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Oltre Cartesio

Aperto da Jacopus, 22 Novembre 2020, 23:02:00 PM

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davintro

L'appartenenza di Cartesio alla metafisica è argomentabile dal fatto che il metodo del dubbio iperbolico, teso a ipotizzare l'allucinazione come setaccio selezionante la certezza del pensiero, è proprio ciò che nessuna scienza naturale potrebbe applicare pena la squalifica di ogni affermazione circa la verità dei propri risultati: i contenuti sensibili sono assumibili come rappresentanti la realtà oggettiva a condizione di concepire le facoltà percettive del soggetto come adeguate a rispecchiare tale realtà, l'ipotesi dell'allucinazione è sufficiente a mettere in discussione ogni risultato sperimentale. Perciò le scienze empiriche utilizzano, senza tematizzarla e discuterla, la nozione filosofica di corrispondenza tra percezione soggettiva e realtà oggettiva, cioè l'efficienza delle facoltà percettive, "senza tematizzarla e discuterla" in quanto tale operazione è impedita dall'essere la sensibilità il canale di apprensione dei contenuti di tali scienze: la sensibilità non può mettere in discussione se stessa e giudicarsi criticamente adeguata a valutare la corrispondenza dei suoi contenuti con la realtà, perché, come è evidente, per farlo dovrebbe mettere in discussione anche il suo mettere in discussione e così via all'infinito, senza mai giungere al punto di trovare un criterio fondante la valutazione esterno a ciò che si valuta. La corrispondenza percezione sensibile-realtà oggettiva è invece ciò che tramite il dubbio Cartesio intende mettere in discussione, per quanto solo metodologicamente, tramite l'ipotesi dell'allucinazione, alla luce dunque di un approccio non naturalistico, ma metafisico, rinvenendo e tematizzando esplicitamente il presupposto filosofico che le scienze empiriche utilizzano implicitamente per sostenersi, senza però poterlo legittimare.

Jacopus

Per Davintro. Se fosse vero quello che dici, Cartesio, invece di essere il fondatore di un nuovo pensiero, non sarebbe altro che un decadente e poco interessante epigono della filosofia medievale. La cosa non mi sembra realistica. Cartesio leggeva molto più gli scritti scientifici della sua epoca che i testi metafisici dei padri della Chiesa. La sua attenzione al pensiero dell'uomo è il primo attestato di autonomia dell'uomo rispetto a Dio e della filosofia rispetto alla teologia. Il suo cogito e la sua metafora sulla "realtà allucinata" vanno letti in relazione al resto della sua opera, che sottolinea l'importanza delle leggi meccaniche e della matematica. Quest'ultima interpretata come modello per indagare il mondo fisico e no di certo come dimostrazione teorica della perfezione del cielo come preferiscono fare i pitagorici di ogni tempo. Cartesio, lo ripeto, era un ingegnere che cercava di fondare l'ingegneria con la filosofia.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

L'ipotesi metodologica dell'allucinazione (o simili), suo malgrado, inibisce proprio il pensiero che pone come indubitabile: si può dubitare di tutto, ma non del proprio esistere in quanto esser-pensante; tuttavia, i contenuti del proprio pensare potrebbero comunque essere allucinazioni, inganni del Maligno, etc. per cui, una volta acclarata l'indubitabilità dell'esistenza del pensiero (che non coincide necessariamente con la prima persona singolare del «sum», ma non divaghiamo), nel momento in cui lo si usa, rivolgendolo all'altro-da-sé (qualunque "cosa" tale "altro" sia), ci si espone inevitabilmente al rischio dell'inganno, dell'allucinazione, etc. (anche se si decidesse di passare la propria vita in "meditazione eremitica" bisognerebbe necessariamente muoversi in un mondo di possibili apparenze, convenzioni e "come se").
Nondimeno tale appello alla "realtà" circostante non comporta che
Citazione di: davintro il 10 Dicembre 2020, 23:07:12 PM
la sensibilità non può mettere in discussione se stessa e giudicarsi criticamente adeguata a valutare la corrispondenza dei suoi contenuti con la realtà, perché, come è evidente, per farlo dovrebbe mettere in discussione anche il suo mettere in discussione e così via all'infinito, senza mai giungere al punto di trovare un criterio fondante la valutazione esterno a ciò che si valuta.
perché il problema del regresso all'infinito del fondamento non riguarda l'empiria, come dimostra proprio Cartesio "regredendo" fino all'indubitabile fondamento dell'«ergo sum». Il cogito è di fatto una "conclusione" non metafisica, ma fisica, nel senso di "esperienza (cerebrale) individuale" (il solipsismo è infatti dietro l'angolo): il pensare è percepito come vissuto evidente (della propria attività neurologica, che sappiamo essere empiria), esattamente come l'esistere. «Cogito ergo sum» è un'induzione (non una deduzione) fondata sulla percezione del proprio pensare (e pensarsi) da cui deriva la "conferma percettiva" del proprio esistere.
Alla fine di tutte le epochè fenomenologiche, se seguiamo Cartesio, indubitabile è l'Io empirico (in qualunque realtà, fittizia o meno, sia posta la sua sussistenza), non quello trascendentale (come può accadere invece nella fenomenologia meta-fisica Husserliana, genuinamente attenta al dubbio nelle premesse, meno in alcuni aspetti del suo sviluppo).

Andando dunque "oltre Cartesio": dato per assodato che al di fuori dell'esistenza del pensare (ovvero del suo accadere), si può dubitare di tutto, i sensi risultano pur sempre un "punto di arresto" (l'unico disponibile seppur dubitabile), di conferma o smentita, per il pensiero che voglia rivolgersi alla conoscenza del mondo ("offertoci" dal Genio Maligno, da una divinità, dalla natura o altro): se anche essi ci ingannano, se anche stiamo vivendo in un sogno, in questo sogno i sensi ci indicano che le mele cadono in basso (o meglio, ciò che definisco «mela» cade in ciò che mi appare «basso» dalla mia prospettiva) e studiando tale caduta si può formulare una regola che ci consente di calcolare traiettorie di cannoni per abbattere le mura dei castelli nemici (o quantomeno avere l'illusione di farlo). Se anche tutto ciò è un inganno, un allucinazione, etc. i sensi ci forniscono feedback non casuali per approntare procedure e regole che funzionano, separandole da quelle che non funzionano, nella realtà in cui il cogitante-esistente ha coscienza di agire (sia tale realtà onirica, diabolica o altro). Magari quelle regole e procedure non descriveranno la Verità (magari siamo un "cervello di farfalla in vasca"), ma non pongono il problema di autofondarsi: il paventato "mettere in discussione all'infinito", si arresta, da un lato, al cogito, dall'altro all'evidenza percettiva della mela che cade (il perché, come e "dove" cada è già un'altra storia).
Finché il rapporto sensi/realtà "funziona" (non sempre, ovviamente) in quello che potremmo chiamare (prendendo in prestito la felice espressione di Margolis) un "pragmatismo senza fondamento assoluto" (che consente di distinguere la funzionalità dalla non-funzionalità), non mi pare ci sia bisogno di «mettere in discussione il mettere in discussione e così via all'infinito» (come accade tanto quanto più ci si allontana dai sensi e ci si avventura nella fisica teorica o nella meta-fisica: lo stesso Aristotele risolse il problema del cosiddetto "regresso epistemico", ovvero del giustificare la giustificazione e così via, facendo appello alla giustificazione immediata e anapodittica che, nel cercare di conoscere la nostra "realtà", per non rischiare di costruire un sistema coerente che poi non abbia un'applicazione nel reale, mi pare non possa che essere fondata sull'"evidenza empirica", con tutte le dubitanti virgolette del caso).

davintro

Citazione di: Jacopus il 11 Dicembre 2020, 08:25:04 AM
Per Davintro. Se fosse vero quello che dici, Cartesio, invece di essere il fondatore di un nuovo pensiero, non sarebbe altro che un decadente e poco interessante epigono della filosofia medievale. La cosa non mi sembra realistica. Cartesio leggeva molto più gli scritti scientifici della sua epoca che i testi metafisici dei padri della Chiesa. La sua attenzione al pensiero dell'uomo è il primo attestato di autonomia dell'uomo rispetto a Dio e della filosofia rispetto alla teologia. Il suo cogito e la sua metafora sulla "realtà allucinata" vanno letti in relazione al resto della sua opera, che sottolinea l'importanza delle leggi meccaniche e della matematica. Quest'ultima interpretata come modello per indagare il mondo fisico e no di certo come dimostrazione teorica della perfezione del cielo come preferiscono fare i pitagorici di ogni tempo. Cartesio, lo ripeto, era un ingegnere che cercava di fondare l'ingegneria con la filosofia.


Individuare un carattere metafisico che accomunerebbe Cartesio ai pensatori antichi e medioevale non implica il negarne la qualifica di pensatore originale, riducendolo a mero ripetitore, in quanto questo carattere resta un'indicazione generica che poi ogni autore formula sulla base delle sue personali riflessioni. Altrimenti, dovremmo considerare un Tommaso d'Aquino mero epigono e prosecutore di Agostino, solo perché entrambi condividevano il fatto di incentrare il loro pensiero sull'approdo teologico cristiano. L'attenzione al pensiero dell'uomo, fintanto che lo si intenda come punto di partenza metodologico di una riflessione atta poi al riconoscimento di una realtà esistente oggettivamente, al di là dell'essere pensata da un uomo, non implica l'assolutizzazione di tale pensiero e, conseguentemente, del mondo in cui l'uomo si trova a esistere. Un conto è l'individuazione del luogo, della dimensione da eleggere come punto di partenza della ricerca, un altro la conclusione della ricerca, che può essere il riconoscimento di un' ulteriorità rispetto l'ente da cui il metodo prende le mosse. La matematica è a tutti gli effetti espressione della metafisica, essendo i termini che le sue proposizioni relazionano entità intelligibili e non sensibili, e il fatto di applicarla alla fisica non comporta la sua materializzazione, anzi conferma quello che scrivevo nel messaggio precedente, la dipendenza delle scienze naturali da presupposti epistemici di natura intelligibile, cioè metafisici, tra cui per l'appunto, le astrazioni matematiche. Cosa che peraltro non vale all'inverso: mentre la fisica (materialità) necessita di una matematica (spiritualità), questa può sussistere anche senza questa, se non dal punto di vista dell'apprensione, dello studio per una mente umana (questione di un innatismo più o meno forte), quantomeno dal punto di vista dei criteri fondativi delle pretese di verità. Esiste una metafisica esplicita, tematizzata dalla filosofia, oggetto specifico delle sue speculazioni, e una metafisica implicita, complesso di nozioni intelligibili di cui ogni altra scienza ed esperienza quotidiana si serve, che applica, anche senza porla come oggetto di attenzione e riflessione, ammesso e non concesso che a Cartesio non interessasse la prima accezione di metafisica, certamente ribadisce la necessità della seconda, e per questo vede la matematica, ramo della metafisica, come modello di evidenze a cui vorrebbe far ispirare la filosofia. A porre la fisica, empiria sensibile come modello per la filosofi, sarà invece piuttosto Kant (da qui i limiti speculativi della sua Critica, a mio parere), che non a caso considererà le preposizioni matematiche come sintetiche, cioè pensabili a partire dalle intuizioni estetiche tramite cui esperiamo il mondo fisico, cosa su cui non credo proprio Cartesio avrebbe concordato.[/size]

Phil

Andando ulteriormente oltre Cartesio, radicalizzando il suo dubbio metodico, si potrebbe dubitare anche del fatto che ci sia un "io" a pensare: come escludere che io non sia un "avatar", comandato da un misterioso altrove in cui "qualcuno" mi invia i pensieri che credo di pensare autonomamente, quando in verità essi sono solo una sua scelta, un suo "input"? A tal punto esisteremmo almeno in due, io-avatar e lui-giocatore, ma posso comunque avere certezza solo della mia esistenza, essendo egli solo un'ipotesi (non verificabile, per ora).
Se fosse nato oggi, Cartesio, oltre ad apprezzare i vari esperimenti mentali (la suddetta vasca, lo Swampman, gli "zombie filosofici", etc.) magari si sarebbe posto una domanda simile, dopo aver osservato un videogioco di ruolo o aver letto le ipotesi di N. Bostrom.
Effettivamente, possiamo esser certi di percepire i pensieri, ma non di esserne l'origine (come una cassa stereo riproduce i suoni il cui input nasce effettivamente "altrove"). Quindi, ricorrendo al latinorum, il motto del Cartesio del terzo millennio sarebbe forse «percipio cogitationem, ergo sum» (percepisco il pensiero, quindi esisto), poiché anche essere un burattino telecomandato o una cassa stereo è comunque una forma di esistenza, che per sapersi indubitabilmente tale, deve sentire/percepire consapevolmente qualcosa: non è necessario essere la fonte del pensiero, è sufficiente esserne almeno consapevoli "riproduttori senzienti", esperienza di esistenza "minima" che è, credo, fuori da ogni possibile dubbio.

and1972rea

Oltre Cartesio giunse Kant, il quale fece notare che il " penso, quindi sono una cosa che pensa" è dire troppo; significa, infatti, inserire una proposizione di apparente verità evidente nel potenziale circolo vizioso del " penso, quindi Io potrei essere frutto del mio stesso pensiero" ,in quanto il concetto di "cosa" non può che trovarsi già dentro alle categorie del mio pensiero. Il fatto che questa cosa pensante ( semmai il concetto di "cosa" dovesse sussistere con altro ,diverso e da me insondabile statuto ontologico noumenicamente anche fuori di me) non possa essere estesa nelle categorie mentali di spazio e tempo credo che anche Cartesio lo dedusse evidentemente dal non poterla logicamente  riprodurre nella materia; se riproduco me stesso in quanto cosa materiale dinanzi a me , non vedrò più me stesso , ma un altro me  ( un altro da me ) in un'altra cosa , la quale condivide con me lo stesso passato materiale ,ma non con altrettanta certezza lo stesso futuro , e che non condivide con me , quindi, né lo stesso tempo ,né lo stesso spazio. Come ad affermare in tutta evidenza che , mentre da una cosa spaziotemporalmente estesa si possono ottenere per astrazione e analogia innumerevoli altre cose identicamente estese, da una cosa pensante questo non è logicamente attuabile ; sembra, quindi, che anche Cartesio andò oltre sé stesso quando si accorse ,in fondo, che il pensiero è materiale ( e con esso l'intero Esistente) e fatto di una materia non circoscrivibile alle povere categorie geometriche e conoscitive ( soggetto , oggetto, fenomeno etc. ) con cui osserviamo e costruiamo il nostro mondo; Che l'unicità materica di cui è costituita una molecola d'acqua ( ma l'esempio potrebbe valere per ogni costituente dell'intero universo fisico conoscibile )a partire da uno dei propri ioni per finire ai fermioni e bosoni che la abitano  non sia riproducibile è oramai cartesianamente evidente non tanto per un fatto probabilistico-congiunturale, ma per l'attuale impossibilità epistemica del pensiero logico.

paul11

 L'IO di Cartesio è ancora fondato sull'ontologia metafisica. L'opera "Discorso sul metodo" capitolo 4 "Le prove dell'esistenza di Dio e dell'anima umana, ossia i fondamenti della metafisica", lo esplica chiaramente. Quindi sono completamente errate diverse interpretazioni. 
Semmai è la gnoseologia,  la conoscenza, che tende alla modernità .
Quando Cartesio sintetizza il metodo conoscitivo, tende a quello sperimentalismo scientifico classico : evidenza; analisi;  sintesi; enumerazione;  revisione.


L'originalità di Cartesio, che apre alla modernità , è il nuovo "punto di vista" che è quell'IO e il suo procedimento conoscitivo.
Ma è solo dopo che si entra apertamente e chiaramente nella cosiddetta modernità.
Quando l'IO non essendo più fondato sull'ontologia metafisica, diventa "ambiguo", poco chiaro,  proliferazione di terminologie.  Quando un IO non ha più fondamento, si tende agli effetti ,non sapendo le cause. Le cause diventeranno a-priori in Kant, quali sono le cause che determinano l'intellezione, cosa spinge quell'IO a conoscere, e come la conoscenza costruisce verità?
Ci si sposterà sui processi, sulle relazioni fra IO-Mondo, per cui il linguaggio sarà analizzato.
Ma anche il Mondo a ben vedere sarà un problema: che cosa è la Realtà?


L'io , non essendo più fondato sulla metafisica,  diventerà " trascendentario", "trascendenza", spostando i concetti  dal dominio metafisico a quello più materico ed empirico. 


Anche i termini, ribadisco, sono problemi, tant'è che se ne inventeranno parecchi "naif".

Ipazia

#52
Diciamo che nel cap.4 del Metodo Cartesio cannibalizza l'argomento caro pure a Spinoza di una deducibilità di Dio a partire dal concetto di perfezione.

Una specie di gradus ad Parnassum - marchettaro in ossequio alla "morale corrente" (satanicamente definita "provvisoria") - che permette ad entrambi (ma pure a Galileo quando afferma che se Dio ci ha dato l'intelligenza la Chiesa non può impedirci di usarla) di ascendere non al paradiso delle verità rivelate, ma al paradiso negletto e pericoloso della ragione, che della deducibilità di ontologie dal concetto di perfezione non sa cosa farsene.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

and1972rea

Citazione di: paul11 il 15 Dicembre 2020, 13:00:30 PM
L'IO di Cartesio è ancora fondato sull'ontologia metafisica. L'opera "Discorso sul metodo" capitolo 4 "Le prove dell'esistenza di Dio e dell'anima umana, ossia i fondamenti della metafisica", lo esplica chiaramente. Quindi sono completamente errate diverse interpretazioni. 
Semmai è la gnoseologia,  la conoscenza, che tende alla modernità .


Scriveva Cartesio:"...da tutto ciò conobbi che ero una sostanza la cui essenza o natura sta solo nel pensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo..." e che, al pari di qualsiasi altra sostanza materiale oggi fisicamente conosciuta , non ha nemmeno bisogno di alcun tempo deterministicamente calcolabile per emergere fenomenicamente dinanzi ai nostri sensi. Cartesio, quindi ,fu un antimetafisico ante litteram ,un materialista puro quindi, che conferiva all'anima , contro ogni dottrina formalistico- aristotelica del tempo , non l'attributo di forma sostanziale o "sostanzializzante" , ma quello di sostanza in sé e per sé; d'altronde, tutta la più verace dottrina cristiana , da sempre profondamente antiplatonica, predica da millenni non certo l'esistenza e la resurrezione delle anime, ma soltanto quella dei corpi ( così come recitato nel loro "credo") materiali.

paul11

#54
Visto che si prende una porzione di proposizione per fare Cicero pro domo mea; allora citiamo interamente Cartesio dall'opera "Discorso sul metodo.
Prendo l'incipit e proseguiamo diligentemente cosa argomenta Cartesio .


.....da tutto ciò conobbi che ero una sostanza la cui essenza o natura sta solo nel
pensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo né dipende da qualcosa di materiale. Di modo che questo io, e cioè la mente per cui sono quel che sono, è interamente distinta dal corpo, del quale è anche più facile a conoscersi; e non cesserebbe di essere tutto quello che è anche se il corpo non esistesse.
Dopo di ciò, considerai in generale quel che si richiede ad una proposizione perché sia vera e certa; infatti, poiché ne avevo appena trovata una che sapevo essere tale,
pensai che dovevo anche sapere in che cosa consiste questa certezza. E avendo notato che non c'è niente altro in questo io penso, dunque sono, che mi assicuri di dire
la verità, se non il fatto di vedere molto chiaramente che, per pensare, bisogna essere, giudicai che potevo prendere come regola generale che le cose che concepiamo
molto chiaramente e molto distintamente sono tutte vere; e che c'è solo qualche difficoltà a vedere bene quali sono quelle che concepiamo distintamente.
In seguito a ciò, riflettendo sul fatto che dubitavo, e che di conseguenza il mio essere non era del tutto perfetto, giacché vedevo chiaramente che conoscere è una perfezione maggiore di dubitare, mi misi a cercare donde avessi appreso a pensare qualcosa di più perfetto di quel che ero; e conobbi in maniera evidente che doveva essere da una natura che fosse di fatto più perfetta. Per quel che riguarda i pensieri che avevo di molte altre cose fuori di me, come il cielo, la terra, la luce, il calore, e
mille altre, non mi davo molta pena di cercare donde mi venissero, giacché non notavo in essi nulla che li rendesse superiori a me, e perciò potevo credere che, se
erano veri, dipendevano dalla mia natura in quanto dotata di qualche perfezione; e se non lo erano, mi venivano dal nulla, cioè erano in me per una mia imperfezione.
Ma non potevo dire lo stesso dell'idea di un essere più perfetto del mio: perché, che mi venisse dal nulla, era chiaramente impossibile; e poiché far seguire o dipendere
il più perfetto dal meno perfetto è altrettanto contraddittorio quanto far procedere qualcosa dal nulla, non poteva neppure venire da me stesso. Di modo che restava
che fosse stata messa in me da una natura realmente più perfetta della mia, e che avesse anche in sé tutte le perfezioni di cui potevo avere qualche idea, e cioè, per
spiegarmi con una sola parola, che fosse Dio. A questo aggiunsi che, poiché conoscevo qualche perfezione di cui mancavo del tutto, non ero il solo essere esistente (userò qui liberamente, se non vi spiace, alcuni termini della Scuola), ma occorreva necessariamente che ce ne fosse qualche altro più perfetto, dal quale dipendevo e dal quale avevo ottenuto tutto quel che avevo. Giacché se ne fossi stato solo e indipendente da ogni altro e avessi così avuto da me stesso tutto quel poco che partecipavo dell'essere perfetto, avrei potuto avere da me, per la stessa ragione, tutto il di più che sapevo mancarmi, ed essere per tanto io stesso infinito, eterno, immutabile, onnisciente, onnipotente, avere insomma tutte le perfezioni che potevo vedere in Dio

Ipazia

Cartesio qui cita la scolastica per salvarsi le terga e lo fa con un argomento caro ai metafisici teisti: il concetto di perfezione (Anche Spinoza nell'Etica parte da questa postulazione ingannevolmente deduttiva). Il quale, ontologicamente, non dimostra nulla, ma rimanda all'iperuranio platonico delle idee perfette, revisionato e corretto con la denominazione Dio in salsa cristiana. Facendo ciò Cartesio ha tolto agli inquisitori la possibilità di tacciarlo di miscredenza ed eresia.

Che il cogito cogiti cose fantastiche non sminuisce la sua autosufficiente ed indubitabile peculiarità cogitante, perchè fantasticare è un attributo, una modalità, non la sostanza del pensiero.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Non è possibile comprendere il pensiero filosofico del 600 se si resta avulsi dal clima di rigida "caccia alle streghe", messa in atto dalla Controriforma. Un indizio ce lo da lo stesso Cartesio, sulla cui lapide, presso l'abbazia di Saint Germain des Pres, volle fosse scritto "bene qui latuit, bene vixit". ("E' vissuto bene chi bene si è celato").
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

Riecheggiando il grandissimo Epicuro: Λάθε βιώσας, che insegnava il "vivi nascosto" avendo ben compreso la natura dello zoòn politikòn.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

davintro

#58
Penso sia fuori discussione che il timore di aver problemi con i poteri e le autorità dell'epoca abbia significativamente influenzato le espressioni pubbliche del pensiero degli intellettuali, tuttavia trovo forzato l'ipotesi che dipinge Cartesio più o meno come una sorta di ateo o positivista ante litteram che avrebbe solo simulato una posizione teista per paura del rogo. Perché, tra tutte le attività possibili immaginabili, una persona timorosa di aver problemi nel trovarsi tacciato di eresia, avrebbe dovuto proprio impicciarsi di filosofia, e proprio di argomenti così inerenti al campo teologico, al punto d intitolare una delle sue opere principali "Meditazioni metafisiche", quando avrebbe potuto, per amor di comodità, limitarsi unicamente a trattar argomenti puramente naturalistici e cosmologici in un contesto in cui sarebbe stato molto più semplice evitare, limitandosi di pervenire a tesi contrastanti con il Magistero dell'epoca? Quest'ultimo approccio era pienamente fattibile (mica tutti i scienziati del 1600 erano Copernico o Galilei... Pascal si è dedicato anch'esso a studi naturalistici senza, a quel che so, incappare in conflitti con la sua fede, intendo in relazione questi studi naturalistici, non mi sto riferendo ora alla questione del Giansenismo). Oppure si sarebbe potuto godere la vita dell'aristocratico che impiega il tempo in occupazioni non teoretiche, considerando come non certo la scelta di dedicarsi alla Scienza o alle Lettere fosse per lui una costrizione necessaria al guadagnarsi da vivere... Perché un timoroso del rogo avrebbe dovuto scegliere un campo di indagine così contiguo alla teologia col rischio di vedere le sue tesi, anche involontariamente, scrutate dai teologi alla ricerca del cavillo a partire da cui imbastire una processo di eresia? Non sarebbe un pò come se un cinofobo invece di allontanarsi alla vista di un pitbull ringhiante, gli si avvicinasse cercando di abbracciarlo? Perché un uomo ostile o indifferente alla metafisica o alla teologia e al contempo timoroso di aver problemi con l'autorità, avrebbe dovuto dissimulare un teismo, con la duplice conseguenza, da un lato, di umiliare la sua buona coscienza esprimendo tesi a cui lui stesso non credeva, e dall'altro di ricadere comunque, ripeto, suo malgrado, in sospetti di eresia, sulla base di interpretazioni delle sue opere da parte di teologi, abili a cogliere tra le righe del teismo dissimulato l''autentico pensiero eretico che emerge contro la stessa volontà dell'autore? La soluzione più logica non sarebbe stata quella di non scherzare col fuoco ed evitare ogni riferimento esplicito a concetti come "Dio" o "anima" dedicando i suoi studi ad ambiti il più possibile neutri rispetto ad essi?

Ipazia

Perchè era un genio universale, un ricercatore della verità in ogni ambito fisico e metafisico. Un figlio dell'umanesimo rinascimentale sullo stampo di Leonardo, convinto che alla fine la verità avrebbe prevalso sulla superstizione dominante da cui doversi, pena la vita, tutelare e nascondere. Invidio epoche in cui questa fede nella vittoria della verità fu possibile.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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