Ontologia, ovvero come perdersi nel non essere

Aperto da bobmax, 04 Luglio 2024, 06:44:40 AM

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bobmax

Citazione di: daniele22 il 25 Agosto 2024, 08:55:13 AMPotrei ribattere, deformando però la semantica, dicendo che esistere possa pure significare "agire in un luogo", ma non è tanto questo a risolvere ill motivo della mia incertezza. Quello che mi disturba è il concetto di "cosa in sé", che sia cioè questo concetto a fuorviare potenzialmente il nostro pensare. Cioè, la "cosa in sé ", a mio parere, non potrebbe essere assimilata all'essenza della cosa; quindi io risolvo senz'altro che la "cosa in sé' non esista, ma non risolvo il problema dell'essenza, proprio per il motivo di cui sopra, cioè che "esistere" possa essere visto come "agire in un luogo"


Secondo me l'incertezza è doverosa. Proprio per quel "luogo" dove si agisce, che non può mai essere certo.

Però in cosa consisterebbe la certezza che manca?
Quale certezza sarebbe necessaria?
È forse una certezza logica?

Ma non è questo un assurdo?
Stiamo infatti parlando di ciò che sta a monte di ogni possibile logica.
È l'Essere!

E allora? Come essere certi?
Cos'è questa certezza, che prescinde da qualsiasi ragionamento razionale?

Perché qui non è più nemmeno questione di fede, bensì di certezza.
Infatti "chi crede non è ancora figlio di Dio"

La certezza può essere solo etica!
E l'etica nasce solo da te stesso, è te stesso.
Infatti tu sei Essere, che altro mai saresti...



Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

daniele22

Citazione di: bobmax il 25 Agosto 2024, 10:24:37 AMSecondo me l'incertezza è doverosa. Proprio per quel "luogo" dove si agisce, che non può mai essere certo.

Però in cosa consisterebbe la certezza che manca?
Quale certezza sarebbe necessaria?
È forse una certezza logica?

Ma non è questo un assurdo?
Stiamo infatti parlando di ciò che sta a monte di ogni possibile logica.
È l'Essere!

E allora? Come essere certi?
Cos'è questa certezza, che prescinde da qualsiasi ragionamento razionale?

Perché qui non è più nemmeno questione di fede, bensì di certezza.
Infatti "chi crede non è ancora figlio di Dio"

La certezza può essere solo etica!
E l'etica nasce solo da te stesso, è te stesso.
Infatti tu sei Essere, che altro mai saresti...




Nel manifestarsi del non ancora manifesto ad essere incerto ai nostri occhi non sarebbe il luogo, bensì la causa per cui si manifesti un'azione in un luogo spazio temporale certo. Il problema per me tocca pure la fisica.
La certezza necessaria non riguarderebbe pertanto la cosa in sé, concetto fuorviante in quanto si pretende di trattarlo al di fuori del moto, cioè come se la cosa fosse un'immagine avulsa dal divenire e predicandola infine attraverso quello che non è, ma il perché l'eventuale essenza (possiamo anche richiamarla cosa in sé volendo) nel suo divenire sia ineffabile, e sarebbe questa certezza, sempre a mio incerto giudizio, di natura logico razionale

Alberto Knox

#17
La critica della ragion pura è terminata con l ammissione di inconoscibilità del noumeno (o cosa in sè) ma al contempo, con l'esaltazione della conoscibilità del fenomeno. Il fenomeno sarà il limite della conoscenza illuminista e i fenomeni gli umoni li conoscono allo stesso modo perchè hanno le stesse intuizioni pure di spazio e tempo , hanno le stesse categorie a priori perciò conoscono il fenomeno, il fenomeno è l'oggetto della conoscenza , l'esperienza è il limite della conoscenza. Del noumeno non possiamo fare esperienza , quindi non può essere oggetto della conoscenza di conseguenza la maetefisica, l idea di Dio, di anima , di mondo ma anche dell oggetto prima dell esperienza.

Qual'è il problema di queste affermazioni?
Se posso conoscere solo ciò che mi è dato sperimentare in quanto fenomeno allora come posso dire che il noumeno esiste dato che non lo posso sperimentare?
questa è la prima contraddizione mossa dai filosofi idealisti da Fitche in poi.
Ma Fitche non si ferma a questa contraddizione e dice che se il noumeno esiste, allora dobbiamo renderlo conoscibile.
E lo fa partendo dall Io che sarà tutt altra cosa dell "io penso" kantiano , l io per kant è il soggetto conoscitivo e individuale che si rapporta al mondo e lo conosce in maniera universale , (la luna appare a tutti allo stesso modo) ma resta il fatto che sia una conoscenza individuale e noi non creiamo la natura ma la conosciamo per come ci appare , non come essa è in sè . Fitche dice no,  per poter conoscere l oggetto prima dell esperienza bisogna infinitizzare l io . Compie così questa rivoluzione passando dall io soggettivo di Knox a soggetto io infinito universale. Per Fichte esiste una soggettività infinita universale che è conoscitiva ma è anche agente creativo. Questa deduzione trascendentale e assoluta di fitche postula che la realtà deriva dall io , così come l'uomo, l albero , il cane. l'io di cui parla Fitche non è Dio, è un soggetto universale dove tutto è nell io , tutto è creato dall io e nell io. L'io genera se stesso e la realtà conoscitiva, al di fuori dell io non vi è nulla. L'essere è dunque un Io infinito creatore di se stesso e della realtà. Allora ecco che idealisticamente hai risolto il problema del noumeno, se esiste un io infinito che crererà se stesso ,che crererà l uomo e che crererà la natura allora l'io soggettivo limitato e finito nel tempo e nello spazio incontrerà si l albero( l'io è il soggetto e l albero è l oggetto) ma siamo entrambi parte dell io infinito. Quando mi rapporto con l albero non c'è dunque uno scarto fra un soggetto e un fenomeno  ma è un rapporto diretto , quello che appare è parte dell io infinito , quello che conosce è come conosce in quanto parte dell io infinito e siamo entrambi parte di un io soggetto infinito.

Vorrei anche dire che non sono d'accordo con l idealismo di Fitche , il noumeno è inconoscibile all uomo ,punto.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Se vogliamo parlare di matafisica allora bisogna ammettere che il lavoro di Fitche è stato quello di eliminare la domanda di cosa sia il noumeno in quanto albero come fenomeno coincide con il noumeno così come il soggetto conoscitivo coincide come soggetto/oggetto e cosa in sè in quanto parte  (così come l'albero , il sole e le stelle ecc) dell io infinito che ha posto se stesso, ha posto l albero e a posto me , soggetto individuale conoscitivo  che guardo l albero. l albero come fenome e l 'albero come noumeno, in quanto prodotti dall io infinito universale coincidono, fenomeno e cosa in sè coincidono . Knox che guarda l albero come soggetto conoscitivo coincide come soggetto/oggetto conosciuto e conoscente . Non c'è piu distinzione fra fenomeno e noumeno perchè sono/siamo entrambi parte dell io infinito. Dunque la corrispondenza fra soggetti/oggetti è biunivoca, è una corrispondenza assoluta .





Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Koba II

Ogni atto conoscitivo comporta la relazione tra un soggetto e una cosa, tra un osservatore e un osservato.
Non esiste alcuna forma di conoscenza che possa trascendere questa relazione.
Porre il problema di come sia la realtà in sé, la cosa in sé, indipendentemente da ogni nostra possibile osservazione, è un errore, una contraddizione.
Non importa che poi si sostenga l'inconoscibilità (o al contrario la conoscibilità) della cosa in sé: entrambe le prospettive sono già in partenza inficiate da questo errore logico-ontologico.
Per esempio quando noi ci domandiamo: come sarà in realtà la cosa che sto osservando ora, indipendentemente dalla prospettiva particolare con cui la sto guardando in questo momento?
Di fatto stiamo costruendo un'immagine mentale che consiste nella cosa isolata in una specie di spazio vuoto.
Ma se la stiamo immaginando vuol dire, di nuovo, che la stiamo osservando (anche se solo interiormente), che è il nostro Io il soggetto che osserva, anche se fingiamo l'assenza di ogni osservatore.
Parlare di mappa e territorio si vede bene che in fondo non ha alcun senso.
L'unica questione vera è la domanda sull'adeguatezza dei nostri discorsi non rispetto alla cosa così com'è nel suo puro isolamento, ma rispetto a come la cosa ci appare, a come essa si manifesta.
Il problema è l'adeguatezza dei segni linguistici scelti nel dar conto dell'osservazione che stiamo conducendo sulla cosa, osservazione che non può essere di tipo panottico, ma sempre relativa ad una specifica prospettiva.
Se ci chiediamo poi se vi sia qualcosa che possa rappresentare una base, un fondamento, qualcosa che sappia indicare i confini di ciascuno dei due poli, l'osservato e l'osservatore, dobbiamo ammettere che non c'è alcun fondamento.
L'Io sprofonda nell'inconscio, poi nel corpo, poi nei corpi e nei pensieri di coloro che ci hanno preceduti. L'Io che ogni giorno di nuovo emerge e si struttura e reagisce a ciò che lo circonda, di modo che ogni cambiamento ambientale comporta un mutamento che può essere irrilevante così come radicale.
E poi c'è la cosa che "risponde" in base a come viene interrogata. Ma ogni risposta, ogni sua determinazione, nega o "sovrascrive" tutte le altre.

Ipazia

La falsificazione del noumeno o cosa in sé (che secondo dottrina kantiana sono su piani diversi) è avvenuta per via epistemica, piuttosto che metafisica (messasi presto sul carro del vincitore), dopo che la ricerca ha mostrato l'inconsistenza di ogni teoria essenzialista (fin oltre il livello atomico) applicata agli enti strutturati che formano l'universo.

Concetto quest'ultimo che ha preso il posto del Tutto divinizzato che ha prodotto e continua a produrre religioni e mitologie. Sostituzione anche eticamente benefica, perche ha ricondotto l'etica ai soggetti responsabili reali, e disinnescato l'irrazionalismo.



pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alberto Knox

#21
Citazione di: Koba II il 25 Agosto 2024, 14:57:21 PMOgni atto conoscitivo comporta la relazione tra un soggetto e una cosa, tra un osservatore e un osservato.
Non esiste alcuna forma di conoscenza che possa trascendere questa relazione.
Porre il problema di come sia la realtà in sé, la cosa in sé, indipendentemente da ogni nostra possibile osservazione, è un errore, una contraddizione.
Non importa che poi si sostenga l'inconoscibilità (o al contrario la conoscibilità) della cosa in sé: entrambe le prospettive sono già in partenza inficiate da questo errore logico-ontologico.
possiamo riassumere il tutto dicendo che la conoscenza data all uomo è una conoscenza puramente empirica. Perfettamente in accordo con Hume.

E questo chiude i conti con qualsiasi idea metafisica, di sostanza, di essenza e di verità assolute.

Citazione di: Koba II il 25 Agosto 2024, 14:57:21 PMPer esempio quando noi ci domandiamo: come sarà in realtà la cosa che sto osservando ora, indipendentemente dalla prospettiva particolare con cui la sto guardando in questo momento?
non come sarà in realtà , ma  che cos'è al di la delle caratteristiche accidentali che la caratterizzano. Se siamo di fronte ad una rosa possiamo elencarne le caratteristiche; è rossa, è profumata, ha le spiene, è piantata in giardino, ha i petali vellutati ecc. ma se togli tutte queste caratteristiche accidentali rimane quella che Aristotele chiama la prima categoria "la rosa è" questa è la sostanza Aristotelica . Oltre i modi con  cui la rosa si manifesta ai nostri sensi ( profumo, spine, sta in giardino, rossa) esiste per Aristotele un substratum, egli si chiede che cos'è la rosa al di là che ha le spine che è rossa e che è piantata nel giardino. Al di la di queste caratteristiche la rosa è . Quella è la sostanza , quello che è intrinsecamente , quello che la descriverebbe in modo sostanziale il suo essere rosa, la sua interiorità (se si può dire così nei riguardi di una rosa)  che fa da unficatore sulle quali poggiano le caratteristiche sensibili. Ma potendo conoscere solo ciò di cui facciamo esperienza quella iteriorità essenziale , intima , sostanziale della rosa noi non la possiamo conoscere ,non possiamo accedervi per farne esperienza. Hume nega la sua stessa esistenza , kant la postula come la X ignota, la filosofia del limite . Il noumeno è quel limite. Hume invece sostiene che se anche ci fosse a noi non è dato saperlo.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Ipazia

L'ontologia ha fatto passi enormi non solo dai tempi di Aristotele, ma pure di Hume e Kant, portandosi via le "essenze" di tutti i generi, ricondotte al dominio classificatorio, pur rispettabile, della logica. C'erano arrivati anche i nominalisti della scolastica medioevale: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus". Oggi potremmo retrocedere l'essenza della rosa al suo dna, che però non è nulla più che un aggregato di atomi, diverso dai semi e diverso dal fiore che uno si aspetta di acquistare dal fiorista o raccogliere in giardino.

Pertanto tornano utili i dizionari che adeguano le loro voci allo stato in itinere dell'epistème. Almeno a livello logico (logos), qualcosa di essenziale, comunicabile e condivisibile, l'abbiamo ottenuto. Con tanta metafisica in meno. E parecchia semantica in più.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alberto Knox

Citazione di: Ipazia il 25 Agosto 2024, 20:40:50 PMC'erano arrivati anche i nominalisti della scolastica medioevale: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus".
"cosa vi è in un nome? quello che chiamiamo rosa non cesserebbe d'avere il suo profumo dolce se la chiamassimo con altro nome"

William Shakespeare in Romeo e Giulietta.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#24
Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 21:02:52 PM"cosa vi è in un nome? quello che chiamiamo rosa non cesserebbe d'avere il suo profumo dolce se la chiamassimo con altro nome"

William Shakespeare in Romeo e Giulietta.

E se il gradimento per il nome influenzasse la sensazione?
Fare un esperimento in questo specifico caso forse non è facile, ma in casi assimilabili, si è dimostrato che i presunti dettagli  inessenziali, possono contribuire alle nostre sensazioni , fino a poterne divenire la causa principale.
Assumere la stessa sostanza diversamente nominata, come placebo o medicina,  può lasciarti indifferente o darti una sensazione di benessere.
In questi casi è evidente che non è la sostanza ad agire direttamente, ma indirettamente attraverso il nostro pregiudizio veicolato dal nome.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

Citazione di: iano il 25 Agosto 2024, 22:47:34 PME se il gradimento per il nome influenzasse la sensazione?
Fare un esperimento in questo specifico caso forse non è facile, ma in casi assimilabili, si è dimostrato che i dettagli presumibilmente inessenziali, invece contribuisco alle nostre sensazioni , fino a divenire in alcuni casi essenziali.
La stessa sostanza ad esempio può lasciarti indifferente o darti una sensazione di benessere, asseconda che la chiami placebo o medicina.
bhe, questo si dovrebbe chiamare adequatio del nomen alla res. Adeguare il nome che diamo alla reatà fenomenica.

Torniamo all esempio della rosa che è di semplice comprensione. Il nome "rosa" si adegua in maniera armonica alla res della rosa , ovvero così come ci appare e il profumo che emana. Quindi se vorremmo potremmo scrivere un teorema che dice ; quando il nome risulta in armonia alla res , il nome persiste. Quando invece c'è conflitto fra nome e res , il nome tende ad essere modificato nel tempo.

Abbiamo esempi di questo tipo? sicuramente qualcuno sì , come ad esempio " vecchio testamento" modificato in "antico testamento" e poi modificato ancora in primo testamento. Perchè lo hanno modificato, perchè il nome non risultava in armonia , c'era un conflitto fra il nome che davamo e la realtà che percepivamo. Quando invece il nome non è in conflitto ma che anzi da significato e senso all esperienza ecco che si solidifica nel tempo.
Dottore è un nome che non verrà mai cambiato perchè soddisfa chi lo pronuncia e chi lo riceve. Anche se a ben guardare c'è chi vorrebbe essere chiamata "dottora".
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 22:56:24 PMAbbiamo esempi di questo tipo? sicuramente qualcuno sì , come ad esempio " vecchio testamento" modificato in "antico testamento" e poi modificato ancora in primo testamento. Perchè lo hanno modificato, perchè il nome non risultava in armonia , c'era un conflitto fra il nome davamo e la realtà che percepivamo
Però hai cambiato l'aggettivo, non il nome. :)
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

Citazione di: iano il 25 Agosto 2024, 23:00:59 PMPerò hai cambiato l'aggettivo, non il nome.
il nome in questo caso lo identifico in "vecchio testamento" nome che diamo ad una sezione della bibbia
                                                      "antico testamento"   nome... ""         ""
                                                        "primo testamento" nome.... ""         ""

Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#28
Citazione di: Alberto Knox il 25 Agosto 2024, 23:04:22 PMil nome in questo caso lo identifico in "vecchio testamento" nome che diamo ad una sezione della bibbia
                                                      "antico testamento"  nome... ""        ""
                                                        "primo testamento" nome.... ""        ""


Si, capisco, ma in fondo potrebbe anche considerarsi solo il cambio del termine in generale, al di là dell'appartenenza grammaticale.
In analogia ad esperimenti simili fatti, posso immaginare il seguente.
Chiediamo a soggetti di dare un giudizio sul gradimento di diversi vini rossi, bendandoli per che la diversa gradazione del colore non possa influenzare il il loro giudizio.
Poniamo che essi, essendo amanti del rosso, ma non del bianco, dichiarino di averli graditi tutti in generale, non trovando però sostanziali differenze di gusto.
Quindi gli togliamo la benda e li informiamo che hanno bevuto solo vini bianchi.
Esperimenti simili sono stati fatti, e secondo alcuni di essi addirittura il sapere cosa la gente beveva davvero, non perciò il sapore  corrispondeva  a ciò che sapevano di bere.
Infatti se bevevano acqua colorata con un color arancio insapore, pur sapendolo, non riuscivano ad eliminare la sensazione di un pur leggero retrogusto di aranciata. :)

La fenomenologia della rosa non può separarsi dal pregiudizio chi la odora, o anche solo la nomina.
Un bel fiore può apparirti meno bello una volta conosciutone il nome.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

Citazione di: iano il 25 Agosto 2024, 23:17:54 PMPoniamo che essi, essendo amanti del rosso, ma non del bianco, dichiarino di averli graditi tutti in generale, non trovando però sostanziali differenze di gusto.
Quindi gli togliamo la benda e li informiamo che hanno bevuto solo vini bianchi.
Esperimenti simili sono stati fatti, e secondo alcuni di essi addirittura il sapere cosa la gente beveva davvero, non perciò il sapore  corrispondeva  a ciò che sapevano di bere.
Infatti se bevevano acqua colorata con un color arancio insapore, pur sapendolo, non riuscivano ad eliminare la sensazione di un pur leggero retrogusto di aranciata.
l esperimento è interessante ma sta di fatto che continuiamo a chiamare le cose con il loro nome "vino rosso" , "vino bianco"... "aranciata". Il tuo esperimento dimostra come i nomi influenzano l intersoggettività esperienzale con la res , forse per l abitudine. Siamo abituati a far coincidere il nome con l esperienza che ne abbiamo o che ne abbiamo avuto, così se mi dicono che sto bevendo un vino rosso , la mia percezione gustativa è influenzata dalle esperienze che da tale nome si sono poi rilevate attraverso il gusto e le sensazioni piacevoli che ne ho percepito nel passato.
Citazione di: iano il 25 Agosto 2024, 23:17:54 PMLa fenomenologia della rosa non può separarsi da chi la odora.
entrambi siamo messi in gioco, l'oggetto rosa si mette in gioco in quanto oggetto e io mi metto in gioco come soggetto conoscitivo , la rosa si presta , potremmo dire, ad essere conosciuta, e io mi presto , con i miei modi della percezione a conoscerla.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

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