Pensiero verticale-oggettivante e pensiero orizzontale-relazionale

Aperto da Jacopus, 28 Agosto 2017, 16:46:22 PM

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Jacopus

E' un discorso complesso. Parte dai rapporti di famiglia, da come un discorso di potere gerarchico venga avviato nel rapporto genitori-figli. E' del resto inevitabile. A meno che non si vogliano allevare dei piccoli despoti, i figli devono comprendere il senso del limite sessuale e generazionale, quello insomma predicato da Freud con il suo famoso complesso di Edipo. Quella visione però insistendo sulla separazione dell'individuo, tenuta ferma dal Padre-super-Io, dimentica o comunque pone in secondo piano la relazionalità fra gli individui. L'individuo per affermarsi deve essere autonomo, rispondere a sè stesso, diventare una sorta di monade dotata di un ampio senso morale, scaturito dal senso di colpa. Nel momento in cui affermandosi come singolo, estromette il mondo da sè stesso, afferma la possibilità di oggettivare il mondo, ovvero di gestirlo a suo uso e consumo. In questo senso vedo un forte nesso fra la psicoanalisi classica e l'approccio della scienza nei confronti della realtà.
Questo discorso potrebbe essere definito come il prototipo arcaico del rapporto servo-padrone, dove il rovesciamento non avviene tanto nell'ambito della proprietà dei luoghi, quanto nella proprietà del tempo, ovvero nella dimensione generazionale: il figlio, una volta diventato padre, perpetuerà lo stesso rapporto servo-padrone e così via. Si tratta della introiezione profonda nell'intimità delle dinamiche familiari dei ruoli gerarchici e dei rapporti di dominio.
A questa prospettiva se ne potrebbe affiancare un'altra più democratica, fondata sulla relazione fra soggetti che si pensano alla pari, perchè intersoggettivamente comuni. Una prospettiva del genere renderebbe però vano tutto il discorso dell'autonomia e dell'affermazione dell'homo occidentalis, con quanto di positivo esso ha apportato alla cultura dell'uomo. Una prospettiva che sarebbe materna, a differenza della prima prospettiva tipicamente paterna.
Entrambe le visioni mi appaiono contemporaneamente portatrici di valori positivi e negativi e la risoluzione verso una nuova dimensione emancipatoria dovrebbe in qualche modo rendere possibile la coesistenza, l'equilibrio fra queste due visioni, quello dell'autonomia e dell'identità (che ho inserito attraverso il mito freudiano di Edipo), e quello della intersoggettività, del rispecchiamento fra individui eguali, realizzata attraverso la comunicazione e la relazione.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Angelo Cannata

Citazione di: Jacopus il 28 Agosto 2017, 16:46:22 PM... l'equilibrio fra queste due visioni...
Secondo me, oltre ai fattori che hai descritto, ce ne sono una miriade di altri che rendono praticamente impossibile in natura un'esistenza in equilibri pacifici e sereni. Credo che la natura ci consenta soltanto un alternarci tra squilibri, che possiamo cercare di organizzare in modo che siano il più possibile non violenti. Penso che ci sia di buono il fatto che quest'organizzare al meglio gli inevitabili squilibri ci consenta anche esperienze umane di creatività e grandi e profonde ricchezze di significati.

Lou

In ogni caso, la relazione o matrice relazionale (che preferisco) e con cui concludi (jacopus) è inscritta e implicita nel modello pulsionale freudiano, mi occorreva sottolinearlo semplicemente perchè trovo, da parte mia, rilevante il tratto comune in cui si radicano le modalità di svolgimento di questa matrice. Sono scettica sul fatto che una una relazione tra pari escluda il conflitto, non per grande simpatia nutrita per le gerarchie o il verticale, ma per una sorta di difesa d'ufficio per chi spesso in una relazione tra dispari.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Jacopus

Buonasera Lou. Penso che descriviamo una concettualizzazione abbastanza simile che fa riferimento alla psicoanalisi relazionale, che dal riscoperto padre putativo Ferenczi giunge fino a Bromberg. Quello che volevo esprimere non era tanto la bontà della visione relazionale contro la cattiveria della visione gerarchica implicita nel complesso di Edipo, nè vagheggiare un apollineo mondo privo di conflitti. Si tratta di concepire a livello mentale la copresenza di un modello edipico che conserva la sua validità, al quale va innestato in modo piuttosto paradossale o meglio aporetico un modello relazionale.
Il modello edipico struttura la nostra identità e ci permette di non frammentarci nel sentimento oceanico, nel perturbante. Associarlo all'unico metodo di interpretazione dello sviluppo e della maturazione psichica dell'uomo conduce però all'oggettivazione del mondo secondo il modello espresso da Adorno e Horkheimer in Dialettica dell'Illuminismo, da Ulisse in poi. D'altro canto, essere condotti esclusivamente dal modello relazionale non ci permette l'identificazione e non avrebbe permesso la storia umana così come la conosciamo con i suoi orrori e i suoi splendori.
Allora mi domando se concettualmente sia possibile immaginare una modello di sviluppo della psiche umana che possa tener conto di entrambe le visioni per garantirsi l'autonomia e l'identità ma preservare anche la relazionalità affinchè la strumentalità non diventi l'unico principio, poichè a me sembra che per quanto la psicoanalisi sia in crisi, il modello freudiano, scientifico, gerarchico, neutrale, osservativo, tassonomico sia quello che ancora domina a livello di processi culturali e di spiegazioni della mente, a meno di non voler abbracciare teorie strettamente fisicaliste o spiritualiste. Insomma quello che mi gira nella "mente" in questi caldi giorni di agosto è come buttare l'acqua sporca e tenere il bambino, o meglio ancora come fare a mettere il bambino in una nuova tinozza con un nuovo tipo di acqua per produrre un mutamento che si sviluppi dal rapporto diadico o triadico familiare a quello più estesamente sociale.
Il tutto non è chiaro neppure a me e quindi immagino che non sia facile seguirmi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Lou

Ciao Jacopus, la questione la trovo intrigante. Avendo una conoscenza appena sufficiente dei modelli a cui anch'io mi sono riferita - perciò non vorrei dire sciocchezze - mi pare che l'idea di una integrazione tra di essi abbia avuto delle teorizzazioni: sul grado di fattibilità e realizzazione, che, son riuscita a seguirti, avanzi come proposta, dovrei certamente approfondire lo studio per dare una mia opinione non campata in aria.
Quello che vorrei integrare rispetto alla questione da te posta è più l'introduzione di un elemento scettico che un reale contributo costruttivo: premesso che trovo affascinante l'idea di relazioni alla pari e tra pari scevra da legami le cui strutture implichino un principio di autorità ( che trovo assai verticalizzante come modalità ) e lascino spazio, semmai, all'autorevolezza orfana di (presa d') imposizione e originata e retta unicamente da dinamiche di riconoscimento, mi e ti domando se esistano ruoli in cui non sia necessaria e ineludibile ( quantomeno inizialmente ) quella presa impositiva che genera una distanza verticale. Mi domando, per esemplificare e e uscire dalla famiglia, inizialmente un allievo e un maestra/a sono - "pari"?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Jacopus

Buonasera di nuovo Lou. Non sei così ignorante di questi modelli come vorresti far credere ma se vuoi ti indico alcuni libri imprescindibili. A parte questo rispondo alla tua domanda. Credo che il rapporto maestro-alunno sia inevitabilmente segnato dalla differenza, gerarchica, di ruolo, generazionale. Fingere che non vi sia porta a perversioni e/o disagio sociale e psicologico, esattamente come accade in famiglia. Il padre deve fare il padre, non l'amico dei figli.
Però premere sull'acceleratore della differenza crea dei sudditi, crea la sottomissione, crea l'alienazione che si trasmette dalla famiglia alla società. Considerare invece come buona solo la dimensione della reciprocità e del "buon selvaggio" produce una società narcisistica, incapace di reggere le frustrazioni, fusionale e dedita al divertimento spicciolo.
Orbene, a me sembra che per opposte esigenze funzionali agli interessi di dominio sul mondo ma disfuzionali rispetto ad una sana psiche individuale, si stia contemporaneamente promuovendo un ritorno alla società del dominio e della sottomissione, quasi per opposizione ad una società vista come eccessivamente permissiva, ed anche una società indifferenziata e apparentemente egualitaria, dove il narcisismo viene elevato a massima virtù, in relazione alle sue propensioni al consumo di beni e servizi.
Ovviamente credo che salvo situazioni molto limitate nel tempo e nello spazio, le istituzioni sociali abbiano avuto e continuano ad avere  tutto l'interesse a creare psicologie distorte e disfunzionali, proprio perché fondate nel 99 per cento dei casi su rapporti di dominio e sottomissione.
Ed allora mi chiedo se quella democrazia vagheggiata e idealizzata nel corso degli ultimi duemilacinquencento anni invece che sostenersi nel dibattito politico e nella storia delle idee, non debba essere fondata su un ripensamento dei rapporti umani a partire dalla famiglia e dei rapporti genitori-figli o nel rapporto uomo-donna.
E mi domando ancora se per far questo non sia necessario equilibrare come dei funanboli il lato della differenza gerarchica che è inevitabile con il lato della reciprocità intersoggettiva. Ma soprattutto mi domando come fare questo nella "vita pratica", poichè queste sono belle parole ma come si mettono in pratica?
Il principio di base dovrebbe essere quello di "mettersi nei panni degli altri" ed aspettarsi contemporaneamente che anche gli altri si mettano nei nostri. Nello stesso tempo la storia non passa invano. Il respiro lungo della storia, secondo Braudel, ancora si fa sentire attraverso i confini dell'impero romano, che ancora segnano le identità e i percorsi sociali dell'Europa.
Questo lo dico perché connettere un discorso psicologico individuale o familiare a un discorso sociale è estremamente complesso è implica infinite varianti.
Eppure ora noi abbiamo gli strumenti culturali per pensare a questo cambiamento, così come siamo in grado di vedere le forze contrarie a questo possibile cambiamento, che sono quelle cui fa comodo mantenere questo tipo di dominio, ancora più potente e radicato nel momento in cui viene fissato nelle dinamiche originarie dei rapporti familiari.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

green demetr

Cit Jacopus

Credo che il rapporto maestro-alunno sia inevitabilmente segnato dalla differenza, gerarchica, di ruolo, generazionale



Inevitabile cosa?  ;)


Mi sembra che stai subendo una fissazione del super-io, alla questione inversa, che realmente vorresti, e cioè appunto alla liberazione dalla patriarcalità.

Proporre l'inverso spacciandola per relazione, la vedo dura.

Sopratutto in questi tempi liquidi, funesti certo, ma che stanno finalmente disgregando l'intero edificio cristiano.

D'altronde o consumi o fai la morale....non ci sono vie di mezzo.

(ossia le vie terze, quarte, quinte etc....esistono e sono la vita...ma immagino che sono cose troppo avanti per questi tempi buj)


Vai avanti tu che mi vien da ridere

Jacopus

Non voglio assolutamente la "liberazione dalla patriarcalità". Ritengo che alcune intuizioni freudiane siano assolutamente valide sulla base dell'esperienza di lavoro e non tanto teoricamente. Adeguarsi alle differenze gerarchiche è inevitabile ed anche necessario perché risponde al principio di realtà.  Rispetto al fatto che ci sono vie di mezzo invece sono sicuro che ci sono. Anzi molti mali dell'umanità dipendono dal fatto di credere e concettualizzare un mondo manicheo, dove o sei bianco o sei nero, o fascista o comunista, o cattolico o mussulmano, o milanista o interista. Le vie di mezzo sono le vie umane, quelle del compromesso con sè stessi e con la propria debolezza, con la propria capacità di perdonare e di perdonarsi.
Ma anche qui il gioco dialettico si ripropone. BIsognerebbe mantenere vivo il desiderio della via di mezzo, per accettare l'alterità, affinchè gli altri non diventino l'inferno, ma nello stesso tempo difendere la propria identità è quindi realmente essere nero e sentirsi nero ( o bianco).
E' qui che sta la difficoltà. E' come voler conciliare qualcosa che è inconciliabile. Come predicare il liberalismo in un regime comunista. Eppure sento che in questa necessità di conciliazione dialettica vi è qualcosa di importante che non riesco a focalizzare bene.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Carlo Pierini

Citazione di: Jacopus il 28 Agosto 2017, 16:46:22 PM
E' un discorso complesso. Parte dai rapporti di famiglia, da come un discorso di potere gerarchico venga avviato nel rapporto genitori-figli. E' del resto inevitabile. A meno che non si vogliano allevare dei piccoli despoti, i figli devono comprendere il senso del limite sessuale e generazionale, quello insomma predicato da Freud con il suo famoso complesso di Edipo. Quella visione però insistendo sulla separazione dell'individuo, tenuta ferma dal Padre-super-Io, dimentica o comunque pone in secondo piano la relazionalità fra gli individui.

Resta da capire se il "Padre-super-io" sia il padre carnale idealizzato, oppure l'immagine interiore  del Padre archetipico, la cui autorità naturale viene proiettata sul padre carnale. In tal caso, il padre reale sarebbe "solo" il simbolo del Padre archetipico, la sua "incarnazione" terrena; e ciò spiegherebbe lo spontaneo atteggiamento di ammirazione-sottomissione che il bambino ha nei confronti del padre naturale (lo stesso discorso vale, ovviamente anche per la madre/Madre).

JACOPUS
L'individuo per affermarsi deve essere autonomo, rispondere a sè stesso, diventare una sorta di monade dotata di un ampio senso morale, scaturito dal senso di colpa.

CARLO (Jung)
"Non bisogna dimenticare che la morale non è stata introdotta e imposta al popolo con le Tavole della Legge del Sinai: la morale è una funzione dell'anima umana, ed è vecchia quanto l'umanità. Essa non è imposta dal di fuori, ma vive a priori in noi stessi: non la legge ma l'essenza morale, senza la quale la vita comune della società umana sarebbe impossibile".           [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.65]

Jacopus

Dire che la morale è una funzione dell'anima non spiega nulla, Carlo.
Phineas Gage fu un operaio che nel 1848 fu trapassato all'altezza dello zigomo da un tubo che trapassò la parte della corteccia centrale prefrontale del cervello, quella stessa parte che si sviluppa definitivamente attorno ai 20 anni (ed è per questo che gli adolescenti sono così immorali). Prima dell'incidente era un uomo irreprensibile, perfettamente integrato nella sua società. In seguito all'incidente pur conservando le sue capacità cognitive e neuromotorie di base, iniziò a bestemmiare, bere, rubacchiare e non riuscì più a mantenersi dignitosamente. Divenne una persona immorale. Phineas Gage proveniva da un ambiente povero, era un immigrato in USA dal Libano e non aveva risorse sociali protettive.
C'è un altro caso, chiamato PGS (phineas Gage spagnolo). Fatto avvenuto nel corso della guerra civile spagnola. Per scappare dalla guardia repubblicana PGS cadde con la testa su un cancello e subì la stessa lesione di Phineas Gage alla corteccia prefrontale. A differenza di Phineas Gage, PGS proveniva da una famiglia agiata, proprietaria di una grande ditta manifatturiera ed aveva una fidanzata che non l'abbandonò dopo l'incidente ma che lo sposò. PGS potè così continuare una vita "normale", essere adibito a compiti semplici nell'azienda di famiglia e nonostante qualche intemperanza dovuta al danno biologico, continuò la sua vita più o meno moralmente e felicemente.
Questo esempio per dire come il discorso sulla morale umana sia estremamente complesso e mi pare  riduttivo trovare la soluzione attraverso le formule misticheggianti di Jung che non conosco così bene ma che non credo riduca il problema della morale a questa semplice descrizione.
Onde evitare equivoci, con questo esempio non parteggio per una visione fisica della "morale", ma di una visione, per dirla tutta, multifunzionale, dove convergono fattori fisici, sociali, genetici e connessi anche al libero arbitrio di ognuno di noi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

paul11

ciao Jacopus,
sono d'accordo con te che la teoria freudiana delle fasi psicanalitiche sia ancora oggi quella più attinente alla teoria della formazione della personalità, dove i ruoli sono fondamentali (padre, madre, maschio, femmina). presuppone una forma emotiva che segue fasi di imitazione e conflittualità con delle crisi.il nocciolo del problema  dei due aspetti da te chiamati in causa, penso che esistano da sempre.E' nel  come si risolvono le crisi e le conflittualità che vengono a determinarsi gli ambienti.
A mio parere dipende dal "premio affettivo" di come si risolve il conflitto, se il piano emotivo è soddisfatto dall'essere prevaricatore o relazionale.Socialmente la cultura del diritto e della legalità lo risolve nella negoziazione, nella firma di un contratto o nel piano giudiziario da un giudice. Ma la socializzazione che presuppone la relazionalità è secondaria rispetto alla formazione del'identità, tant'è che spesso è proprio nella difficoltà relazionale che risulta una personalità "non armonica".

Il mio modesto parere è che è vitale l'ambiente famigliare del ragazzo/a che si forma e il risultato della relazionalità nel sociale ne è l'effetto. Se socialmente i comportamenti sono disarmonici è grazie alla disgregazione famigliare.

Carlo Pierini

Citazione di: Jacopus il 30 Agosto 2017, 18:57:56 PM
Dire che la morale è una funzione dell'anima non spiega nulla, Carlo.

Ho citato quel brano di Jung perché l'idea da te accennata secondo cui la morale sarebbe una sorta di sedimentazione dei sensi di colpa indotti dall'educazione (è un'idea di Freud?) mi ha fatto rabbrividire. Un'etica fondata sulla colpa è l'opposto di un'etica, poiché si sovrappone e schiaccia - invece di assecondare e coltivare - i naturali sentimenti di moralità, producendo così, non solo rigidità e intolleranza, ma molto spesso addirittura ribellione e tendenze delinquenziali, cioè, il contrario di ciò che l'educazione si prefigge.

JACOPUS
Phineas Gage fu un operaio che nel 1848 fu trapassato all'altezza dello zigomo da un tubo che trapassò la parte della corteccia centrale prefrontale del cervello, quella stessa parte che si sviluppa definitivamente attorno ai 20 anni (ed è per questo che gli adolescenti sono così immorali). Prima dell'incidente era un uomo irreprensibile, perfettamente integrato nella sua società. In seguito all'incidente pur conservando le sue capacità cognitive e neuromotorie di base, iniziò a bestemmiare, bere, rubacchiare e non riuscì più a mantenersi dignitosamente. Divenne una persona immorale. Phineas Gage proveniva da un ambiente povero, era un immigrato in USA dal Libano e non aveva risorse sociali protettive.
C'è un altro caso, chiamato PGS (phineas Gage spagnolo). Fatto avvenuto nel corso della guerra civile spagnola. Per scappare dalla guardia repubblicana PGS cadde con la testa su un cancello e subì la stessa lesione di Phineas Gage alla corteccia prefrontale. A differenza di Phineas Gage, PGS proveniva da una famiglia agiata, proprietaria di una grande ditta manifatturiera ed aveva una fidanzata che non l'abbandonò dopo l'incidente ma che lo sposò. PGS potè così continuare una vita "normale", essere adibito a compiti semplici nell'azienda di famiglia e nonostante qualche intemperanza dovuta al danno biologico, continuò la sua vita più o meno moralmente e felicemente.
Questo esempio per dire come il discorso sulla morale umana sia estremamente complesso e mi pare  riduttivo trovare la soluzione attraverso le formule misticheggianti di Jung che non conosco così bene ma che non credo riduca il problema della morale a questa semplice descrizione.
Onde evitare equivoci, con questo esempio non parteggio per una visione fisica della "morale", ma di una visione, per dirla tutta, multifunzionale, dove convergono fattori fisici, sociali, genetici e connessi anche al libero arbitrio di ognuno di noi.

CARLO
...Che cose terribili mi racconti.....!!  ..."Adolescenti immorali", ..."fattori fisici, sociali e genetici", ..."formule misticheggianti di Jung"!!!
Posso sapere - ma puoi anche non rispondere - che studi hai fatto e quanti anni hai?

paul11

Citazione di: Carlo Pierini il 30 Agosto 2017, 22:40:18 PM
Citazione di: Jacopus il 30 Agosto 2017, 18:57:56 PMDire che la morale è una funzione dell'anima non spiega nulla, Carlo.
Ho citato quel brano di Jung perché l'idea da te accennata secondo cui la morale sarebbe una sorta di sedimentazione dei sensi di colpa indotti dall'educazione (è un'idea di Freud?) mi ha fatto rabbrividire. Un'etica fondata sulla colpa è l'opposto di un'etica, poiché si sovrappone e schiaccia - invece di assecondare e coltivare - i naturali sentimenti di moralità, producendo così, non solo rigidità e intolleranza, ma molto spesso addirittura ribellione e tendenze delinquenziali, cioè, il contrario di ciò che l'educazione si prefigge.  

scusa se intervengo Carlo.
La morale è una sovrastrutturazione della psiche dove è già in essere un giudizio di valori che può essere disarmonico con quello convenzionale sociale, vale a dire la morale individuale può non corrispondere a quella convenzionale..Penso che da un punto di vista psichico vi sia un percorso formativo costruito sul piano emotivo-affettivo che comporta piacere o dolore.La morale è una sovrastrutturazione del piano affettivo/emotivo, dove un dolore al posto di un piacere o viceversa come risultante di un sistema relazionale psichicamente formato in maniera errata può comportare una "diversa " strutturazione morale.Per esempio , fare del male ,comportarsi in maniera prevaricatrice, far coincidere il possesso con il piano affettivo, può sviluppare quella "diversa" morale. Ritengo semmai naturale, come eco profondo, come intimo malessere ad un comportamento che emotivamente non produce quel giusto piacere affettivo il sistema relazionale, perchè è naturale che le relazioni debbano produrre quello scambio emotivo che ci soddisfa sul piano emotivo.

Carlo Pierini

#13
Citazione di: paul11 il 30 Agosto 2017, 23:21:07 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 30 Agosto 2017, 22:40:18 PM
Citazione di: Jacopus il 30 Agosto 2017, 18:57:56 PMDire che la morale è una funzione dell'anima non spiega nulla, Carlo.
Ho citato quel brano di Jung perché l'idea da te accennata secondo cui la morale sarebbe una sorta di sedimentazione dei sensi di colpa indotti dall'educazione (è un'idea di Freud?) mi ha fatto rabbrividire. Un'etica fondata sulla colpa è l'opposto di un'etica, poiché si sovrappone e schiaccia - invece di assecondare e coltivare - i naturali sentimenti di moralità, producendo così, non solo rigidità e intolleranza, ma molto spesso addirittura ribellione e tendenze delinquenziali, cioè, il contrario di ciò che l'educazione si prefigge.  

scusa se intervengo Carlo.
La morale è una sovrastrutturazione della psiche dove è già in essere un giudizio di valori che può essere disarmonico con quello convenzionale sociale, vale a dire la morale individuale può non corrispondere a quella convenzionale..Penso che da un punto di vista psichico vi sia un percorso formativo costruito sul piano emotivo-affettivo che comporta piacere o dolore.La morale è una sovrastrutturazione del piano affettivo/emotivo, dove un dolore al posto di un piacere o viceversa come risultante di un sistema relazionale psichicamente formato in maniera errata può comportare una "diversa " strutturazione morale.Per esempio , fare del male ,comportarsi in maniera prevaricatrice, far coincidere il possesso con il piano affettivo, può sviluppare quella "diversa" morale. Ritengo semmai naturale, come eco profondo, come intimo malessere ad un comportamento che emotivamente non produce quel giusto piacere affettivo il sistema relazionale, perchè è naturale che le relazioni debbano produrre quello scambio emotivo che ci soddisfa sul piano emotivo.



Non afferro del tutto ciò che vuoi dire. Che significa <<la morale è una sovrastrutturazione del piano affettivo/emotivo,>>?
E non ho capito nemmeno: <<Ritengo semmai naturale, come eco profondo, come intimo malessere ad un comportamento che emotivamente non produce quel giusto piacere affettivo il sistema relazionale, perchè è naturale che le relazioni debbano produrre quello scambio emotivo che ci soddisfa sul piano emotivo>>. Potresti spiegarti meglio?

Jacopus

CitazioneHo citato quel brano di Jung perché l'idea da te accennata secondo cui la morale sarebbe una sorta di sedimentazione dei sensi di colpa indotti dall'educazione (è un'idea di Freud?) mi ha fatto rabbrividire. Un'etica fondata sulla colpa è l'opposto di un'etica, poiché si sovrappone e schiaccia - invece di assecondare e coltivare - i naturali sentimenti di moralità, producendo così, non solo rigidità e intolleranza, ma molto spesso addirittura ribellione e tendenze delinquenziali, cioè, il contrario di ciò che l'educazione si prefigge.
Non direi. Posso citarti molti autori che la pensano al contrario ma credo che possa bastare questa voce di wikipedia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Disturbo_antisociale_di_personalit%C3%A0.
E' proprio la mancanza del senso di colpa uno dei criteri per diagnosticare il disturbo antisociale che non è altro che la classificazione psichiatrica del delinquente (più o meno). Per non parlare del cristianesimo che è una religione ma anche un'etica ed è fondata in via principale sul senso di colpa e sul sacrificio. Credo che l'assecondare e il coltivare siano importanti ma non sono sufficienti perché il mondo e l'umanità non è mai così armoniosa e accadono gli incidenti, le violenze, le guerre, gli stupri, gli omicidi degli innocenti, i furti, le truffe. Potremmo dire che il senso di colpa non ci servirà più quando tutti vivremo armoniosamente come nei giornaletti dei testimoni di Geova.

Citazione.Che cose terribili mi racconti.....!!  ..."Adolescenti immorali", ..."fattori fisici, sociali e genetici", ..."formule misticheggianti di Jung"!!!
Posso sapere - ma puoi anche non rispondere - che studi hai fatto e quanti anni hai?
Posso sapere - ma puoi anche non rispondere - a che ti serve sapere quanti anni ho e che studi ho fatto?
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

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