogmatica ferma nei suoi dogmi inossidabile e il relativismo assoluto fermo nella sua "raccolta di punti di vista".
Qui sopra ho portato un contributo di filosofia buddhista, non per affermare qualche presunta verità, ma per far capire che nella filosofia ci sono molte  strade diverse. Questa , per es. , si pone come tentativo ( che poi investe anche la pratica di vita ) di superare sia la metafisica dogmatica che il relativismo.

Ho scritto troppo, e male...pensare che mi ero proposto di non intervenire più nella sezione "giungla del teorizzare"... :( :(
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Duc in altum!

**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneMa perché non accontentarsi di affermazioni modeste, approssimative, aperte alla ricerca, come sono quelle della scienza? Perché questa voglia di onnipotenza?
Perché la scienza, da sola, come la metafisica, non rende felice nessuno, e perché nessuno può dimostrare che non siamo parte di una onnipotenza. Quindi speranza per speranza ognuno, inevitabilmente, fa la sua scelta.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

sgiombo

Come ci hanno mostrato Berkeley e soprattutto (in maniera più conseguente e non integrata da dogmi teistici) Hume, sottoponendo a critica razionale serrata le convinzioni dogmaticamente assunte dal senso comune, di tutto ciò che possiamo constatare empiricamente, di cui possiamo avere esperienza "esse est percipi": si tratta di insiemi e/o successioni di sensazioni, reali unicamente se e quando accadono ed esclusivamente in quanto tali (sensazioni o "fenomeni": dal greco "apparenze").
Contrariamente a quanto ingenuamente suggerisce il senso comune, non si tratta di oggetti reali anche allorché non accadono le sensazioni che li costituiscono, unicamente delle quali constano (e di nient' altro).
Questo vale tanto per le sensazioni (i fenomeni) esteriori o materiali (quelle che, se la scienza ci dice il vero, avvengono attraverso i cinque o sei o sette organi di senso e i numerosi recettori sparsi per il corpo: Berkeley!), quanto per le sensazioni interiori o mentali (Hume!): sia la luna allorché non la vedo non esiste (in quanto tale: corpo rotondo o variamente falciforme a seconda delle circostanze, di colore che va dall' arancione-quasi rosso al bianco passando per varie sfumature di giallo), sia la mia stessa mente allorché non avverto la mia "voce interiore" (i miei pensieri, ricordi, volizioni, sentimenti, ecc.) non esiste in quanto tale (sarebbe autocontraddittorio pretendere di affermarlo).
Se qualcosa esiste anche allorché (se e quando) non accadono sensazioni materiali o mentali, tale da spiegare il fatto (indimostrabile ma necessario come una conditio sine qua non perché sia possibile conoscenza scientifica vera: negando il quale, il pretendere di credere vera la conoscenza scientifica sarebbe autocontraddittorio, senza senso) che vi è una intersoggettività e relativa costanza nell' accadere realmente degli oggetti (enti ed eventi) materiali (insiemi e successioni di sensazioni "extensae", per dirlo a la Descartes: la luna, purché osservi "dal punto giusto" e "nella maniera giusta" la vede chiunque), nonché una certa relativa costanza di quelli mentali (l' "io" oggetto-soggetto dei miei pensieri, insieme e successione di sensazioni "cogitantes"), allora questo "qualcosa", per non cadere in contraddizione, non può dirsi essere costituito da sensazioni fenomeniche (la falce o il cerchio giallo o bianco o arancione che costituisce la -visione della-  luna, i vari pensieri, sentimenti, ecc. costituenti la -sensazione della- mia mente); altrimenti si pretenderebbe di dire che queste sensazioni (fenomeni) accadono realmente anche se e quando non accadono realmente.
Questo "qualcosa", onde non cadere in contraddizione, non può che essere ritenuto essere costituito da evenienze non fenomeniche sensibili bensì unicamente "congetturabili" (dal greco e a la Kant "noumena") reali "in sé" e non in quanto insiemi di sensazioni (materiali o mentali): si può congetturare che esista realmente qualcosa di "in sé" tale che allorché questo determinato "qualcosa" viene a trovarsi in determinate relazioni con certi determinati altri "qualcosa" accadono certe determinate sensazioni fenomeniche nell' ambito di certe determinate esperienze fenomeniche coscienti, e precisamente le sensazioni costituenti la luna; questo "qualcosa di in sé" è l' oggetto delle sensazioni fenomeniche della luna; quegli altri determinati "qualcosa di in sé" sono i soggetti delle sensazioni fenomeniche della luna (nell' ambito delle esperienze fenomeniche coscienti relative ai quali accadono le sensazioni esteriori materiali della luna, come eventi di coscienza biunivocamente corrispondenti al primo "qualcosa in sé" considerato -l' oggetto delle sensazioni materiali- e ai rapporti fra questo e i secondi, i soggetti delle sensazioni materiali). E allorché questi altri determinati "qualcosa di in sé" (soggetti di determinate esperienze fenomeniche coscienti) vengono a trovarsi in certe determinate relazioni con se stessi, allora in maniera biunivocamente corrispondente a questi secondi "qualcosa in sé" e a tali determinate relazioni di essi con se stessi -soggetti e oggetti delle sensazioni mentali- accadono le sensazioni mentali interiori dei propri pensieri, ricordi, sentimenti, ecc. nell' ambito delle rispettive esperienze fenomeniche coscienti.
In alternativa si potrebbe ipotizzare, onde credere coerentemente alla (indimostrabile) verità della conoscenza scientifica, una sorta di Leibniziana "armonia prestabilita" fra i "contenuti" fenomenici" sensibili (per lo meno di quelli materiali) delle varie esperienze coscienti; ipotesi che rovo alquanto vaga e confusa.
Né mi riesce di immaginare altre alternative in grado di spiegare: l' intersoggettività dei fenomeni materiali e il fatto che malgrado i suoi malintesi e le sue contraddizioni, a quanto pare il senso comune in pratica funziona correttamente circa le esperienze che si compiono, circa i rapporti fra pretesi oggetti di sensazioni identificati contraddittoriamente con le sensazioni materiali stesse e preteso e soggetto di esse identificato contraddittoriamente (in quanto oggetto delle (auto)sensazioni di se stesso) con le sensazioni coscienti mentali.
Questa realtà in sé o noumeno (se c' è, cosa indimostrabile) è letteralmente "metafisica", cioè (qualcosa di)  reale "oltre la natura (materiale)".
Alla quale peraltro secondo me (come ho argomentato più volte nel forum, e sarebbe troppo lungo, oltre che ripetitivo, farlo nuovamente qui) non sono in alcun modo riducibili o "emergenti" o sopravvenienti gli enti ed eventi mentali (parimenti meramente fenomenici): la conoscenza scientifica, quella propria elle scienze in senso stretto o "naturali" non esaurisce la conoscenza della realtà in toto comunque (anche qualora nulla di metafisico esistesse).
Quella qui descritta è una metafisica (la mia personale), fra le tante altre, ben più note e importanti, più o meno critiche o dogmatiche a seconda dei casi.

Jean

 
Mi piace il modo d'argomentare di Angelo Cannata, che tende a rimaner semplice, usando parole semplici.

Grazie al quale (unito al contributo di Phil) ho compreso (per quel che il sottoscritto può comprendere) qualcosa in più del relativismo.

Proseguo copiando qui sotto un frammento di una mia risposta ad Angelo (in Spiritualità- Lo specchio della verità – post 24):

 
Poiché (Angelo) mi hai onorato della tua visita mi son sentito in dovere di accedere al link della tua firma e dare un'occhiata al sito che hai costruito. 
Permettimi di avere delle perplessità sull'essere...
l'unico sito al mondo, interamente dedicato alla spiritualità, con l'obiettivo di essere imparziale e indipendente da qualsiasi religione o credenza.  
Un proclama altrettanto categorico di quelli di ogni religione che ritenga di essere la sola depositaria della "vera" verità...

 

... per porre la questione della coesistenza (in un soggetto) di posizioni che spaziano da un estremo (assunti relativi) all'altro (assunti indimostrabili).

Nel caso del relativismo mi chiedo se (riferito a un soggetto) preveda o accetti  la possibilità d'esserlo a fasi/ambiti alterni... se questa è una sua peculiarità sarebbe interessante darne spiegazione.


Tra i due estremi... quelli che Freedom ha chiamato "gradi di verità" che permettono, nei semplici casi della vita quotidiana, di non sbattere contro i muri o di ritenere, ad un livello un po' superiore, forse metafisico... che le migliaia di ex voto (strano che alcuno si sia sentito sollecitato ad approfondir l'argomento in spiritualità, forse ho sbagliato sezione...) abbiano valenza di prove, ovviamente dopo esser stati "valutati"  con diversi strumenti d'indagine (non ultimo quello statistico) e non solo relegati ad atti di fede... perché lì c'è qualcosa anziché il nulla quale risultato di molte discussioni.   

Apeiron

Grazie Phil della tua spiegazione. Domanda per te: esiste il paesaggio (che può essere oggettivo e mutevole, chi ha mai detto il contrario?  ;D ) o solo le prospettive? Non appena crei una gerarchia delle prospettive vai già oltre il relativismo. D'altronde nemmeno Nietzsche in fondo si può considerare "prospettivista" non appena parla di "volontà di potenza"...

Come Sari affermo anche io che la critica è ben accetta, proprio perchè senza il dubbio non si va da nessuna parte, nel senso che non si fanno progressi. Pensare di conoscere il paesaggio completamente è da folli, è appunto da delirio di onnipotenza. Ciò non toglie che tuttavia si può cercare di conoscere meglio il paesaggio. Ora potremmo chiederci se il paesaggio esiste o no. L'istinto naturale ci dice di sì ma l'istinto naturale magari ci inganna. A questo punto passiamo alla ragione: o esiste o non esiste. Se non esiste non c'è niente di oggettivo e non ci sono gerarchie delle prospettive. Siccome questo mi pare nichilismo, possiamo scegliere di credere che esista. Tale "credenza" non può essere "dimostrata", tuttavia l'assunzione mi sembra più che ragionevole.

Una domanda per il Sari: se il buddismo afferma che il paesaggio esiste allora è anch'esso "metafisico". D'altronde "tutta l'esistenza condizionata è impermanente" (deva compresi che vivono molto di più di Buddha, quindi Buddha non può aver avuto l'esperienza diretta che conferma la sua "teoria" e qui entra in ballo la fede...) mi pare un'affermazione "oggettiva". Semmai su può dire che siccome per Buddha (o anche Nagarjuna) non è possibile "afferrare" tutta la realtà e ciò lo si capisce con la critica allora non rimane che rinunciare al pensiero ed entrare nel Silenzio. Ma questo d'altronde è un insegnamento comune a molte tradizioni orientali (es taoismo). Non mi pare che siano relativisti a riguardo ad una realtà oggettiva, al karma ecc. E nemmeno uno può essere relativista nella pratica: non ha senso se inizi l'Ottuplice Sentiero mettere in dubbio continuamente che "tutta l'esistenza condizionata è impermanente". Lo accetti e basta  ;D Quindi la domanda per il Sari: come fai a dire che il buddismo è sempre la via di mezzo tra estremi quando fa delle affermazioni indimostrabili che devono essere accettate?  ;D  Si può semmai dire che la dottrina buddista è meno importante della pratica ma questo si sapeva già... Tuttavia in un forum filosofico bisogna parlare di dottrine.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

maral

Citazione di: sgiombo il 14 Febbraio 2017, 08:53:19 AM
Spero proprio che dopo la risoluzione dei problemi tecnici mi spiegherai più comprensibilmente le tue affermazioni.
Per esempio che "conoscendo non si consce ciò che é (reale?) poiché ciò che è viene sempre tradito nell'atto stesso del conoscerlo dicendolo: che significa "tradire"?
Che il dire qualcosa é diverso dall' essere reale qualcosa é quanto da sempre sostengo vigorosamente anch' io.
Ma ciò non toglie che ciò che è reale possa in linea di principio essere detto (che possa essere la denotazione di un concetto di cui si predica che é/accade realmente).

No non può, se per essere reale si intende la cosa come è in sé e per sé. La cosa per come è in sé è tradita nell'atto stesso in cui la si definisce dicendola.

CitazioneInoltre (per farmi capire) mi dovresti tradurre in italiano l' affermazione che[/size] L'essere "reali" dei cavalli contrapposto all'essere "irreale" degli ippogrifi, non consiste nel fatto che qualcosa come un cavallo lo possiamo toccare, vedere, misurare, mentre qualcosa come un ippogrifo no, al massimo sognare, ma che mentre qualcosa che significa "cavallo" ha un posto nella rappresentazione che ci si dà nel mondo, qualcosa come un ippogrifo no, ove la rappresentazione che si dà del mondo non è una rappresentazione assoluta. ma partecipa del nostro esserci noi stessi rappresentati come soggetti che vedono cavalli e non ippogrifi.

Perché in italiano "essere reali" come lo sono i cavalli significa proprio poter essere toccato, visto, misurato realmente, mentre "essere qualcosa di immaginario" come lo sono gli ippogrifi significa potere al massimo essere toccato, visto, misurato solo in sogno, nella fantasia o in un' allucinazione.
Il problema è che noi non tocchiamo, né vediamo semplicemente cavalli, ma qualcosa che per noi assume mentalmente tale significato e i significati non si toccano con le dita né si vedono con gli occhi, anche se qualcosa deve essere esperita per avere significato. Questo per me è fondamentale, poiché implica che l'allucinazione non è qualcosa di irreale in senso oggettivo, ma è irreale in rapporto a una soggettività condivisa che non è per nulla arbitraria, ma è il risultato di un contesto che determina il senso di verità o falsità su cui convengono necessariamente e con limitate possibilità di scarto i soggetti che vivono e operano in quel contesto. In definitiva chi vede ippogrifi non vede l'irreale più di chi vede cavalli, semplicemente è fuori dal contesto di senso soggettivamente condiviso nel mondo in cui vive. Ed è questo che ha delle enormi conseguenze sulla sua vita, non certo la questione di cosa sia in sé reale o no (che nessuno vede).

Angelo Cannata

Citazione di: Jean il 15 Febbraio 2017, 21:37:27 PMl'unico sito al mondo, interamente dedicato alla spiritualità, con l'obiettivo di essere imparziale e indipendente da qualsiasi religione o credenza.
Un proclama altrettanto categorico di quelli di ogni religione che ritenga di essere la sola depositaria della "vera" verità
Più che un proclama è un invito a segnalarmi siti o pagine internet che abbiano la caratteristica di essere dedicati alla spiritualità, ma indipendenti da religioni o credenze: ne sarei ultra interessato (chiedo scusa agli altri per l'off topic).
Citazione di: Jean il 15 Febbraio 2017, 21:37:27 PMNel caso del relativismo mi chiedo se (riferito a un soggetto) preveda o accetti  la possibilità d'esserlo a fasi/ambiti alterni... se questa è una sua peculiarità sarebbe interessante darne spiegazione.
Il relativismo, per come lo vedo io, è la massima esaltazione della libertà umana, quindi non vedo come dovrebbe porre divieti di alcun genere ad alcuno.

Jean

Jean - Nel caso del relativismo mi chiedo se (riferito a un soggetto) preveda o accetti  la possibilità d'esserlo a fasi/ambiti alterni... se questa è una sua peculiarità sarebbe interessante darne spiegazione.

A. Cannata - Il relativismo, per come lo vedo io, è la massima esaltazione della libertà umana, quindi non vedo come dovrebbe porre divieti di alcun genere ad alcuno.
 

La constatazione intendeva esser inclusiva (più ambiti...) e non il contrario (divieti), forse non l'ho ben espressa.


Alla massima esaltazione della realtà umana forse dovrebbe accompagnarsi un elevato grado di coerenza interna e di riscontro esterno.

Angelo Cannata

Dipende da cosa s'intende per coerenza: se la intendiamo in un senso pratico, quotidiano, di sentire della gente comune, utile a creare con gli altri rapporti di fiducia, allora il relativista non può che essere d'accordo con il consiglio di essere coerenti.

Se invece coerenza significa far riferimento a criteri di oggettività, allora veniamo a trovarci nella metafisica e quindi un relativista non può condividerla.

Se per coerenza intendi quella che sembra mancare a chi è soggetto a troppi cambiamenti, troppe alternanze, anche lì dipende da quali sono queste alternanze, chi è la persona interessata, che cammino sta facendo.

A questo punto la vera questione non è più se essere relativisti o no e in che modo esserlo, ma ci troviamo in una questione diversa che per me è il camminare: ognuno ha il suo camminare personale e può essere giudicato solo in relazione a tale cammino.

Apeiron

Citazione di: Jean il 15 Febbraio 2017, 21:37:27 PMMi piace il modo d'argomentare di Angelo Cannata, che tende a rimaner semplice, usando parole semplici. Grazie al quale (unito al contributo di Phil) ho compreso (per quel che il sottoscritto può comprendere) qualcosa in più del relativismo. Proseguo copiando qui sotto un frammento di una mia risposta ad Angelo (in Spiritualità- Lo specchio della verità – post 24):  Poiché (Angelo) mi hai onorato della tua visita mi son sentito in dovere di accedere al link della tua firma e dare un'occhiata al sito che hai costruito. Permettimi di avere delle perplessità sull'essere...l'unico sito al mondo, interamente dedicato alla spiritualità, con l'obiettivo di essere imparziale e indipendente da qualsiasi religione o credenza. Un proclama altrettanto categorico di quelli di ogni religione che ritenga di essere la sola depositaria della "vera" verità...  ... per porre la questione della coesistenza (in un soggetto) di posizioni che spaziano da un estremo (assunti relativi) all'altro (assunti indimostrabili). Nel caso del relativismo mi chiedo se (riferito a un soggetto) preveda o accetti la possibilità d'esserlo a fasi/ambiti alterni... se questa è una sua peculiarità sarebbe interessante darne spiegazione. Tra i due estremi... quelli che Freedom ha chiamato "gradi di verità" che permettono, nei semplici casi della vita quotidiana, di non sbattere contro i muri o di ritenere, ad un livello un po' superiore, forse metafisico... che le migliaia di ex voto (strano che alcuno si sia sentito sollecitato ad approfondir l'argomento in spiritualità, forse ho sbagliato sezione...) abbiano valenza di prove, ovviamente dopo esser stati "valutati" con diversi strumenti d'indagine (non ultimo quello statistico) e non solo relegati ad atti di fede... perché lì c'è qualcosa anziché il nulla quale risultato di molte discussioni.

Personalmente considero una posizione come la mia o ad essa affine una sorta di "via di mezzo" tra il relativismo e il dogmatismo assoluto. Ossia secondo me nella maggior parte delle cose si deve essere critici (per questo dopotutto rispetto lo spirito critico di Angelo Cannata) ma l'eccesso della critica conduce al nichilismo (negando completamente l'oggettività) o alla completa inazione (perchè d'altronde non si può affermare più nulla). Sinceramente il relativismo mi sembra una posizione provvisoria, nel senso che non rimarrei nel relativismo per sempre (per lo stesso motivo per cui non rimarrei nella bonaccia con una barca a vele...). Il relativismo lo ritengo incompleto tuttavia riconosco in esso una profonda verità che tuttavia era già stata detta dall'Oracolo di Delfi in due suoi aforismi: "pensa come un mortale" e "conosci te stesso". Il relativismo appunto ci fa capire che non siamo né onniscenti né onnipotenti ed è un ottimo modo per riconoscere la nostra limitatezza. Ci si deve riconoscere piccoli, anzi vado oltre e seguendo Pascal dico che è anche giusto sentirsi "miseri". Ma appunto proprio perchè non ci si può riconoscere solo miseri è anche giusto secondo me ritenere possibile l'esistenza di una realtà oggettiva (magari mutevole nel tempo!) e la possibilità di una conoscenza incompleta e distorta di essa. Questa posizione, secondo me, incita al dialogo e di certo non lo sopprime. Col dialogo infatti posso capire meglio sia la mia prospettiva sul "paesaggio" (ossia la "realtà") sia tentare di "capire" anche quelle altrui.

A questo punto ti farei una domanda (rispondi se ti va di farlo  ;) ): Esiste il paesaggio o solo le prospettive?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PM
Grazie Phil della tua spiegazione. Domanda per te: esiste il paesaggio (che può essere oggettivo e mutevole, chi ha mai detto il contrario?  ;D ) o solo le prospettive?
Bella domanda; ma la (mia) risposta, non credo sia altrettanto bella: onestamente, non lo so... credo sia uno di quei presupposti "indecidibili" (à la Godel) che, come ricorda spesso sgiombo (e anche tu, se non ti ho frainteso), se non si vuol essere presi per matti (ovvero per stare al gioco del "senso comune", che non è sempre "buon senso"), conviene considerare apodittici e fuori di dubbio; eppure, detto fra noi, non sono totalmente convinto sia così necessario né ovvio che ci sia un paesaggio a "ispirare" le molteplici prospettive...

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PMA questo punto passiamo alla ragione: o esiste o non esiste.
Nel mio piccolo propendo per una terza via (per quanto poco affascinante) e mi fermo al "non lo so", accettando che certe domande non possano per ora avere risposta (e non vadano "forzate" o semplificate pur di trovarne una).

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PMSe non esiste non c'è niente di oggettivo e non ci sono gerarchie delle prospettive. Siccome questo mi pare nichilismo, possiamo scegliere di credere che esista.
Colgo una leggera "allergia" verso il nichilismo (figlia della necessità di salvaguardare la speranza in un'oggettività?). Non vogliamo proprio riconoscergli una minima dignità teoretica e lo fuggiamo come la peste? ;D

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PMNon appena crei una gerarchia delle prospettive vai già oltre il relativismo.
Sulla affermazione che la gerarchizzazione ponga oltre il relativismo (che ha un "dentro" decisamente "spazioso" ;) ), sarei piuttosto cauto: nel momento in cui ritengo più plausibile che domani il sole sorga (almeno stando alla prospettiva terrestre), piuttosto che non ci sia mai più un'alba, pongo una gerarchia fra due plausibilità differenti, ma senza per questo assolutizzarne nessuna, senza porre certezze e sempre con la cautela di chi, guardando il cielo notturno fra un'ora, potrebbe invertire la gerarchia (l'esempio è sciocco, ma spero allusivo a ciò che intendo: ci possono essere "gerarchie relative", che in fondo sono quelle che orientano, pur nella loro "debolezza", le scelte del relativista e lo differenziano da un "qualunquista catatonico"  ;D ).




Sariputra

@Apeiron
Cerco i rispondere alla tua domanda brevemente ( anche per non rischiare di finire fuori tema...come ci capita quando entriamo più nel dettaglio della filosofia buddhista, che magari alla fine interessa solo a noi due :) ). Come sai un buddhista , alla tua domanda, se è una metafisica ti guarderebbe strano e ...ti manderebbe a pelare le patate! Questo perché il Dharma è la pratica. Non esiste una filosofia buddhista autentica  che prescinda dalla pratica. Ciò non toglie che, secoli dopo la morte del fondatore, del grande medico della sofferenza umana, si sia sentito il bisogno di dare una sistematicità filosofica all'insegnamento. A parer mio, sperando che qualche maestro non mi legga, la filosofia è una metafisica. Metafisica che si pone l'obiettivo di superare la metafisica stessa, senza sfociare nel nichilismo o nel dogmatismo. La Via di Mezzo, ossia stare lontani da ogni estremo,  è consapevolezza dell'impossibilità del pensiero  di trascendere i suoi limiti; una medicina non adatta al superamento della sofferenza dell'esistenza condizionata. Pertanto si propone un'altra via, eminentemente pratica, il Nobile Ottuplice Sentiero, ecc. Il Dharma si base sul "venire e vedere" ( molto importante) e quindi, a riguardo delle sue affermazioni che paiono indimostrabili ti risponderebbe " vieni e vedi da te" ( ossia, la pratica ti dimostrerà come vere quelle affermazioni). Ma per "venire e vedere" devi avere fiducia che la medicina sia valida e il medico competente. Possiamo guarire da una malattia se pensiamo che tutte le medicine sono uguali e tutti i medici hanno lo stesso valore? Per questo il relativismo, nel Buddhismo, è considerato una malattia spirituale peggiore persino del dogmatismo, in quanto relativizzando tutto, compresa la fiducia nel medico, non permette alcun progresso sulla via della guarigione dal Dolore. Credo  che , non ricordo in quale sutra, il Buddha affermi che un somaro e un uomo troppo intelligente sono i tipi più difficile da guarire. Il primo per la sua ottusità e il secondo perché, mettendo continuamente in discussione tutto e tutti  e preso da un'infinità di dubbi, finisce per non andare da nessuna parte, e quindi a continuare a soffrire. Non ho mai letto nel canone Pali che si discutesse se il "paesaggio"  esiste o non esiste. Famoso a riguardo il Silenzio del Buddha agli asceti che volevano trascinarlo in quelle che per lui, erano solo sterili e inutile speculazioni. "Un'unica cosa io insegno, il Dolore , la sua causa , la sua cessazione".. A riguardo del Dolore la sua era sicuramente una visione non relativista, e infatti si parla delle Quattro Nobili Verità.
Sulla strada del bosco
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Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Grazie, come sempre, Sari   :D Per la questione dell'off topic: beh da quando abbiamo iniziato a discutere del relativismo ho come l'impressione di essere andati off topic  ;D  


@Phil
Ok sì appunto non ho mai "preteso" di "dimostrare" che ci sia un'oggettività e una gerarchia. Quindi sì ammetto che "non lo so" è una risposta "onesta". Tuttavia, credo, che in questo contesto si "debba" scegliere pur riconoscendo l'impossibilità di dimostrare la propria scelta. La scelta io l'ho effettuata considerando i pregi e i difetti delle due alternative e  ho scelto di conseguenza. Il nichilismo è una via e come ho già detto ha i suoi meriti perchè aiuta a sbatterci in faccia i nostri limiti (o meglio è la critica che lo fa...). Quindi sì sono se vuoi allergico ma la mia allergia è passata proprio nel considerare il nichilismo e nel riconoscere che in esso un po' di verità c'è.
Sulla gerarchia. Sì hai ragione non implica che ci sia una "prospettiva assoluta", tuttavia non appena dici che una prospettiva è "migliore" di un'altra fai un giudizio "assoluto" di valore. Per farlo in sostanza devi fare in modo che tale gerarchia "trascenda" le prospettive. Quindi secondo me l'ammissione delle gerarchie implica "certa oggettività". Ritenere che le gerarchie siano pure convenzioni a mio giudizio non è soddisfacente.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Phil scrive:

Colgo una leggera "allergia" verso il nichilismo (figlia della necessità di salvaguardare la speranza in un'oggettività?). Non vogliamo proprio riconoscergli una minima dignità teoretica e lo fuggiamo come la peste?  

Personalmente non sono allergico verso il nichilismo , ma verso i nichilisti...Sono quel genere di persone che, quando l'inviti a cena , non sai mai dove metterli a sedere e quando gli chiedi se il cibo è stato di loro gradimento , ti rispondono: "Dipende..."! Terribile ... ;D ;D ;D   
Scherzo, ovviamente...
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Duc in altum!

**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneIl relativismo, per come lo vedo io, è la massima esaltazione della libertà umana, quindi non vedo come dovrebbe porre divieti di alcun genere ad alcuno.
Quindi essere liberi significa non condividere nessun valore con nessun individuo, giacché solo ciò che io ritengo sia un valore è la pura verità.
Più che esaltazione della libertà io ci vedo una venerazione all'anarchia totale, un'idolatria al disordine, dunque in piena coerenza con l'etica sociale odierna.

CitazioneA questo punto la vera questione non è più se essere relativisti o no e in che modo esserlo, ma ci troviamo in una questione diversa che per me è il camminare: ognuno ha il suo camminare personale e può essere giudicato solo in relazione a tale cammino.
Sì, ma bisogna decidere se uno se lo sceglie il cammino o se è anche destinato a quel cammino, perché è lì che potremmo essere giudicati.
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allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

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