Perché c’è qualcosa anziché il nulla?

Aperto da Vito J. Ceravolo, 30 Gennaio 2017, 19:09:10 PM

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maral

Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM
Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa. Come si può vedere anche pensando in termini di enti e ritenendo che esista una realtà oggettiva è possibile progredire (d'altronde ci può essere progresso, se tale progresso non ha un fine?) nella nostra comprensione della realtà.
Il problema in termini non contraddittori si può risolvere così:
Io sono adesso e adesso accade pure il mio pensare di me stesso 10 anni fa. ossia quel qualcosa che non sono io adesso, ma che nella storia che sto adesso pensando appare, per astrazione, come se fosse sempre me.

Angelo Cannata

Sono d'accordo con l'idea di considerare la metafisica non un filosofare da buttare nella spazzatura, ma un punto oltre il quale progredire. Non esistono filosofie che possano essere buttate nella spazzatura. Tutta la storia della filosofia può essere riletta in quest'ottica: ogni filosofo si è accorto dei problemi presentati dalla metafisica e in fondo non ha fatto altro che tentare il proprio modo di gestire il rapporto con essa.

La proposta di Apeiron mi sembra un tentativo di considerare la metafisica come un grande, generoso contenitore, in grado di avere spazio anche per la contraddizione. Ma in questo modo non si fa altro che voler salvare la metafisica e tentare di farci entrare tutto.

La proposta di maral mi sembra simile, solo che lui invece di tentare di includere nella metafisica la contraddizione tenta di includervi la storicità. Anche questo mi viene a risultare un tentativo di fare della metafisica un contenitore di tutto.

Credo che contraddizione e storicità, introdotti a forza all'interno della metafisica, non farebbero altro che disturbarla e destabilizzarla in continuazione.

Perché non esaminare i tentativi che già oggi si fanno, evitando di perdere tempo a scoprire ciò che è già stato scoperto?

A me sembra che oggi i tentativi di gestire il rapporto con la metafisica, cioè di fare filosofia, si pongano in questi termini:

- vie analitiche, che cioè si concentrano sui meccanismi formali dei linguaggi; ciò somiglia a quello che Ceravolo ha cercato di fare, solo che, come ho detto, il suo tentativo non mi sembra puramente formale, ma si sbilancia ad occuparsi di significato, cioè di rapporto con la realtà; anche sgiombo viene a risultare occuparsi di meccanismi formali, nel momento in cui segue la via dei giudizi analitici apriori, ma il problema che io vedo è che egli pretende di attribuire a tali giudizi una qualità di certezza che non fa altro che ridurli ancora a metafisica, pur rimanendo giudizi formali;

- vie pratiche, che cioè scelgono di far tesoro di tutta la filosofia per aiutare i popoli a prendere coscienza delle loro oppressioni, smascherare i dittatori che oggi esercitano il loro potere in tutto il mondo, svelare i meccanismi dell'economia che rendono l'uomo schiavo della borsa, andare a protestare insieme alla gente per appoggiare i loro movimenti di liberazione, di progresso;

- vie umanistiche, che cioè scelgono di contaminare la filosofia con le arti, la letteratura, la musica, non per creare torbidi miscugli, ma perché la filosofia è anche arte, è emozione, psicologia, studio estetico delle forme espressive.

Queste vie non spazzano via la metafisica, ma ne fanno un uso diverso, critico; in fondo la metafisica non è altro che il linguaggio della gente e come tale è uno strumento ottimo per intendersi, ma sempre trattandola con la consapevolezza delle critiche che essa ha già ricevuto in tutta la storia della filosofia.

sgiombo

Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 14:29:37 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 14:04:40 PME invece lo esclude perchè si tratta di un principio (probabilmente il più fondamentale) arbitrariamente stabilito del discorso logico...
Come può essere fondamentale se viene stabilito arbitrariamente? Arbitrario non significa altro che soggettivo.
CitazionePer il semplice fatto che le regole logiche (più o meno fondamentali che siano), come gli assiomi e le definizioni matematiche sono arbitrariamente stabilite a priori e non oggettivamente rilevate a posteriori

Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 14:04:40 PMTi intimo di evitare insinuazioni offensive e false nei miei confronti: non ho mai mandato al manicomio nessuno!
Non mi permetterei mai di giudicare te come persona, anzi, apprezzo moltissimo il tuo modo di procedere dei dibattiti. Ciò che ho detto riguarda l'uso a cui si prestano le tue affermazioni. Quando ho detto "stai pretendendo di stabilire chi va mandato al manicomio e chi no" la mia intenzione era mostrare che le tue affermazioni si prestano a tali abusi. Tu senza dubbio non commetterai mai tali abusi, ma a me sembra che una radice lontana delle più opprimenti dittature si trovi proprio in modi di pensare a prima vista innocui, che circolano tra gente onesta.
CitazioneApprezzo a mia volta la precisazione.
E' evidente che tutto il peggio che può darsi può avere "radici" -in senso lato- più o meno lontane; ma la responsabilità intellettuale, morale, eventualmente politica di chi perpetra abusi non può essere addossata a "radici più o meno lontane" alle quali chi li perpetra si può magari arbitrariamente ispirare (senza dover "chiedere il permesso" alle "radici stesse"), ma non consegue inevitabilmente.

sgiombo

Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM


Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa.

CitazioneNon ci vedo nulla di paradossale.
Semplicemente può darsi mutamento relativo, limitato, parziale ovvero (è la stessa cosa detta con parole diverse) fissità relativa, limitata, parziale.
Qualcosa del me di oggi é uguale al me di dieci anni fa, qualcos' altro é cambiato ed ora é diverso.

Apeiron

#79
Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 14:45:16 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM... quella di E può essere definita "più assoluta" nel senso che può essere ricondotta facilmente alle altre. ... Infatti nel relativismo in cui la gerarchia è negata la proposizione di E non è per niente "più generale" di quella ad esempio di A
Sì, il problema è proprio lì: cioè, anche quella di E non è altro che una prospettiva. E quando individuiamo delle gerarchie, cioè che E si trova in un punto di vista più inclusivo, più vasto, quindi più valido rispetto agli altri, dimentichiamo che anche noi stiamo parlando dall'interno della nostra prospettiva; ne consegue che non è possibile stabilire gerarchie assolute, non esistono punti di vista privilegiati, oggettivi, proprio perché sono tutti punti di vista.
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM... Il problema di questa posizione è appunto che non solo nega che per noi umani è impossibile arrivare alla verità e alla realtà ma che in realtà queste proprio non ci siano.
No, il relativismo non può negare l'esistenza della realtà e della verità, altrimenti sarebbe anch'esso una metafisica che avanza certezze. Il relativismo avanza dubbi, sospetti e il problema è che a questi dubbi non vengono date risposte.
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:09:00 PM... il relativismo ... finisce per banalizzare il processo della ricerca stessa.
Non lo banalizza, perché una ricerca può essere sensatissima pur riconoscendo la propria soggettività. Tutte le scoperte scientifiche sono sensatissime, sebbene nessuna di esse abbia la pretesa di non poter essere mai smentita. Anzi, proprio se avanzassero tale pretesa, diventerebbero all'istante invalide perché infalsificabili. Un problema della metafisica è proprio il suo timore che ciò che è soggettivo, opinabile, sia senza valore, inutile; invece le cose stanno proprio al contrario: in base al principio di falsificabilità, ciò che vale è proprio ciò che si autoriconosce soggettivo, opinione, conclusione provvisoria aperta alle smentite; viceversa, sono le cose che si pretendono assolute, indubitabili, a risultare proprio per questo invalide, perché incapaci di resistere al dubbio. Ma il problema non è che non resistono al dubbio, poiché anche le opinioni non resistono al dubbio. Il problema è che esse dicono di essere al di sopra del dubbio, mentre invece, all'atto del confronto, dimostrano di non reggere. Al contrario, l'opinione ammette di essere dubitabilissima e proprio questo suo giocare a carte scoperte la rende affidabile, valida.

Ma le gerarchie sono talmente evidenti che mi sembra assurdo negarle. La prospettiva di E contiente molte più affermazioni di quella di A, la quale è appunto contenuta in quella di E. Credo sia innegabile che una prospettiva che ne contenga un'altra sia più "oggettiva". Ad esempio la prospettiva di E ci spiega che destra e sinistra sono concetti relativi e che non c'è alcun conflitto tra le prospettive di A e di B. Se pensiamo a persone reale dire che anche quella di E è "una prospettiva come le altre" lascia passare il messaggio che quella di A è completa, cosa che non ha senso. Anzi si rischia che ad esempio A dice: "questa è la mia prospettiva, siccome qualsiasi prospettiva che trovo rimane una prospettiva non migliore della mia allora posso tenermi la mia e ignorare quelle altrui". Poi magari contatta che A contatta B e si mettono a litigare sulla questione della posizione dell'albero. La negazione delle gerarchie secondo me tende a promuovere la soppressione della curiosità e della voglia di mettersi in discussione perchè se uno è relativista arriva a dire "beh perchè devo passare la vita a ricercare se tanto la prospettiva che troverò non è superiore a quella di un altro".  

Altro discorso: la metafisica non nega il soggetto o almeno lo nega quanto allo stesso modo della scienza. In entrambi i casi il "soggetto metafisico" da una parte e l' "osservatore" dall'altra in linea di principio vengono presi come "uguali". Per capire cosa sto dicendo si pensi al fatto che nella scienza le osservazioni non devono dipendere dal fatto che le faccia io, il mio vicino o un computer. In ambo i casi si devono fare delle assunzioni che dovrebbero essere chiarite prima di iniziare a teorizzare.

Citazione di: maral il 12 Febbraio 2017, 17:45:45 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PMIl problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni: "io sono lo stesso di 10 anni fa" "io non sono lo stesso di 10 anni fa" Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa. Come si può vedere anche pensando in termini di enti e ritenendo che esista una realtà oggettiva è possibile progredire (d'altronde ci può essere progresso, se tale progresso non ha un fine?) nella nostra comprensione della realtà.
Il problema in termini non contraddittori si può risolvere così: Io sono adesso e adesso accade pure il mio pensare di me stesso 10 anni fa. ossia quel qualcosa che non sono io adesso, ma che nella storia che sto adesso pensando appare, per astrazione, come se fosse sempre me.

Il problema è che il "tu" di "adesso" è una pura astrazione. Ciò che fonda il mio "io" è la "somma" delle mie scelte passate, delle mie emozioni, delle relazioni umane ecc. In sostanza preferisco pensare alla mia identità come un qualcosa che pur cambiando rimane indentica. Non sono nemmeno la somma delle mie esperienze interiore ed esteriori perchè non sono un libro ma sono un essere umano vivente. Proprio il fatto che io sia vivente implica che io ogni istante cambio ma ogni istante "conservo" la mia identità (motivo per cui un fiume viene chiamato con lo stesso nome nel tempo anche se ogni istante il suo contenuto cambia). Si può pensare in questo modo se si comprende che si è più simili a processi che a sostanze fisse. La teoria dell'atman indiana (Adviata Vedanta a parte) e della sostanza aristotelico-platonica è problematica perchè vuole trovare un qualcosa di immutabile. Infatti ad ogni istante io cambio in "toto".

Citazione di: Angelo Cannata il 12 Febbraio 2017, 18:59:12 PMSono d'accordo con l'idea di considerare la metafisica non un filosofare da buttare nella spazzatura, ma un punto oltre il quale progredire. Non esistono filosofie che possano essere buttate nella spazzatura. Tutta la storia della filosofia può essere riletta in quest'ottica: ogni filosofo si è accorto dei problemi presentati dalla metafisica e in fondo non ha fatto altro che tentare il proprio modo di gestire il rapporto con essa. La proposta di Apeiron mi sembra un tentativo di considerare la metafisica come un grande, generoso contenitore, in grado di avere spazio anche per la contraddizione. Ma in questo modo non si fa altro che voler salvare la metafisica e tentare di farci entrare tutto. La proposta di maral mi sembra simile, solo che lui invece di tentare di includere nella metafisica la contraddizione tenta di includervi la storicità. Anche questo mi viene a risultare un tentativo di fare della metafisica un contenitore di tutto. Credo che contraddizione e storicità, introdotti a forza all'interno della metafisica, non farebbero altro che disturbarla e destabilizzarla in continuazione. Perché non esaminare i tentativi che già oggi si fanno, evitando di perdere tempo a scoprire ciò che è già stato scoperto? A me sembra che oggi i tentativi di gestire il rapporto con la metafisica, cioè di fare filosofia, si pongano in questi termini: - vie analitiche, che cioè si concentrano sui meccanismi formali dei linguaggi; ciò somiglia a quello che Ceravolo ha cercato di fare, solo che, come ho detto, il suo tentativo non mi sembra puramente formale, ma si sbilancia ad occuparsi di significato, cioè di rapporto con la realtà; anche sgiombo viene a risultare occuparsi di meccanismi formali, nel momento in cui segue la via dei giudizi analitici apriori, ma il problema che io vedo è che egli pretende di attribuire a tali giudizi una qualità di certezza che non fa altro che ridurli ancora a metafisica, pur rimanendo giudizi formali; - vie pratiche, che cioè scelgono di far tesoro di tutta la filosofia per aiutare i popoli a prendere coscienza delle loro oppressioni, smascherare i dittatori che oggi esercitano il loro potere in tutto il mondo, svelare i meccanismi dell'economia che rendono l'uomo schiavo della borsa, andare a protestare insieme alla gente per appoggiare i loro movimenti di liberazione, di progresso; - vie umanistiche, che cioè scelgono di contaminare la filosofia con le arti, la letteratura, la musica, non per creare torbidi miscugli, ma perché la filosofia è anche arte, è emozione, psicologia, studio estetico delle forme espressive. Queste vie non spazzano via la metafisica, ma ne fanno un uso diverso, critico; in fondo la metafisica non è altro che il linguaggio della gente e come tale è uno strumento ottimo per intendersi, ma sempre trattandola con la consapevolezza delle critiche che essa ha già ricevuto in tutta la storia della filosofia.

Vedo sinceramente la metafisica come quell'insieme di ipotesi che si fanno sulla realtà esterna, sulla nostra identità ecc che si basano sui nostri sistemi formali. Il fatto che io "accetto la contraddizione" è dovuto al fatto che invece di partire dalla teoria parto dall'esperienza e da lì cerco di costruirmi una "teoria" che tenta di spiegare ad esempio la persistenza dell'identità nel cambiamento. Anche se la contraddizione sembra una blasfemia negli ultimi anni alcuni logici di un certo livello lavorano sulla dialeteia, ossia su proposizioni A per le quali sia A che non-A risultano essere vere.

N.B. Preciso che non accetto la contraddizione sempre altrimenti finirei nel paradosso dell'esplosione, ossia nel paradosso in cui ogni affermazione risulta essere  vera.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:42:24 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM


Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa.

CitazioneNon ci vedo nulla di paradossale.
Semplicemente può darsi mutamento relativo, limitato, parziale ovvero (è la stessa cosa detta con parole diverse) fissità relativa, limitata, parziale.
Qualcosa del me di oggi é uguale al me di dieci anni fa, qualcos' altro é cambiato ed ora é diverso.



Tutto il mio pensiero, tutte le mie cellule ecc sono cambiate nel corso degli anni. Non puoi trovare niente di materiale e nemmeno tra i pensieri che sia rimasto identico. Ritengo invece che nuovamente io "vivo" ossia permango nel cambiamento.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Citazione di: maral il 12 Febbraio 2017, 14:16:58 PM
Citazione di: sgiombo il 11 Febbraio 2017, 16:28:50 PMLa realtà non è necessariamente "pensanda"; cioè si può pensare essere reale ciò che è reale ma anche ciò che non è reale e si può pensare non essere reale ciò che non è reale ma anche ciò che è reale.
Se per "accidentale" intendiamo questo ("non necessariamente pensanda essere così com' è; pensabile non essere anziché essere, ovvero essere diversa da ciò che è, da com' è") allora sì, la realtà è accidentale.
Ma inoltre la realtà è realmente (per definizione) necessariamente ciò che è (così com' è), sebbene sia pensabile diversamente): può essere pensata essere ma non realmente essere diversa da come è, da ciò che é.
E allora se per "accidentale" intendiamo quest' altro ("non necessariamente accadente  realmente - così come accade", ma anche altrimenti" ma casomai solo non necessariamente pensabile accadere realmente -così come accade, ma anche altrimenti- allora no, la realtà non è accidentale
Se intendiamo quel pensare nel senso di conoscere (un conoscere che sempre un po' pensa, ossia che in qualche misura sa di sapere), si conosce solo ciò che è reale, e sempre in un modo almeno un po' diverso dal suo essere reale e non si può conoscere il non essere esattamente come non si può conoscere l'essere (l'essere così com'è di qualsiasi cosa) in nessun caso. L'essere così com'è lo si vive, ma non si può conoscerlo, il conoscerlo in qualche modo lo tradisce, sempre, sia che appaiano cavalli che ippogrifi. Quello che si può dire è che accade di pensare cavalli e di pensare ippogrifi (qualcuno li pensa) e che nel pensarli capita che qualcosa si presenti come immagine di un cavallo o di un ippogrifo, ma questo presentarsi non dipende da noi come soggetti pensanti, ma dipende dal nostro essere soggetti viventi (da quel vivere e saper vivere in cui siamo sempre e che sempre vuole essere conosciuto, quindi tradito per poterlo riconoscere).
Se non si ammette questo, pensando così di non far confusione, si rischiano errori enormi ove l'errore più grosso è quello di credere che l'oggetto del nostro conoscere sia (o possa essere) la realtà stessa o che, al contrario, si possano conoscere (pensare) cose non aventi alcuna realtà.
CitazioneNon capisco il senso di queste parole (mi sembrano contraddittorie).
Ciò che è reale si può conoscere ("si conosce solo ciò che è reale" per quanto di fatto limitatamente, "pensandolo in modo almeno un po' diverso dal suo essere leale") oppure no (("non si può conoscere il non essere esattamente come non si può conoscere l'essere (l'essere così com'è di qualsiasi cosa) in nessun caso"))?
Inoltre il non essere (di qualcosa; cioè che qualcosa non sia reale) si può ben conoscere; per esempio il non essere reali dei soliti ippogrifi.
 
Non si vive l' essere in quasiasi senso (l' essere qualsiasi cosa), ma da parte di ciascuno il proprio essere, la propria vita (non la vita di un pipistrello o di una balena da parte di noi uomini, né men che meno l' essere di qualcosa di non vivente, come ad esempio di una montagna).


E d' altra parte non è affatto detto che non si possa conoscere ciò che è; se così fosse si cadrebbe nel noto paradosso per il quale nemmeno (il fatto; che tale sarebbe, secondo questa affermazione) che non si possa conoscere ciò che é si potrebbe conoscere: affermazione-negazione della stessa tesi.


Ancora una volta mi tocca citare il da me non amato Hegel a proposito della pretesa che "il conoscerlo [dell' "essere"; suppongo intenda la realtà, ciò che realmente è o accade] in qualche modo lo tradisce, sempre, sia che appaiano cavalli che ippogrifi]": un tipico caso di "notte in cui tutte le vacche -o anche tutti gli equini, reali e fantastici- sembrano nere": se ho la visione di un cavallo può darsi si tratti di un sogno o un' allucinazione ma anche che si tratti di un' esperienza reale, mentre se vedo un ippogrifo è: o un sogno; o un' allucinazione; o al  limite uno scherzo da prete fattomi da qualcuno; ma non di certo un' esperienza (ti pregherei di non ricorrere al sofisma consistente nel dire che anche un' allucinazione o un sogno è realmente un' esperienza, giocando sull' ambiguità dei concetti: certo che la è, ma è un' esperienza realmente onirica o realmente allucinatoria rispettivamente e non realmente reale (come avrai capito quella sullo scherzo da prete è solo una battuta).


Per essere soggetti pensanti bisogna per forza essere soggetti viventi, non potendosi dare pensiero senza vita.


Ribadito ancora una volta che non ritengo razionalmente superabile lo scetticismo, ti segnalo che affermando che distinguendo "reale" da immaginario" si compie (accade che si compia) l'errore più grosso (che si possa fare), che sarebbe quello di "credere che l' oggetto del nostro conoscere sia (o possa essere) la realtà stessa", poiché questo preteso "errore più grosso" farebbe parte della realtà stessa (accadrebbe), cadi nel ben noto paradosso di chi afferma che nulla si possa conoscere (per l' appunto della realtà), affermazione che nega se stessa, essendo essa stessa una pretesa conoscenza (della realtà).


Dagli ippogrifi ai centauri e alle chimere (e chi più ne ha più ne metta), si può pensare un' infinità di cose non aventi realtà (se non ovviamente in quanto oggetti di pensiero: tautologia! Cosa ben diversa dalla realtà che è propria di cavalli, uomini, grifi, vacche -di vari colori, anche se di notte, come nell' ignoranza, sembrano tutte nere- e un' infinità di -altre- cose).





CitazioneSgiombo:
Un soggetto (oltre che oggetti) delle sensazioni, in aggiunta ad esse, potrebbe benissimo non esserci (come pure esserci).

Maral:
Infatti soggetti e oggetti delle sensazioni (con le sensazioni che li collegano), mentre semplicemente si vive, non ci sono. Non ci sono proprio perché si vive e si sa vivere senza sapere
di vivere, soggetti e oggetti sono figure del conoscere, che solo nel conoscere si danno e si sottraggono.
CitazioneSgiombo:
"Infatti" è fuori luogo dal momento che io ho affermato che potrebbero benissimo esserci come pure non esserci e non affatto che certamente non ci sono ("mentre semplicemente si vive" -?-).

Che gli oggetti di sensazioni possano benissimo essere morti mi è chiaro, ma che possano darsi soggetti di sensazione morti non è possibile dal momento che (secondo la lingua italiana, di cui entrambi dobbiamo rispettare il lessico, oltre che la grammatica e la sintassi per poter comunicare) per sentire bisogna essere vivi (in qualche modo, fosse pure come "anime disincarnate").

Lo stesso dicasi del conoscere.



sgiombo

#82
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 19:50:43 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:42:24 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 14:20:43 PM


Il problema è l'abuso della stessa. Ad esempio pensare di essere un "ente" e ritenere che per noi funzioni il principio di non-contraddizione aristotelico. Invece secondo me la nostra facoltà di scegliere e di cambiare ci conduce a ritenere vere le seguente proposizioni:
"io sono lo stesso di 10 anni fa"
"io non sono lo stesso di 10 anni fa"
Ma questo NON è dovuto al fatto che ci sia una substantia, un atman che non cambia, dentro di noi. E qui si arriva ad una metafisica "paradossale" secondo la quale una cosa cambiando rimane se stessa.

CitazioneNon ci vedo nulla di paradossale.
Semplicemente può darsi mutamento relativo, limitato, parziale ovvero (è la stessa cosa detta con parole diverse) fissità relativa, limitata, parziale.
Qualcosa del me di oggi é uguale al me di dieci anni fa, qualcos' altro é cambiato ed ora é diverso.



Tutto il mio pensiero, tutte le mie cellule ecc sono cambiate nel corso degli anni. Non puoi trovare niente di materiale e nemmeno tra i pensieri che sia rimasto identico. Ritengo invece che nuovamente io "vivo" ossia permango nel cambiamento.
CitazioneTantissime cose nella mia anatomia sono rimaste uguali, anche se costituite da molecole diverse (ma organizzate nello stesso modo, a costituire gli stessi organi, come é tipico dei viventi) i quali sono cambiati solo parzialmente.

D' altra parte non vedo che possa significare "io "vivo" ossia permango nel cambiamento" o "Proprio il fatto che io sia vivente implica che io ogni istante cambio ma ogni istante "conservo" la mia identità"se non che v' è "parte" (aspetti, caratteristiche, ecc,) di me che permane (come é: non cambia) e altra "parte " che cambia.

Duc in altum!

**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneUna volta che qualsiasi discorso è inesorabilmente inquinato da soggetti che vi entrano da ogni direzione, come possiamo pensare di parlare di una verità indipendente da noi?
Perché abbiamo la stessa origine, respiriamo lo stesso ossigeno, e desideriamo con la stessa fede e la stessa speranza.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Sariputra

#84
@A.Cannata scrive:

Certo, infatti un vero relativista non dice "tutto è relativo", ma "mi sembra che tutto sia relativo", "forse tutto è relativo". Il relativista non ha certezze, egli getta soltanto dubbi, sospetti. Il problema è che di fronte a questi dubbi la metafisica non ha risposte.

Beh...sembra che nessuno dei due abbia risposte direi  ;D.  Quello che dicono i metafisici è vero o falso ? Quelli che dicono i relativisti è vero o falso? Il riferimento al vero e al falso rimane ineludibile. E se il relativista dice 'dipende' allora 'da cosa dipende'? Se anche vogliamo superare il concetto metafisico di 'verità' con una specie di post-verità(  verità a cui si fa riferimento sia pure come qualcosa che si vuole superare o che, secondo molti, sarebbe già superato), non si può lo stesso sfuggire alla domanda:'ma la post-verità è vera o falsa?' La pretesa relativista di ricondurre tutto nel campo probabilistico dell'interpretazione, della narrazione e delle opzioni di valore mi sembra inutile e non può sfuggire all'obiezione "binaria". Un giudizio su qualunque cosa non può essere vero e falso nello stesso momento. Il realtivismo, a mio parere, non sembra accorgersi della contraddizione logica in cui cade affermando che ' non esistono verità assolute' nello stesso momento affermando ciò che nega e negando ciò che afferma. Sarebbe come affermare : ' E' vero che non esiste nessuna verità assoluta'. E se il relativista obietta:'Ma io non intendo sapere ciò che è vero e ciò che è falso in senso assoluto, in quanto mi sembra non ci sia nulla di vero o di falso in senso assoluto'dovrebbe spiegare  se 'è vero che gli sembra vero non ci sia nulla di vero o di falso in senso assoluto' ricadendo, a mio avviso, nuovamente in contraddizione logica ad libitum. Insuperabile, a mio parere...ma sono un logico inadeguato ovviamente... un semplice viticoltore ;D
Se non c'è alcuna verità..di cosa stiamo parlando? Quindi , parafrasando Wittgenstein."Di ciò che non si può parlare si deve tacere" propongo una settimana di silenzio nella sezione filosofica del forum... ;D ;D ;D ;D    
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Duc in altum!

**  scritto da Angelo Cannata:
CitazioneNo, il relativismo non può negare l'esistenza della realtà e della verità, altrimenti sarebbe anch'esso una metafisica che avanza certezze. Il relativismo avanza dubbi, sospetti e il problema è che a questi dubbi non vengono date risposte.
"Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie". - (Ratzinger)
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 19:48:08 PM
Ma le gerarchie sono talmente evidenti che mi sembra assurdo negarle.
Proprio questo è uno dei punti deboli della metafisica: non ha senso stabilire una verità solo perché ci sembra evidentissima e ci sembra assurdo negarla, anche se su tale evidenza l'intera umanità fosse d'accordo: nulla vieta che anche l'intera umanità possa ingannarsi.
Ogni valutazione di evidenza o di assurdità è compiuta dal nostro cervello e il nostro cervello viene a risultare del tutto inaffidabile, poiché è impossibile fare su di esso verifiche, controlli, senza che tali controlli vengano inquinati dall'intromissione del nostro cervello stesso. L'evidenza non può essere considerata fonte di verità.
La scienza si basa su evidenze, ma la scienza non stabilisce verità metafisiche, dogmatiche, da considerare infallibili in eterno.

Angelo Cannata

Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:35:44 PMPer il semplice fatto che le regole logiche (più o meno fondamentali che siano), come gli assiomi e le definizioni matematiche sono arbitrariamente stabilite a priori e non oggettivamente rilevate a posteriori
La pretesa coerenza, indubitabilità, infallibilità di un giudizio può essere messa in questione senza bisogno di servirsi di riferimenti a posteriori. È sufficiente far notare che i concetti stessi di coerenza, dubbio, a priori, a posteriori, giudizio, essendo concetti elaborati dal cervello umano, non possono avanzare nessuna pretesa di coerenza, indubitabilità, ecc.
Probabilmente a questo punto mi dirai che io, per poterti rivolgere questa critica, mi sono servito proprio di tali concetti. Ma io non ho nessuna fiducia in tali concetti: io non faccio altro che far interagire tra loro i materiali che tu mi fornisci (concetti, idee, criteri), mostrando che sono essi stessi a condurre all'autonegazione.

Angelo Cannata

Citazione di: Apeiron il 12 Febbraio 2017, 19:48:08 PMAltro discorso: la metafisica non nega il soggetto o almeno lo nega quanto allo stesso modo della scienza. In entrambi i casi il "soggetto metafisico" da una parte e l' "osservatore" dall'altra in linea di principio vengono presi come "uguali". Per capire cosa sto dicendo si pensi al fatto che nella scienza le osservazioni non devono dipendere dal fatto che le faccia io, il mio vicino o un computer. In ambo i casi si devono fare delle assunzioni che dovrebbero essere chiarite prima di iniziare a teorizzare.
Se la metafisica negasse il soggetto sarebbe già una gran cosa, poiché significherebbe che lo tiene in conto; il problema è che lo trascura, lo ignora, fa finta che non esista.
La scienza si sforza in continuazione di pervenire ad assunti che non dipendano dal soggetto, ma, nel momento in cui qualcuno facesse osservare che un certo teorema scientifico è errato perché fu viziato dall'intromissione del soggetto, essa non si fa problema di riconsiderare il tutto e verificare gli inquinamenti introdotti dai soggetti.
La metafisica no. Nel momento in cui essa pretende di stabilire verità assolute, infallibili, eterne, essa nega la possibilità di ulteriori controlli futuri. È così e basta, non si discute. Se ammettesse discussioni, non sarebbe più metafisica, ma sarebbe scienza. Per chiarire meglio: sia la scienza che la metafisica affermano che esiste un pianeta chiamato Terra. Se però io presento alla scienza il sospetto che tale pianeta smetta di esistere tutte le volte che io non lo guardo, la scienza mi risponde: "Sì, può essere, ma oggi viene a risultare economico, efficace, ai fini della ricerca scientifica, far finta che esso continui ad esistere anche quando non lo guardiamo". La metafisica no. Per la metafisica l'esistenza indipendente dal soggetto è un dogma. Essa mi dice: "Che tu lo creda o no, che tu ci pensi o no, il pianeta Terra esiste sempre, anche quando nessuno lo pensa o lo guarda, poiché, se un oggetto esiste, esso esiste indipendentemente da qualsiasi soggetto; la sua esistenza è oggettiva".

Sariputra

Citazione di: Angelo Cannata il 13 Febbraio 2017, 14:21:39 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Febbraio 2017, 19:35:44 PMPer il semplice fatto che le regole logiche (più o meno fondamentali che siano), come gli assiomi e le definizioni matematiche sono arbitrariamente stabilite a priori e non oggettivamente rilevate a posteriori
La pretesa coerenza, indubitabilità, infallibilità di un giudizio può essere messa in questione senza bisogno di servirsi di riferimenti a posteriori. È sufficiente far notare che i concetti stessi di coerenza, dubbio, a priori, a posteriori, giudizio, essendo concetti elaborati dal cervello umano, non possono avanzare nessuna pretesa di coerenza, indubitabilità, ecc. Probabilmente a questo punto mi dirai che io, per poterti rivolgere questa critica, mi sono servito proprio di tali concetti. Ma io non ho nessuna fiducia in tali concetti: io non faccio altro che far interagire tra loro i materiali che tu mi fornisci (concetti, idee, criteri), mostrando che sono essi stessi a condurre all'autonegazione.


Angelo, non voglio sostituirmi a Sgiombo nella ev.risposta, ma negando valore ai tuoi concetti critici ( io non ho nessuna fiducia in tali concetti) neghi valore alla critica stessa. Infatti tu usi la critica logica per dimostrare che le assunzioni della metafisica non sono verità assolute, cioè usi uno strumento che tu stessi dichiari non valido ( o valido relativamente). Tralasciando il fatto che affermare che uno strumento non è valido stabilisce necessariamente un giudizio sullo strumento adottato e quindi come si può valutare la sua validità, più o meno relativa, se non esiste metro di paragone su ciò che è valido? Anche dire che i concetti sono elaborati dal cervello umano è stabilire una pretesa verità. Come puoi essere certo ( ossia vero o falso?) che il pensiero sia esclusivamente il prodotto di una massa cerebrale? Anche non volendo cominci già ad affermare qualcosa, una "verità" ( la logica è relativa perchè prodotta da un cervello) e lo fai utilizzando uno strumento di cui " non ho nessuna fiducia". E' assolutamente senza senso, a parer mio...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

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