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Oltre Cartesio: Hegel

Aperto da Jacopus, 31 Dicembre 2020, 00:10:00 AM

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iano

#15
Citazione di: Ipazia il 06 Settembre 2021, 16:53:04 PM
Posso concordare sul dualismo natura-cultura, soma-psiche, dna-memoria storica, ma non vedo alcun finalismo al di là del legittimo e razionale desiderio della psiche umana di vivere bene e in buona salute.

Trasferire tale desiderio in meccanismi finalistici precostituiti sa più di religione che di scienza e lo stesso uso del Geist crea più di qualche confusione col Got, svolgendo entrambi la stessa funzione finalizzatrice.

La storia dimostra che non vi è alcun messianico Spirito a dirigere le vicende umane, come non vi è nell'intelligenza intersoggettiva che si arrabatta, toppando spesso clamorosamente, per ottimizzare la vita sociale. Cosa che non accadrebbe se vi fosse una scienza infusa a priori.

La "razionalità" della natura è la risposta che ogni organismo vivente elabora per sopravvivere. Si tratta per lo più di automatismi che hanno superato l'esame evolutivo e la cui efficacia retroattiva "appare" razionale. Il reale (evolutivo) impone la regola che noi, a posteriori, definiamo razionale facendo l'unica cosa assennata che ci è concessa: prendere atto che le cose stanno così e così. Ovvero che il reale è razionale, ma solo nel senso che è l'unica fonte autorevole di razionalità. 

L'affermazione inversa (il razionale è reale) è invece millantatrice assai perché pretende di sottoporre la realtà ad autoproclamate razionalità che variano dalla saggezza al delirio. Per cui non ci farei grande affidamento. (Lo Spirito hegeliano è inaffidabile tanto quanto l'imperativo categorico kantiano)

Insomma, tutto il contrario dell'impossibile. Di cui non si sente la mancanza, essendo il possibile ancora e sempre così carico di misteri da disvelare e possibilità da realizzare.
Concordo, ma a partire da questo contesto che promette di spiegare le cose spiegabili in modo semplice , dovremmo cercare di trarre l'origine di cose che sembrano meno semplice da spiegare, come la ricerca di verità, di un senso, di una finalità. Non mi sento orfano di tutto ciò, ma credo che meritino un'analisi ,  perché seppure in se' non esistono, svolgono comunque una funzione.
A me sembrano ipertrofie da uso di coscienza, e la coscienza è qualcosa che se non intacca la semplicità del quadro lo rende più articolato.
L'effetto del arbitrio si avvicina al limite al caso al crescere del numero di individui coscienti.
Possiamo avere dubbi sulla realtà del libero arbitrio, ma non dovremmo averne sui suoi effetti, che al crescere degli individui viventi tende ad equipararsi al caso che agisce , se agisce, sulla materia.
Libero arbitrio e caso sono assimilabili anche nel dubbio che accompagna la loro esistenza.
Il caso più non esistere , ma la risposta che ogni organismo vivente elabora per sopravvivere non può che basarsi su esso.
Confesso a questo punto di essermi perso, ma spero di aver dato qualche spunto.


Quello che voglio sottolineare è che la convinzione che non vi sia una finalità, che condivido, sembra essere al contempo per alcuni motivo di frustrazione, la quale forse potrebbe essere mitigata da una una ipotesi da cui si origina la ricerca di un fine.
Può non esistere una finalità, ma esistono gli effetti di una ricerca di finalità.
Può non esistere una verità, ma parimenti esistono gli effetti di una ricerca di verità.
Può non esistere un senso della cita, ma gli effetti di una sua ricerca certamente esistono.
Se tutto ciò non modifica la semplicità del quadro che si vuole delineare, lo rende però più interessante.
Posso dire che non esistono verità, finalità, senso, ma non posso considerare in tal modo chiusa la questione filosoficamente.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

La finalità c'è nel secondo canale evolutivo (autocoscienza) degli organismi viventi: vivere a lungo e bene. Mutuata direttamente dal reale del primo canale evolutivo basato sul dna.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#17
Citazione di: Ipazia il 06 Settembre 2021, 18:47:31 PM
La finalità c'è nel secondo canale evolutivo (autocoscienza) degli organismi viventi: vivere a lungo e bene. Mutuata direttamente dal reale del primo canale evolutivo basato sul dna.
Io la farei ancora più semplice.
La vita è caratterizzata, e ciò infatti non vale per la materia, da una registrazione dell'esperienza che diventa pregiudiziale nell'agire.
Il processo è unico, ma la sua evoluzione, coi suoi salti, può tradursi in diverse fasi, delle quali , ultima, ma non ultima, e' l'autocoscienza.
Infatti non può esserci una differenza sostanziale fra coscienza e autocoscienza.
La fase attuale io direi essere la scienza.
Fase non ancora matura se è vero che la scienza siamo noi, ma la percepiamo ancora come aliena.
Nella misura in cui la percepiamo ancora come altro da noi , tendiamo ad attribuirgli poteri che vanno oltre le nostre possibilità, come ad esempio il potere di tendere alla verità , attribuzione che ha origine nell'iperuranio platonico, dove le distanze da noi vengono marcate dall'essere un mondo oltre il nostro, quindi tanto più oltre noi.
L'autocoscienza è quindi la demarcazione arbitraria di un processo continuo.
Un processo che coinvolge gli individui ,e anzi non può prescindere dagli individui, ma che marca i suoi punti quando le diverse esperienze diventano condivisione, quando tutti cioè, al di la' delle soggettive esperienze, iniziano a "vedere" le stesse cose, come se ie individualità ciclicamente si ricomponessero ed è ciò che da' un senso all'umanita'.
Sbagliato quindi considerare l'intersoggettivita' come probante prova di verità.
La prossima tappa del processo evolutivo della coscienza sarà quella in cui ringrazieremo il concetto di verità come il catalizzatore del risultato raggiunto , ma non più presente nel risultato.


Immaginate di possedere la coscienza di un virus, e provate a immaginare quale salto di coscienza farete ( facile a farsi) quando vi sarete evoluti in uomini, e immaginate adesso di essere uomini e un pari salto di coscienza ( facile a dirsi, più difficile a immaginarsi, o forse no? Mi sentirei però di escludere fin da adesso che in quella fase si discuta ancora di verità, percepita ormai come un astruso iperuranio di cui nessuno parla più).


Quello che è certo è che la filosofia è ancora attuale se la verità è per noi un concetto ancora così attuale.
Ma la filosofia non morirà con la verità.
Nel processo di evoluzione della coscienza occorreranno sempre catalizzatori senza dei quali non si ottiene nulla.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Kobayashi

Seguendo la lezione di A. Kojève possiamo dire che per Hegel l'uomo è desiderio.
Se si rimane però al desiderio di un oggetto non si entra nel mondo umano vero e proprio. Ci si eleva al di sopra dell'animalità quando si desidera il desiderio di un altro essere umano, ovvero quando si desidera essere l'oggetto desiderato dall'altro. Si desidera che l'altro, con il suo desiderio, riconosca il nostro valore.
E qui veniamo alla lotta per il riconoscimento. Che si spinge fino a mettere a repentaglio la propria vita. Se l'animalità ha come unico fine la propria sopravvivenza, il mondo umano si apre con l'accettazione del pericolo della morte per ottenere qualcosa, il prestigio, che non è affatto essenziale alla sopravvivenza.
Come si sa in questo duello archetipico prima o poi uno dei due si arrende, diventando il servo, mentre l'altro, il signore, ottiene con la vittoria il riconoscimento del suo valore, della sua superiorità.
Da qui in poi però la storia, secondo Hegel, sarà il progressivo ribaltamento dell'iniziale rapporto di forza.
Il signore vive di due cose: del riconoscimento e del godimento dei beni lavorati dal servo. Nient'altro. Il signore non ha un futuro, può solo sperare di prolungare nel tempo la sua condizione.
Il servo invece lavora per il signore, trasforma la realtà per produrre i beni che il signore consumerà, e vive nella paura.
Al di là dell'emancipazione che viene dal lavoro, ovvero dall'acquisizione delle tecniche per la trasformazione della natura, è interessante concentrarsi sull'aspetto dell'angoscia della morte.
Sperimentando questa angoscia con una certa continuità (essendo assoggettato al potere del signore), al di là del terrore della scena iniziale che lo ha convinto ad arrendersi, il servo prende consapevolezza di tre cose essenziali:
- l'ostilità del mondo;
- la necessità dell'autodisciplina (per eseguire sotto minaccia i lavori che gli vengono assegnati dal signore);
- la trascendenza rispetto ad ogni condizione che viene inizialmente percepita come data (infatti l'esperienza dell'angoscia della morte cancella l'ovvietà, la naturalezza, di quello che fino a quel momento era sentito come il proprio mondo e il proprio destino).

Tre cose essenziali per il cambiamento della realtà tramite lavoro e lotta.
Se non si sente l'ostilità del mondo ci può essere lavoro, ma non vera lotta. Ci sarà lavoro e godimento, un miscuglio di signoria e servitù, ma la realtà rimane tale e quale.
Quindi non ci potrà essere libertà (perché ci si sentirà legati alla necessità del mondo presente), e quindi nemmeno pensiero.
Ci sarà una riflessione illusoria (più che pensiero), una diffusa animalità (per l'appiattimento del desiderio al livello del godimento), e si continuerà a riconoscere il valore della signoria con l'idealizzazione della ricchezza.
Esattamente quello che accade nel cittadino/lavoratore dei nostri tempi, un servo abbastanza indipendente da sapersi procurare un po' di godimento, ma non abbastanza consapevole per poter accedere al pensiero.

Ipazia

Una favola hegeliana. La sopraffazione del "servo" è "archetipicamente" avvenuta per via violenta in conflitti bellici. Come insegnano Spartaco, giacobini e bolscevichi al netto di ogni psicologismo immaginifico sul "riconoscimento" del signore, appena i servi hanno la massa critica per rovesciare il tavolo, lo rovesciano.

Gli oligarchi attuali conoscono bene questa storia e hanno collocato in ogni dove, incluso il diritto statale e internazionale, i loro greenpass per incatenare i servi. Come il mitico Signore degli Anelli.


pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

green demetr

Koba,


Da una parte il razionalismo contemporaneo, che ancora discute sulla crisi del soggetto, nell'intento di preservare il soggetto, ossia di assoggettarlo alle sue ragioni, ovviamente la ratio vuole la ratio.
Se non fosse che il soggetto è in crisi, la ratio avrebbe già vinto.
Ma appunto non è così. Per questo c'è bisogno della stampella teologica. Con agnello sacrificale al suo seguito, come argutamente dice Ipazia.


Hegel è il primo terapeuta, sono d'accordo.
Però a me interessa il suo momento negativo, ossia l'impossibilità di legare il percetto al suo percepente.
E' proprio questa impossibilità che spinge Hegel ad introdurre il Logos, ossia Dio.
Dio è il momento negativo, da stampella, diviene immanenza.
Infatti l'oggetto in sé, non è disgiunto come in Kant, ma fa parte di ciò che magicamente appare essere ciò che è effettivamente (cioè scientificamente).
Se vedo un ramo e lo spacco sulla testa di un lupo, esso magicamente diventa effettivo.
Magicamente perché ciò che percepisco come ramo, si sostiene nel tempo fino alla mazzata finale.
La costruzione mnemonica di noi come agenti, è la filosofia di Hegel nel suo mistero più abissale.
Noi agiamo perché un Dio ci permette di farlo.
Il finalismo di Hegel è lo stesso di Heidegger ossia è il destino, il Dio ascondito, il Dio teleologico.
Perché Hegel è vanamente criticato? Perché gli viene attribuita una teleologia pre-istorica?
Ma Hegel proprio nella sua costruzione magica, rinviene nel tempo l'unico fondamento, nessuna predestinazione, è impossibile predire del lupo!
Comunque serve una lettura sistematica e intelligente, presto apriremo il topic gruppo di studio Fenomenologia dello spirito, per capire quanto profondo è il messaggio, e quanto facile sia la sua cattiva interpretazione.


Dunque il reale è razionale, non riguardo alla sua essenza, ma esattamente riguardo alla sua assenza.
E' proprio perché assente, che è dinamico, é proprio perché assente che si iscrive nella storia.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

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