Parlando di etica, natura, emozioni, in attesa della fine del mondo

Aperto da Koba II, 27 Ottobre 2024, 09:54:43 AM

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Alberto Knox

Citazione di: Il_Dubbio il 10 Novembre 2024, 14:16:12 PMForse esistono "momenti" di felicità e non una continua e costante vita solo ed esclusivamente di piena felicità (che dovrebbe appartenere al mondo paradisiaco).
 
Non ti manchi mai la gioia, e non ti mancherà, se nascerà dentro di te (Seneca). 
Occorre fare una distinzione fra felicità e gioia dove la prima è un emozione e come tale non può che essere momentanea e gioia che invece è uno stato dell animo. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Koba II

Citazione di: daniele22 il 10 Novembre 2024, 15:18:00 PM
@Koba II
Visto che hai detto che l'essere umano è ontologicamente problematico, a livello filosofico sarebbe interessante conoscere o sforzarsi almeno di conoscere i motivi per cui egli verserebbe in tale situazione, sempre ammesso che gli "altri" non evidenzino tale problematicità e che un compito della filosofia sia quello di essere d'aiuto al pover 'om.

In effetti la filosofia, pur avendo la tendenza a porsi come conoscenza e pur avendo la mania della teorizzazione, è forse soprattutto terapia del pover 'om.
Forse è nata proprio per questo e solo successivamente si è raccontata di essere stata generata dalla meraviglia.
Terapia del pover 'om nel senso di un esercizio spirituale, di un lavoro di cura di sé che poi concretamente consiste innanzitutto nella difesa della propria singolarità dalle forze che vogliono assoggettarlo, cioè renderlo soggetto comune, manipolabile.
C'è chi ritiene che l'esortazione antica "conosci te stesso" posta all'ingresso del tempio di Apollo a Delfi abbia a che fare con tale terapia.
L'esortazione esprimeva essenzialmente due cose, tutto sommato l'una in contraddizione con l'altra:
1) prendi atto di essere solo un mortale, tu che stai per entrare nel tempio dell'immortale Apollo!
2) cerca di capire che la tua essenza è l'anima, che nella sua purezza è del tutto simile al divino.

Quindi, viene da chiedersi: siamo delle creature miserabili o al contrario siamo, nel fondo di noi stessi, simili a Dio?
Entrambe le cose.
Ma appunto il divino, correttamente compreso, non ha attributi specifici (altrimenti sarebbe un grottesco super uomo con grossi attributi), ma è assenza di costrizioni, di volontà, di desideri, pura libertà.
Nell'anima probabilmente non c'è niente da conoscere, con buona pace dei cultori dell'interiorità lussureggiante.
Ci può essere silenzio, pace. Ma per arrivare a questa meravigliosa assenza bisogna filosofare tutta la vita, cioè difendersi continuamente, con ogni mezzo, dalla violenza degli uomini e del mondo, anche e soprattutto nella forma dei propri pensieri, dei propri desideri, etc.

Alberto Knox

Citazione di: daniele22 il 10 Novembre 2024, 15:18:00 PMDal mio punto di vista, oltre alle necessità chiamiamole vitali, il bisogno fondamentale di un essere umano resterebbe confinato a un generico "sentirsi vivo".
Ma allora da questo punto di vista è la necessità vitale di ogni essere vivente, probabilmente anche una pianta sente di essere viva e sicuramente uno scimpanzè sente di essere vivo. Allora la questione non è più definire un etica condivisa ma che cosa siamo. Che cosa siamo noi Daniele? che possiamo amare e poi propio a partire da quel sentimento di amore divenire veicoli di morte? (ti amo così tanto che si mi lasci ti ammazzo). Che cosa siamo e che cosa vuol dire essere umani? sai questa domanda fu posta in una conferenza ad una famosa antropologa (di cui mi dimentico sempre il nome) e la domanda era questa "esiste nella storia della paleontropologia un momento che si può indentificare come il distacco dall essere animale all essere umano? un momento che da li si può dire che da quel momento è diventato un essere umano"
la risposta dell antropologa fu la seguente "sì c'è , è stato quando abbiamo rinvenuto in una caverna le osse di uomini primitivi e abbiamo visto un femore lesionato che si era risanato, ovvero un uomo a cui gli si era rotta una gamba era stato curato connettendo l'osso rotto con l altro osso rotto in modo tale da potersi risanare" Questa antropologa aveva individuato nella cura dell altro l umanità. Sarà davvero così? non lo so , penso che l'essere umano non è ad una sola dimensione siamo capaci di amore e di odio , di guerra e pace, archia e anarchia , fedeltà einfedeltà , amicizia e inimicizia ecc ecc. Noi siamo fatti di questa pasta contradditoria che in filosofia si dice antinomica.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Quando pensiamo a noi stessi pensiamo alla coscienza, al subconoscio, l'inconscio le pulsioni che esistono, certo che esistono,dove c'è di tutto cose belle e cose meno belle,  siamo natura, tanto più fruttuosa quanto più selvaggia.
Certo noi siamo bios, vita biologica , siamo anche zoé vita animale, zoologia certo e siamo anche psiché, vita psichica, certo siamo anche psiche, ma siamo anche Nous. Non solo, Aristotele diceva " Nous poietikos" che normalemente viene tradotto come "intelletto attivo" poieo, che fa, che agisce , che è in atto. . Ma a me piace tradurre il nous poietikos di Aristotele in "spirito creativo". Il punto qual'è , così concludo, chi ha ragione? chi afferma che queste cose esistono o chi afferma che queste cose non esistono? Ancora una volta, dipende dal lavoro che ci metti ... " non è irrilevante notare come la parte immortale e divina nell uomo non esista , se non viene attualizzata e focalizzata su ciò che è divino fuori di lui. In altri termini, l'oggetto dei nostri pensieri conferisce immortalità al pensare stesso".
questa frase non è di un padre agostiniano , di un monaco benedettino o di una suora . Questa frase viene da una delle menti più rigorose, brillanti e preparate del nostro tempo, colei che scrisse "la banalità del male", colei che scrisse "le origini del totalitarismo" , "vita activa" , "la vita della mente" e tanti altri capolavori. Conosceva alla perfezione la filosofia contemporanea per le sue frequentazioni con heidegger e con i suoi cari amici jaspers, jonas, Edihit. Ebbene Hannah Arendt ci dice che noi siamo protagonisti della nostra antologia, che noi possiamo , tramite il nostro pensare, attivare o no alcune parti del nostro essere , che se non sono attivate non esistono.


lo capite? che cosa è in gioco nel pensare? 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Il_Dubbio

Citazione di: Alberto Knox il 10 Novembre 2024, 15:34:16 PMNon ti manchi mai la gioia, e non ti mancherà, se nascerà dentro di te (Seneca).
Occorre fare una distinzione fra felicità e gioia dove la prima è un emozione e come tale non può che essere momentanea e gioia che invece è uno stato dell animo.
sono termini che ci lasciano senza una descrizione oggettiva. 
Dipende dalle situazioni, uno potrebbe attraversare un momento di profonda tristezza e acuto dolore ed essere comunque felice per un momento per aver rivisto una persona cara dopo tanto tempo. 
Mentre uno potrebbe vivere un periodo molto felice, praticamente di gioia (come dici tu) per il fatto ad esempio di aspettare un figlio e poi vederlo nascere e crescere. 
Comunque secondo me non è il punto chiave. Con questi discorsi stiamo girando attorno al problema principale, o per lo meno a quello che ho individuato io (certamente non mi sogno di sostenere di aver capito perfettamente il contesto del topic).

Alberto Knox

Citazione di: Il_Dubbio il 10 Novembre 2024, 21:52:40 PMsono termini che ci lasciano senza una descrizione oggettiva.
i termini sono diversi per un motivo. Nel primo caso la felicità  è un emozione che viene da qualche cosa di positivo che ci arriva da fuori, una vincita , una macchina nuova , aspettare un figlio e poi vederlo nascere e crescere, incontrare un amico che non si vedeva da tempo. Tutte queste cose sono inerenti a cause esterne a noi e non è molto diverso dal bambino che piange perchè vuole il latte e poi è tutto contento dopo la poppata. La gioia di cui parla Seneca invece è una senerità dell animo che nasce da dentro.  Certo che ci sono i momenti difficili ma c'è modo e modo di affrontare la vita.
Citazione di: Il_Dubbio il 10 Novembre 2024, 21:52:40 PMCon questi discorsi stiamo girando attorno al problema principale, o per lo meno a quello che ho individuato io
si parla di etica, natura , emozioni. Mi adeguo al topic
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Il_Dubbio

Citazione di: Alberto Knox il 10 Novembre 2024, 22:21:43 PMLa gioia di cui parla Seneca invece è una senerità dell animo che nasce da dentro.  

Dovresti definirla meglio. Che l'abbia detta Seneca non fa della serenità dell'animo qualcosa che non possa essere definita come felicità o benessere. 

Il topic parla di emozioni certo, anche di etica, ma anche di natura. E la natura delle cose può essere descritta in vari modi. Quelli piu convincenti sono quelli che partono da una tesi, poi procedono verso una antitesi poi alla fine terminano con una sintesi. Oppure incominciano con una teoria, procedono verso una sperimentazione e finiscono con una soluzione.
In che altro modo posso dirla. Incomincio con descriverla con concetti razionali tento di escludere qualsiasi tipo di tesi razionale contraria, poi emetto la sentenza. 

Non credo che la filosofia funzioni molto diversamente. Certo la spiritualità si concede spunti (anche interessanti) verso aspetti la cui descrizione è impossibile in quanto altamente soggettiva e poco descrittiva, ma questo è un luogo di filosofia non di spiritualità.  

Alberto Knox

Citazione di: Il_Dubbio il 10 Novembre 2024, 22:49:49 PMNon credo che la filosofia funzioni molto diversamente. Certo la spiritualità si concede spunti (anche interessanti) verso aspetti la cui descrizione è impossibile in quanto altamente soggettiva e poco descrittiva, ma questo è un luogo di filosofia non di spiritualità.  
sì ma rilassati, non siamo filosofi di professione. Ad ogni modo approfondirò il tema "gioia" così da chiarire meglio ciò che vado dicendo. Non ora perchè ci vuole tempo e  si è fatta una certa.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Citazione di: Il_Dubbio il 10 Novembre 2024, 22:49:49 PMDovresti definirla meglio. Che l'abbia detta Seneca non fa della serenità dell'animo qualcosa che non possa essere definita come felicità o benessere. 
illustrerò quindi il mio pensiero. Voi tutti sapete che gli studiosi hanno identificato sei emozioni universali che ogni essere umano vive ; la paura la rabbia, la tristezza la felicità, il disgusto e la sorpresa. Ma le emozioni arrivano quando vogliono loro , sono il primo momento, la prima manifestazione della nostra interiorità che voi potete chiamare mente oppure anima oppure sè, oppure in altri modi ancora. Queste emozioni arrivano, puoi scegliere se avere paura? no arriva e hai paura, poi si tratta di riconoscerla e gestirla. Questo che vale per la paura vale per tutte le altre emozioni ma quando io dico "gioia" non intendo la felicità che è appunto questo primo livello , non intendo nemmeno il secondo livello della vita psichica che è il sentimento , il quale sentimento è un emozione stabilizzata, io continuo ad avere emozioni rabbiose nei confronti di una determinata persona, si stabilizza questa mia emotività e diventa un sentimento che in questo caso si chiama "odio". Non è neanche il terzo livello che è la passione , non è neanche il quarto livello gli ideali ma è una virtù , la virtù è quella forza interiore di volontà che scaturisce da te quando hai assimilato tutto il percorso che va da sentimento , passione e ideali e diventa tua e diventa capace di governarci. Ora siamo sempre capaci di governarci? parlo per me no . Qualche volta siamo capaci di governanrci? parlo per me sì. Quando prendo una decisione ponderata cosa sto facendo se non richiamarmi alla prima delle virtù che i greci chiamano phronesis e che noi traduciamo in modo fuorviante con "prudenza" . Per quanto concerne la virtù della gioia i Buddhisti sono più accorti di noi occidentali perchè nelle nostre tipologie di virtù la gioia non compare e invece il buddhismo la riconsce come virtù perchè quella gioia interiore non è una felicità che va e viene per come soffia il vento . No è quella gioia che è come un mare calmo a dispetto del reale o a favore del reale è un prendere rifugio dentro di sè a dispetto delle circostanze a volte. Puoi anche non essere felice ma hai una calma, una serenità interiore che è la virtù della gioia.
Ho fatto riferimento a Seneca con quella frase che viene dalle lettere di Seneca a Lucilio . Bene nella lettera 23 dice esattamente " Prima di tutto, caro Lucilio, impara a gioire...." la felicità non la puoi imparare , è un emozione! non c'è da imparare niente , non è una virtù , non è un arte , arriva , hai la macchina sei felice una settimana , hai la mammella della mamma sei felice cosa devi imaparare  , ti viene naturale.
. disce gaudere devi imparare! dice Seneca a gioire perchè la gioia è una virtù bisogna imparare.  E ricordati Lucilio, continuando nella lettera," gaudium res severa est" , traduco "la gioia è una cosa seria" cosa pensi  lucilio  continua Seneca , che tutti quelli che vedi in giro che ridono sono nella gioia? No , la vera gioia è qualcosa di interiore, res severa est , è qualcosa che è dentro come una roccia. Spero un pò di aver chiarito quel è la differenza fra felicità (emozione) e gioia come virtù.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

daniele22

@Alberto Knox
Citandoti:
"Ma allora da questo punto di vista è la necessità vitale di ogni essere vivente, probabilmente anche una pianta sente di essere viva e sicuramente uno scimpanzè sente di essere vivo. Allora la questione non è più definire un etica condivisa ma che cosa siamo."
Ciò che ci differenzia dalla pianta e dallo scimpanzé sarebbe il fatto che probabilmente solo noi riusciremmo a immaginare l'idea di "sentirsi vivi", idea che conduce anche al pensiero di avere gioco, ovvero di avere possibilità di vita; tale necessità sarebbe certamente vissuta pure dalla pianta o dalla scimmia, ma non sarebbe idealizzata. Dovrebbe dunque essere chiaro che di fronte al pensiero "sentirsi vivi", "avere possibilità di vita", si apra tutto l'universo antropologico, nel bene e nel male, tanto per sé stessi quanto per gli altri.
Allora,  come dici, la questione sarebbe innanzitutto capire cosa siamo in quanto esseri umani e quindi vedere se vi sia spazio per definire un'etica ampiamente condivisibile.
Infine, per quello che ne so anche altre specie mostrano forme di cura nei confronti dei propri simili; non riusciranno ad aggiustare femori, ma questa è un'altra cosa
===========
@Koba II
In effetti non ho mai pensato che la filosofia fosse nata dallo stupore dato che penso che le persone del sesto secolo avanti Cristo non fossero ingenue a tal punto. Certamente ho sempre pensato che dovesse esserci utile, ma a scuola non mi è riuscito di cogliere questa utilità.
Circa il riferimento al "conosci te stesso" tendo a interpretarlo come un invito a sforzarsi di comprendere l'altro attraverso l'analisi del proprio agire, di comprendere cioè la tua uguaglianza all'altro. Di comprendere infine che le nostre diversità siano imputabili a sorti diverse in cui saremmo incappati a partire dall'impronta genetica assegnataci dai nostri genitori. Sorti diverse che possono anche implicare situazioni di estrema fortuna o sfortuna come ventilato da Dubbio. Solo così pensando per me avrebbe senso la formula per intero che non so se fosse scritta in origine, o manipolata successivamente e che reciterebbe appunto "conosci te stesso e conoscerai il pensiero degli dei". Se così non fosse il detto "conosci te stesso" da solo suonerebbe come un semplice conoscere i propri pregi, difetti e i propri limiti personali; per carità, c'è pure chi non lo fa mentre sarebbe opportuno farlo, ma che tale semplice formula fosse stata posta all'ingresso del tempio di Apollo mi sembrerebbe quasi banalizzare Apollo attribuendogli un monito che se non è alla portata di tutti poco ci manca

Alberto Knox

#40
Citazione di: daniele22 il 11 Novembre 2024, 11:50:29 AMAllora,  come dici, la questione sarebbe innanzitutto capire cosa siamo in quanto esseri umani e quindi vedere se vi sia spazio per definire un'etica ampiamente condivisibile.
Forse possiamo dire di aver identificato perlomeno uno dei punti centrali del tema del topic. Però non essendo l'unico mi interesserebbe sapere anche quali sono gli altri, @ildubbio ad esempio ha visto il fulcro del discorso riportandolo all entropia dei sistemi fisici correlandoli o analogandoli ai sistemi naturali devi viventi  quali anche la vita dell uomo . Ma confesso di non averci capito molto.
Citazione di: daniele22 il 11 Novembre 2024, 11:50:29 AMInfine, per quello che ne so anche altre specie mostrano forme di cura nei confronti dei propri simili; non riusciranno ad aggiustare femori, ma questa è un'altra cosa
Sì, questo lo pensato anch'io , è per questo che non sono tanto persuaso dalla spiegazione dell antropologa in questione. Potrebbe essere che la cura sia uno dei punti cardini che identifica l essere umano in quanto facente parte di quelle speci che manifestano la cura verso altri individui della stessa specie ma che non sia il punto cardine decisivo che ci caratterizza come essere umani.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Il_Dubbio

Citazione di: Alberto Knox il 11 Novembre 2024, 11:03:09 AMPer quanto concerne la virtù della gioia i Buddhisti sono più accorti di noi occidentali perchè nelle nostre tipologie di virtù la gioia non compare e invece il buddhismo la riconsce come virtù perchè quella gioia interiore non è una felicità che va e viene per come soffia il vento . No è quella gioia che è come un mare calmo a dispetto del reale o a favore del reale è un prendere rifugio dentro di sè a dispetto delle circostanze a volte. Puoi anche non essere felice ma hai una calma, una serenità interiore che è la virtù della gioia.

Dici (mi è parso di capire anche con quello che dici in seguito) che questa calma e questa serenità interiore si "impara". Potresti essere anche infelice hai detto, ma rimarrai comunque in una condizione di gioia. Quindi non è un'emozione momentanea. In pratica, questo però dovrò cercare di capire, le condizioni di benessere o di malessere verranno mascherate da quello che si è imparato. Hai detto che questa sarebbe una virtù. 
La prima cosa che mi verrebbe da chiedere è: in che modo questo soggetto, che ha imparato la virtù della gioia, a liberarsi dal "sentimento" della tristezza, o comunque del malessere momentaneo?

Sono partito da una situazione in cui c'è una dinamica interna dove l'equilibrio viene perso ma poi ritrovato. Dove la tristezza (un tipo di malessere momentaneo) è un malessere da cui devo tentare di liberarmi per ritrovare un certo benessere. 
Ora tu chiudi tutto all'interno di confanetto, che chiami gioia... ma allora questo soggetto rimarrà sempre triste interiormente, o anche lui tenterà di liberarsene in qualche modo? Cosa viene risolto con questo stratagemma che tu chiami virtù? 

green demetr

Citazione di: Koba II il 10 Novembre 2024, 17:19:55 PMma è assenza di costrizioni, di volontà, di desideri, pura libertà.
Non era Tommaso che diceva che si raggiunge Dio quando la libertà sposa il desiderio di Dio?
Non capirò mai le posizioni, per esempio dell'India in tutte le salse, di "abbandono del Mondo"

E seguendo Agostino, il desiderio di Dio non è la volontà di portare la luce in questo Mondo?
Come nella tradizione ebraica e greca: in questo Mondo, non nell'Altro (dove è già tutto luce).

E' questo il compito intimo della filosofia, non tanto la terapia, o la resistenza (comunque necessaria) ai mali del Mondo.

Io la vedo così ora. Piano piano la nebbia si dilegua.

Mancano i testi e un serio lavoro a come scrivo.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Koba II

Citazione di: green demetr il 11 Novembre 2024, 17:44:49 PMNon era Tommaso che diceva che si raggiunge Dio quando la libertà sposa il desiderio di Dio?
Non capirò mai le posizioni, per esempio dell'India in tutte le salse, di "abbandono del Mondo"
E seguendo Agostino, il desiderio di Dio non è la volontà di portare la luce in questo Mondo?
Come nella tradizione ebraica e greca: in questo Mondo, non nell'Altro (dove è già tutto luce).
E' questo il compito intimo della filosofia, non tanto la terapia, o la resistenza (comunque necessaria) ai mali del Mondo.
Io la vedo così ora. Piano piano la nebbia si dilegua.
Mancano i testi e un serio lavoro a come scrivo.

Prendiamo il mito della caverna di Platone. Il filosofo è un prigioniero, come tutti gli uomini, poi vede la luce, si arrampica lungo un sentiero, esce all'aria aperta, e si rende conto fino a che punto la sua vita sia stata nient'altro che uno spettacolo di simulacri, di maschere.
Dopodiché torna indietro a liberare gli altri prigionieri.

Ora, ti chiedo: tu dove ti vedi?

Io penso di essere uno di quelli che intravedendo la luce cerca l'uscita, si arrampica, arriva quasi in cima, poi scivola in basso, si dispera, riprova, si arrampica, rotola, riprova, cade, etc., ma non si dispera più. Questo è il punto. All'ennesimo ciclo non si dispera più, e i suoi occhi vedono sempre meglio la luce, anche se è destinata a non uscire mai dalla caverna e rimanere quindi una creatura dell'oscurità.

green demetr

Citazione di: Koba II il 11 Novembre 2024, 18:21:37 PMQuesto è il punto. All'ennesimo ciclo non si dispera più, e i suoi occhi vedono sempre meglio la luce, anche se è destinata a non uscire mai dalla caverna e rimanere quindi una creatura dell'oscurità.
Il punto temo sia quello del fatto che tu voglia vedere la luce, la luce di quell'Altro Mondo, che però secondo la tradizione cattolica, in maniera per me impossibile, dice essersi incarnata.
Si dice infatti, correggettemi se sbaglio, che il cristo è la luce di questo mondo.
Dunque nella tua metafora, correggimi se sbaglio, quell'uscita della caverna, coincideva con il riconoscimento dello spirito santo nel mondo, in maniera fisica.
Cioè appunto in questa vita.
Francamente so veramente troppo poco, e non riesco a unire la metafora platonica con quella cristiana.
Avendo letto ed essendomi fermato lì, ma da domani è un altro giorno, la metafora platonica è tutt'altro che capita, anzi a mio parere non è capito affatta.
Infatti la filosofia antica è una gnosi, la luce è la conoscenza, la conoscenza dell'altro Mondo.
In Platone visto come il maestro mi bombarda dovrebbe essere  bellezza, verità e bontà.
Questi tre verità dell'Altro Mondo, sono quelle che illuminano tramite la saggezza, questo di Mondo.
Abitato dalle tenebre.
E io ricordo che c'è un sole dietro il sole: che poi sarebbe qualcosa di ancora più in altro di queste verità, che dovrebbe essere il Dio, quello per cui Socrate arriva a dire di SAPERE di NON SAPERE.
Ossia Socrate sa delle virtù morali, ma non di quelle divine.
Noi vediamo insomma quelle che, suppongo, verranno chiamate poi le virtù teologali, morali etc...
Nella meditazione ci appaiono nitide, pure, eterne.
Poichè è il desiderio di conoscerle che ci ha portato a loro, nasce nell'uomo virtuoso, ossia il filosofo antico, il desiderio di farle conoscere anche a chi continua volontariamente a consolarsi con le immagini.

Io vivo nel mondo delle immagini, un surrogato fantastico dell'amore NEGATO da questa società.
Forse la differenza mia è che ho voltato la testa e ho visto chiara la luce, ma poi mi sono tornato a vivacchiare.

Nella mia testa bacata non mi è mai venuto in mente che le virtù sono indagabili.
Le davo nel solito delirio di onnipotenza (che sottende la nevrosi da Serfo) come acquisite.
Ma io non ho acquisito proprio un bel niente.

Per questo per me tornere all'antico è qualcosa di indispensabile.
E' una questione morale la lotta contro il nichilismo, difficilissima da vedere, perchè prima c'è quella contro la nevrosi.

Platone sapeva della nevrosi? Penso proprio di sì, è un pensatore troppo grande perchè non l'abbia pensata.
Dietro di lui in fin dei conti c'era già stato Omero (enigmatico) e la drammaturgia greca (anch'essa enigmatica).
Platone le porta ad un livello intellegibile (se uno accetta la questione del tranello, cosa che dubito qualcuno capirà, ma io vado avanti sulla mia strada).

Ecco un bel problema capire che Platone tende tranelli: ti costringe a schierarti, ti costringe a pensare oltre il suo stesso scritto.

Purtroppo devi anche capire che io ho passato la giovinezza sui libri dei francesi, naturalmente non è stato un caso, perchè io stesso ero dentro la lavatrice sociale.
Come sai questi parlano, parlano ma non dicono un cavolo.
Era naturale che dovessi arrivare a Nietzche, perchè Nietzche all'apparenza è un relativista, e invece è tutt'altro.
Ecco quando ho capito che Nietzche chiedeva di VIVERE, è lì che da codardo mi son ritirato.

Ho girato cioè le spalle alla luce.
Vedevo la luce, ma non sapevo che c'era una verità diciamo così mediana.
E' un colle, io penso di raggiungerlo, perchè in fin dei conti parla di valori.
Non sono le vette nicciane, dove metti in gioco proprio la tua vita, anime e corpo.
Ecco forse questa visione corporale nicciana, non è poi tanto distante dalle scelte morali di Bonhoffer, cristiano.
Ma comincio a credere che per arrivare a quelle vette, ci servano per così dire delle casette di montagna, vivibili, non aperte sugli abissi morali, non aperte alle visioni siderali dell'ebraismo, qualcosa di più vivibile, qualcosa che veramente ha a che fare con la polis.
In questo senso questo maestro che è sceso è cioè Platone (non certo Socrate che è invece colui che ci sfida coi suoi tranelli).
Gli altri due sono Agostino e Kant (due filosofi che odio, ma evidentemente mi sbaglio).
Se uno non conosce questi tre, come fa poi a seguire nicce (nella sua visione extra-morale, ossia ancora ulteriore rispetto ai valori tradizionali, il super-uomo non è un barbaro).

Non abitiamo nemmeno le casette di Montagna.
Prima di cercare luce nella tenebra, abituarci alla poca luce (come dici tu) della pianura, andiamo in una di esse.

Spero la scenografia sia stata all'altezza. ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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