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Oltre Cartesio: Hegel

Aperto da Jacopus, 31 Dicembre 2020, 00:10:00 AM

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Jacopus

Nel precedente topic "Oltre Cartesio" facevo una domanda, a cui molti di voi hanno gentilmente risposto. Resto del parere che siamo ancora immersi nel modello cartesiano, ovvero in un modello potentissimo di uso strumentale del mondo materiale ai nostri fini. Cartesio è stato un grande filosofo. Lungi da me volerlo minimamente criticare (cosa di cui non sarei neanche capace, visto che di lui ho letto solo "de relato"). E' stato il pensatore che ha visto con lucidità quali forze immani si stavano scaraventando contro il mondo e come lo avrebbero modificato ed ha cercato di razionalizzare quel flusso di idee, culture, scoperte, liberando l'umanità dai lacci e dalle catene mentali e materiali del mondo medievale.
Ma quel modello è un modello che, a fin di bene, ha sovradimensionato la parte tecnico-ordinativa del nostro agire a scapito di tutto il resto. La conclusione è la seguente: se il mondo può essere "usato" come "oggetto", posso altresì usare anche la natura e i suoi tesori, come oggetto, gli altri esseri viventi, come oggetto e infine anche i miei simili posso ridurli ad oggetto, e in conclusione posso "oggettificare" anche i miei sentimenti, che ridurrò ad una loro pietosa caricatura.
Ma prima che queste considerazioni affiorino, il '600 e il '700 scorrono sulla cresta dell'onda di questo pensiero tecnico-scientifico e più il tempo passa e meno ci si deve preoccupare di processi inquisitoriali, al punto che nel '700 si poteva criticare aspramente la Chiesa, senza essere minimamente perseguiti, ed anzi, riscuotendo applausi durante gli incontri nei salotti di Parigi.
Ma con Rousseau la fede nelle magnifiche sorti del progresso scientifico, iniziano a incrinarsi e tanto più si incrineranno in Germania. Dopo Kant una nuova generazione di pensatori ritiene il pensiero oggettivante che risale a Cartesio, come un peso, un pericolo, una fallacia destinata a generare dolore.
Hegel è colui che proverà a superare il modello cartesiano. E lo farà anticipando in modo sorprendente alcuni attuali teorie neuroscientifiche così come alcune teorie psicologiche.
Il modello, come noto, è quello della dialettica, intesa come confronto fra idee e posizioni diverse che devono giungere ad un'armonia finale. Un'armonia sempre temporanea, perchè collegata allo spirito del tempo, ovvero alla storia. Ma è possibile che in certi periodi questa armonia si verifichi, come accadde, secondo Hegel, al tempo dell'antica Grecia.
Pertanto la razionalità non può essere solo quella che proviene dall'intelletto (qui Hegel riprende una distinzione kantiana), ovvero dalla capacità di distinguere, di separare, di calcolare, di operare su un oggetto distinto dal soggetto. Deve essere qualcosa in più che permetta l'unione fra oggetto e soggetto. E per fare ciò occorre fare affidamento sui sentimenti, perchè solo attraverso di essi è possibile creare un senso di fiducia collettiva, che il solo intelletto non è in grado di fornire.
Le sollecitazioni di un libro come "Fenomenologia dello spirito" sono tantissime e credo che vi annoierei, se continuassi. Credo però che il primo pensatore che ha risposto in modo coerente e straordinario a quelle domande su Cartesio, sia stato proprio Hegel. La sua complessità non è altro che la complessità del mondo moderno, del quale non rinnega nulla. Hegel non cammina in avanti, guardando indietro, per usare una definizione che Le Goff ha usato per definire la cultura medioevale. La fenomenologia dello spirito è un tentativo di farci fare un grande salto in avanti. E' certo che le sue intuizioni e i suoi pensieri siano stati influenzati dalla sua epoca. Non potrebbe essere altrimenti. Ma, nonostante ciò, la sua attualità è sorprendente, poichè nonostante tutto, il pensiero cartesiano, dopo un breve tentennamento, ha ripreso il controllo della storia moderna, lasciandosi Hegel alle spalle. Oggi il suo dominio è evidente. Il monoteismo della logica strumentale non prevede sacrifici umani come altri passati e recenti monoteismi, ma questa sua apparente mitezza è riservata (non sempre ma tutto sommato spesso) solo a noi abitanti dell'Occidente, mentre nel resto del mondo scatena i suoi demoni e le sue persecuzioni.
Pertanto, ad Hegel, più che a tutti i successivi critici della razionalità occidentale, dobbiamo risalire, per comprendere come sarebbe potuta essere la società occidentale e come invece non è stata.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

niko

Personalmente, se devo pensare ad un filosofo che mi dica come la storia del mondo occidentale sarebbe potuta andare e non è andata, mi viene in mente Rousseau, non Hegel.


Hegel è quello che mi dice come la storia del mondo sarebbe potuta andare... ed è andata.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Non attriburei  ai  filosofi  le  responsabilità  dei  politici.  I  filosofi  cercano  di  interpretare  il  mondo, ma spetta ai  politici  cambiarlo.  Se  siamo  intrappolati  nelle  spire  del  Capitale  e  delle  sue  leggi inumane  la  faccenda  è  tutta  politica, nella sua dialettica con l'economia, come aveva correttamente interpretato Marx.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Per Ipazia. Eppure proprio Marx da te citato è l'esempio di come un filosofo può influenzare la politica. In Hegel scorgo delle intuizioni, delle tracce di pensiero che cercano di armonizzare uomo e natura, progresso e tradizione, unità e pluralità. Hegel è in questo senso importante  perché è il primo pensatore moderno che supera il principio di identità e di non contraddizione.
Alimenta così altri problemi ed altre questioni, compresa quella di essere uno dei padri del marxismo, ma a me, in questo momento, interessa evidenziare il suo tentativo di superare il pensiero digitale cartesiano.
Cartesio è stato ammirevole nel suo siglare la modernità, relegando nel passato dell'umanità gli artefatti oscurantisti e irrazionali del medioevo. Hegel ha nuovamente messo in moto la storia, ma senza abbracciare una nuova causa, come fa Rousseau. Ha preferito comprendere il moto "assoluto" di essa, cercandolo nella transitorietà e contemporaneamente nella "potenziale" direzione di uno sviluppo positivo, che lo pone all'apice del periodo classico della filosofia tedesca.
L'uomo, nella sua pluralità, è il tema di  Hegel. Ma Hegel non dimentica i restanti passaggi. Non fa tabula rasa, come, dopo di lui, proveranno a fare i pensatori del sospetto. Accumula il pensiero della storia e lo districa per darne una configurazione che bilanci l'esigenze degli individui con quelle della società ed inventò a questo scopo un  nuovo termine "sittlichkeit", tradotto in eticità.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

Bene la dialettica che supera la sillogistica, ma Hegel prescinde totalmente dalle cause materiali dello "Spirito". Così non si va molto lontano nella comprensione della storia umana. C'è voluto il "capovolgimento" causale marxiano per comprendere la storia. E per innovare la filosofia in filosofia della prassi. Ma la prassi poi tocca ai politici realizzare.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

and1972rea





Da comune uomo della strada, inciampato per caso in qualcuna delle riflessioni di quel filosofo monumentale, mi pare di aver capito che in quella visione della storia non può esistere un progresso evolutivo dell'umanità che non passi( attraverso un necessario superamento conservativo) sotto le luci e le  ombre dello spirito di cui in ogni tempo le civiltà sono pervase.
Lo spirito dei tempi d'oggi , in questa visione, mi pare si stia evolvendo a livello planetario, assuefacendo all'amaro frutto della civiltà occidentale tutte le altre culture. Questo frutto non credo possa più consistere nell'asservimento  e nella profusione di tutte le nostre energie verso l'accrescimento del capitale, esso pare essersi ora trasformato nel compulsivo agire tecnico sul mondo, un agire apparentemente fine a sé stesso ,un agire imbrigliato da secoli per servire il capitale  ,e che ,ora scatenato, affrancato da esso , sembra essere diventato l'unico vero padrone dei nostri destini.

viator

Salve and1972rea. Certo. Secondo me funziona cosi : Il mondo, sin dalla propria origine, contiene l'impulso alla propria diversificazione. La diversificazione è necessaria per permettere la sopravvivenza del mondo stesso nel suo insieme (il destino particolare dei suoi singoli ingredienti ed aspetti è escatologicamente ininfluente).



La diversificazione, spinta ai suoi effetti "estremi" (ovvero una diversificazione insistita non sappiamo fino a quanto !) da un lato produce evidentemente - tra i suoi effetti - l'intelligenza umana, la quale dovrebbe anche consistere nella capacità di opporsi agli effetti umanamente indesiderati della diversificazione stessa.



Simultaneamente e collateralmente però, la diversificazione continua a svilupparsi anche in ogni altra direzione ed effetto, evidentemente travolgendo ogni capacità ed intenzione umana di limitarne certi effetti, per cui l'uomo finisce per trovarsi inizialmente coinvolto e parzialmente arterfice di una diversificazione (progresso, per gli sciocchi) la quale purtroppo è destinata a prendere il sopravvento su di noi, visto che innesca sempre nuovi meccanismi che magari inizialmente ci entusiasmano, ma che sono destinati a sfuggire alla nostra volontà. Tu che dici ?.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Kobayashi

Io avrei intitolato il topic "Hegel: una terapia". Una cura insomma al generale rimbambimento che in questi ultimi due anni sta toccando livelli veramente importanti.
Forse sono io che sono un po' paranoico, allora diciamo che si tratta di una psicoterapia individuale che con me sta funzionando.

Come esempio di terapia del pensiero: la dialettica, naturalmente.
La dialettica, che non viene mai presentata da Hegel come un processo composto da tesi-antitesi-sintesi, formula che è quindi solo una semplificazione storiografica, ma come costituita dai seguenti momenti:
1) momento astratto-intellettuale: i concetti vengono tenuti fermi nella loro distinzione, ci si concentra su una certa cosa che viene così distinta e separata da tutte le altre;
2) momento negativo-razionale: è il momento dialettico in senso proprio, il momento in cui i concetti sono visti nella loro relazione-opposizione, la cosa che prima era isolata ora è vista nel rapporto con le altre, richiama le relazioni con le altre cose;
3) momento positivo-razionale: il momento speculativo in cui si coglie l'unità tenendo insieme le distinzioni.

Insomma le distinzioni semplici, immediate, sterili, sono state lavorate dal pensiero, il pensiero ha ripercorso le relazioni, e il processo della conoscenza appare così come il raggiungimento di un'unità organica, complessa.
Ai nostri tempi ci si accontenta di battute più o meno colte, di opposizioni che banalizzano l'altro, di vincere (senza giocare realmente)...

La questione della critica di Feuerbach e Marx.
La si può vedere come la ripetizione della disputa medievale tra realisti e nominalisti (i primi che credono che l'essenza della realtà sia l'universale, i secondi l'individuale).
Ovviamente F. e M. stanno dalla parte del finito, dell'individuale, di ciò che è singolare. Certo, a partire dalla materia è possibile costruire generalizzazioni, concetti, e certo la natura rivela regolarità, ma questo non vuol dire che sia il pensiero a porre tali concetti nel finito.
Per Hegel invece è l'Assoluto che pone il reale, anche se poi l'Assoluto riesce a raggiungere la coscienza di se stesso (diventando così Spirito) solo ritrovandosi nell'altro da se', nel finito, nel mondo. Dunque si tratta di un Infinito immanente al finito.

Ma il punto è che Hegel inizia il suo percorso filosofico dalla critica dell'idea di cosa in se' di Kant.
L'argomento è il seguente: non esiste una dimensione della realtà che non sia raggiungibile dal pensiero perché il solo porre un confine della conoscenza significa pensarlo, significa stabilirlo nella conoscenza.
Quindi il livello della logica è lo stesso di quello dell'ontologia, c'è identità tra pensiero ed essere. Ma questo monismo non è facile da tenere fermo perché il senso comune così come tutta la filosofia moderna ci dicono che da una parte c'è il soggetto, dall'altra la realtà.
Tenendo però presente questo presupposto, mi chiedo: che senso ha criticare in generale la filosofia di Hegel per non essere riuscita a confutare adeguatamente la posizione nominalista, per esempio nella prima parte della "Fenomenologia dello spirito" nella sezione dedicata alla percezione sensibile, cioè al rapporto con ciò che è immediato, ciò che appare all'uomo come la singola cosa (in tutto quella sezione Hegel non fa che mostrare come il contatto con il particolare rimanda ineluttabilmente all'universale, che non c'è mai autentico contatto con la cosa singola che sempre è pensata tramite un concetto che per sua natura non può che essere universale)?
Voglio dire che se assumiamo il punto di vista dell'identità di pensiero ed essere, le osservazioni critiche che presuppongono un rapporto tra il soggetto e la realtà non sono più ammissibili, perché appunto basate su questo dualismo, che il presupposto monistico hegeliano rifiuta in partenza (rifiuto che nasce dal voler superare i paradossi del concetto di cosa in se' kantiana).
Si può rifiutare in toto il presupposto di questa filosofia, ma non mostrare le sue debolezze che hanno senso solo da un presupposto differente, insomma.

Per questo motivo si può asserire che ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale.
Perché ovviamente non c'è da una parte la razionalità umana e dall'altra la realtà, il mondo.
Più che una visione che vuole giustificare la realtà (le istituzioni storiche, etc.) mi sembra l'effetto della coerenza di un punto di vista filosofico opposto a quello del senso comune.

iano

#8
@Jacopus.
Ma qual'e' l'alternativa a considerare tutto come oggetto e a manipolare ogni cosa come oggetto?
Io credo che l'unica alternativa sia trattare tutto come oggetto, ma senza aver piena coscienza di farlo.
Non voglio qui sottacere l'assunto su cui baso le mie brevi ( spero) osservazioni:
"Ciò che possiamo fare usando coscienza possiamo farlo ugualmente, ma in diverso modo, senza usare coscienza."
Cosa è questo pensare di pensare se non un prendere atto di aver in parte esplicitato i nostri processi mentali?
E quali risvolti negativi nuovi dovrebbe comportare questo surplus di uso di coscienza che non fossero già prodotti da un agire meno cosciente, se non il fatto che di essi più difficilmente si può oggi tacere o ammantare di fumose auree ideali che compensavano la nostra vista corta di allora?
La questione a me pare quindi molto semplice.
Ciò di cui rimane da discutere è se sia bene o meno l'incremento di coscienza.
Non è ne' bene e ne' male.
C'è un incremento di fatto che viene da lontano, testimoniato dalla reazione di lunga data per un ritorno alla inconsapevolezza beata originaria.


Se con Galilei abbiamo aperto gli occhi, dopo Cartesio non possiamo più chiuderli.
Non si torna più indietro.
Possiamo solo dire del come andare avanti.


Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko



Motivo, in estrema sintesi, per cui non mi è mai piaciuta la filosofia di Hegel, e neanche quella di Parmenide:

il mondo esiste perché c'è differenza, e non identità, tra essere e pensiero.

Differenza, differimento, sfasatura: io proprio non riesco a pensare l'eventuale identità di essere e pensiero se non come solipsismo, e istintivamente, e anche a ragion veduta, rifiuto il solipsismo.

Il mondo è più grande, di quello che noi possiamo pensare, è più veloce, di quello che noi possiamo pensare, è più vario, di quello che noi possiamo pensare, è più dettagliato, di quello che noi possiamo pensare, è popolato da esseri la cui volontà in generale non può volere la permanenza temporale di nessun voluto, a differenza del pensiero che di questa volontà ci possiamo fare.

Il mondo non sta dentro la nostra testa.

Possiamo pensare il falso, l'immaginario, l'inesistente. Possiamo pensare il vero per puro caso.

Non sempre il contenuto di pensiero e il piano dell'empirico-reale ci appaiono in rapporto di semplice identità: a volte di complessa analogia, a volte di contrasto.

Perciò, quando diciamo che c'è identità tra essere e pensiero, per me è solo una figura retorica di sineddoche, la parte per il tutto: una microparte dell' "essere" trascorre più o meno nitidamente nostro pensiero, e sulla generalizzazione di questo pezzetto di mondo conosciuto a esempio e norma della totalità, costruiamo il rapporto di identità. Ma quanto sia in generale deducibile il "totale" i il "vero" da un qualsiasi quanto di conosciuto-finito è a sua volta un inconoscibile.

Quindi più che "so di non sapere" (attribuita a Socrate) la questione è che "non sappiamo se sappiamo o se non sappiamo" (attribuita a Democrito).






Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Kobayashi

Credo che l'identità di pensiero ed essere in Hegel vada concepita a partire dal fatto che ogni cosa singola che incontro la posso conoscere solo tramite universali, concetti.
Non molto diversa, mi sembra, è la posizione di chi poi nel Novecento, riflettendo sul linguaggio, dirà che si può andare alla fontana solo perché ho la parola "fontana".
Certo, rimane la questione etico-politica della predilezione che può andare a cadere o sull'aspetto più generale o su quello particolare.
Cioè la questione che nella frase "Socrate è uomo" devo decidere se dare maggior rilievo al soggetto (Socrate nella sua singolarità, nella sua vicenda particolare etc.) o al predicato (all'umanità di Socrate, alla razionalità cui lui partecipa come tutti gli uomini).

Per quanto riguarda il solipsismo, si tratta di un rischio che riguarda più il soggettivismo moderno che una filosofia come quella di Hegel.
Basta pensare a Cartesio che scatena il dubbio per ottenere un criterio per distinguere ciò che è sicuramente vero, per fondare la nuova epistemologia, e alla fine si ritrova con l'ipotesi che anche ciò che è chiaro ed evidente possa essere solo una colossale illusione (l'ipotesi del genio maligno), ipotesi che può scongiurare solo tramite il Dio cristiano.
Nella bella discussione su Cartesio che ha preceduto questo topic, a un certo punto lo "scontro" si è concentrato tra una lettura di Cartesio come libero pensatore e Cartesio come sincero cristiano.
A me sembra che su questo abbia ragione Lou: Cartesio fa appello a Dio per le esigenze del suo sistema, per uscire da un impasse teoretico di difficile soluzione.
Anzi, di impossibile soluzione. Perché se si arriva al livello di scetticismo che anche ciò che è certo può essere solo un'illusione sofisticata, che senso ha allora, rimanendo all'interno di questo livello di dubbio, parlare di prova ontologica di Dio? Quale affidabilità potrebbe mai avere in questa fase del sistema?

È interessante però vedere l'elemento paradossale della filosofia di Cartesio. Combatte la Scolastica per fondare la nuova epistemologia moderna. Per questo si lascia alle spalle ogni credenza, ogni presupposto culturale, ogni autorità. Sceglie quindi la via distruttiva dello scetticismo. Ma volendo arrivare a ciò che è assolutamente incontrovertibile è costretto a esagerare con il dubbio da cui può però liberarsi solo affidandosi a Dio.
Più solido vuole essere il sistema e maggiore è la necessità di presupposti metafisici indimostrabili.

Ipazia

La stampella Dio al sistema cartesiano odora indubbiamente di deus ex machina, per permettere alla macchina-sistema di funzionare (...ha ragione Lou...), ma odora pure di dissonanza con tutto il ragionamento precedente: dubbio metodologico; e seguente: morale provvisoria, ghiandola pineale e meccanicismi vari risolti matematicamente grazie alle assi cartesiane e al calcolo infinitesimale. Spinoza ci aggiungerà la logica. Hegel vi aggiunge ben poco mutando Dio in Spirito ed elaborando sopra tale sostituzione una macchina-sistema assai formalmente raffinata (dialettica) ma ben poco prolifica proprio a causa dell'ipotesi spirituale.

A mio avviso la soluzione, e il superamento della dissonanza, la dà il materialismo, sostituendo Dio-Spirito con l'intelligenza umana ponderata intersoggettivamente. Tale sostituzione non garantisce alcuna verità assoluta, ma permette al processo conoscitivo (episteme) di evolversi evitando lo stallo. Che tale evoluzione sia irta di pericoli e fantasmi la Covidemia ce lo sta mostrando in alta definizione. Ma non abbiamo alternative. La verità cui tendere è quella possibile al nostro grado di sapere e nessuna Verità metafisica ci è concessa. Filosofia è farsene una ragione di ciò.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#12
Citazione di: Kobayashi il 05 Settembre 2021, 09:46:12 AM
Credo che l'identità di pensiero ed essere in Hegel vada concepita a partire dal fatto che ogni cosa singola che incontro la posso conoscere solo tramite universali, concetti.
Non molto diversa, mi sembra, è la posizione di chi poi nel Novecento, riflettendo sul linguaggio, dirà che si può andare alla fontana solo perché ho la parola "fontana".
Certo, rimane la questione etico-politica della predilezione che può andare a cadere o sull'aspetto più generale o su quello particolare.
Cioè la questione che nella frase "Socrate è uomo" devo decidere se dare maggior rilievo al soggetto (Socrate nella sua singolarità, nella sua vicenda particolare etc.) o al predicato (all'umanità di Socrate, alla razionalità cui lui partecipa come tutti gli uomini).

Per quanto riguarda il solipsismo, si tratta di un rischio che riguarda più il soggettivismo moderno che una filosofia come quella di Hegel.
Basta pensare a Cartesio che scatena il dubbio per ottenere un criterio per distinguere ciò che è sicuramente vero, per fondare la nuova epistemologia, e alla fine si ritrova con l'ipotesi che anche ciò che è chiaro ed evidente possa essere solo una colossale illusione (l'ipotesi del genio maligno), ipotesi che può scongiurare solo tramite il Dio cristiano.
Nella bella discussione su Cartesio che ha preceduto questo topic, a un certo punto lo "scontro" si è concentrato tra una lettura di Cartesio come libero pensatore e Cartesio come sincero cristiano.
A me sembra che su questo abbia ragione Lou: Cartesio fa appello a Dio per le esigenze del suo sistema, per uscire da un impasse teoretico di difficile soluzione.
Anzi, di impossibile soluzione. Perché se si arriva al livello di scetticismo che anche ciò che è certo può essere solo un'illusione sofisticata, che senso ha allora, rimanendo all'interno di questo livello di dubbio, parlare di prova ontologica di Dio? Quale affidabilità potrebbe mai avere in questa fase del sistema?

È interessante però vedere l'elemento paradossale della filosofia di Cartesio. Combatte la Scolastica per fondare la nuova epistemologia moderna. Per questo si lascia alle spalle ogni credenza, ogni presupposto culturale, ogni autorità. Sceglie quindi la via distruttiva dello scetticismo. Ma volendo arrivare a ciò che è assolutamente incontrovertibile è costretto a esagerare con il dubbio da cui può però liberarsi solo affidandosi a Dio.
Più solido vuole essere il sistema e maggiore è la necessità di presupposti metafisici indimostrabili.
Insomma, alla fine di fatto Cartesio è come se avesse voluto rimettere a verifica l'ipotesi divina, confermandone la necessità.
Quello che manca all'ipotesi divina e' però il carattere di evidenza, di modo che Cartesio dimostra che l'evidenza si basa su una non evidenza.
Non so', confesso, fino a che punto ho stiracchiato la questione per portare acqua al mulino dell'idea che insiste nel mio cervello attualmente, che appunto una evidenza non può che basarsi su una ipotesi nascosta, quindi indicibile, un Dio innominabile.
Come controprova di ciò, quando le ipotesi non sono nascoste, le conseguenze non sono evidenti.
Possono con difficoltà intuirsi, e con pari difficoltà a volte dimostrarsi, senza ancora che il risultato, con tutto ciò, seppur vero, ci appaia evidente.
Mi sembra così, applicando il metodo del dubbio Cartesiano, di poter distinguere il vero dall'evidente, i quali a noi sembrano coincidere ,come caso particolare , seppur notevole, solo nell'ambito della nostra percezione sensibile.
Da ignorante, e da quello che voi dite, e in particolare dal tuo bel post, traggo che Cartesio ha quasi portato a termine il compito che si è prefissato, mancando solo qualche dettaglio finale, che toccherebbe scrivere a noi.
Io provo a riscrivere il finale ammettendo un Dio , ma solo in quanto indicibile. In quanto ipotesi nascosta, senza la quale non può esservi alcuna evidenza. La verità non può basarsi dunque sull'evidenza, se questa a sua volta è figlia di ipotesi di cui possiamo solo dire che sono ignote quanto potenzialmente arbitrarie.

A riprova di ciò, man mano che la scienza con l'uso affina il suo metodo, scovando con crescente abilità ed eliminando le ipotesi nascoste, le sue conclusioni appaiono sempre meno evidenti .
Eppure, se, come voglio , non dirò vere, sono però sempre più congruenti ad interfacciarci con la realtà nel nostro agire, quanto sempre meno evidenti.
La verità ha carattere di immediatezza. Ciò dimostra che non esiste alcuna verità, perché non esiste nulla che non sia mediato. Quando non appare la mediazione appare una verità.
Ciò che noi perseguiamo come meta massima di sapienza è figlia di necessaria ignoranza.
Per dirla con un Socrate riadattato, so' di non sapere, e ciò è sapere gia tanto, come ho provato a spiegare.
Infatti più cose so' , meno verità mi appaiono.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Kobayashi

#13
Citazione di: Ipazia il 05 Settembre 2021, 10:39:32 AM
La stampella Dio al sistema cartesiano odora indubbiamente di deus ex machina, per permettere alla macchina-sistema di funzionare (...ha ragione Lou...), ma odora pure di dissonanza con tutto il ragionamento precedente: dubbio metodologico; e seguente: morale provvisoria, ghiandola pineale e meccanicismi vari risolti matematicamente grazie alle assi cartesiane e al calcolo infinitesimale. Spinoza ci aggiungerà la logica. Hegel vi aggiunge ben poco mutando Dio in Spirito ed elaborando sopra tale sostituzione una macchina-sistema assai formalmente raffinata (dialettica) ma ben poco prolifica proprio a causa dell'ipotesi spirituale.

A mio avviso la soluzione, e il superamento della dissonanza, la dà il materialismo, sostituendo Dio-Spirito con l'intelligenza umana ponderata intersoggettivamente. Tale sostituzione non garantisce alcuna verità assoluta, ma permette al processo conoscitivo (episteme) di evolversi evitando lo stallo. Che tale evoluzione sia irta di pericoli e fantasmi la Covidemia ce lo sta mostrando in alta definizione. Ma non abbiamo alternative. La verità cui tendere è quella possibile al nostro grado di sapere e nessuna Verità metafisica ci è concessa. Filosofia è farsene una ragione di ciò.

Ma lo Spirito nella filosofia di Hegel è ben diverso dal Dio dei filosofi (e a maggior ragione dal Dio biblico).
Per Hegel quando la struttura razionale della realtà arriva a manifestarsi nell'uomo, si manifesta come logos, e quindi quando questa razionalità diventa consapevole di se' nell'autocoscienza umana, ecco che si parla di Spirito.
Le differenze rispetto all'intelligenza umana ponderata intersoggettivamente in realtà non sono molte.
Infatti noi sappiamo che il cuore della natura è il DNA, ovvero un codice dalla cui traduzione viene tutta la materia vivente. Un codice, una memoria, e una tecnica di traduzione. Non si tratta forse della stessa razionalità che gira nelle nostre menti?
E quando ci accostiamo alle istituzioni storiche non riteniamo forse, studiandole, di trattare di qualcosa che ha in se un senso, una razionalità?
Quindi la grande differenza con il pensiero di Hegel, rispetto a quello contemporaneo dominato dalla scienza, è il finalismo, da noi rinnegato.
Per noi il cuore della natura è razionale, ma il processo che conduce alla differenziazione delle varie forme viventi è invece casuale (casuali mutazioni genetiche lavorate poi dalla selezione).
Quindi nella nostra visione l'Uno è razionale, mentre il processo che porta ai Molti invece è casuale, non ha nulla di necessario.
A differenza della filosofia di Hegel, che interpreta il processo come sviluppo che ha una finalità immanente.



Ipazia

#14
Posso concordare sul dualismo natura-cultura, soma-psiche, dna-memoria storica, ma non vedo alcun finalismo al di là del legittimo e razionale desiderio della psiche umana di vivere bene e in buona salute.

Trasferire tale desiderio in meccanismi finalistici precostituiti sa più di religione che di scienza e lo stesso uso del Geist crea più di qualche confusione col Got, svolgendo entrambi la stessa funzione finalizzatrice.

La storia dimostra che non vi è alcun messianico Spirito a dirigere le vicende umane, come non vi è nell'intelligenza intersoggettiva che si arrabatta, toppando spesso clamorosamente, per ottimizzare la vita sociale. Cosa che non accadrebbe se vi fosse una scienza infusa a priori.

La "razionalità" della natura è la risposta che ogni organismo vivente elabora per sopravvivere. Si tratta per lo più di automatismi che hanno superato l'esame evolutivo e la cui efficacia retroattiva "appare" razionale. Il reale (evolutivo) impone la regola che noi, a posteriori, definiamo razionale facendo l'unica cosa assennata che ci è concessa: prendere atto che le cose stanno così e così. Ovvero che il reale è razionale, ma solo nel senso che è l'unica fonte autorevole di razionalità. 

L'affermazione inversa (il razionale è reale) è invece millantatrice assai perché pretende di sottoporre la realtà ad autoproclamate razionalità che variano dalla saggezza al delirio. Per cui non ci farei grande affidamento. (Lo Spirito hegeliano è inaffidabile tanto quanto l'imperativo categorico kantiano)

Insomma, tutto il contrario dell'impossibile. Di cui non si sente la mancanza, essendo il possibile ancora e sempre così carico di misteri da disvelare e possibilità da realizzare.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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