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Oltre Cartesio

Aperto da Jacopus, 22 Novembre 2020, 23:02:00 PM

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Ipazia

Una chiave realmente rivoluzionaria del pensiero di Renè Descartes è quella della "morale provvisoria" con cui, finalmente, la storia europea riprende a camminare dopo oltre mille anni di immobilità teologica fondata su una morale assoluta. Tale intuizione etica viaggia parallela al Deus sive Natura del coevo Spinoza e si innesta in quella narrazione dell'universo che, con piena consapevolezza, colse il nostro Galileo quale apriti sesamo della verità: naturale e, di conseguenza, etica.

Se Dio è Natura solo la conoscenza della natura ci può offrire basi solide su cui fondare l'etica e poichè l'avventura epistemica è sempre in progress la morale non può che essere provvisoria; il che non implica una banalizzazione etica ma l'adeguamento di essa alla migliore conoscenza della natura conseguita. Inclusa la conoscenza di quella specifica, ma per noi essenziale, conoscenza della natura umana. Materiale e spirituale. Soma e psiche.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

and1972rea

#61
Citazione di: paul11 il 26 Dicembre 2020, 00:50:18 AM
Visto che si prende una porzione di proposizione per fare Cicero pro domo mea; allora citiamo interamente Cartesio dall'opera "Discorso sul metodo.
Prendo l'incipit e proseguiamo diligentemente cosa argomenta Cartesio .


.....da tutto ciò conobbi che ero una sostanza la cui essenza o natura sta solo nel
pensare e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo né dipende da qualcosa di materiale. Di modo che questo io, e cioè la mente per cui sono quel che sono, è interamente distinta dal corpo, del quale è anche più facile a conoscersi; e non cesserebbe di essere tutto quello che è anche se il corpo non esistesse.
Dopo di ciò, considerai in generale quel che si richiede ad una proposizione perché sia vera e certa; infatti, poiché ne avevo appena trovata una che sapevo essere tale,
pensai che dovevo anche sapere in che cosa consiste questa certezza. E avendo notato che non c'è niente altro in questo io penso, dunque sono, che mi assicuri di dire
la verità, se non il fatto di vedere molto chiaramente che, per pensare, bisogna essere, giudicai che potevo prendere come regola generale che le cose che concepiamo
molto chiaramente e molto distintamente sono tutte vere; e che c'è solo qualche difficoltà a vedere bene quali sono quelle che concepiamo distintamente.
In seguito a ciò, riflettendo sul fatto che dubitavo, e che di conseguenza il mio essere non era del tutto perfetto, giacché vedevo chiaramente che conoscere è una perfezione maggiore di dubitare, mi misi a cercare donde avessi appreso a pensare qualcosa di più perfetto di quel che ero; e conobbi in maniera evidente che doveva essere da una natura che fosse di fatto più perfetta. Per quel che riguarda i pensieri che avevo di molte altre cose fuori di me, come il cielo, la terra, la luce, il calore, e
mille altre, non mi davo molta pena di cercare donde mi venissero, giacché non notavo in essi nulla che li rendesse superiori a me, e perciò potevo credere che, se
erano veri, dipendevano dalla mia natura in quanto dotata di qualche perfezione; e se non lo erano, mi venivano dal nulla, cioè erano in me per una mia imperfezione.
Ma non potevo dire lo stesso dell'idea di un essere più perfetto del mio: perché, che mi venisse dal nulla, era chiaramente impossibile; e poiché far seguire o dipendere
il più perfetto dal meno perfetto è altrettanto contraddittorio quanto far procedere qualcosa dal nulla, non poteva neppure venire da me stesso. Di modo che restava
che fosse stata messa in me da una natura realmente più perfetta della mia, e che avesse anche in sé tutte le perfezioni di cui potevo avere qualche idea, e cioè, per
spiegarmi con una sola parola, che fosse Dio. A questo aggiunsi che, poiché conoscevo qualche perfezione di cui mancavo del tutto, non ero il solo essere esistente (userò qui liberamente, se non vi spiace, alcuni termini della Scuola), ma occorreva necessariamente che ce ne fosse qualche altro più perfetto, dal quale dipendevo e dal quale avevo ottenuto tutto quel che avevo. Giacché se ne fossi stato solo e indipendente da ogni altro e avessi così avuto da me stesso tutto quel poco che partecipavo dell'essere perfetto, avrei potuto avere da me, per la stessa ragione, tutto il di più che sapevo mancarmi, ed essere per tanto io stesso infinito, eterno, immutabile, onnisciente, onnipotente, avere insomma tutte le perfezioni che potevo vedere in Dio
Estrapolando , quindi, grazie a quanto fatto sopra qualche proposizione in più da quest'opera ,non ci si può che persuadere via via sempre più dell' approdo antimetafisico a cui Cartesio sarebbe giunto; non la perfezione al di là della Natura delle "cose", scissa da esse, quindi , ma la perfezione dentro la propria natura ( "res" cogitans) e dentro la natura delle cose del mondo ( res extensa) , le quali cose, se hanno un ché di Vero, di materialmente , concretamente Vero, cioè, se "esistono" al di là del loro errante , e ,quindi, inconsistente apparire, non possono che contenere,  o, meglio, essere contenute nella perfezione.
Estrapolando , quindi, grazie a quanto fatto sopra qualche proposizione in più da quest'opera ,non ci si può che persuadere via via sempre più dell' approdo antimetafisico a cui Cartesio sarebbe giunto; non la perfezione al di là della Natura delle "cose", scisse da esse, quindi , ma la perfezione dentro la propria natura ( "res" cogitans) e dentro la natura delle cose del mondo ( res extensa) , le quali cose, se hanno un ché di Vero, di materialmente , concretamente Vero, cioè, se "esistono" al di là del loro errante , e ,quindi, inconsistente apparire, non possono che contenere,  o, meglio, essere contenute nella perfezione.

viator

Salve and1972rea. Citandoti : "................le quali cose, se hanno un ché di Vero, di materialmente , concretamente Vero, cioè, se "esistono" al di là del loro errante , e ,quindi, inconsistente apparire, non possono che contenere,  o, meglio, essere contenute nella perfezione".Come concetto è altamente poetico, purtroppo però del tutto smontabile dal punto di vista logico-filosofico.Se la perfezione è (come credo proprio dovrebbe essere) "la condizione al cui interno nulla è modificabile" (pena - ovviamente - l'uscita dallo-, la perdita dello stato di perfezione)........spiegami come al suo interno possa trovarsi qualcosa di "errante", cioè di mutevole....................Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

and1972rea

Citazione di: viator il 01 Gennaio 2021, 13:03:14 PMSalve and1972rea. Citandoti : "................le quali cose, se hanno un ché di Vero, di materialmente , concretamente Vero, cioè, se "esistono" al di là del loro errante , e ,quindi, inconsistente apparire, non possono che contenere,  o, meglio, essere contenute nella perfezione".Come concetto è altamente poetico, purtroppo però del tutto smontabile dal punto di vista logico-filosofico.Se la perfezione è (come credo proprio dovrebbe essere) "la condizione al cui interno nulla è modificabile" (pena - ovviamente - l'uscita dallo-, la perdita dello stato di perfezione)........spiegami come al suo interno possa trovarsi qualcosa di "errante", cioè di mutevole....................Saluti.

Be', ringrazio per la nota di apprezzamento poetico  , ma si tratta solo dell'interpretazione frammentaria di Cartesio da parte del comune uomo della strada che ha scorso qui e là qualche suo rigo soffermandosi a riflettere; non pretendo ,quindi , di fare mie le sue posizioni, ma potrebbe darsi che , potendo farlo ,lui ti risponderebbe con la seguente immagine; l'errore e l'imperfezione che sembrano emergere dalle cose contengono una vacuità simile a quelle illusioni ottiche che convincono  nell'immediatezza l'osservatore della loro piena sussistenza salvo poi disincantarlo nel momento in cui esse vengono a cessare. Quindi , hai ragione: la perfezione piena di ciò che  è non può contenere qualcosa di vacuo, che è nulla se non per il fiato della voce che serve per esprimerlo.

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