Perché c’è qualcosa anziché il nulla?

Aperto da Vito J. Ceravolo, 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM

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epicurus

Citazione di: Angelo Cannata il 17 Giugno 2017, 00:58:15 AM
Citazione di: epicurus il 16 Giugno 2017, 18:11:17 PMMa a quali altri fatti potremmo appellarci per spiegare l'insieme di tutti i fatti? Ovviamente nessuno! Non può esistere alcun fatto Z indipendente da X proprio perché X per definizione comprende ogni fatto.

Questo ci porta a riconoscere che malgrado le domanda dalla forma "Perché X (anziché Y)?" possano in generale aver senso, la domanda D nello specifico non è concettualmente sensata. Non è che non abbia una risposta o che la risposta sia a noi ignota, la questione è che in realtà non ci siamo neppure posti una vera domanda dotata di significato compiuto.
Già il semplice concetto di "tutto" non ha senso, poiché, per essere davvero concetto di tutto, dovrebbe necessariamente comprendere anche se stesso [...]. [...] Può la nostra mente ospitare, non dico il concetto di infinito, ma un concetto infinito? Che senso avrebbe l'idea di concetto infinito? Cosa sarebbe un concetto infinito?
In Matematica tale problema è quello dell'insieme universo U, un insieme che contiene tutti gli insiemi, quindi anche se stesso. Ci sono però svariati formalismi che permetto di parlare di U in modo sensato e coerente. D'accordo che il termine "concetto infinito" non ha senso, ma non necessitiamo di fantomatici concetti infiniti per riferirci all'insieme U.

Ma tali questioni non sono necessarie per affrontare l'oggetto di questo topic. Infatti con "tutto", in questo caso, possiamo limitarci a considerare l'insieme di tutti gli oggetti concreti. Quando ci si chiede "perché esiste qualcosa anziche nulla?", infatti, ci interessa spiegare perché ci sono gli oggetti concreti che ci sono, non siamo interessati agli oggetti astratti (dei quali, tra l'altro, non diciamo che "esistono" comunemente). Così non ricadiamo nel regresso infinito di cui parlavi tu: l'insieme degli oggetti concreti non contiene se stesso.

Rimane però il problema di cui parlavo io sopra. Chiedere la spiegazione di qualcosa è ovviamene sensato, chiedere la spiegazione di ogni cosa no perché per definizione non vi possono essere elementi da addurre per spiegare "ogni cosa".

Angelo Cannata

Citazione di: epicurus il 19 Giugno 2017, 09:58:20 AMCosì non ricadiamo nel regresso infinito di cui parlavi tu: l'insieme degli oggetti concreti non contiene se stesso.

Rimane però il problema di cui parlavo io sopra. Chiedere la spiegazione di qualcosa è ovviamene sensato, chiedere la spiegazione di ogni cosa no perché per definizione non vi possono essere elementi da addurre per spiegare "ogni cosa".
Mi sembra che così derivi una conclusione interessante o curiosa.

Attribuire al termine "tutto" il significato di "insieme degli oggetti concreti che non contengono se stessi" significa escludere "io". Infatti era l'inclusione di se stessi a provocare la regressione infinita.

Dunque veniamo ad avere due oggetti: "tutto tranne io" e "io".

Sopra avevi detto che non ha senso cercare la spiegazione di tutto, poiché ciò significherebbe cercare qualcosa di esterno al tutto, il che sarebbe contraddittorio.

Ma ora il qualcosa di esterno al tutto l'abbiamo: è l' "io", che abbiamo tirato fuori per evitare la regressione infinita.

Ne consegue che, riguardo al tutto, abbiamo solo due alternative: la prima è fare silenzio, astenerci dal parlarne, dal tentare di darne spiegazioni. La seconda è che, qualunque spiegazione ne daremo, essa non potrà essere altro che un riferirsi, più o meno consapevole, all' "io" come spiegazione del tutto. Infatti la mente, nel tentativo di spiegare tutto, andrà in cerca di qualcosa di esterno. Se penserà di averlo trovato, in realtà non avrà trovato altro che se stessa, e quindi avrà fatto di se stessa la spiegazione del tutto. I termini di tale spiegazione potrebbero essere architettati in modo da nascondere che in realtà si tratta della mente che sta facendo riferimento a se stessa.

epicurus

Citazione di: Angelo Cannata il 19 Giugno 2017, 10:33:00 AM
Citazione di: epicurus il 19 Giugno 2017, 09:58:20 AMCosì non ricadiamo nel regresso infinito di cui parlavi tu: l'insieme degli oggetti concreti non contiene se stesso.

Rimane però il problema di cui parlavo io sopra. Chiedere la spiegazione di qualcosa è ovviamene sensato, chiedere la spiegazione di ogni cosa no perché per definizione non vi possono essere elementi da addurre per spiegare "ogni cosa".
Attribuire al termine "tutto" il significato di "insieme degli oggetti concreti che non contengono se stessi" significa escludere "io". Infatti era l'inclusione di se stessi a provocare la regressione infinita.

Dunque veniamo ad avere due oggetti: "tutto tranne io" e "io".

Sopra avevi detto che non ha senso cercare la spiegazione di tutto, poiché ciò significherebbe cercare qualcosa di esterno al tutto, il che sarebbe contraddittorio.

Ma ora il qualcosa di esterno al tutto l'abbiamo: è l' "io", che abbiamo tirato fuori per evitare la regressione infinita.

Ne consegue che, riguardo al tutto, abbiamo solo due alternative: la prima è fare silenzio, astenerci dal parlarne, dal tentare di darne spiegazioni. La seconda è che, qualunque spiegazione ne daremo, essa non potrà essere altro che un riferirsi, più o meno consapevole, all' "io" come spiegazione del tutto. Infatti la mente, nel tentativo di spiegare tutto, andrà in cerca di qualcosa di esterno. Se penserà di averlo trovato, in realtà non avrà trovato altro che se stessa, e quindi avrà fatto di se stessa la spiegazione del tutto. I termini di tale spiegazione potrebbero essere architettati in modo da nascondere che in realtà si tratta della mente che sta facendo riferimento a se stessa.

Quello che proponevo, ai soli fini della domanda di Leibniz, era di intendere "tutto" come "insieme di oggetti concreti". E dato che gli insiemi non sono oggetti concreti, si esclude il problema di regressione all'infinito dell'insieme di tutti gli insiemi e che quindi contiene anche se stesso. Dove per "concreto" intendo qualcosa che non è astratto (come numeri, insiemi e altre costruzioni matematiche ma non solo).

Non avevo capito che il tuo problema fosse l'io. Naturalmente il concetto di identità personale, o di punto di vista soggettivo dell'individuo, è una cosa concreta (nella mia accezione di concretezza), quindi rientra nel dominio universale della domanda di Leibniz. Io non ci vedo nulla di illogico o linguisticamente insensato in un modello esplicativo dell'identità personale, tuttavia uno potrebbe evitare interamente questa questione e chiedersi:

Perché è nato l'universo?

(Intendendo con "universo" l'insieme di tutti gli oggetti concreti.) A questo punto, si eviterebbe la questione della comprensione dell'io (che per complessità e ampiezza potrebbe richiedere un altro topic) e si continuerebbe a cogliere lo spirito della domanda leibniziana. Spirito, come dicevo più sopra, insensato per l'uso e abuso di un perché senza limiti.

sgiombo

Citazione di: epicurus il 19 Giugno 2017, 11:10:28 AM
(Risposta ad AngeloCannata)

Non avevo capito che il tuo problema fosse l'io. Naturalmente il concetto di identità personale, o di punto di vista soggettivo dell'individuo, è una cosa concreta (nella mia accezione di concretezza), quindi rientra nel dominio universale della domanda di Leibniz. Io non ci vedo nulla di illogico o linguisticamente insensato in un modello esplicativo dell'identità personale, tuttavia uno potrebbe evitare interamente questa questione e chiedersi:

Perché è nato l'universo?

(Intendendo con "universo" l'insieme di tutti gli oggetti concreti.) A questo punto, si eviterebbe la questione della comprensione dell'io (che per complessità e ampiezza potrebbe richiedere un altro topic) e si continuerebbe a cogliere lo spirito della domanda leibniziana. Spirito, come dicevo più sopra, insensato per l'uso e abuso di un perché senza limiti.
Citazione
Concordo che il concetto di identità personale, o di punto di vista soggettivo dell'individuo, è una cosa concreta (anche nella mia accezione di concretezza; e comunque reale), quindi rientra nel dominio universale della domanda di Leibniz.

 

Però se ci si chiede:

 

Perché è nato l'universo? (Intendendo con "universo" l'insieme di tutti gli oggetti concreti, e comunque reali, propria persona -se stessi- compresa)

 

Allora non si evita la questione della comprensione del' io (ovvero di se stessi, della propria persona, essendo essa inclusa nell' ambito dell' universo come sua parte).


E d' altra parte, se invece eventualmente -ma comunque in qualche altro modo- si evitasse di considerare anche l' io fra i componenti o le parti dell' universo di cui ci si chiedesse il perché, allora secondo me non si coglierebbe più "lo spirito" della domanda di Leibniz (ma ovviamente per esserne certi bisognerebbe chiederlo a lui).

 

Domanda "perché?" che continuo peraltro anch' io a considerare insensata per i seguenti motivi:

 

1) Se per "perché" si intende "a quale scopo" allora ha senso chiederselo unicamente di ciò che é intenzionalmente realizzato (a quanto risulta di fatto unicamente da parte dell' uomo e in qualche limitata misura di altri animali), e non del resto della realtà, che non è realizzazione intenzionale finalizzata da parte di un agente cosciente, magari dotato di libero arbitrio (e di questo "resto non intenzionalmente realizzato" facciamo parte noi persone-soggetti- umani, i nostri io, le nostre persone).

 

2) Perché oltre al "tutto", per definizione, non può esistere altro che ne costituisca la spiegazione.

Se l' universo diviene secondo modalità o regole universali e costanti, allora di eventi parziali nel suo ambito si può dare una spiegazione in termini di "applicazione" o concreta occorrenza delle leggi generali astratte del divenire nelle circostanze particolari concrete che determina tali eventi parziali stessi.

Ma dell' universo (tutto) e delle sue leggi del divenire non si può che constatare la realtà senza poterla spiegare con altro, non essendoci nulla d' altro di reale con cui spiegarla (se invece l' universo mutasse in modo assoluto, integrale, caotico, senza alcunché di costante in alcun modo astraibile dal resto cangiante, allora non avrebbe senso cercare spiegazioni nemmeno di alcunché di parziale nel suo ambito: ammesso e non concesso che di fatto ci potesse essere qualcuno a farle, vi si potrebbero fare unicamente inspiegate "constatazioni di fatto").

E comunque, anche se per "tutto da spiegare" (o anche per "universo") si intendesse in realtà tutto tranne la spiegazione di tale "quasi tutto" (alquanto scorrettamente o comunque in maniera "semanticamente originale o meglio personale", attribuendo alla parola "tutto" un significato in realtà diverso da quello comunemente inteso, e piuttosto simile a quello che si intende per "quasi tutto";o rispettivamente "quasi tutto l' universo"), ritenendo che ciò che é/accade realmente necessiti di spiegazione, allora non si sarebbe risolto il problema, ma semplicemente lo si sarebbe "spostato", dal momento che anche la pretesa spiegazione di "quasi tutto" sarebbe/accadrebbe realmente e dunque a sua volta necessiterebbe di una spiegazione in un regresso all' infinito (o in alternativa in un circolo vizioso più o meno ampio, qualora lungo la catena di "spiegazioni delle spiegazioni" si riprendesse l' iniziale "quasi tutto l' universo" o "quasi tutto da spiegare" o qualcosa che ne sia parte).

 

D' altra parte cercare una spiegazione -un "perché?"- ha senso (a proposito di) qualcosa (ente o evento) che è/accade realmente mentre potrebbe anche non essere/non accadere realmente (essendo per l' appunto tale spiegazione il necessario motivo del suo essere/accadere realmente anziché non essere/non accadere realmente, motivo senza il quale resterebbe per così dire "sospeso nella possibilità di realizzarsi o meno", motivo necessario allo sciogliersi di questa "sospensione ontologica").

Ma per definizione per l' "essere/accadere realmente" di qualsiasi "cosa" (ente o evento) si intende il fatto che tale "cosa non può anche (allo stesso tempo, nelle stesse circostanze, nello stesso senso) "non essere/non accadere realmente"; ma casomai può solo -per quanto falsamente- "essere pensata non essere/non accadere realmente".

E dunque di ciò che é/accade realmente non ha senso porsi il problema di una spiegazione -di un "perché?- per il fatto che il suo essere/accadere realmente non si dà in alternativa reale da "sciogliersi" in qualche modo (ma casomai solo in alternativa teorica, "di pensabilità") a possibili altri, diversi enti o eventi.
Sensato sarebbe casomai porsi il problema del perché si pensa ciò che si pensa essere/accadere realmente (che può anche  pensarsi non essere/ non accadere realmente). 

Vito J. Ceravolo

Ciao, anzitutto le mie scuse per la lunga assenza. In tutta sincerità ho avuto un grave lutto ed è stato un lungo momento difficile; è ancora. 

Qui di seguito vi allego l'ultimo mio articolo. 
academia edu: https://www.academia.edu/33908679/DIECI_ARGOMENTI_DI_FILOSOFIA
Rivista filosofica: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/#more-6387

Questo articolo risponde a molte delle obiezioni da voi avanzate, e spero vi faccia piacere ritrovarci dentro qualcosa anche di questa discussione.

In quest'ultimo articolo toccate con mano (anche se non avete libro)  la rivoluzione paradigmatica della mia filosofia. E io con questo articolo ho concluso la serie dei tre articoli di presentazione del mio libro: Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, editore il Prato, 2016 (arrivato secondo la Premio Nazionale di Filosofia 2017, Certaldo)

Un piccolo sunto: esattamente i tre articoli sono: 
- https://www.academia.edu/33908679/DIECI_ARGOMENTI_DI_FILOSOFIA
(mostra la rivoluzione paradigmatica del libro)
- https://www.academia.edu/33025670/TEOREMI_DI_COERENZA_E_COMPLETEZZA._Epimenide_Gödel_Hofstadter
(sulla coerenza: superamento dei teoremi di incompletezza di K.G.)
- https://www.academia.edu/31272058/VERITÀ._UNIONE_FRA_REALISMO_E_COSTRUTTIVISMO
(concetto di verità possibile dalla filosofia del libro)

Questi tre articoli vi permettono di entrare in maniera viva nell'idea di questa nuova filosofia. 

Veniamo a noi: 

--- @Cannata: 
(1) «chi è che ha stabilito le definizioni? Certamente non sono nate da sole, siamo stati noi esseri umani ad averle create, quindi rispondono ad un criterio di convenzionalismo. Se è convenzionale, allora è opinabile.»
(2) «la logica formale risponde a criteri indipendenti dall'uomo, 
A ciò si può obiettare che un computer che si blocchi perché ha ricevuto comandi contraddittori non è un computer che non funziona, ma un computer che funziona diversamente.»

Mi spiace non risponderti direttamente, ma trovi le soluzioni complete, per entrambi i due sopra citati quesiti, presso il ultimo mio articolo: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/
Sarebbe inutile risponderti immediatamente quando poi seguirebbero giustamente altre domande. Meglio darti tutte le risposte tramite un solo testo.


--- @Garbino : 
Allora a presto


--- @Phil : «insomma, il "non esistere" è un concetto definibile formalmente (tautologicamente), proprio come l'esistere... oppure no?»

Più o meno Phil: io posso predicare l'impredicabilità di una cosa, e in tale "predicare" ne definisco l'impossibilità predicativa in senso formale tautologico. Ma è l'unica cosa che si può predicare del nulla: la sua inesistenza. Mentre qualunque altra predicazione (come quelle che Sgiombo fa sul nulla) hanno una forma sintattica contraddittoria; appunto perché l'impredicabilità del nulla è l'unica cosa che si può predicare. 
Credo che tutte le risposte su questo tema le possiate leggere su questo articolo https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/05/14/teoremi-di-coerenza-e-completezza-epimenide-godel-hofstadter/


--- @Sciombo
Se ti ho fatto arrabbiare non era mia intenzione.


--- @Apeiron
Anche sul tuo concetto di fede devo rimandarti a questo nuovo articolo: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/
Ripeto: sarebbe inutile risponderti immediatamente quando poi seguirebbero giustamente altre domande. Meglio darti tutte le risposte tramite un solo testo.


--- @Epicurus.
Mi piacciono tutte le tue prime domande in neretto. Credo sia una specificazione e approfondimento. Non farei però la distinzione concreto formale che fai tu. Io distinguo diversamente: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/


Da qui in poi i vostri commenti si muovono su risposte frutto di evoluzioni non idonee a rappresentare il tipo di soluzione da me definite. 


Io vi ringrazio tanto della piacevole discussione e della pazienza con cui abbiamo portato avanti il discorso.
Il mio compito di presentazione del libro è finito. Adesso devo recuperare un po' di energie.

Per ora
A presto a tutti
Vito J. Ceravolo

sgiombo

#335
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Luglio 2017, 22:26:16 PMMa è l'unica cosa che si può predicare del nulla: la sua inesistenza. Mentre qualunque altra predicazione (come quelle che Sgiombo fa sul nulla) hanno una forma sintattica contraddittoria; appunto perché l'impredicabilità del nulla è l'unica cosa che si può predicare.

(evienziazioni in grassetto mie).

CitazioneEvidente contraddizione:

Prima si afferma che del nulla si può predicare unicamente l' inesistenza.

Poi contraddittoriamente si afferma che se ne può predicare unicamente l' impredicabilità.

Poiché impredicabilità e inesistenza sono due ben diversi concetti (non sono affatto sinonimi), allora:

-o del nulla si possono predicare più attributi (e non uno solo);

-o se ne può predicare unicamente il primo (l' inesistenza);

-o se ne può predicare unicamente il secondo (l' impredicabilità; col che fra peraltro si cade in un paradosso che ha almeno qualche analogia con  quello del mentitore: se il predicato fosse vero, allora non potrebbe accadere, se accade allora é falso: è un predicato che non può non essere falso, se accade).

Invece io affermo in maniera del tutto logicamente corretta, non contraddittoria che sul nulla (assoluto) può predicarsi in generale (sensatamente); e in particolare che può predicarsene falsamente l' accadere reale e veracemente il non accadere reale.

epicurus

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Luglio 2017, 22:26:16 PM--- @Epicurus.
Mi piacciono tutte le tue prime domande in neretto. Credo sia una specificazione e approfondimento. Non farei però la distinzione concreto formale che fai tu. Io distinguo diversamente: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/
Mi dispiace per il tuo lutto e ti faccio i complimenti per la tua produzione filosofica.

In merito alla questione centrale del topic e al link che hai postato, non ho capito quale sia la tua tesi e che rapporto ci sia con quella da me sostenuta poco sopra.

Ciao

Angelo Cannata

Citazione di: Vito J. Ceravolo il 17 Luglio 2017, 22:26:16 PM
--- @Cannata:
(1) «chi è che ha stabilito le definizioni? Certamente non sono nate da sole, siamo stati noi esseri umani ad averle create, quindi rispondono ad un criterio di convenzionalismo. Se è convenzionale, allora è opinabile.»
(2) «la logica formale risponde a criteri indipendenti dall'uomo,
A ciò si può obiettare che un computer che si blocchi perché ha ricevuto comandi contraddittori non è un computer che non funziona, ma un computer che funziona diversamente.»

Mi spiace non risponderti direttamente, ma trovi le soluzioni complete, per entrambi i due sopra citati quesiti, presso il ultimo mio articolo: https://filosofiaenuovisentieri.it/2017/07/16/dieci-argomenti-di-filosofia/
Sarebbe inutile risponderti immediatamente quando poi seguirebbero giustamente altre domande. Meglio darti tutte le risposte tramite un solo testo.
Mi dispiace per il lutto.
Nell'articolo indicato trovo un problema di fondo: esso si esprime in un linguaggio che trascura del tutto la storicità del fare filosofia. Se un filosofo decide di occuparsi dell'essere, se vuole occuparsene in maniera davvero completa non potrà fare a meno, ad un certo punto, di constatare di trovarsi all'interno di un divenire storico, uno scorrere del tempo, che mette un irrimediabile "forse" in ogni sua affermazione astratta. Ciò è il presupposto della mia citata affermazione "Certamente non sono nate da sole, siamo stati noi esseri umani ad averle create": noi esseri umani siamo storici. È la storia la critica radicale di ogni filosofia dell'essere, è la storia il dubitare di tutto. Con ciò la storia, la nostra storicità, non si trasforma in dogma, perché essa si pone come narrazione, non come affermazione astratta. In altre parole: il filosofo che pensa di poter dire "l'essere è" non può fare a meno di ricordarsi anche di "io sono nato x anni fa, in una certa data, a una certa ora". Quest'ultima affermazione non è una definizione astratta, ma un racconto, che in quanto tale mette in forse ogni definizione astratta e non può ricevere risposta sufficiente da linguaggi che non facciano i conti con il narrare, in alternativa all'affermare astratto, al definire.

viator

Buongiono. Freschissimo iscritto.
Non sono un provocatore per vocazione, solo un cinico dissacratore.
Non voglio certo offendere nessuno ma................leggendo il titolo di questa discussione mi è scappato da ridere.
Ho poi rapidamente visionato (NON letto!) l'imponente corpo degli interventi.

Il nulla non può esserci (altrimenti si chiamerebbe quacosa).
Questa è la ragione per cui c'è qualcosa.

Tanta affettuosa cordialità a tutti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

viator

Buongiorno anche per oggi.
Ho letto qua e là qualcosa di questa discussione.
Certamente un esterno che incappi casualmente in questo sito, che non abbia una grande apertura mentale e che abbia una vita piena di preoccupazioni non potrebbe che considerar tutti noi dei dementi nullafacenti.

Gli aspetti che rendono intrinsecamente sterile il filosofeggiare sono due :

1) l'uso del linguaggio il quale, essendo uno strumento autoreferenziale, una volta che venga utilizzato eccessivamente per cercare di chiarire ciò che non sia già chiaro ai nostri sensi, produrrà - all'inverso - della confusione. (più un concetto è essenziale maggiore il numero di parole occorrenti per descriverlo). Questa è tra l'altro la ragione per la quale i miei interventi saranno sempre abbastanza lapidari.
2) il fatto che il soggetto-interprete-osservatore ovvero l'uomo non può sfuggire all'irresolvibile dualismo tra il sè e l'oggettività.

Per comprendere il tutto occorrerebbe essere il tutto.

Notare il verbo "comprendere" nel suo doppio ma comunque coincidente ignificato di "capire" e di "includere".
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

sgiombo

Innanzitutto benvenuto!

Nessun problema per il fatto di aver riso per molti nostri interventi (o per lo meno per i miei).
Innanzitutto chi si prende troppo sul serio tende a risultare antipatico; inoltre credo che, salvo l' uso di espressioni decisamente offensive, la franchezza nelle nostre discussioni sia decisamente preferibile alla reticenza nell' esprimere il proprio dissenso; e da ultimo, come si sul dire, il riso fa sempre buon sangue.

Secondo me in teoria (prescindendo da come di fatto stanno le cose in realtà, che richiederebbe qualche non scontata precisazione per evitare malintesi) il nulla potrebbe benissimo essere; infatti, "nulla" significa qualcosa, come tutti i concetti sensati (aggettivo pleonastico; contrariamente a te tendo purtroppo ad essere tutt' altro che lapidario nelle mie considerazioni), nel senso che ha una connotazione o intensione teorica, nell' ambito del pensiero (del pensiero circa la realtà o meno, poiché non é detto che si debba pensare solo ciò che é reale).
Ma il suo significato, inteso come intensione, é "il non esserci (realmente) di alcunché".
Dunque nell' ipotesi, a mio parere sensatissima in quanto tale, che ci sia il nulla, si darebbe il caso del non esserci qualcosa (del non esserci alcuna cosa, che implica il non esserci di alcun "qualcosa" di determinato, né di alcun "qualcos' altro" di determinato).

Ritengo infatti che il linguaggio sia convenzionale (dispone, ovvero mette reciprocamente in relazione, concetti il cui significato é stabilito per definizione arbitraria convenzionalmente accettata dai parlanti, secondo regole sintattiche stabilite altrettanto convenzionalmente e arbitrariamente), ma non autoreferenziale (per lo meno non necessariamente, non inevitabilmente).
Infatti non parla unicamente, necessariamente di se stesso (in funzione di "metalinguaggio"), ma anche di altro: in generale i significati dei concetti si riferiscono non a se stessi, bensì a diverse "cose" dai concetti stessi simboleggiate, presentando necessariamente (per essere tali: concetti; per definizione) per lo meno intensioni o connotazioni reali in quanto oggetti di pensiero, di considerazione teorica (comunque dai simboli verbali stessi diverse, altre); ed inoltre, seppur non sempre necessariamente, possono presentare anche estensioni o denotazioni reali (indipendentemente dall' eventuale essere pure eventualmente significate dai concetti stessi, pensate, o meno).
Può ovviamente essere usato male e generare confusioni e malintesi, ma può anche essere usato correttamente, riferirsi ad altro da sé e consentire al soggetto-interprete-osservatore ovvero l'uomo di comprendere (nel senso di capire, spiegarsi, conoscere; ovviamente in misura limitata, parziale, relativa, e inoltre fallibile, non essendo divino), non certo il tutto, ma comunque (anche) qualcosa di diverso da sé, che va oltre la sua soggettività (questo almeno come possibilità teorica; tenendo conto d quella che personalmente ritengo l' insuperabilità razionale dello scetticismo, cioè dell' incertezza circa la verità dei predicati; che non significa certezza della falsità dei predicati stessi, tesi paradossale in quanto espressione del venerando paradosso "del mentitore": dubitare di tutti i predicati =/= credere tutti i predicati necessariamente falsi).

Per questo ritengo che il filosofare non sia sterile ai fini della conoscenza (per quanto inevitabilmente relativa, limitata, ed inoltre incerta); oltre ad essere per me personalmente interessantissimo (e non "cosa da parassiti nullafacenti", ma da persone attive che si procurano i mezzi per vivere col loro lavoro, ma pensano che si lavora per vivere, ossia per godersi la vita, e non si vive per lavorare).

Il_Dubbio

#341
Cari filosofi vi parlo dall'altra parte del muro. Non essendo filosofo (almeno no di professione, ma una qualche propensione alla filosofia dovremmo avercela tutti) faccio fatica alle volte a stare dietro agli innumerevoli concetti astratti proposti per dare senso alla propria filosofia.

Intervengo su questo particolare quesito perchè lo ritengo il quesito dei quesiti. Il principale tra tutti. Un vero e proprio rompicapo.

Il quesito proposto però sembra (in qualche modo) essere paragonabile ad un quesito piu specifico. Che ora tenterò di spiegare

Noi immaginiamo i filosofi come gente che si interroga su questioni di natura generale. La cosa è sospettabile di imprecisione. Un filosofo non può parlare di un sistema generale se poi esclude se stesso. Non sarà piu generale.

Per cui immaginaimo un filosofo che si chieda: perche esiste qualcosa invece che nulla?
Probabilmente sta chiedendo a se stesso perchè esiste invece di non esistere. La domanda da generale diventa personale.
Quindi la prima considerazione è che non si può pensare che un filosofo possa farsi domande generali pensando che possa escludere se stesso.
Per cui secondo me la domanda come è stata posta è monca. Non è precisa.

Ora faccio finta di essere io il filosofo in questione. Mi chiedo, perche ora esisto ed invece non esisto piu nel mio passato?
La domanda (forse per qualcuno potrebbe non essere pertinente) è identica secondo me alla domanda piu generale: perche esiste qualcosa invece di non esistere? Infatti la risposta dovrebbe piu o meno essere: esisto ora in questo istante e con me esiste tutto il resto, mentre al di la di questo istante c'è il nulla.

In un certo senso il significato di nulla non perde la proprietà di esistenza, altrimenti la storia o il fatto che io esista non sarebbe possibile, ed io non starei qui a scrivere.
In realtà si potrebbe anche peggiorare la situazione sostenendo che io ci sono (sono qualcosa ora) ma io ci sono e sono qualcosa anche nel mio passato ed anche il nel mio futuro. Questo potrebbe essere possibile se consideriamo che l'esistenza di noi stessi non dipende solo da noi ma anche da possibili viaggiatori nello spazio che potrebbero incontrare me nel passato e o nel mio futuro e non concordare con il mio stato esistenza di filosofo che si chiede perche ora esisto e fuori ci sia il nulla.
In un certo senso pare che si possa affermare che il nulla e l'esistenza coestistano, mentre è proprio la domanda del filosofo che tende a considerare solo una parte del tutto...quando invece lui crede che si stia facendo una domanda di senso generale.

viator

per Il_Dubbio : molto ragionevole. Naturalmente è facile dimostrare che il tempo non esiste. Anzi, non è proprio. (Devo trascurare la distinzione - pur fondamentale) tra i termini essere-esistere-insistere).

Il passato? Non è (più).
Il futuro? Non è (ancora).
Il presente? Non è semplicemente poiché non si tratta di una dimensione temporale, ma di un limite, di un confine privo di dimensione tra il passato ed il futuro.

Ed è giusto e comprensibile perché sia così: il tempo, al di fuori della nostra personale sensibilità, non esiste.
Esso è semplicemente la dimensione e la modalità psichica con la quale percepiamo gli effetti dell'esistenza dell'energia.
Così come lo spazio (anch'esso non esiste !) il quale è la dimensione psichica con cui percepiamo gli effetti dell'esistenza della materia.

Naturalmente i fisici non saranno d'accordo. Essi utilizzano continuamente i parametri spazio-temporali per illustrare il funzionamento del mondo. Senza tali parametri crollerebbe tutto.

Giusto anche questo. La fisica prevede la presenza di un fisico da una parte e del mondo dall'altra. Tali ingredienti sono rigorosamente indispensabili (NO mondo, no fisica - NO fisici, no fisica). Inoltre essa è basata sulle quattro classiche dimensioni sopra accennate: materia, energia, spazio, tempo.

In ciò che viene osservato (il mondo esterno al fisico) troviamo la materia e l'energia.
Nell'osservatore troviamo la percezione spazio-temporale, strumento interpretativo degli incessanti flussi di espansione e reciproca trasformazione di materia ed energia.

Quindi il mondo fisico privo di osservatori avrà solo due dimensioni. La propria sostanza(corpo), cioè la materia.....e la propria forma (anima), cioè l'energia.

Naturalmente materia ed energia (sostanza e forma per il mondo, corpo ed anima per l'uomo spiritualista), inestricabilmente connesse, rappresentano infine l'unicità, il monismo, il Tutto, l'Assoluto, Dio.............ma tale dimensione unica ed originaria del Mondo non è indagabile da noi poiché siamo appunto ingabbiati nella prigione bipolare costituita dal DENTRO DI NOI opposto al FUORI DI NOI.

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

viator

Saluti a tutti: per Sgiombo: non ho certo riso per gli interventi di qualcuno e men che meno per i tuoi, visto che affermo di non aver praticamente letto il corpo degli argomenti. La mia ilarità (peraltro moderata) è stata generata unicamente dal titolo il quale, al di fuori della sua interpretazione filosofica, è privo di senso corrente..

Secondo la mia personale definizione del verbo essere (la condizione per la quale le cause generano i propri effetti) il nulla non può essere poichè è privo sia di cause che di effetti.

Buona serata.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

sgiombo

Comunque non ci sarebbe stato bisogno di scusarsi per avere riso di me (e credo di altri): penso che non si debba eccedere nel prendersi sul serio.

Ma la tua definizione di "essere" mi sembra piuttosto confacente al concetto di "divenire ordinato secondo modalità o leggi universali e costanti".

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