Percezione e scienza, evidenza e comprensione.

Aperto da iano, 05 Ottobre 2021, 22:52:55 PM

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iano

Ipotizzo che dietro alla percezione vi siano teorie che si possano mettere nella forma di quelle scientifiche, se le conoscessimo.
Noi però non le conosciamo, ma ci limitiamo ad applicarle.
Ciò comporta un rapporto con la realtà che è mediato, come altrimenti non potrebbe essere, ma che a noi appare immediato. Per questo i risultati della percezione ci appaiono evidenti.
Ci crediamo se lo vediamo o tocchiamo con mano, e in genere secondo un diverso grado di evidenza in base al senso principalmente coinvolto. La vista è prima in graduatoria se , non a caso,  diciamo che una cosa certa in modo indiscutibile è evidente.
Ma già,  questo diverso grado di "evidenza" che attribuiamo ai diversi sensi, ci induce a ragionare  che ci sia invece ben ben  da discutere.
Questa graduatoria di evidenza è inoltre del tutto falsata dal fatto che i sensi collaborano sempre fra loro, anche se a noi appare evidente che ad una visione contribuisca esclusivamente la vista, etc...
È un po' come se alla base della percezione vi fossero diverse teorie più o meno sovrapponibili, come avviene per le teorie fisiche, che vengono usate alla bisogna, insieme o separatamente, senza che sia richiesta perfetta sovrapponibilta', anche perché se sono diverse è perché non coincidono perfettamente.


Dentro a questo quadro ipotetico che abbiamo delineato, al di la' di quanto sia più o meno supportato dai risultati scientifici, vogliamo provare a definire cosa significhi capire, comprendere, consci che il problema riguarda unicamente le teorie scientifiche. Infatti che una mela sia una mela lo si capisce bene, perché in effetti non vi è nulla da capire.
Ma il processo percettivo che a ciò conduce non è cosciente.
Però quando noi affermiamo di non comprendere una teoria scientifica lo diciamo avendo usato coscienza .
La differenza fra scienza e percezione è l'uso della coscienza.
Quando facciamo scienza sappiamo cosa stiamo facendo.
Quando percepiamo facciamo la stessa cosa, interagiamo cioè con la realtà, ma non sappiamo come.
A metà strada fra questi due estremi porrei l'intuito e l'immaginazione.


Un possibile ostacolo alla comprensione delle teorie fisiche è il loro succedersi a breve scadenza.
Abbiamo vissuto pienamente per duemila anni dentro alle teorie di Aristotele, e poi ci sono voluti duecento anni per iniziare a "percepire" il nuovo mondo delineato dalle teorie alternative di Newton, che tutto è già' stato messo di nuovo in discussione.
Non ci è più dato il tempo "per capire", ciò  che equivale ad applicare le teorie in automatico , senza più pensarci, proprio come succede per la percezione.


Si può essere d'accordo o meno con quanto precede, ma rimane il punto che definire cosa sia comprendere, non è cosa evidente come ci appare,, anche se il termine stesso suggerisce già qualcosa.



Potremmo concludere che non vi sia nulla da capire, e che non sia quindi questione di studio ed applicazione è relativo tempo per capire, ma che finché ci sono state teorie applicate in esclusiva queste applicazioni hanno avuto il tempo di divenire automatismi, ciò che si fa' senza più pensare, dimentichi della teoria stessa, in quanto essa ha avuto il tempo di diventare parte di noi, e per questo l'abbiamo compresa.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alexander

#1
Buongiorno Iano


Penso che la percezione sia complessa perché, partendo dai dati sensibili,sensoriali arriva a formulare intuizioni anche opposte o diverse.Entra in gioco un sistema di prospettive e di giudizi che partono dal medesimo stimolo percettivo:  Un uomo guarda un uccello morente e pensa che la vita non sia altro che dolore senza risposta. Ma è la morte che ha l'ultima parola. Ride di lui. Un altro uomo vede lo stesso uccello. E sente la gloria. Sente nascere la gioia eterna dentro di sé". (La sottile linea rossa). La pura percezione, vagheggiata per esempio nello zen, non esiste. Nell'atto percettivo c'è sempre la sensazione e il giudizio. Sono un tutt'uno. Basta mettere la mano sul fuoco per capire subito che sono un tutt'uno.
Lo stimolo sensoriale in sé non dice niente alla mente.E' solo quando questa se ne appropria e lo elabora che si ha una percezione.Ci sono percezioni semplici (caldo/freddo-duro/tenero,ecc.)e altre complesse , o molto complesse, come nella frase riportata dal famoso film di Malick. C'è sempre il giudizio della mente che interviene. Noi guardiamo con la mente attraverso i sensi.Prima viene sempre la mente che indirizza lo sguardo giudicante.

Ipazia

Gli organi percettori sono prodotti evolutivi legati alle necessità della sopravvivenza. Di essi, più che di ogni altro evento, si può tranquilamente dire che il reale è razionale. Essi sono tarati al meglio rispetto alle condizioni ambientali degli esseri viventi e si evolvono con esse, tra sommersi e salvati.

Le complicazioni psicometafisiche sono arrivate dopo e di esse non si può proprio dire che il razionale sia sempre reale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Kobayashi

I sensi ci garantiscono evidenze che risultano sufficienti per vivere.
La loro limitatezza è una questione che si pone a posteriori e che parte dal presupposto dell'esistenza di una verità incontrovertibile che dovremmo cercare di possedere ma che in realtà non serve alla vita ma solo alla legittimazione di un potere assoluto (per quanto questo passi prima attraverso l'edificazione di una concezione filosofica).

La critica alla percezione sensoriale è un classico dello scetticismo.
Proprio in questi giorni stavo pensando a come lo scetticismo sia esercitato diversamente nelle varie epoche e come abbia sempre un significato politico.

All'inizio dell'epoca moderna contro il dogmatismo religioso: un esercizio di umiliazione delle facoltà umane per recuperare equilibrio, buon senso, per disinnescare il fanatismo religioso e garantire una decente convivenza tra chi ha fedi diverse (attraverso la dimostrazione che non esiste un criterio capace di distinguere le autentiche verità religiose: tale criterio non può essere infatti la tradizione cattolica che si è costruita su decisioni umane rivelatesi a volte sbagliate, così come, sul versante protestante, non può essere la coscienza illuminata dalla fede che si esercita sulle Scritture per il suo inevitabile soggettivismo).

Nel pensiero contemporaneo invece lo scetticismo lavora contro ogni concezione umanista diventando esso stesso alla fine una specie di dogmatismo negativo (come lo è stato lo scetticismo accademico) e favorendo l'assoggettamento degli uomini.
Dunque a questo scetticismo, diventato dogmatismo e strumento di un programmato indebolimento della dignità dell'uomo, si potrebbe rispondere con una posizione altrettanto scettica sulle sue ragioni: così ad esempio all'evidenza della problematicità dell'Io si potrebbe opporre l'idea dell'anima, alle argomentazioni del determinismo quelle del libero arbitrio, al divieto di non infrangere il dogma dell'immanentismo le ragioni della trascendenza, e via dicendo.

[sono ancora andato of topic...]

iano

Citazione di: Ipazia il 06 Ottobre 2021, 10:44:04 AM
Gli organi percettori sono prodotti evolutivi legati alle necessità della sopravvivenza. Di essi, più che di ogni altro evento, si può tranquilamente dire che il reale è razionale. Essi sono tarati al meglio rispetto alle condizioni ambientali degli esseri viventi e si evolvono con esse, tra sommersi e salvati.

Le complicazioni psicometafisiche sono arrivate dopo e di esse non si può proprio dire che il razionale sia sempre reale.
Questa osservazione, nella sua stringatezza, fa' riflettere, per cui chiedo precisazioni.
Mi pare tu intenda che c'è almeno una parte della realtà che è certamente razionale, gli organi precettori, senza che la realtà debba esserlo nella sua interezza, nel senso di "non del tutto razionalizzabile".
È così?
Una razionalità che può girare anche a vuoto, non legata cioè con ingranaggio di trasmissione direttamente alla realtà , di cui a posteriore si può tentare  di costruire apposito ingranaggio.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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iano

#5
Citazione di: Alexander il 06 Ottobre 2021, 10:11:18 AM
Buongiorno Iano


Penso che la percezione sia complessa perché, partendo dai dati sensibili,sensoriali arriva a formulare intuizioni anche opposte o diverse.Entra in gioco un sistema di prospettive e di giudizi che partono dal medesimo stimolo percettivo:
Ciao Alexander.
Credo che sia proprio così. Ma complessa in che senso? Ci sono alternative più semplici?
Intuizioni diverse  fino ad essere opposte possono ottenessi anche con il lancio di un dado.
Si può immaginare che le cose possano andare veramente così, e che dopo vari tentativi si determini una correlazione solida fra dati sensibili e una intuizione selezionata come ottimale.
In questa situazione semplice in effetti gli individui con le loro diverse intuizioni valgono come il lancio di un dado.
Una situazione più complessa equivale invece a un dado truccato dove escono con maggior probabilità intuizioni pregresse, facendo cioè tesoro dell'esperienza accumulata.
In quest'ultimo caso è come se il risultato dell'elaborazione dei dati sensibili venisse suggerito, e questa mi sembra la via per cui le cose appaiono evidenti.
Sono i casi in cui si dice a volte , "come ho fatto a non pensarci prima? " , "era ovvio che questa fosse la soluzione",  ammettendo che la soluzione ci era sfuggita, pur essendo evidente.
Ma potevi pensarci prima solo se lo avevi già pensato , magari in un caso analogo.
Insomma, l'evidenza, pur apparendo immediata, non è mai tale.
Le cose non ci appaiono evidenti per caso, ma non perciò lo sono in modo definitivamente determinato, come ciò che è perché non potrebbe essere diversamente.
Ma come ciò  che col suo relativo riconfermarsi , ciò  che si fa' al limite routine, quindi ciò che si fa' senza più  pensare, perdendo consapevolezza del come si fa', appare perciò immediato.
I dati sensibili coincidono allora con la percezione, perché ne ignoriamo, o abbiamo dimenticato il percorso elaborativo.
Tutto cio ' sembra ragionevole, ma ciò non toglie che un tavolo continui ad apparirci come evidente, e rimane difficile digerire che tale evidenza sia il risultato finale di una elaborazione di dati.
Eppure le cose non possono stare diversamente.


Le parole si spiegano con le parole, in circolo, dove ogni parola è origine del percorso esplicativo, e nessuna quindi lo è in particolare.
Eppure in filosofia si fanno discorsi, di quelle parole fatte, dove si pretende che alcune parole stiano al centro del cerchio.
Concetti scollegabili dal mucchio, e del mucchio sorgente.
Ma si tratta solo di concetti del quale con maggior difficoltà vediamo il collegamento alla pari con altri, come tutti punti della stessa circonferenza.
Esistono forse filosofie che non si basino su qualche presunta evidenza.
Sono però tutti percorsi diversi fatti sulla stessa circonferenza.
Perché una parola ,che esprime un concetto, in quanto parola fra parole, dovrebbe posseder uno status privilegiato?
Per potersi configurare come privilegiato un concetto deve avere una particolarità che non è propria ad esso, ma alla sua storia, come quella di essere ad esempio una sapienza dimenticata, e perciò punto notevole da cui ripartire.
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iano

#6
Citazione di: Kobayashi il 06 Ottobre 2021, 17:22:41 PM
I sensi ci garantiscono evidenze che risultano sufficienti per vivere.
La loro limitatezza è una questione che si pone a posteriori e che parte dal presupposto dell'esistenza di una verità incontrovertibile che dovremmo cercare di possedere ma che in realtà non serve alla vita ma solo alla legittimazione di un potere assoluto (per quanto questo passi prima attraverso l'edificazione di una concezione filosofica).

La critica alla percezione sensoriale è un classico dello scetticismo.
Proprio in questi giorni stavo pensando a come lo scetticismo sia esercitato diversamente nelle varie epoche e come abbia sempre un significato politico.

All'inizio dell'epoca moderna contro il dogmatismo religioso: un esercizio di umiliazione delle facoltà umane per recuperare equilibrio, buon senso, per disinnescare il fanatismo religioso e garantire una decente convivenza tra chi ha fedi diverse (attraverso la dimostrazione che non esiste un criterio capace di distinguere le autentiche verità religiose: tale criterio non può essere infatti la tradizione cattolica che si è costruita su decisioni umane rivelatesi a volte sbagliate, così come, sul versante protestante, non può essere la coscienza illuminata dalla fede che si esercita sulle Scritture per il suo inevitabile soggettivismo).

Nel pensiero contemporaneo invece lo scetticismo lavora contro ogni concezione umanista diventando esso stesso alla fine una specie di dogmatismo negativo (come lo è stato lo scetticismo accademico) e favorendo l'assoggettamento degli uomini.
Dunque a questo scetticismo, diventato dogmatismo e strumento di un programmato indebolimento della dignità dell'uomo, si potrebbe rispondere con una posizione altrettanto scettica sulle sue ragioni: così ad esempio all'evidenza della problematicità dell'Io si potrebbe opporre l'idea dell'anima, alle argomentazioni del determinismo quelle del libero arbitrio, al divieto di non infrangere il dogma dell'immanentismo le ragioni della trascendenza, e via dicendo.

[sono ancora andato of topic...]
A rischio di non centrare la risposata, non sapendo bene cosa sia lo scetticismo, e in analogia al mio precedente post, direi che la storia dello scetticismo che hai credo molto ben delineato sia complessivamente il racconto del logoramento inevitabile di qualunque concezione filosofica o religiosa, come è forse naturale che sia, perché se non vi sono parole, concetti e concezioni che possano dimostrarsi definitivamente privilegiati . la loro presunta evidenza col tempo non potrà' che uscirne logorata.
Ma a volte, quando ciò pur accade, non perciò viene dismessa la relativa concezione.
Un buon esempio mi pare il cristianesimo.
Non perché sia sempre più criticato perciò smette di svolgere una funzione che continua a riscuotere apprezzamento.
Certi credenti affermano in effetti di non "essere credenti" se non nel senso di aderire ad una chiesa e ai suoi precetti.
Una posizione più pratica che fideistica, dove, persa l'evidenza, la ragione paradossalmente si fa' stampella.
Certo molto si deve ad una legge di inerzia.
Una concezione di paragonabile gradimento non perciò viene seguita se nata lì per lì.
L'abitudine , la,tradizione, che generano inerzia, fanno sempre la loro parte.
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Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#7
Citazione di: iano il 07 Ottobre 2021, 18:10:06 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Ottobre 2021, 10:44:04 AM
Gli organi percettori sono prodotti evolutivi legati alle necessità della sopravvivenza. Di essi, più che di ogni altro evento, si può tranquilamente dire che il reale è razionale. Essi sono tarati al meglio rispetto alle condizioni ambientali degli esseri viventi e si evolvono con esse, tra sommersi e salvati.

Le complicazioni psicometafisiche sono arrivate dopo e di esse non si può proprio dire che il razionale sia sempre reale.
Questa osservazione, nella sua stringatezza, fa' riflettere, per cui chiedo precisazioni.
Mi pare tu intenda che c'è almeno una parte della realtà che è certamente razionale, gli organi precettori, senza che la realtà debba esserlo nella sua interezza, nel senso di "non del tutto razionalizzabile".
È così?
Una razionalità che può girare anche a vuoto, non legata cioè con ingranaggio di trasmissione direttamente alla realtà , di cui a posteriore si può tentare  di costruire apposito ingranaggio.
Intendo, a scanso di ogni scetticismo e nichilismo, che il fondamento legittimo della realtà è la natura. Da cui consegue che se i nostri sensori percettivi sono fatti in un certo modo, la razionalità dobbiamo andarla a cercare lì. Con gli accomodamenti tecnologici del caso, se vogliamo andare oltre le strette necessità di sopravvivenza per cui sono stati geneticamente ottimizzati.

Qui si fa confusione tra i sensori come ce li ha trasmessi mamma natura e la percezione come siamo riusciti a bacarla speculandoci sopra con il "secondo istinto" ovvero l'autocoscienza. Io terrei le due cose distinte, ovvero gli errori di percezione fisiologici (comunque evolutivamente determinati e motivati) e gli errori da eccesso di zelo mentale, appartenenti ad una famiglia totalmente differente di errori.

Mentre nella natura correttamente interpretata il reale rivela la sua razionalità, non vale altrettanto quello a cui credeva Hegel, ovvero che le nostre paturnie speculative, che spacciamo per razionalità, abbiano sempre una corrispondenza nella realtà.

Trascrivendo Hegel: Il reale è (fondamento del) razionale, il razionale è reale solo quando ci azzecca.

Quando non ci azzecca, ma simula, non può pretendere di produrre realtà. Per cui risulta fallace l'argomento che Dio esiste perchè qualcuno l'ha pensato. Al massimo gli dobbiamo concedere una realtà di secondo livello, laddove si collocano i prodotti dell'immaginario umano.

La scienza (episteme intersoggettiva), non traviata da interessi e bias spuri, dovrebbe essere lo strumento elettivo di connessione tra razionale e reale. E l'esperimento, la sua consacrazione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#8
Citazione di: Ipazia il 07 Ottobre 2021, 21:54:52 PM
Citazione di: iano il 07 Ottobre 2021, 18:10:06 PM
Citazione di: Ipazia il 06 Ottobre 2021, 10:44:04 AM
Gli organi percettori sono prodotti evolutivi legati alle necessità della sopravvivenza. Di essi, più che di ogni altro evento, si può tranquilamente dire che il reale è razionale. Essi sono tarati al meglio rispetto alle condizioni ambientali degli esseri viventi e si evolvono con esse, tra sommersi e salvati.

Le complicazioni psicometafisiche sono arrivate dopo e di esse non si può proprio dire che il razionale sia sempre reale.
Questa osservazione, nella sua stringatezza, fa' riflettere, per cui chiedo precisazioni.
Mi pare tu intenda che c'è almeno una parte della realtà che è certamente razionale, gli organi precettori, senza che la realtà debba esserlo nella sua interezza, nel senso di "non del tutto razionalizzabile".
È così?
Una razionalità che può girare anche a vuoto, non legata cioè con ingranaggio di trasmissione direttamente alla realtà , di cui a posteriore si può tentare  di costruire apposito ingranaggio.
Intendo, a scanso di ogni scetticismo e nichilismo, che il fondamento legittimo della realtà è la natura. Da cui consegue che se i nostri sensori percettivi sono fatti in un certo modo, la razionalità dobbiamo andarla a cercare lì. Con gli accomodamenti tecnologici del caso, se vogliamo andare oltre le strette necessità di sopravvivenza per cui sono stati geneticamente ottimizzati.

Qui si fa confusione tra i sensori come ce li ha trasmessi mamma natura e la percezione come siamo riusciti a bacarla speculandoci sopra con il "secondo istinto" ovvero l'autocoscienza. Io terrei le due cose distinte, ovvero gli errori di percezione fisiologici (comunque evolutivamente determinati e motivati) e gli errori da eccesso di zelo mentale, appartenenti ad una famiglia totalmente differente di errori.

Mentre nella natura correttamente interpretata il reale rivela la sua razionalità, non vale altrettanto quello a cui credeva Hegel, ovvero che le nostre paturnie speculative, che spacciamo per razionalità, abbiano sempre una corrispondenza nella realtà.

Trascrivendo Hegel: Il reale è (fondamento del) razionale, il razionale è reale solo quando ci azzecca.

Quando non ci azzecca, ma simula, non può pretendere di produrre realtà. Per cui risulta fallace l'argomento che Dio esiste perchè qualcuno l'ha pensato. Al massimo gli dobbiamo concedere una realtà di secondo livello, laddove si collocano i prodotti dell'immaginario umano.

La scienza (episteme intersoggettiva), non traviata da interessi e bias spuri, dovrebbe essere lo strumento elettivo di connessione tra razionale e reale. E l'esperimento, la sua consacrazione.
C'è qualcosa che mi sfugge, magari perché maldestramente uso i termini natura e realtà come sinonimi.
Quindi ho difficoltà a intendere che il fondamento della realtà sia la natura.
Gli altri soggetti siamo noi, parte della realtà/natura che interagisce con la restante parte.
Non vi è dubbio che parte dei risultati di questa interazione possa descriversi in modo razionale, e il sospetto che la restante parte possa esserlo lo sottoscriverei, visto che non tutto passa comunque attraverso coscienza, senza che la sua mancanza la escluda.
Concordo sul fatto che il razionale non esaurisca il reale, e viceversa, ma solo se per reale ,in senso riduttivo ,si intenda il risultato dell'interazione con la natura. Reale inteso come senso di realtà che di fatto ci fa' vivere nel mondo che risulta da quella interazione. Perché seppure noi viviamo nella natura ( nel senso che gli ho dato) in effetti viviamo dentro una costruzione mutevole perché mutevoli siamo noi e quindi mutevole è il rapporto con la natura cui la realtà fa' da tramite.
Mi sto arrampicando sugli specchi nel tentativo di potermi dire d'accordo.
Non sono certamente d'accordo invece sul fatto che non riusciamo più a trovare il buon sapore dei sensori come c'è li cucinava mamma. ;)
Si può certamente fare una distinzione fra i due tipi di sensori, ma solo una distinzione di comodo, non di sostanza, perché essendo i secondi sensori affetti da coscienza, ciò diventerrebbe un modo di far rientrare dalla finestra il peccato originale della conoscenza che siamo riusciti a fatica a far uscire dalla porta.
La distinzione serve a raccontare la storia della percezione individuando punti che si prestano ad essere interpretati come di discontinuità, per via di certi salti apparenti nella storia ,ma che non generano perciò discontinuità.
Allo stesso modo c'è una apparente discontinuità nella storia dell'uomo che lascia testimonianze simboliche e quello che lo precede, ma non perciò l'introduzione dei simboli cambia la sostanza dell'uomo, la cui storia non fa' altro che continuare. Nella testimonianza della storia si può però riscontrare una discontinuità. Ma la testimonianza della storia non è la storia.


Gli errori sono sempre errori sia quando vestono in tessuto non tessuto che quando si coprono di foglie mimetizzandosi nella natura.
Nel primo caso sono però più appariscenti mimando discontinuità.


Che si proceda per caso o secondo libero arbitrio , si sta in ogni caso simulando, ma poi la simulazione avrà sempre a confrontarsi coi fatti. Non possiamo distinguere in ciò il bene dal male, ma contingentemente l'appropriato dall'innapropriato, e ciò di cui ci appropriamo e ciò che comprendiamo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Citazione di: iano il 08 Ottobre 2021, 00:18:47 AM
C'è qualcosa che mi sfugge, magari perché maldestramente uso i termini natura e realtà come sinonimi.
Quindi ho difficoltà a intendere che il fondamento della realtà sia la natura.
In una visione del mondo realistica, come la tua e la mia, la natura è l'ente a fondamento del concetto di realtà.
CitazioneNon sono certamente d'accordo invece sul fatto che non riusciamo più a trovare il buon sapore dei sensori come c'è li cucinava mamma. ;)
Si può certamente fare una distinzione fra i due tipi di sensori, ma solo una distinzione di comodo, non di sostanza, perché essendo i secondi sensori affetti da coscienza, ciò diventerrebbe un modo di far rientrare dalla finestra il peccato originale della conoscenza che siamo riusciti a fatica a far uscire dalla porta.
In una visione chiara e distinta della realtà/natura dovrebbe essere solo una "distinzione di comodo", ma poichè la coscienza umana è molto immaginifica la distinzione tra i due diversi errori di "percezione" (ignoranza vs. bias ideologici) mi pare opportuna.
CitazioneChe si proceda per caso o secondo libero arbitrio, si sta in ogni caso simulando, ma poi la simulazione avrà sempre a confrontarsi coi fatti. Non possiamo distinguere in ciò il bene dal male, ma contingentemente l'appropriato dall'innapropriato, e ciò di cui ci appropriamo e ciò che comprendiamo.
Il male e il bene appartengono in toto al secondo canale percettivo di tipo culturale, più propenso alla simulazione ed agli errori/bias percettivi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#10
Ringrazio tutti per le risposte.
Ma il punto sul quale vorrei focalizzarmi è ciò che appare ovvio, evidente.
Che ci siano cose che appaiono ovvie non è per nulla ovvio.
È ciò di cui non occorre dire per definizione, ma è ciò su cui dovremmo provare a dire qualcosa.
Io suggerisco che ci sia un legame con qualcos'altro, che parimenti non sappiamo ben dire.
Cosa intendiamo quando diciamo di aver capito qualcosa?
A differenza di ciò che appare evidente, la comprensione prevede un percorso, ma siamo in grado di tracciare questo percorso?
Perché affermiamo di comprendere la teoria di Newton, ma non la MQ?
C'è veramente qualcosa da capire, e in che senso?
Evidenza e comprensione mi sembrano strettamente legati, perché di fatto ci sembra di capire meglio ciò che non si discosta troppo da ciò che percepiamo, che non si discosti cioè troppo concettualmente da ciò che ci appare evidente.
Dire cosa significhi capire passa quindi necessariamente dal dire cosa sia l'evidenza.

La nostra seconda percezione, come mi pare l'abbia chiamata propriamente Ipazia, ci aiuta molto per analogia.
Man mano che le teorie scientifiche si affidano sempre più ai nostri secondi sensi, gli strumenti, la nostra capacità di comprensione viene sempre più frustrata, come se più ne sappiamo e meno ci sembra di saperne, senza però che ciò intacchi minimamente la loro utile applicazione. Per agire, applicando le teorie, non occorre capire.
Ma allora perché ci sentiamo orfani della comprensione? In questo mi sembra di vedere un passaggio epocale con echi biblici.
Ciò che viene a mancare è il nostro immedesimarci, il sentirci parte dei mondi che le teorie delineano, tanto da farci credere che ciò non ci sarà più concesso. Somiglia a una nuova cacciata dal paradiso  per quelli che credevano il paradiso fosse in terra.
Non è un cosa da poco, perché diventa sempre più chiaro ciò che già sappiamo, ma non in modo indolore, e cioè che il nostro rapporto con la realtà è indiretto.
Noi non abbiamo mai vissuto direttamente dentro la realtà, ma in un mondo teorico, di cui abbiamo relativa coscienza,  derivato dalla nostra interazione con essa.
Ora, se è vero che il peccato della conoscenza ci ha cacciati dal paradiso in un nuovo mondo in cui vivere,  la sua evoluzione assomiglia a una nuova cacciata da quel mondo per altri mondi in nessuno dei quali ci sarà più dato provare l'illusione di viverci davvero.
Il fatto è che ne' il paradiso ne alcuno di questi mondi esistono davvero, se non come fantasia mistica o solida teoria.
Il nostro " senso di realtà " non è più in grado di farci "vivere" dentro alcuno di questi mondi.
Non siamo più in grado di autoilluderci , sapendo di farlo, che il mondo in cui viviamo coincide con la realtà.
Nessuno di questi mondi ci comprende più davvero, come noi non li comprendiamo più, neppure fingendocelo volutamente. È un nuovo balzo della coscienza. È una nuova cacciata biblica.
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Ipazia

#11
Non occorre scomodare la meccanica quantistica. Anche la apparentemente comprensibile teoria gravitazionale newtoniana non è per nulla evidente in quanto non sappiamo molto più del saggio Newton, che non fingeva ipotesi, perchè le masse si attirano, mentre è più semplice spiegare l'attrazione nei fenomeni elettromagnetici osservando il comportamento di due calamite.

Ma ben lungi dall'essere un'illusione della coscienza umana, o addirittura un'esperienza mistica, la forza di gravità è di una evidenza - negli effetti non nelle cause - così evidente che persino gli animali, liberi dalle nostre paturnie psichiche, ne tengono conto in rapporto alla conformazione e alle attitudini somatiche di cui mamma natura li ha dotati.

Io capisco la frustrazione di chi è stato educato a dare un'importanza metafisico-religiosa alle cause prime, ma dobbiamo farcene una ragione e accontentarci delle cause seconde (gli effetti riproducibili), comprese le quali, e agendole, siamo sufficientemente abili ad escogitare stregonerie come spedire una sonda su Marte e ottenere pure una telecronaca del suolo marziano.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
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Ipazia

Citazione di: Kobayashi il 06 Ottobre 2021, 17:22:41 PM
I sensi ci garantiscono evidenze che risultano sufficienti per vivere.
La loro limitatezza è una questione che si pone a posteriori e che parte dal presupposto dell'esistenza di una verità incontrovertibile che dovremmo cercare di possedere ma che in realtà non serve alla vita ma solo alla legittimazione di un potere assoluto (per quanto questo passi prima attraverso l'edificazione di una concezione filosofica).

La critica alla percezione sensoriale è un classico dello scetticismo.
Proprio in questi giorni stavo pensando a come lo scetticismo sia esercitato diversamente nelle varie epoche e come abbia sempre un significato politico.

All'inizio dell'epoca moderna contro il dogmatismo religioso: un esercizio di umiliazione delle facoltà umane per recuperare equilibrio, buon senso, per disinnescare il fanatismo religioso e garantire una decente convivenza tra chi ha fedi diverse (attraverso la dimostrazione che non esiste un criterio capace di distinguere le autentiche verità religiose: tale criterio non può essere infatti la tradizione cattolica che si è costruita su decisioni umane rivelatesi a volte sbagliate, così come, sul versante protestante, non può essere la coscienza illuminata dalla fede che si esercita sulle Scritture per il suo inevitabile soggettivismo).

Nel pensiero contemporaneo invece lo scetticismo lavora contro ogni concezione umanista diventando esso stesso alla fine una specie di dogmatismo negativo (come lo è stato lo scetticismo accademico) e favorendo l'assoggettamento degli uomini.
Dunque a questo scetticismo, diventato dogmatismo e strumento di un programmato indebolimento della dignità dell'uomo, si potrebbe rispondere con una posizione altrettanto scettica sulle sue ragioni: così ad esempio all'evidenza della problematicità dell'Io si potrebbe opporre l'idea dell'anima, alle argomentazioni del determinismo quelle del libero arbitrio, al divieto di non infrangere il dogma dell'immanentismo le ragioni della trascendenza, e via dicendo.

[sono ancora andato of topic...]

Direi di no sull'off topic, perchè nell'esercizio sociale della scienza e nella comprensione della realtà la cattiva coscienza usa spesso lo scetticismo come arma politica contro la plebe ritenuta incapace di accedere ai massimi sistemi della lobby scientista dei "competenti", particolarmente in materie strategiche del potere, con truffa ideologica al seguito, quali le "scienze" economico-finanziarie. Con la covidemia anche la medicina ha pagato il suo doloroso obolo, rincarando la dose fino alla manipolazione sperimentale del corpo umano su cui la scepsi antiumanistica esercita il suo potere.

Questo è un capitolo in più, tutto incluso nella seconda pratica percettiva della realtà, che infinitamente meglio della prima si presta all'adulterazione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

paul11

 E' evidente che la terra sotto i piedi ci serve per "stare", se oltre c'è il vuoto, un burrone, cadiamo.
E' talmente evidente che la maggioranza degli animali, che non hanno quindi necessità di ragionamenti e calcoli, lo sanno.
E' ovvio linguisticamente, ciò che è condiviso socialmente. Tutto ciò che non richiede grandi ragionamenti e calcoli, e quindi punti di vista, è conosciuto a tutti ,è tautologico nella sua ovvia evidenza che il sole sorge in un punto ,ad Est e tramonta in un altro, ad Ovest.


Tutto ciò che è controfattuale ai nostri sensi è conoscibile solo per calcolo.
Se tutto cade dall'alto verso il basso, la gravità è evidente, spiegarlo per calcolo inizia ad essere controfattuale.
Tutto ciò che è controfattuale ai nostri sensi, la  relatività e meccanica quantistica ,ci diventa ostico a capirlo, poiché la ragione "deve liberarsi" dal senso comune della realtà a cui siamo abituati .
Infatti vi è uso sin fino a dabuso di calcoli matematici nella meccanica quantistica.


Significa allora: che i sensi determinando la condizione dell'interagire fra un organismo naturale e la fisica naturale, condizionano il pensiero (leggesi naturalismo); andare oltre con il pensiero significa allontanarsi dal mondo sensoriale naturale, quindi andare nel controfattuale ai nostri sensi, e porsi in una rappresentazione di tipo calcolativo matematico.
Metaforicamente la meccanica quantistica è la metafisica della meccanica classica, perché è oltre il sistema naturale. E' ovvio ed evidente, per ragionamento però, che quindi la scienza entra in crisi quando sistemi di rappresentazione della realtà si pongono oltre al fattuale sensoriale, in quanto spiegabile solo per via di calcoli matematici, e la matematica non è naturale, è inspiegabile dalla natura, semmai è ana-logica.


Infine direi così. Se la matematica non è naturale, è ovvio che il suo esplicarsi conduce in sistemi controfattuali nel momento in cui viene applicata al mondo fisico naturale, costruendo sistemi rappresentativi . Fin quando la matematica è applicazione contabile e analogia alle cose, ci aiuta a calcolare la natura fisica in cui viviamo e i nostri sensi quindi sono armonicamente consenzienti, cioè i sensi confortano il calcolo come nell'aritmetica elementare.

Phil

Citazione di: Kobayashi il 06 Ottobre 2021, 17:22:41 PM
La critica alla percezione sensoriale è un classico dello scetticismo.
Proprio in questi giorni stavo pensando a come lo scetticismo sia esercitato diversamente nelle varie epoche e come abbia sempre un significato politico.

All'inizio dell'epoca moderna contro il dogmatismo religioso: un esercizio di umiliazione delle facoltà umane per recuperare equilibrio, buon senso, per disinnescare il fanatismo religioso e garantire una decente convivenza tra chi ha fedi diverse (attraverso la dimostrazione che non esiste un criterio capace di distinguere le autentiche verità religiose: tale criterio non può essere infatti la tradizione cattolica che si è costruita su decisioni umane rivelatesi a volte sbagliate, così come, sul versante protestante, non può essere la coscienza illuminata dalla fede che si esercita sulle Scritture per il suo inevitabile soggettivismo).

Nel pensiero contemporaneo invece lo scetticismo lavora contro ogni concezione umanista diventando esso stesso alla fine una specie di dogmatismo negativo (come lo è stato lo scetticismo accademico) e favorendo l'assoggettamento degli uomini.
Dunque a questo scetticismo, diventato dogmatismo e strumento di un programmato indebolimento della dignità dell'uomo, si potrebbe rispondere con una posizione altrettanto scettica sulle sue ragioni: così ad esempio all'evidenza della problematicità dell'Io si potrebbe opporre l'idea dell'anima, alle argomentazioni del determinismo quelle del libero arbitrio, al divieto di non infrangere il dogma dell'immanentismo le ragioni della trascendenza, e via dicendo.
Lo scetticismo filosofico ha una debolezza strutturale pari alla sua capacità di indebolire il dogmatismo: nel momento in cui lo scetticismo viene strumentalizzato, viene usato come negazione/opposizione forte, smette di essere scetticismo pensante (si "rompe") e perde il suo valore epistemologico. Non credo sia legittimo confonderlo con una mera negazione dialettica (che ne è semmai possibile esito) che oppone un «no» ad un «sì», soprattutto se tale «no» si propone come fondato su una verità; non fa differenza se dimostrata o postulata come assoluta, lo scetticismo non difende la verità, la indaga (salvo nelle sue caricature peggiori, in cui è solo un espediente retorico per propagandare e tutelare la verità del proprio punto di vista, tenuta invece a debita distanza da ogni dubbio).
Le "Scilla e Cariddi" che mettono a rischio lo scetticismo, nella sua delicata valenza metodologica, sono proprio, da un lato, la sua riduzione a posizione alternativa (lo scetticismo non contrappone gerarchicamente trascendenza ed immanenza, essendo applicabile ad entrambe), dall'altro, la sua banalizzazione a «chi può dirlo? Potrebbe anche essere diversamente...» che svaluta a priori possibili riflessioni critiche. Uno scetticismo filosofico che si rispetti, secondo me, dovrebbe avere le sue ragioni e una sua logica (non è poesia), ma per restare tale, non può avere la sua verità (può semmai prenderne in prestito come "strumento", ma non come conclusione: si può essere scettici della verità di x, alla luce della verità di a, b e c, che sembrano essere indizi della verità di non-x; tuttavia, se invece x viene falsificato "oggettivamente" da a, b, e c, non c'è posto per lo scetticismo, essendoci di fatto una dimostrazione convalidata). Di conseguenza, gli ambiti in cui il pensiero scettico può trovare pertinente applicazione sono limitati, usarlo dove non è compatibile può avere effetti collaterali, come quelli di un farmaco preso dalla persona sbagliata.

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