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Pensiero e Parola

Aperto da Mariano, 20 Novembre 2020, 14:49:02 PM

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Mariano

Pensiero e parola
C'è chi ritiene che senza la parola non sia possibile il pensiero.
Io la penso diversamente:
Nel bambino il linguaggio gestuale precede quello della parola (linguaggio verbale) e così ritengo sia avvenuto nella storia primordiale dell'uomo, prima i gesti poi l'aiuto dei suoni che standardizzandosi e ampliandosi con il progredire delle relazioni hanno fatto sviluppare le parole ed i vari linguaggi verbali.
La parola quindi è diventata uno strumento per esprimere un pensiero.
Ma vi è mai capitato di pensare interiormente e di non essere capaci di esprimere il proprio pensiero?
Per fare un ragionamento, per ragionare sul proprio pensiero non è necessario servirsi delle parole,  ci sono altri linguaggi (la musica, la pittura, la danza, la mimica, la sensorialità ...) più difficili da usare e comprendere perchè si è trascurata l'educazione di queste capacità innate nell'essere umano.

Dante il Pedante

cit.Mariano:Ma vi è mai capitato di pensare interiormente e di non essere capaci di esprimere il proprio pensiero?
CiaoSono Dante :)     Sì, mi capita spessissimo.Vorrei dire meglio,articolare con più precisione,più complessità,ma non trovo le parole, anche per la mia modesta istruzione scolastica.Con la lettura ho migliorato molto perché impari sempre nuovi vocaboli,il ritmo,ecc. Però il pensiero è più un "insieme" di cui il linguaggio è solo una parte.Per es.non riesci certo a descrivere il tuo livello di attenzione,o di consapevolezza che hai mentre scrivi o parli,o le emozioni che guidano il pensiero.A volte mi sorgono pensieri  non verbali,come quando si fa qualcosa di partico con cui hai grande dimestichezza.
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Jacopus

#2
Naturalmente il pensiero non può essere circoscritto alla parola. Ma il pensiero senza parola è un pensiero inevitabilmente ridotto. Anche prima dei graffiti della grotta di lascaux esisteva il pensiero. I  cacciatori si dovevano coordinare. Lo stesso camminare presuppone lo sviluppo di circuiti neurali complessi. Anche senza parola, lo vediamo nei cani, è possibile pensare, avere nostalgia, essere felici, addolorati o tristi. Quello  che ci distingue da gran parte degli esseri viventi è però la creazione di supporti culturali sempre più complessi e raffinati, la danza, la gestualità,  il disegno. Ma la parola assume su di sé un patrimonio di sintesi simbolica che permette al pensiero di pensare secondo una modalità diversa e molto più potente, fino a poter pensarsi come un mondo artificiale, uno specchio del mondo o un mondo ideale. Pensare a ciò che non è, pensare al possibile e costruirlo è una forma della tecnica e la  parola è la tecnica per eccellenza, specialmente nella sua forma scritta.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

davintro

Concordo con la tesi di un'anteriorità e di una trascendenza del pensiero rispetto al linguaggio, almeno stando a una concezione del linguaggio come complesso di segni oggetto dell'esperienza sensibile tramite cui i contenuti intellettuali del pensiero possono essere comunicati intersoggettivamente. La convenzionalità e la mutevolezza del linguaggio rendono i suoi contenuti distinti dalle idee, i contenuti del pensiero, che invece si riferiscono a qualcosa di non convenzionale come l'essenza, il quid qualitativo degli oggetti di cui abbiamo un'esperienza intuitiva. Immaginando che tra un centinaio d'anni la parola "albero" cada in disuso, non per questo cesseremmo di avere un'intuizione degli elementi comuni ai singoli alberi reali, il cui insieme costituirebbe l'idea di albero, che, pur sparendo dai radar dell'attenzione e della riflessione quotidiana, resterebbe nel fondo della nostra coscienza, pronta a riemergere nel momento in cui qualcuno ci facesse notare la presenza di tali elementi comuni, o nel momento in cui, ancor più nel futuro, si stabilisse (ovviamente su tempi lunghi e in sede di collettività culturale) di rispristinare l'uso del termine. Il fatto che ci appia difficile, se non impossibile, immaginare di pensare a idee prive di associazione con parole, non implica una coincidenza tra i limiti del pensabile e quelli del dicibile, ma che siamo condizionati dall'abitudine di focalizzare riflessione e attenzione esplicita su quelle idee che valutiamo come rilevanti nella vita quotidiana al punto di aver già creato delle parole funzionali a comunicarle, pensare a idee non verbali vuol dire operare uno sforzo innaturale perché vorrebbe dire andare alle ricerca di idee che ci apparirebbero insensate e irrilevanti in relazione al contesto culturale/linguistico attuale in cui sin dalla nascita siamo immersi. Eppure la mutevolezza del lessico nella storia mostra che queste idee non verbali non sono del tutto assenti nella nostra coscienza, la possibilità di creare nuove parole presuppone questo fondo oscuro e latente del pensiero in cui si intuiscono idee al momento non verbali: come potremmo creare nuove parole associandoli a significati, riconosciuti come rilevanti al punto da avvertire la necessita di comunicarli, se già prima della creazione della parola non riconoscessimo l'importanza di quel significato, cioè non ne avessimo in partenza un'intuizione, un pensiero, per quanto non ancora una riflessione? La coincidenza tra pensiero e parola, a mio avviso, c'è a livello superficiale della soggettività, quella per cui le idee oggetto di attenzione e riflessione sono le stesse a cui attribuiamo nella nostra cultura un'importanza pragmatica, legate alle azioni e dunque alle necessità di condividerle tramite un tramite simbolico linguistico, le parole, mentre nel profondo inconscio resta presente un "materiale" di riserva intellettuale di idee non verbali il cui senso  è già intuibile in modo oscuro e latente, non riflesso, pronto a riaffiorare in superficie nel momento in cui mutino le condizioni culturali, i sistemi di attribuzione di valore, al punto da cominciare ad avvertire il bisogno di comunicarle e di associarle a parole ad hoc.

Un altro argomento in favore dell'anteriorità e trascendenza del pensiero sul linguaggio è il fatto che, senza tale anteriorità e trascendenza, imparare una lingua straniera sarebbe impossibile: imparare una lingua straniera vuol dire fondamentalmente avvertire la distinzione fra un certo significato, espressione di un dato reale o fenomenico che sia esperienza comune fra la cultura della lingua madre e quella della lingua che deve essere appresa (cioè un dato sovraculturale), che resta identico al di là dei diversi codici linguistici, e le parole che lo raffigurano, che invece possono essere diverse in base ai codici. Quando impariamo l'inglese, riconosciamo che l'identica cosa  "rosso", inteso come reale vissuto coscienziale, comune all'inglese e all'italiano, viene comunicato dagli inglesi con un termine diverso da quello della lingua madre, "red" anziché "rosso", cioè riconosciamo una distinzione tra l'idea di rosso, intuizione prelinguistica, oggetto di esperienza vissuta interiore, identica tra me e l'inglese, e le parole atte a comunicarla, che invece differiscono. Se ci fosse piena coincidenza parola-idea, l'apprensione della lingua straniera sarebbe impossibile, perché le parole di quella lingua sarebbero in tutto e per tutto vincolate a significati a loro volta diversi da quelli attinenti alla mia lingua madre, sarebbero dunque incomprensibili, in quanto divergenti (dunque inadeguate) dalle strutture semantiche di partenza di chi cerca di apprendere la lingua: ogni comprensione implica sempre l'assumere un qualcosa di universale, di comune tra il contesto soggettivo in cui è immerso il soggetto della comprensione e quello oggettivo da comprendere, e questa universalità consiste proprio in quel fondo di intuizioni prelinguistiche in cui abbiamo acceso diretto alle "cose in sé", al "rosso in sé", livello fondativo del rapporto Io-mondo, di cui il linguaggio verbale è solo uno dei tanti livelli che su di esso poggia (per quanto importantissimo, soprattutto dal punto di vista pragmatico). Tutto ciò implica però uscire da un'accezione empirista di "comprendere", per cui il comprendere non necessiterebbe, per il soggetto della comprensione, di strutture cognitive possedute a priori, ma solo un recepire passivo e meccanico dell'oggetto da comprendere: in realtà, se l'idea di rosso inerente al "red" inglese fosse diversa dall'idea di rosso legata alla parola italiana "rosso", l'insegnamento esteriore di un docente "gli inglesi per dire "rosso" dicono "red" " per me non avrebbe alcun senso, dato che non avrei alcuna idea del significato del concetto di "rosso". Per comprendere che il rosso che l'inglese chiama "red" è riferito alla stessa cosa che io chiamo "rosso", necessito di aver già in me presente interiormente l'intuizione, preverbale, di rosso come esperienza vissuta di reali oggetti rossi.


Socrate78

Il fatto che il pensiero e la parola non siano per forza uniti è dimostrato dal fatto che esistono alcune patologie della relazione come l'autismo che impediscono lo sviluppo del linguaggio verbale, ma certamente non il pensiero in se stesso. Si dice che Einstein non abbia parlato sino all'età di cinque anni, ed alcuni ipotizzano che fosse appunto affetto da una forma di autismo ad alto funzionamento cognitivo: questa è una prova del fatto che i due momenti, quello del pensiero e della parola, sono distinti. Tuttavia il pensiero sostiene la parola e la parola rafforza il pensiero: quando parliamo infatti contemporaneamente pensiamo (c'è in verità chi parla a vanvera, ma è un altro discorso!) e rafforziamo e chiariamo i nostri pensieri con il linguaggio.

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