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Pensieri e parole

Aperto da ricercatore, 15 Febbraio 2022, 12:39:42 PM

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ricercatore

"Per pensare ci vogliono le parole. Tu puoi pensare limitatamente alle parole che conosci" - Umberto Galimberti

Mi ricollego ad una nozione che avevo riportato anche tempo fa su un'altra discussione.
Pare che i cinesi, culturalmente legati al momento presente (vedi taoismo), non siano buoni risparmiatori nel lungo termine a causa dei limiti presenti nella loro lingua: sembra infatti che la loro "grammatica" non preveda il concetto di futuro remoto.
Non so se è vero o se è una leggenda metropolitana, ma è una suggestione interessante.

Che ne pensate?
Un linguaggio povero implica pensieri meno strutturati?

bobmax

Ritengo che il pensiero nella sua essenza prescinda dalle parole.
Le parole possono chiarirlo, renderlo più determinato, ma il pensare viene "prima" di qualsiasi parola.

Perché il pensiero non consiste in una sequenza di parole, ma di un flusso di concetti, pulsioni, giudizi... che si richiamano l'un l'altro senza mai consolidarsi per davvero.
È un fenomeno analogico, quindi mai definibile del tutto.

L'uso delle parole permette un miglioramento della determinazione. E quindi della affidabilità del pensiero stesso.
E indubbiamente lo rende comunicabile ad altri.

Tuttavia ciò causa anche una perdita. Perché più il pensiero è determinato e più ha subito una forzatura, un condizionamento.
Le parole così utili ne hanno pure limitato la profondità.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

iano

#2
Il cervello non produce solo parole e laddove è manchevole in un campo eccelle in un altro.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22


Sono d'accordo con Galimberti, anche se non serve a molto tale affermazione. Di certo compie un discrimine. Infatti molte persone dissentono dal suo giudizio.
Ho conoscenza quasi zero per le lingue orientali, però vi era un pensatore, Eric Avelock, che era convinto che la filosofia prettamente speculativa fosse nata in Grecia a cagione dell'esistenza della lingua alfabetica. Non giudico.
Anch'io penso che gli orientali stiano molto sul presente, ma non penso sia dovuto alla loro lingua. Per me la lingua è un'espressione del comportamento, ne sarebbe un'accentuazione. C'era anche un topic aperto da Jacopus in proposito, ma è caduto in disuso.
Se non c'è parola, non c'è pensiero, oppure vi è un pensiero che produce una parola quando un comportamento fa approdare un individuo al cospetto di una novità. La nuova parola verrà convalidata da altri se la novità a cui si riferisce è accettata. In tal modo la parola entrerebbe di fatto nel circuito del pensiero comune.
Il pensiero pre-umano penso che possa costituirsi al più come ricordo, là dove sono sufficienti le immagini ricordate a costituirlo. Nel linguaggio umano, penso che nello studio di etnìe isolate un punto di distinzione in seno alla lingua da loro parlata possa rappresentarsi sul fatto che esista o no il periodo ipotetico, o anche di un uso articolato dei numeri

iano

#4


Se allarghiamo il discorso al linguaggio simbolico in generale si capisce meglio il potere dei simboli hanno sul pensiero, come ci insegna la storia della matematica.
Quando i popoli entrano in contatto si scambiano merci ma anche simboli e i sottesi concetti, che vengono acquisiti "a costo zero" , come oggi siamo in grado di dire, ma solo dopo aver importato dagli indiani il simbolo dello zero insieme alla notazione posizionale.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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