Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere

Aperto da bobmax, 04 Luglio 2024, 06:44:40 AM

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Phil

Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 11:05:02 AML'assenso ad un discorso dipende sempre dalla sua capacità di rimandare, in qualche modo, alla struttura del fenomeno che intende trattare.
Questa struttura del fenomeno è imposta di fatto alla/sulla realtà da un certo discorso (precomprensione ipotetica) e viene poi considerata struttura valida (e quindi, retroattivamente, discorso valido) se tale imposizione rende il fenomeno comprensibile, possibilmente ad ogni suo ripresentarsi.
Tala validazione mostra tutti i suoi limiti (e tutta la sua autoreferenza) quando si parla di "fenomeni di senso", ossia quando la comprensibilità è possibile sotto molteplici orizzonti, persino incompatibili fra loro, senza che ci sia un meta-orizzonte in grado di dimostrare quale orizzonte fallisca nel comprendere il reale. Il falsificazionismo funziona in ambito epistemologico, mentre in ambito esistenziale è inevitabilmente preda delle aporie proprie dei meccanismi di attribuzione di senso, la cui assolutizzazione è costitutivamente e strutturalmente u-topica. Il "senso dell'essere" è questione poetica, non gnoseologicamente fenomenica, poiché indagando la suddetta struttura del fenomeno, non ne abbiamo mai (fino a prova contraria) trovato oggettivamente il senso, ma glielo abbiamo sempre inoculato soggettivamente.

iano

#61
Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 11:05:02 AMÈ qui che ti sbagli. Sembri essere rimasto alle forme espressive del razionalismo moderno.
L'argomentazione filosofica non è una specie di teorema costruito secondo il modo della geometria euclidea, per cui la verità della conclusione, fatto salvo errori nel concatenamento logico delle proposizioni, dipende in fondo solo dalla bontà delle asserzioni di partenza. Le quali, per evitare di regredire all'infinito con altre asserzioni che ne garantirebbero la verità, devono essere infine dichiarate vere per fede.
Il logos umano è infinitamente più complesso e ambiguo, diciamo così.
Il logos è complesso ed ambiguo.
La ragione però lo ha domato costringendolo dentro un percorso logico che va in automatico, senza perciò averlo esaurito.
Se pure questo percorso fosse inconcludente, seppure non possa andare oltre il senso di un criceto che corre dentro la sua ruota, che il logos si prestasse in tal modo ad essere in parte addomesticato non era per nulla scontato.
Quindi prima di liquidare il razionalismo come inconcludente, bisognerebbe esprime quantomeno meraviglia per la incredibile impresa che ha portato a termine, di mettere in gabbia lo sfuggente logos.
Ma questa impresa non sarebbe stata possibile se prima il logos non si fosse fatto simbolo, arricchendo la natura del pensiero.
Se trascuriamo questo arricchimento mettendolo da parte, trascuriamo la storia del pensiero,  negando la sua evoluzione.
Una volta detto che il pensiero non può ridursi a un teorema, ma che di un teorema si è arricchito, io mi impegnerei ad analizzare meglio la natura di questo costrutto reso possibile dall'essersi il verbo incarnato in un simbolo processabile, essendo prima inafferrabilmente volatile, oltre che significativamente volubile.
E non perchè il teorema sia la parte più importante del pensiero, ma perchè è ciò che del pensiero abbiamo esplicitato, e non dovremmo perciò mancare di esaminarlo, ed esaminandolo magari potrebbe risultare qualcosa di più di una gabbia per criceti, come parte funzionale di un pensiero che rimane complesso e ambiguo, ma che adesso lo è un pò di meno.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

bobmax

Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 11:05:02 AMÈ qui che ti sbagli. Sembri essere rimasto alle forme espressive del razionalismo moderno.
L'argomentazione filosofica non è una specie di teorema costruito secondo il modo della geometria euclidea, per cui la verità della conclusione, fatto salvo errori nel concatenamento logico delle proposizioni, dipende in fondo solo dalla bontà delle asserzioni di partenza. Le quali, per evitare di regredire all'infinito con altre asserzioni che ne garantirebbero la verità, devono essere infine dichiarate vere per fede.
Il logos umano è infinitamente più complesso e ambiguo, diciamo così.
L'assenso ad un discorso dipende sempre dalla sua capacità di rimandare, in qualche modo, alla struttura del fenomeno che intende trattare.
Se non ci fosse questo elemento oggettivo, indipendentemente da come viene pensata questa capacità di riprodurre la sua struttura nella proposizione, non ci sarebbe conoscenza.

Non importa il modo con cui si pensa l'elemento oggettivo a cui si rimanda. Non importa neppure se se ne ha o meno una qual chiara idea.
Infatti il postulato può benissimo essere solo implicito e mai esplicito.
Ma sempre c'è, necessariamente.
In caso contrario nessuna conoscenza sarebbe possibile!
Perché il pensiero logico non avrebbe alcuna base su cui costruire.

Non è l'ambiguità o la complessità a caratterizzare il logos umano, ma la sua estrema semplicità.
Il semplice è molto difficile.
E la verità è semplice. Puoi forse dire il contrario?

Non vi è nulla di davvero oggettivo.
Se lo fosse dovrebbe essere necessariamente pure soggettivo.
Vi sono infatti solo verità provvisorie, sempre probabilistiche.
Difatti la conoscenza segue esclusivamente la induzione.
Con buona pace di Bertrand Russell.

Eppure, vi è una verità certa.
Ed è l'etica.
Che è dentro di te. E emerge solo da te stesso.
Ma per rendertene conto mi sa che devi andare all'inferno.
Solo lì infatti Dio è certo.

Senza perciò lasciarti irretire da imbonitori come Heidegger...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

iano

#63
Un teorema abbisogna di assunti che non sono scontati nella loro evidenza, perchè ''il moderno razionalismo'' si è liberato delle evidenze presenti ancora nel vecchio razionalismo di Euclide in forma di concetti primitivi.
Il ''razionalismo'' liberatosi da questo legame con particolari evidenze, si presta ora ad essere applicato ad ogni tipo di evidenza, cioè ai fenomeni nella loro generalità.

Un altra cosa di cui abbisogna il nostro teorema è una logica che ci permetta di ''dimostrare'' che gli assunti possano cambiare forma in conclusioni che sono equivalenti agli assunti.
Si, però sono equivalenti solo logicamente.
La logica cioè rende equivalenti due espressioni che sono diverse a priori, e l'equivalenza è logica nel senso che se usiamo una logica alternativa l'equivalenza decade.
Se applicassimo contemporaneamente  due logiche diverse ciò sarebbe irrazionale.
E se fosse proprio questa la sola irrazionalità con cui abbiamo a che fare, senza saperlo?
Ci potrebbe essere cioè qualcosa di più di assunti che agiscono in incognito, ma logiche intere, delle quali solo una siamo riusciti ad esplicitare, e perciò coscientemente usiamo.
Metti che siamo governati da una logica che coordina logiche diverse.
Se di queste logiche che agiscono ne conoscessimo una sola , l'effetto ci apparirebbe irrazionale.

Ma senza fare voli pindarici, l'utilità della logica non è di avvisarci che forme che appaiono diverse sono sostanzialmente uguali, ma di assimilare ad una forme diverse, riducendo così di fatto la complessità della realtà, per cui potremo trattare questa riduzione al posto della realtà, intrattenendo con essa un rapporto indiretto, l'unico possibile, e la cosa funziona così bene che alcuni confondono questa riduzione, questo modellino della realtà, con la realtà stessa.


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 12:00:55 PMnon ne abbiamo mai (fino a prova contraria) trovato oggettivamente il senso, ma glielo abbiamo sempre inoculato soggettivamente.
aggiungerei; o piuttosto , viene semplicemente continuamente ridefinita.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Ipazia

Tra physis ed epistème si colloca necessariamente il logos: epistemo-logia.

Questa funzione mediatrice tra natura e sapere può dare alla testa e inventarsi una propria prolissa e immaginaria ontologia, ma sempre physis rimette le cose al loro posto, nel giusto ordine gerarchico, per la gioia di chi è sinceramente amante di sophia.

La verità etica riguarda l'universo antropologico e la sua limitata possibilità di fuga dall'ordine naturale prestabilito. Anche qui eviterei voli pindarici, visto che l'etica è tra i saperi umani più rari e transeunti.



pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Koba II

Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 12:00:55 PMQuesta struttura del fenomeno è imposta di fatto alla/sulla realtà da un certo discorso (precomprensione ipotetica) e viene poi considerata struttura valida (e quindi, retroattivamente, discorso valido) se tale imposizione rende il fenomeno comprensibile, possibilmente ad ogni suo ripresentarsi.
Tala validazione mostra tutti i suoi limiti (e tutta la sua autoreferenza) quando si parla di "fenomeni di senso", ossia quando la comprensibilità è possibile sotto molteplici orizzonti, persino incompatibili fra loro, senza che ci sia un meta-orizzonte in grado di dimostrare quale orizzonte fallisca nel comprendere il reale. Il falsificazionismo funziona in ambito epistemologico, mentre in ambito esistenziale è inevitabilmente preda delle aporie proprie dei meccanismi di attribuzione di senso, la cui assolutizzazione è costitutivamente e strutturalmente u-topica. Il "senso dell'essere" è questione poetica, non gnoseologicamente fenomenica, poiché indagando la suddetta struttura del fenomeno, non ne abbiamo mai (fino a prova contraria) trovato oggettivamente il senso, ma glielo abbiamo sempre inoculato soggettivamente.
Non sono d'accordo.
Di seguito gli errori che ritengo ci siano nel tuo discorso:
1) noi non imponiamo nessuna struttura al fenomeno. Le cose sono quelle che sono, ci appaiono, si manifestano. Noi cerchiamo, tramite i nostri strumenti culturali, di darne conto. Non ricopriamo le regolarità misteriose dei fenomeni con immagini e concetti, ma ci ingegniamo a ricostruire con i nostri segni, le complessità che osserviamo.
Per esempio nell'analisi della materia vivente abbiamo intrapreso il cammino che pone al centro la cellula. Avremmo potuto puntare forse su altri complessi, su popolazioni di cellule viste come un unico fenomeno, ma la scelta che abbiamo fatto, determinata probabilmente da una cultura meccanicistica e atomistica (la pre-comprensione), è chiaramente supportata dalla forma stessa della materia. In altre parole questa struttura, rappresentata nei nostri studi di biologia, ha un suo chiaro fondamento nella realtà.
2) Il senso dell'essere sarebbe per te una questione attinente la poesia perché non esiste un piano meta-teorico su cui decidere quale sia la teoria più valida?
Ma al di là di criteri quantitativi, sperimentali, che evidentemente possono essere usati solo nell'oggetto scientifico, questo piano meta-teorico non esiste e mai è esistito. È ovvio. La filosofia è dialogo, disputa, etc.
Il punto però è farsi una buona volta la seguente domanda: la filosofia ha un potere conoscitivo? Apporta conoscenza oppure no? Studiando la tradizione arrivo a conoscere qualcosa del mondo o solo interpretazioni più o meno gradevoli della vita?
Se si risponde di sì, come faccio io, non si può lasciare alla poesia il grande tema della filosofia presocratica. E si inizia a indagare, a interrogare Eraclito e Parmenide, e via dicendo.

bobmax

Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 15:05:37 PM... non si può lasciare alla poesia il grande tema della filosofia presocratica. E si inizia a indagare, a interrogare Eraclito e Parmenide, e via dicendo.

Ma la poesia è la forma forse più autentica della filosofia!
I grandi poeti erano prima di tutto dei grandissimi logici.
La poesia richiede infatti di possedere capacità logico-razionali tali da giungere al limite del comprensibile.
Ed è lì, sul limite, che nasce la poesia.

Due nomi?
Dante e Leopardi.
E ho detto tutto.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Phil

Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 15:05:37 PM1) noi non imponiamo nessuna struttura al fenomeno.
Nel momento stesso in cui parli di «fenomeno», ti sei già imposto sull'oggetto, imponendogli la tua soggettiva umanità, le tue strutture categoriali (causalità, spazio, tempo, etc.), la tua sensorialità, la tua precomprensione, i tuoi strumenti tecnologici, la tua matematica, etc. Non può esistere uno sguardo neutro (né un manifestarsi neutro, v. il mitologico noumeno), non perché non sia "purificabile", ma proprio perché è sguardo (quindi attività condizionata in quanto umana, v. Husserl).
Fermo restando che, come anticipato, non tutti i modelli e i discorsi sono validi, ma solo quelli che ci rendono comprensibile il fenomeno individuato, anche nel suo ripresentarsi e nel suo declinarsi nelle sue varie manifestazioni (come nel tuo esempio delle cellule).

Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 15:05:37 PM2) [...] la filosofia ha un potere conoscitivo? Apporta conoscenza oppure no? Studiando la tradizione arrivo a conoscere qualcosa del mondo o solo interpretazioni più o meno gradevoli della vita?
La risposta è già stata data (e viene per ora confermata) dalla storia, al punto che diventa difficile riaprirla con un «secondo me...». La filosofia ha contribuito alla conoscenza, in senso contenutistico, sempre meno; con il consolidarsi di discipline specializzate, alla filosofia (se intesa in modo "continentale", erede della metafisica) è rimasto, oggi, solo la strutturazione di e la riflessione su orizzonti di senso, non il consolidamento di paradigmi di conoscenza (per non sopravvalutare l'epistemologia, basta provare a fare esempi concreti sul suo apporto gnoseologico, sul piano contenutistico).
«Conosci te stesso» è sempre stato un «interpreta te stesso», infatti non è mai stata questione di medicina o ricerca genetica, ma di umanesimo e di poesia, ossia di dare un senso a ciò che si cerca e cercare un senso in ciò che ci è dato (la conoscenza "oggettiva" resta su un altro piano, sempre fino a prova contraria).

Koba II

Citazione di: bobmax il 29 Agosto 2024, 14:05:34 PMNon è l'ambiguità o la complessità a caratterizzare il logos umano, ma la sua estrema semplicità.

Beh, il tuo di logos sicuramente sì, visto che stai ripetendo le stesse cose da 2.874 post.

Citazione di: bobmax il 29 Agosto 2024, 14:05:34 PMEppure, vi è una verità certa.
Ed è l'etica.
Che è dentro di te. E emerge solo da te stesso.
Ma per rendertene conto mi sa che devi andare all'inferno.
Solo lì infatti Dio è certo.

A proposito di etica, mi chiedo se sia una cosa etica augurare ad un altro le sofferenze dell'Inferno nell'ipotesi che siano utili a incontrare Dio...

Koba II

#70
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 16:21:31 PMNel momento stesso in cui parli di «fenomeno», ti sei già imposto sull'oggetto, imponendogli la tua soggettiva umanità, le tue strutture categoriali (causalità, spazio, tempo, etc.), la tua sensorialità, la tua precomprensione, i tuoi strumenti tecnologici, la tua matematica, etc. Non può esistere uno sguardo neutro (né un manifestarsi neutro, v. il mitologico noumeno), non perché non sia "purificabile", ma proprio perché è sguardo (quindi attività condizionata in quanto umana, v. Husserl).
Fermo restando che, come anticipato, non tutti i modelli e i discorsi sono validi, ma solo quelli che ci rendono comprensibile il fenomeno individuato, anche nel suo ripresentarsi e nel suo declinarsi nelle sue varie manifestazioni (come nel tuo esempio delle cellule).

Ho scritto decine di post contro il realismo. Quindi su questo siamo perfettamente d'accordo.
Il problema però sta nella parola che usi per dar conto della validità di un modello che si afferma rispetto ad altri: la sua capacità di rendere comprensibile il fenomeno. Allora perché non usare addirittura il termine "interpretazione"? Il modello si afferma perché riesce a dare una lettura chiara del fenomeno?
Suvvia, è evidente che, sempre con i nostri strumenti umani e culturali, sempre in un orizzonte imprescindibilmente soggettivo, riusciamo a migliorare i nostri modelli esplicativi perché, grazie a osservazioni più precise e invasive, le configurazione dei nostri segni, di cui i modelli sono costituiti, riescono a rimandare con maggiore efficacia a ciò che c'è la fuori, e che possiamo indicare solo con un linguaggio ambiguamente realista come la struttura reale del fenomeno.
L'intera biochimica si basa su questo: sull'accuratezza della ricostruzione della forma tridimensionale delle macromolecole.
Ma intendiamoci: "forma tridimensionale di una proteina" presuppone già:
- una struttura percettiva specifica della razza umana (relativismo attinente la razza umana, la sua fisiologia):
- un linguaggio, un uso specifico di certi segni, un approccio scientifico alla cellula di tipo meccanicista (relativismo culturale in generale).
Quindi è chiaro che la maggiore precisione si fa strada nei limiti della relatività dello sguardo della razza umana e delle sue civiltà (relatività che non può mai essere trascesa). Questo farsi strada potrà in alcuni casi essere immaginato come migliore imitazione della cosa, in altri come un ingegnoso dar conto di essa tramite un sistema formale di segni che non imita alcunché, che non permette alcuna ingenua interpretazione realista, che tuttavia produce maggiore precisione nelle previsioni, quindi, forse addirittura casualmente, si è insinuato in qualche modo al cuore della cosa.

Ipazia

#71
Citazione di: Phil il 29 Agosto 2024, 16:21:31 PM... (per non sopravvalutare l'epistemologia, basta provare a fare esempi concreti sul suo apporto gnoseologico, sul piano contenutistico).

L'apporto gnoseologico dell'epistemologia riguarda la materia del metodo (l'instrumentum regni epistemico), non la materia della materia. I contenuti hanno imparato a metterceli gli stessi scienziati non riduzionisticamente scientisti o meramente affaristi. Solitamente in contrasto altamente informato coi traffici dei loro colleghi scafati. Anche la filosofia della scienza deve occuparsi di porcilaie teoretiche e millantati crediti. Con abbondanti ricadute gnoseologiche sulla natura della sedicente comunità scientifica, a memoria futura.

Da un teorico puntiglioso dei "piani del discorso" non mi aspettavo simili aporetiche false analogie in odore di fisicalismo  ;D
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 16:42:17 PMA proposito di etica, mi chiedo se sia una cosa etica augurare ad un altro le sofferenze dell'Inferno nell'ipotesi che siano utili a incontrare Dio...

Ma è proprio l'inferno il luogo migliore per la filosofia. Almeno per chi non è davvero un sapiente.

Nessuno ti manda all'inferno.
Ci puoi andare solo tu, perché così decidi.
Ma come dice Margherita Porete, e io condivido senz'altro, solo in paradiso o all'inferno l'uomo è al sicuro.
In qualunque altro luogo è perduto.

Paradiso e inferno non sono nell'aldilà.
Sono accessibili qui e ora.
Sono luoghi dell'anima.

Magari avrai la fortuna di ritrovarti direttamente in paradiso.
Ma se davvero vuoi la filosofia, se vuoi conoscere il senso della vita, potresti anche accontentarti dell'inferno.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Phil

@Koba II 

Non posso scrivere che sulla prima parte del tuo post sono d'accordo, semplicemente perché non è questione di opinioni, ma di evidenze e di consapevolezza del suddetto "sguardo"; c'è quindi una solida base comune.
Una possibile divergenza emerge invece in seguito, con il proseguimento del discorso:
Citazione di: Koba II il 29 Agosto 2024, 17:48:23 PMQuesto farsi strada potrà in alcuni casi essere immaginato come migliore imitazione della cosa, in altri come un ingegnoso dar conto di essa tramite un sistema formale di segni che non imita alcunché, che non permette alcuna ingenua interpretazione realista, che tuttavia produce maggiore precisione nelle previsioni, quindi, forse addirittura casualmente, si è insinuato in qualche modo al cuore della cosa.
Partendo dalle premesse comuni, su cosa si fonda «il cuore della cosa»? Non chiedo cosa sia (potrebbe essere ancora da scoprire), ma quale è il fondamento della presupposizione di esistenza (su che "piano"?) del "cuore della cosa".
Forse perché è un'espressione "poetica", forse perché mi risuona un po' "essenzialista" (e la teoria delle essenze non mi pare compatibile con la suddetta base comune, se non metaforicamente), mi chiedo se quando si parla del "cuore della cosa" ci si ricorda ancora che "la cosa" non esiste realmente, ma è solo una struttura fenomenica con cui abbiamo individuato soggettivamente una parte definita della realtà (che ci circonda ed esiste, ma non è "fatta di cose", anche se noi la percepiamo inevitabilmente come tale, poiché quello è il nostro solo modo di comprendere/interpretare il reale; v. relativismi, o meglio, contestualismi di cui sopra).
Quando cado, atterro su una formazione rocciosa, sulla Terra, per terra, sul suolo, su un aggregato di atomi più solidi del mio corpo, sui sassi, sul selciato, etc. o semplicemente sulla realtà esterna al mio corpo?
Per dirla con un koan: se la cosa è nulla, dov'è il suo "cuore"?


@Ipazia 

Dunque sul piano contenutistico gnoseologico non c'è alcun apporto da parte dell'epistemologia; non è il suo mestiere e non è una vergogna riconoscerlo.

Ipazia

Il mestiere gnoseologico dell'epistemologia è il metodo scientifico e le sue adulterazioni. Non è una vergogna riconoscerlo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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