Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Aperto da Garbino, 08 Aprile 2016, 20:16:34 PM

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Jean

Ciao Garbino,

nei due ultimi post ho trovato qualcosa (... la cosa, sempre quella, qual che sia...) d'inerente la mia ricerca, così che ne posso scrivere.
Precedente agli assiomi logici v'è il linguaggio con le proposizioni che permette, edificate sulle parole il cui significato (teoricamente condiviso) modella  la comprensione dell'enunciato/frase.

Semplificando, l'esperienza della "cosa" (o delle cose) è possibile solo quando nella persona si sia sviluppato il senso di sé (ego o come lo si voglia chiamare) che necessariamente si appoggia su vocabolario/sintassi/grammatica relativamente consolidato a quell'acerbo stadio di sviluppo intellettivo. 

Relativamente poiché (com'è ovvio) l'individuo è alle prime armi e l'uso, la padronanza del mezzo (linguaggio) si acquisisce col tempo e l'esperienza.

Così già il primo passo, la comprensione del significato delle parole, presuppone un corretto percorso (mentale-intellettivo) soprattutto condiviso , perché quanto più se ne distanzi (considerata la soggettività dell'esperire) tanto più da quel che pareva un mondo comprensibile a più d'una persona, ecco formarsene due (o più) con le loro (se va bene) differenti sfumature interpretative.

Come abbiamo occasione di constatare anche nel nostro forum, per una parola, ad esempio una di quelle chiave nell'aforisma: "l'essere", più se ne discute nel tentativo di giungere ad una comprensione comune e condivisa e più ci si rende conto (almeno per me) come quel corretto percorso sia fortemente soggettivo, da cui, sovente, non c'è possibilità di smuoversi (non per cattiva volontà).

Ben prima degli assiomi logici, dunque, vien da domandarsi se il significato delle parole che usiamo non ci stia indirizzando in una direzione piuttosto che un'altra, a cui corrisponderà come dice Nietzsche, la "creazione" di una realtà (o del concetto di questa) e l'impressione di viverla (di vivere proprio quella e non altre... applicabile anche allo stesso Nietzsche, quali che siano i criteri di verità cui si affida e dai quali ne fa emergere apparenza e/o realtà del mondo esperito...).

Poiché il linguaggio è una sorta di matematica (grandemente complessa... visto che può trattare di qualunque cosa...) l'assiduo esercizio consente a chi vi si applichi di passar dalle scuole inferiori all'università e oltre mantenendosi entro i confini delle regole di verità della stessa, così che l'ascoltare i ragionamenti di un consesso di filosofi ben preparati (qual non sono per nulla) può dare l'impressione (o la certezza...) che essi sappiano bene di cosa parlino e dove conducano ragionamenti e ipotesi.

Beh, quanto riportato da Maral:

Interessante, ritrovo questa affermazione nell'ultimo incontro seminariale di Sini, nel quale, concludendo il suo commento all'ultimo dialogo platonico ("Le leggi"), afferma che il fondamento della logica è illogico e lo riconduce ai tre principi non logici della logica indicati da Peirce: fede, speranza e carità. Fede, ossia fiducia che ciò che si dice abbia corrispondenza reale pur sapendo che non può essere adesione al reale, speranza in una condivisione, carità: ossia offerta di reciproca comprensione.

per chi ritenga corretto che il fondamento della logica sia illogico, dovrebbe concorrere a sfrondar di presunte certezze ogni "provvisoria" conclusione riguardo alcunché.

Non solo in ambito filosofico, in tutti... scientifico, religioso ecc.   perché tutti partono da premesse che solo attraverso (come afferma Sini) fede, speranza e carità possono fornire un qualche  terreno solido sotto i piedi (all'intelletto).

Chi faccia proprie tali osservazioni (per quel che mi riguarda le sottoscrivo), nel porre l'attenzione ad ambiti oltre le regole di verità cui è avvezzo, (forse) dovrebbe considerare l'estrema parzialità del proprio punto d'osservazione, così che se milioni di persone esperiscono e parlano di miracoli e migliaia d'altre dell'effettiva influenza del mentale (pensiero in senso lato) sulla materia, come vado trattando nella discussione Al di là dell'aldilà, presumibilmente (ma non sicuramente, certo...) non son (del tutto) fantasie di soggetti influenzabili, psicolabili o creduloni.

Vorrei consigliare all'amico Garbino (e a tutti) la visione del film "Arrival" , perché tratta proprio del linguaggio e di come potrebbe (nel film) essersi evoluto secondo modalità visivamente e pure temporalmente non lineari (come, in parte, geroglifici ed ideogrammi), altresì fornendo spunti (documentati) alquanto interessanti:

da Wiki, trama del film:

- Mentre Louise comincia a diventare più abile nel linguaggio alieno, inizia a sperimentare dei sogni lucidi di se stessa con la figlia Hannah. Louise spiega che esiste una teoria (quella che i linguisti chiamano ipotesi di Sapir-Whorf) secondo la quale la lingua che si usa è in grado di influenzare i pensieri, "riprogrammando" la mente, e sperimenta che l'apprendimento della lingua degli alieni, che hanno una differente concezione del tempo, le permette di avere visioni del futuro.

(altresì consiglierei, per maggior scorrevolezza, di scrivere il corsivo quando occorra nelle citazioni e non indicarlo; opinione personale, poi mi va bene in ogni modo).
 
Un cordiale saluto

Jean

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

X Maral

Ti ringrazio per questa segnalazione dell' ultimo incontro seminariale di Sini e fondamentalmente posso essere anche d' accordo, sorvolando sull' aspetto ironico che mi ha creato immediatamente l' uso dei termini: fede, speranza, carità. Ma le cose, puntualizzando che non si sta parlando di religione ma di ciò che attiene alla logica, stanno in questo modo. E' necessaria una grande fede nel numero, e dire grande è ancora poco; speranza di condivisione, anche se non sempre necessaria perché può essere imposta dal più forte; e anche carità, come necessità di reciproca comprensione. Tanto che intuitivamente mi sovviene il pensiero che una cultura tanto è più forte quanto più sono forti questi capisaldi, soprattutto il primo, immancabile, e il terzo. 

X Jean.

Mio caro Jean, grazie per questo contributo alla discussione, che mi dà anche la possibilità di aprire questo argomento che prima o poi avrei comunque dovuto affrontare. Comunque ti darò delle risposte non approfondite, promettendoti e ripromettendomi di farlo non appena possibile. E cioè dopo aver riportato l' ultimo spezzone dell' aforisma e la mia interpretazione generale.

1) E' ammirevole il tuo esperimento e il tuo riportarlo nella discussione Al di là dell' aldilà. Avrei voluto risponderti ma sono stato preceduto da un altro che pressappoco aveva la mia stessa opinione e perciò ho rinviato. Nessuno mette in discussione la tua buona fede e sincerità, nonché la tua meticolosità e scrupolo nel seguire e riportare l' esperimento ma ho dei grandi dubbi che ne inficiano la validità. Il primo è se noi sappiamo quali siano le condizioni che fanno variare il ph dell' acqua. Il secondo è come facciamo ad interagire con il ph se non sappiamo come farlo. E se anche lo sapessimo come può un pensiero volitivo determinare il cambiamento che noi vogliamo.  Il terzo è in riferimento alla sincerità e alla validità del centro che ha operato le analisi. 

Queste considerazioni di carattere logico tendono a sottolineare che se anche il sistema logico a cui ci atteniamo può non corrispondere alla realtà, ciò non toglie che possa essere ancora utile per determinare la giustezza di come ci relazioniamo con ciò che ci accade. Ciò che scaturisce dal pensiero di Nietzsche cioè è molto più complesso di quello che può sembrare a prima vista, e significa soltanto che se non ci si vuole continuare ad abbandonare all' irrazionalità come Nietzsche auspica con il superuomo o oltreuomo, dovremo essere in grado di superare Aristotele e ricostruire un sistema che pur essendo coscienti della sua fallibilità non permetta che nella cultura sia a farla da padrona proprio la fede, la speranza e la carità. E' insomma quello che vado dicendo da un bel po'. E cioè che c' è la necessità di creare un nuovo metodo che permetta all' uomo di svincolarsi quanto più possibile dall' irrazionalità e cioè dalla fede che le cose stiano così e così e non in un altro modo.

Per quanto riguarda il linguaggio, il linguaggio è la prigione-gabbia in cui si possono snodare i vari concetti e il metodo è il suo limite. Ogni lingua cioè ha il suo massimo di capacità espressiva ed oltre non si può andare. E Nietzsche evidenzia questo fatto ad ogni passaggio che ne parla, mettendo per altro in evidenza il variare anche abissale dei termini chiave di un linguaggio come ad esempio in GDM dei termini buono e cattivo. 

Caro Jean, chi come me ritiene che la religione e la morale siano il grande pericolo quando tradiscono la vita e la annichiliscono nel preferire l' attesa di una vita che verrà dopo la morte, per me impossibile, è ovvio che affronterò questo tema sempre con molta discrezione ma anche in modo fermo. Il credere in qualcosa che pensa senza un corpo per me è impossibile, ecco perché in fondo gli Dei Greci, anche se immortali, risultano essere almeno più accettabili di un Dio solo bontà ( che lo stesso Spinoza critica ), proprio perché dimoravano in un corpo ed avevano caratteristiche umane. Comunque ritengo sempre valida la frase di Schiller: L' unica scusante per Dio per tutti i mali che affliggono il mondo è che non esiste.

Per quanto riguarda il film di fantascienza è e rimane un film di fantascienza. Ciò che accade nel film cioè è una supposizione che deve essere passata al vaglio di una effettiva possibilità che non è stata assolutamente dimostrata. E cioè non posso dimenticare e non voglio che quello che afferma Nietzsche, e che io condivido, non è una vittoria della irrazionalità, ma la vittoria di una razionalità superiore nei confronti di uno schema-sistema che contiene ed avvalla molto di irrazionale, come appunto l' essere. Un essere ( fisico come realtà nel suo insieme ) che non conosciamo ma che in base alla logica di Aristotele lo si accettava come dato, senza alcuna dimostrazione.  Sorvolando poi sugli esseri eterni di cui è piena la filosofia e il Mondo delle Idee di Platone che comunque lui era certo di averne dimostrato la veridicità. Se togliamo Aristotele tutto è dominato soltanto di irrazionalità. Perché almeno la Metafisica di Aristotele una certa base razionale la ha. Adesso però possiamo entrare nell' ordine di idee che anche Aristotele va rivisto e corretto. E che Dio ce la mandi buona perché anche se sono passati più di duemila anni rimane il filosofo più geniale per quanto riguarda il metodo.

Ringrazio per la cortese attenzione. Nel prossimo post riporterò la parte finale dell' aforisma su Aristotele.

Garbino Vento di Tempesta.

maral

#197
Citazione di: Garbino il 26 Giugno 2017, 09:53:44 AM
X Maral

Ti ringrazio per questa segnalazione dell' ultimo incontro seminariale di Sini e fondamentalmente posso essere anche d' accordo, sorvolando sull' aspetto ironico che mi ha creato immediatamente l' uso dei termini: fede, speranza, carità. Ma le cose, puntualizzando che non si sta parlando di religione ma di ciò che attiene alla logica, stanno in questo modo. E' necessaria una grande fede nel numero, e dire grande è ancora poco; speranza di condivisione, anche se non sempre necessaria perché può essere imposta dal più forte; e anche carità, come necessità di reciproca comprensione. Tanto che intuitivamente mi sovviene il pensiero che una cultura tanto è più forte quanto più sono forti questi capisaldi, soprattutto il primo, immancabile, e il terzo.
E proprio sul numero Sini si è soffermato sottolineandone l'estrema rilevanza che assume nel dialogo platonico. Ma il numero non è quello che oggi si intende, ma esprime qui l'elemento fondamentale del ritmo, ossia della "musiké". E' originariamente la frequenza che si coglie nel ritmo, ossia il rapporto tra la fase e il periodo di un ritorno che ripetendosi non si ripresenta mai identico. Dunque numero è in primo luogo ritmo e musica e aver fede (fiducia) nel numero significa aver fede di poter compiere il proprio cammino, la propria purificazione che conduce insieme ai compagni di viaggio all'incontro con se stessi (al "Monte Ida" dove sono diretti i tre protagonisti del dialogo platonico, ove si venera la nascita di Zeus, che rappresenta la legge stessa).
La razionalità è dunque matematica (máthema) e la matematica è la musica con cui si fa festa in cui si evocano gli dei a venire a danzare insieme, la razionalità è quindi la danza e il poter cantare insieme (anche nel contrappunto che oppone i nostri modi di vedere le cose).
Ma il fondamento della razionalità resta comunque nell'irrazionale (quel selvaggio grido dionisiaco che precede il canto e lo richiede, perché è Dioniso che prepara il ritorno di Apollo) di una esistenza che necessita di nuovo un accordo, affinché ogni naufragio mostri il nuovo orizzonte.
Il numero in cui occorre aver fede è allora la misura del tempo del ritorno.

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Per quanto riguarda la fede nel numero vorrei esporre un' ultima considerazione. E questa è che, anche se può sembrare paradossale ma non lo è, oltre a Nietzsche chi manifesta una minore fede nel numero sono proprio i tre grandissimi Greci: Socrate, Platone ed Aristotele. E questo perché, anche a livello Metafisico non danno nulla per scontato. Ed ogni passaggio per loro deve necessariamente essere supportato da una dimostrazione, anche se a livello concettuale. Perfino il principio di (non) contraddizione ha poco a che fare con il numero e si basa come rivela Nietzsche su una empiria, e cioè sull' esperienza sensoriale che sembra affermarlo ad ogni sensazione. Mentre tutti gli altri, compreso Kant, Hegel, Heidegger e lo stesso Severino, danno per scontato caratteristiche da attribuire agli enti di carattere numerico senza alcuna dimostrazione. Come ad esempio il principio di identità ( ma io preferisco dire di identicità ) senza che vi sia né un' empiria che lo riveli né una dimostrazione concettuale che lo dimostri. 

Per molti questa riflessione sarà molto poco accessibile, soprattutto per chi ha una predisposizione classica e non scientifica, come del resto dimostrano di avere sia Heidegger, che Sini che lo stesso Severino. Prendetela così come è, più avanti approfondiremo l' argomento sperando di esserne capaci perché non è assolutamente facile cercare di far comprendere a chi non ha una predisposizione matematica gli effetti che questa mancanza può determinare a livello logico.

Aforisma 516 La Volontà di Potenza Come Conoscenza ( terza parte ):

Gli atti di pensiero più originari, l' affermare e il negare, il tenere o non tenere per vero, in quanto presuppongono non solo un' abitudine, ma un diritto (diritto in corsivo) a tener qualcosa per vero o per falso, sono già dominati dalla credenza secondo cui  per noi esiste la conoscenza, il giudicare può realmente raggiungere la verità (da per noi a verità tutto in corsivo) - insomma, la logica non dubita di poter esprimere qualcosa di vero in sé (ossia, a cui risulta impossibile attribuire predicati opposti).
Qui domina il grossolano (domina in corsivo) pregiudizio sensistico secondo cui le sensazioni ci insegnano delle verità (verità in corsivo) sulle cose - e secondo cui io non posso dire allo stesso tempo che una cosa è dura ed è molle ( dura - molle in corsivo). ( LA prova istintiva: " io non posso provare contemporaneamente due sensazioni opposte" è grossolana e falsa - grossolana e falsa in corsivo -).
Il divieto di formulare concetti contraddittori muove dalla credenza che noi possiamo ( possiamo in corsivo ) formare concetti, che un concetto non solo indichi, ma colga la verità di una cosa..... In realtà la logica - logica in corsivo - ( come la geometria e l' aritmetica ) vale solo per verità fittizie, create da noi - verità fittizie, create da noi in corsivo -.La logica è il tentativo di ( da adesso in poi tutto corsivo ) comprendere il mondo vero secondo uno schema dell' essere posto da noi, o, più esattamente, di renderlo da noi formulabile e calcolabile.....

X Jean

Mi scuso per la mia incapacità a sostituire il corsivo direttamente. Purtroppo preferisco al momento ovviare in questo modo. L' alternativa significherebbe tempi lunghissimi di trascrizione in cui potrei incorrere in involontarie cancellazioni dell' intervento e perciò dover ricominciare tutto d' accapo.

L' ho riportato tutto. Nel prossimo post affronterò la sua lettura e ciò che determina nell' argomento Metafisica.

Grazie per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.

maral

Citazione di: Garbino il 29 Giugno 2017, 06:59:52 AM
Aforisma 516 La Volontà di Potenza Come Conoscenza ( terza parte ):

Gli atti di pensiero più originari, l' affermare e il negare, il tenere o non tenere per vero, in quanto presuppongono non solo un' abitudine, ma un diritto (diritto in corsivo) a tener qualcosa per vero o per falso, sono già dominati dalla credenza secondo cui  per noi esiste la conoscenza, il giudicare può realmente raggiungere la verità (da per noi a verità tutto in corsivo) - insomma, la logica non dubita di poter esprimere qualcosa di vero in sé (ossia, a cui risulta impossibile attribuire predicati opposti).
Qui domina il grossolano (domina in corsivo) pregiudizio sensistico secondo cui le sensazioni ci insegnano delle verità (verità in corsivo) sulle cose - e secondo cui io non posso dire allo stesso tempo che una cosa è dura ed è molle ( dura - molle in corsivo). ( LA prova istintiva: " io non posso provare contemporaneamente due sensazioni opposte" è grossolana e falsa - grossolana e falsa in corsivo -).
Il divieto di formulare concetti contraddittori muove dalla credenza che noi possiamo ( possiamo in corsivo ) formare concetti, che un concetto non solo indichi, ma colga la verità di una cosa..... In realtà la logica - logica in corsivo - ( come la geometria e l' aritmetica ) vale solo per verità fittizie, create da noi - verità fittizie, create da noi in corsivo -.La logica è il tentativo di ( da adesso in poi tutto corsivo ) comprendere il mondo vero secondo uno schema dell' essere posto da noi, o, più esattamente, di renderlo da noi formulabile e calcolabile.....
Trovo questo aforisma del tutto condivisibile. La logica non può giustificare in base alla logica il principio di identità (o identicità, come preferisci chiamarlo) su cui si fonda per "dire la verità". Il principio di identità non è logico proprio in quanto è il principio, l'origine, della logica, né è semplicemente empirico, proprio come la contraddizione, è piuttosto la modalità a cui occorre attenersi per dire qualcosa in termini logici di ciò che viene empiricamente dato, senza in questo dire dare nulla per scontato, a parte il principio di identità stesso.
Severino questa arbitrarietà del principio identitario la riconosce, ma peraltro obietta che nulla di fondato si potrebbe dire senza tale assunzione, perché altrimenti anche il negarlo  ne sarebbe compromesso. Ma se questo vale per ogni discorso, occorre anche dire che nel mito non c'è questo fondamento. La figura che sta alla base del mito è la continua metamorfosi, un continuo passare di una forma nell'altra della stessa forma, come facevano gli antichi Dei. E proprio per questo che, alla luce della logica, il mito sembra non poter dire nulla. Ma non è così, poiché il discorso mitico esprime quella continua evocazione di immagini che vengono a rappresentarsi diventando ritmo, quindi numero, quindi pensiero logico alla luce del quale il mito stesso può apparire, può essere conosciuto. Solo a partire dall'ordine discorsivo vediamo una sorta di mitico caos all'origine della nostra attuale visione ordinata e logica. Il caos delle contraddizioni in cui il mito si ingarbuglia in qualcosa che alla logica pare assurda pertanto è generato dall'ordine, quanto l'ordine è generato dal caos, l'uno è momento dell'altro.
Tenendo conto di questo appare evidente che la fondatezza delle proprie posizioni non può essere dimostrata logicamente, poiché comunque il fondamento della logica è senza fondatezza logica ed è per tale ragione che la ricerca di fondatezza epistemica che compie il pensiero Occidentale giunge a compimento e si esaurisce (pure nelle scienze, pure nelle cosmologie scientifiche che vorrebbero stabilire cosa accadde all'origine dell'universo). Dunque la fede nel numero è solo fiducia di poter dire insieme qualcosa seguendo un ritmo condivisibile, che può essere battuto insieme contando i passi necessari, sulla base di premesse che ci permettono di dialogare che non sono semplicemente convenzionate, ma che emergono da un modo di sentire comune che nel ritmo e nel numero va sempre recuperato.
Il principio di identità presuppone una totale originaria identità tra significato della cosa e cosa di cui il significare fa segno. E' questa perfetta identità assolutamente unitaria, assunta a priori, che renderebbe l'ente eterno, assolutamente intrasformabile. Ma ciò che ci rende conto dell'esistenza dell'ente facendocela apparire
non è questa unità, ma è al contrario proprio la distanza tra significato e cosa, perché è questa stessa distanza  che ci permette di intendere qualsiasi cosa, non la perfetta aderenza ed è nel continuo entrare in crisi della  identità (ossia identicità di ogni significato alla cosa, compresa quella cosa in cui significhiamo noi stessi con tutte le implicazioni esistenziali che ne conseguono) che dobbiamo esercitarci a saperci muovere e a saper pensare, comprendendoci l'uno per l'altro.

paul11

quando Nietzsche dice apollineo e dionisiaco vuol dire che il concetto è già dentro in "quel" dio.
E' questo che non si vuol capire dalla cultura moderna ad oggi sul linguaggio del mito.
Qualunque forma di pensiero è immagine e la forma scritta non può imprigionare totalmente il pensiero.
Il segno scritto non può rinchiudere il pensiero, tanto meno l'inflessione dell'oralità del parlante, la gestualità di chi si ha davanti, tant'è che noi usiamo gli emoticons sul forum,  qualcosa  sfuggirà sempre e adatto che l'immagine è prima dello scritto, non  è detto che l'alfabeto fonemico sia meglio delle più antiche scritture simboliche.  Il discorso è lungo............

ciao

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Prima di rispondere a Maral, ritengo necessario fare il punto della situazione riprendendo il contesto dell' aforisma, il principio di ( non ) contraddizione e il suo rapporto con il numero. Se ricordate in precedenza avevo affermato infatti che il principio di non contraddizione aveva poco a che fare con il numero e ciò è dimostrabile prendendo in esame la A che Aristotele usa per definirlo. A ben vedere questa A si riferisce a qualsiasi oggetto nel campo fisico e che nello stesso tempo è soggetto al divenire. Perciò anche se non può essere mai diversa da sé stessa non si può inquadrare in un riferimento numerico perché diviene e nel tempo è sempre diversa da ciò che era in precedenza. Quindi non ha nulla di logico. Si basa, come giustamente afferma Nietzsche, di un principio avvalorato dalla nostra percezione, percezione che sembra avvalorare costantemente questa tesi. Nietzsche inoltre afferma che questa prospettiva è falsa. E che tutto dipende dall' incapacità dell' uomo di rilevare cose che si contraddicono. 

Quindi ricapitolando, Aristotele afferma che A, in qualsiasi momento lo prendiamo in considerazione, non può essere diverso da A. Nietzsche afferma che al contrario A può essere diverso da A anche se noi non siamo capaci di rilevarlo. E che perciò, non potendo affermare che noi conosciamo già A in altro modo ( o l' essere= essere fisico che diviene ), il principio di ( non ) contraddizione non può essere sottoposto a verifica e perciò è interpretabile soltanto come un comando, e cioè le cose devono stare così e così, anche se non possiamo dimostrarlo logicamente. Un tener per vero, quindi.

Ma adesso vediamo cosa succede se aggiungiamo il principio di identicità che applica Severino. La A di Severino diviene un numero. Non più un qualcosa che varia nel tempo e che perciò è soggetta al divenire, ma una A sempre identica a sé stessa. E ciò che succede è che Severino, relazionandola al numero, non dà soltanto l' Essere come dato, un Essere invisibile e non soggetto al divenire, ma per di più lo afferma come logico. In pratica è un comando superiore che si deve tener per vero in riferimento al principio di Aristotele. E' come se dicesse Dio esiste perché io voglio che esista. Ma di logico in ciò non c' è niente perché non possiamo comunque affermare di conoscere l' Essere in un altro modo; conoscenza che ci permetterebbe di avvalorare la sua esistenza e il suo non contraddirsi ed essere sempre uguale a sé stesso. 

Nel caso di Severino la A riferentesi all' essere e agli enti è identificabile ad una variabile x di carattere numerico. Ogni ente o essere cioè rappresenta un diverso valore della variabile x di carattere numerico e che perciò per definizione è sempre uguale a sé stessa. Ed è perciò che Severino, correggimi Maral se sbaglio, è costretto ad affermare che ciò che varia è il suo apparire e che comunque la A che diventa B deve comunque tornare A per chiudere il ciclo. Senza voler approfondire, ho soltanto messo in evidenza che il nulla di fondato a cui si riferisce è qualcosa che va al di là delle sue possibilità logiche di affermarlo. E' in altre parole un ancor più profondo tener per vero, ma di cui soprattutto non ne abbiamo neanche la percezione sensoriale, come avviene nel caso del principio di non contraddizione.

X Paul11.

L' incapacità di poter riportare a parole molte nostre sensazioni, e che ogni linguaggio ne designa il limite, è un discorso che si dovrà comunque affrontare. Ma anche questa incapacità avvalora il discorso di Nietzsche. 

La mia sensazione è che comunque tutto gira intorno a Socrate, Platone, Aristotele e Nietzsche.

Ringrazio per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.

maral

Citazione di: Garbino il 10 Luglio 2017, 15:36:31 PM
Prima di rispondere a Maral, ritengo necessario fare il punto della situazione riprendendo il contesto dell' aforisma, il principio di ( non ) contraddizione e il suo rapporto con il numero. Se ricordate in precedenza avevo affermato infatti che il principio di non contraddizione aveva poco a che fare con il numero e ciò è dimostrabile prendendo in esame la A che Aristotele usa per definirlo. A ben vedere questa A si riferisce a qualsiasi oggetto nel campo fisico e che nello stesso tempo è soggetto al divenire. Perciò anche se non può essere mai diversa da sé stessa non si può inquadrare in un riferimento numerico perché diviene e nel tempo è sempre diversa da ciò che era in precedenza. Quindi non ha nulla di logico. Si basa, come giustamente afferma Nietzsche, di un principio avvalorato dalla nostra percezione, percezione che sembra avvalorare costantemente questa tesi. Nietzsche inoltre afferma che questa prospettiva è falsa. E che tutto dipende dall' incapacità dell' uomo di rilevare cose che si contraddicono.
Mi riesce difficile capire questo riferimento al numero. Il numero, per come lo intendo, è la definizione dell'intero posto in relazione alle sue parti, indipendentemente dal divenire. Se identifico un ente con un numero assumo che quell'ente è esprimibile esattamente dalla somma delle sue parti omogenee assunte in astratto come unità di misura. Se quell'intero cambia, potrà cambiare il numero, ma niente mi vieta di pensare che quel numero mi restituirà sempre l'intero, anche nel suo diventare altro. Sarà un altro numero, ma quest'altro numero sarà parimenti esatto, giacché l'intero resta sempre la somma esatta delle sue parti. Il problema del numero è dato dal fatto che l'intero come tale si presenta sempre come eccedente rispetto alla somma delle sue parti, pure se non cambia. E questa eccedenza è un resto non definibile, non numerabile e, proprio a causa di questo resto il conto non torna, dunque qualsiasi definizione dell'intero su base numerica si rivelerà fallace. E' il problema a cui si trovarono di fronte i pitagorici che volevano definire tutto l'universo in chiave numerica. ma si trovarono di fronte il problema della diagonale del quadrato incommensurabile al lato. Questa incommensurabilità non dipende dal divenire del quadrato, ma dal fatto che il rapporto tra diagonale e quadrato non è numericamente esprimibile, lascia sempre un resto (trattabile solo introducendo ad hoc il concetto di numeri irrazionali per poter continuare a calcolare in astratto). 

CitazioneMa adesso vediamo cosa succede se aggiungiamo il principio di identicità che applica Severino. La A di Severino diviene un numero. Non più un qualcosa che varia nel tempo e che perciò è soggetta al divenire, ma una A sempre identica a sé stessa. E ciò che succede è che Severino, relazionandola al numero, non dà soltanto l' Essere come dato, un Essere invisibile e non soggetto al divenire, ma per di più lo afferma come logico. In pratica è un comando superiore che si deve tener per vero in riferimento al principio di Aristotele. E' come se dicesse Dio esiste perché io voglio che esista. Ma di logico in ciò non c' è niente perché non possiamo comunque affermare di conoscere l' Essere in un altro modo; conoscenza che ci permetterebbe di avvalorare la sua esistenza e il suo non contraddirsi ed essere sempre uguale a sé stesso.

Nel caso di Severino la A riferentesi all' essere e agli enti è identificabile ad una variabile x di carattere numerico. Ogni ente o essere cioè rappresenta un diverso valore della variabile x di carattere numerico e che perciò per definizione è sempre uguale a sé stessa. Ed è perciò che Severino, correggimi Maral se sbaglio, è costretto ad affermare che ciò che varia è il suo apparire e che comunque la A che diventa B deve comunque tornare A per chiudere il ciclo. Senza voler approfondire, ho soltanto messo in evidenza che il nulla di fondato a cui si riferisce è qualcosa che va al di là delle sue possibilità logiche di affermarlo. E' in altre parole un ancor più profondo tener per vero, ma di cui soprattutto non ne abbiamo neanche la percezione sensoriale, come avviene nel caso del principio di non contraddizione.
Ripeto, Severino non nega la fenomenologia secondo la quale gli enti appaiono variare. Ciò che nega risolutamente è che questo variare sia ontologico, sia un uscire dal niente ed entrare nel niente. Nega che gli enti possano farsi niente o che il niente possa farsi ente e afferma che questo si pretende che accada quando si dice che A diventa B, cioè che l'essere dell'ente diventi un altro essere pur rimanendo lo stesso essere. Certo lo fa sulla base del principio di identità preso a priori come assoluto, ma anche se si nega che tale principio sia assoluto, anche per dire che Severino ha torto, è evidente che lo si può dire solo rispettando il principio di identità, altrimenti l'aver torto di Severino vorrebbe dire che Severino ha ragione e l'aver ragione che ha torto. Il ragionamento di Severino in questi termini è davvero incontrovertibile sul piano logico, perché per dire qualsiasi cosa, compreso negare il principio di identità, occorre assumere il principio di identità e di non contraddizione. E' su questa base che gli enti sono eterni, ma questo non li rende definibili con un numero a meno di non essere enti numerici. Una casa è una casa e non un numero che è invece solo quel numero che è. Numero e casa potranno istituire delle relazioni. ma nessuna di queste relazioni definirà un numero che sarà la casa, va contro il principio di identità, senza che questa perenne differenza sia data da alcun divenire della casa, semplicemente non c'è alcun numero che sia una casa.
Quello dunque che appare come divenire è appunto l'apparire e disapparire degli eterni nelle relazioni che tra loro intessono, ma non è mai un diventare, non è mai un cessare di essere per essere qualcos'altro, non è mai un cessare di essere del legno per essere, quel legno, cenere, ma è un venire ad apparire dell'ente legno e un passare oltre al sopraggiungere dell'ente cenere in quell'ambito in cui si rende possibile quell'osservazione che richiama la cenere dal legno. Sono come attori che si presentano in scena uno dopo l'altro secondo l'ordine di scena, senza per questo che nessuno di essi cessi mai di essere quello che è (la metafora usata da Severino è quella del sole che entra ed esce dall'orizzonte visibile senza mai per questo diventare niente o uscire dal niente). Questa per Severino è la fenomenologia del principio di identità, proprio in quanto l'ente che è sempre se stesso viene ad apparire e scomparire nella parzialità finita in cui solo può manifestarsi. Gli innumerevoli attori che devono entrare in scena non possono entrare tutti insieme nello spazio finito definito dalla scena e allora continueranno a sopraggiungere e uscire di scena e nessuna definizione, men che meno numerica potrà mai definirli, solo tracciare un contorno entro il quale è possibile per un po' e in parte ravvisarli.
Il discorso di Nietzsche mi pare sia su un piano completamente diverso, anche se con l'eterno ritorno qualcosa può sembrare richiamare l'eternità degli enti, ma non c'è dubbio che la distanza da Severino resti di principio abissale, come abissale è la distanza di Severino da Aristotele e tutta la tradizione del pensiero occidentale che mantiene il divenire in chiave strettamente ontologica.



Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Gli argomenti aperti da Maral sono complessi e necessitano un inquadramento a livello storico. In Grecia la matematica era soprattutto Geometria. E non a caso quasi tutti gli assiomi e criteri della Geometria hanno radici greche. E questo perché il rapporto tra numero e geometria erta scadente. E la causa di ciò è che i numeri in Grecia venivano rappresentati con tante stanghette quanto era il valore del numero, tranne le decine e le centinaia che venivano rappresentate con simboli appositi. Furono più tardi i Romani a introdurre il numero V (quinto, cinque ) e a posporre stanghette al numero più alto per abbreviare i segni ( ad esempio IV quattro o IX nove ). Ma fu solo con i numeri arabi che nacque l' Aritmetica con l' aggiunta dello zero proveniente dall' India verso la fine del primo millennio. E fu solo allora che incominciò a delinearsi il sistema decimale, che in Italia arrivò molto tardi perché fu boicottato dalla Chiesa Cattolica che lo riteneva opera del diavolo.

Per i Greci la Geometria rappresentava la perfezione e non a caso si riteneva che quelle geometriche fossero le forme inerenti alla materia. Principio che divenne poi difficilmente sostenibile per le caratteristiche che si delineavano nelle due figure ritenute il massimo della perfezione: il quadrato e il cerchio.
E ciò che ne inficiava la perfezione era appunto l' approssimazione non superabile della diagonale del quadrato ( come afferma giustamente Maral ) e il valore del pi greco. Anche per il valore del pi greco bisognerà aspettare la fine del primo millennio, la cui determinazione proviene sempre dall' India.

X Maral

Devo ammettere che forse sono stato poco chiaro per quanto riguarda il valore numerico della variabile X in rapporto agli enti di Severino, perché avrei dovuto specificare che si riferiva soltanto concettualmente al principio di identità ( identicità ) da lui ritenuto invariabile. Quello che volevo intendere è che Severino stabilisce che ogni ente ha una sua identità ed è sempre identico a sé stesso anche nel tempo.
Il rapporto invariabile dell' intero con le sue parti prende corpo soltanto con il sistema decimale, ma naturalmente nel modo di pensare Severino si riferisce più alla filosofia greca che alla contemporaneità. Ed è ciò che mi consente di ipotizzare che Severino ( ma come ho già detto non solo lui ) con la Matematica e soprattutto con il numero e l' algebra abbia diversi problemi. 

E' un genio sofista, e come tale crea un mondo per lui vero ma di cui non vi può essere nessun riscontro sensitivo e perciò esperienziale. 
Ma soprattutto è ovvio che non è confutabile in base al sistema da lui creato, proprio perché il principio di identità, identicità ci si rivolgerebbe contro. L' unico modo è di non consentirgli questa possibilità e trasformarla in una ipotesi. In una ipotesi ancora tutta da dimostrare. In questo modo tutto ciò che il principio di identità ( identicità ) presuppone e da lui ritenuto valido perde ogni caratteristica di validità immanente, e con ciò tutta la sua costruzione.  Il mondo vero creato da Severino è, ripeto, considerabile come un tener per vero ancora tutto da dimostrare. E questo al di là della genialità con cui lo descrive e lo ritiene vero.

Io mi scuso con coloro che avessero difficoltà ad orientarsi negli argomenti da me espressi, ma vi posso garantire che non è assolutamente facile rendere l' argomento di una chiarezza maggiore. Comunque chiunque avesse difficoltà farebbe bene ad esprimere cosa gli susciti dubbi o perplessità giacché in questo modo saprei dove orientare maggiormente la chiarezza.

Ringrazio per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.

maral

Sto leggendo "La consistenza del passato" di Carrera, scaricabile anche da internet in pdf: https://www.academia.edu/24047938/2007_-_La_consistenza_del_passato._Heidegger_Nietzsche_Severino?auto=download
Interessante la sua lettura critica di Severino (che muove dal punto di vista siniano), collegate a quella di Heidegger e  a "l'eterno ritorno" di Nietzsche.
Tra l'altro con numerosi riferimenti al testo "La filosofia futura" di Severino che fu il primo che lessi dell'autore e diede origine al mio interesse. Ecco, forse un testo che aiuti inizialmente a capire meglio Severino potrebbe essere proprio questo.

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Non nascondo che ho divorato il testo di Carrera indicato da Maral in due volte. Una prima di leggere i primi capitoli de La filosofia futura di Severino e l' altra subito dopo, ritenendo di aver letto abbastanza dell' opera. E naturalmente ho trovato la lettura molto interessante e su cui concordo abbondantemente. E ciò fidandomi di ciò che argomenta sulla Gloria non avendo letto ancora niente sull' argomento. Ma fidandomi molto anche della valutazione di Maral che trova il testo di Carrera interessante. E perciò non campato in aria, suppongo, ma molto attinente.

Concordo pienamente sulla non possibilità di entificare né un evento storico ( la bomba di Hiroshima ), che mi era sembrata subito errato, né altro che non rappresenti un insieme organico e ben definito e non una sua parte. In altre parole se si può entificare un ramo d' albero si può tranquillamente entificare anche ogni singola parte, ad esempio, del corpo umano, cosa che naturalmente mi è sembrata assurda. Come ho trovato attinente anche la confutazione dell' esempio della lampada preso in considerazione da Severino.

Inoltre ad iniziare da pag. 92 si trova un interessante valutazione della caratteristica umana legata all' oblio, che abbiamo già visto in Genealogia della morale, ed una valutazione dell' eterno ritorno di Nietzsche che mi sembra sia abbastanza vicina al mio modo di pensare. Per altro confermo che Nietzsche sembra rivalutare la sua opinione sulla dimensione tempo in alcuni aforismi, che riporterò, de La volontà di potenza.
Un Nietzsche tutto da scoprire perciò e che sicuramente ci porterà via un bel po' di tempo.

Ma tornando a Severino devo purtroppo affermare che i primi capitoli de La filosofia futura mi hanno profondamente deluso, e riconfermato la sua essenza sofista. Lui non chiarisce ma cerca soltanto di convincere, ripetendo fino all' ossessione le stesse frasi. Ciò non toglie che lo fa in modo geniale, riuscendo a distrarre il lettore dai suoi scopi ed affermando principi senza dimostrarli. 

E nonostante la delusione non posso dimenticare di essergli grato per la questione dello Zarathustra e l' eterno ritorno, ma non posso neanche far finta di niente alle inesattezze che, a mio avviso, appaiono nei primi capitoli de La filosofia futura e che affronterò in seguito per non fare confusione con il testo di Carrera. 

Mi approccio ad una rilettura del testo di Carrera e nel prossimo intervento riporterò, se vi saranno, ulteriori considerazioni su di esso.

Ringrazio per la cortese attenzione. Avrei voluto fare un intervento più corposo, ma sia il caldo che la complessità dell' argomento mi hanno consigliato diversamente.

Garbino Vento di Tempesta.

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Una delle argomentazioni del precedente post aveva riguardato la attendibilità di Carrera e che avevo superato adducendo che fosse stato Maral ad introdurlo, cosa che mi sembra sufficientemente valida considerate le ben note caratteristiche che lo riguardano. Ma a questo punto possiamo fornire anche una nostra valutazione dopo una attenta lettura del saggio: La consistenza del passato, che Maral ci ha fornito. 

L' argomento tempo, che poi gli servirà per confutare l' entificazione dell' evento la bomba di Hiroshima di Severino, passa attraverso il pensiero di Heidegger che in seguito ad Essere e tempo aveva modificato alquanto la sua posizione e soprattutto aveva raggiunto la conclusione che comunque qualsiasi affermazione sul tempo non poteva essere dimostrata perché si varcavano i confini definiti dal linguaggio. Cosa questa che mi sembra poco nota a molti e mi sembrava giusto evidenziare.

Prima di procedere, come promesso, riporto uno stralcio dell' aforisma 545 de La volontà di potenza per evidenziare il pensiero dell' ultimo Nietzsche sul tempo: Io credo allo spazio assoluto come sostrato della forza: questa limita e dà forma. Il tempo è eterno, ma in sé non esistono né spazio né tempo: i "mutamenti" sono soltanto fenomeni. ( E in questa affermazione mi trovo completamente, da tempo, d' accordo con Nietzsche, come talvolta ho già accennato. Siamo noi cioè a pensare al fenomeno scandito dal tempo, come ad esempio il nostro evolverci e divenire, ma è una prospettiva falsa, ma su questo torneremo ).

Per quanto riguarda Carrera, mi sembra che la sua posizione si avvicini a questa, ma partendo da presupposti diversi: sia sull' oblio che sulla memoria. Infatti egli afferma che l' uomo ha bisogno della memoria, trascurando tutto il discorso di Nietzsche sulla memoria e l' oblio del secondo saggio di Genealogia della morale. Ricordiamo che Nietzsche aveva definito indispensabile l' oblio per l' uomo per poter vivere e la memoria come il prodotto di millenni di atrocità atte a formarla perché "l' uomo potesse promettere e tener fede alla proprie promesse".

Inoltre a sostegno dell' importanza dell' essere a pag 38 troviamo questa frase: Se il pensare è lo stesso che essere ( verissimo ) e se l' essere (identificazione dell' atto del pensare con la sua entificazione, a mio avviso errata) scompare all' orizzonte del pensiero etc.....
In altre parole si è pensando ma non è affatto detto che l' atto del pensare sia attribuibile ad una entificazione dell' essere. 
L' ultima critica la rivolgo al suo pensiero che la Filosofia senza l' essere e la Metafisica potrebbe essere affrontata anche da altri specialisti di settore che ritengo discutibile e per varie ragioni. Ma in ogni caso la Filosofia, sempre a mio avviso, ha il suo futuro proprio nel superamento della Metafisica, proprio perché ogni affermazione non può essere dimostrata, e come afferma giustamente Nietzsche si tratta sempre di un tener per vero.

Carrera inoltre ci presenta Severino come anti-nietzschiano e anti-hidegerriano, e nei confronti di Nietzsche non posso essere che d' accordo. Basta citare questo stralcio tratto dall' aforisma 530 sempre de La volontà di potenza, per rendersene conto: I principi fondamentali della logica, il principio di identità e di (non) contraddizione, sono conoscenze pure, perché precedono ogni esperienza. Ma queste non sono affatto conoscenze! Sono, invece, ARTICOLI DI FEDE REGOLATIVI.

Il prossimo argomento, come annunciato, riguarderà LA FILOSOFIA FUTURA di Severino.

Grazie per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta

green demetr

#207
Bentornati ad entrambi Maral (non l'avevo ancora fatto) e Garbino!

Mi ci voleva un ritorno a Severino finalmente leggendo un opera completa, vada per la filosofia futura.
Come vada (visto che era nel paniere) la lettura di Carrera.
Grazie ragazzi o uomini che sia! ;)

Inoltre si sposa bene cone alcune intuizioni (anche se raggelanti) avute nell'estate Aquilana.

Devo dire che il ritorno a Milano è stato ed è tutt'ora traumatico, ma che diavolo mi fanno respirare in stà città abbandonata da Dio???? vabbiè!

Il tema del tempo, mi sà che varrà più di un approfondimento quest'anno.

Intato visto che ho già iniziato con un proclama, ve lo dico subito, per la terza estate consecutiva il progetto di citazione sistematica di UTU è fallito. Troppa vita comunitaria montana hanno spazzato via qualsiasi presunzione di astrazione ponderante.
D'altronde la vita richiede leggerezza, regola che ho ormai ho imparato a memoria, e che detesto.

Vorrà dire che proverò a fare qualcosina, nei tempi di mezzo, al mia fuga nei mondi virtuali. (film, sport e altre sciocchezze mediatiche). Sì perchè per vivere da filosofi (ossia per conoscere "oltre") richiede un coraggio, che ancora una volta testo di non avere. (ahimè)

Ma torniamo alla nostra trilogia di autori nietzche heidegger e severino.

prima una rapida sintesi a gruppi delle basi poste da te garbino (grossomodo condivido)

1- il tempo è fuori dalla semantica (difficile dire dal linguaggio tout court, in quanto anche il tempo, in quanto parola è un segno)

2- il tempo è un fenomeno e come tale prodotto dal pensiero (assolutamente sì)

3- critica al recupero della memoria effettuato da carrera tramite l'esposizione della necessità dell'oblio per terminare le atrocità del (pensiero del) passato.   (qua mi manca la lettura del libro di Carrera, la ripresa storica è di tipo critico, acritico, e in cosa consiste di preciso?)

4- la filosofia deve superare la sua metafisica

5- il PNDC è un atto regolativo (sono d'accordo se lo intendiamo come proiezione del fantasma di controllo, e cioè se il PNDC risulti essere una fissazione identitaria, sono altresì dubbioso che Severino lo intenda realmente così, infatti negli anni scorsi ricordo benissimo che anche per lui l'identitarietà risulta essere un fantasma per un principio dialettico che richiamava la lettera B, non ricordo il termine da lui usato, chiedo aiuto Maral....sennò un pò di pazienza)


cit Garbino

"L' ultima critica la rivolgo al suo pensiero che la Filosofia senza l' essere e la Metafisica potrebbe essere affrontata anche da altri specialisti di settore che ritengo discutibile e per varie ragioni. Ma in ogni caso la Filosofia, sempre a mio avviso, ha il suo futuro proprio nel superamento della Metafisica, proprio perché ogni affermazione non può essere dimostrata, e come afferma giustamente Nietzsche si tratta sempre di un tener per vero."


E' comunque una illusione quella degli altri settori, infatti ragionano ancora come altrattante metafisiche.
Tra cui quella Tecnica è la più minacciosa. (o forse dovrei dire era, anche se non ho capito bene quale sia la prossima minaccia.di certo avrà a che fare con i fantasmi schizofrenici piuttosto che paranoici).


Cit Garbino

" Se il pensare è lo stesso che essere ( verissimo ) e se l' essere (identificazione dell' atto del pensare con la sua entificazione, a mio avviso errata) scompare all' orizzonte del pensiero etc.....
In altre parole si è pensando ma non è affatto detto che l' atto del pensare sia attribuibile ad una entificazione dell' essere."

Non mi è chiaro perchè ritieni che il pensiero dell'essere coincida con la sua entificazione.

Comunque sarei d'accordo se fosse così. Il pensiero non è un ente.

Ma se per questo nemmeno L'Essere è un ente! Quello che Heidegger tentava di far capire era che l'oblio del pensiero sull'essere, che
poi nel caso umano, coincide con la domanda del nostro essere uomini, portava irremediabilmente non solo alla scomparsa del pensiero sull'origine, ma proprio, e qui stava l'urgenza, al Pensiero in sè.

Infatti la Tecnica argomenta secondo il fatto che il pensiero è un entità (non ha importanza se di catattere scientifico o psichiatrico). Ossia passibile di una sua Indagine, ossia di una sua tortura.(secondo i canoni dell'occidente).

Facendo così oltre a vagheggiare di supposti attributi della stesso Pensiero (cibernetica) ottiene (la Tecnica) cosa ben più importante la dimenticanza del pensiero, ossia secondo Heidegger di cosa sia l'uomo.

Se l'uomo non si chiede più chi è, rischia di credere di essere qualcosa che non è.

Nei tempi di matura schizofrenia attuale, il monito di Heidegger è giunto a compimento.

Insomma la questione dell'entizzazione (collegata al PNDC) è il problema pià grave a livello contemporaneo.

ciao a presto!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

maral

Citazione di: green demetr il 01 Settembre 2017, 09:15:40 AM
5- il PNDC è un atto regolativo (sono d'accordo se lo intendiamo come proiezione del fantasma di controllo, e cioè se il PNDC risulti essere una fissazione identitaria, sono altresì dubbioso che Severino lo intenda realmente così, infatti negli anni scorsi ricordo benissimo che anche per lui l'identitarietà risulta essere un fantasma per un principio dialettico che richiamava la lettera B, non ricordo il termine da lui usato, chiedo aiuto Maral....sennò un pò di pazienza)
Non so se ti riferisci a questo, ma certamente Severino ritiene il principio di non contraddizione arbitrario (non è giustificato se non da se stesso), ma, come dicevo a Garbino, ne rileva l'insormontabilità per poter dire e dare significato a qualsiasi cosa. Inoltre S. rileva la contraddizione nel principio di identità qualora venga formulato nel modo classico come A=A, per cui lo riformula nei termini di (A=A)=(A=A) intendendo l'eguaglianza in forma  perfettamente ciclica (eterno ritorno dell'identico su un piano logico?).
Per quanto riguarda Carrera (la sua critica a Severino, nonché le sue considerazioni in merito ad Heidegger e Nietsche) suggerisco anche a te, come già per Garbino, la lettura di questo testo che puoi scaricare in PDF gratuitamente da internet qui:
https://www.academia.edu/24047938/2007_-_La_consistenza_del_passato._Heidegger_Nietzsche_Severino
Dato che sei a Milano segnalo a te e a chiunque fosse interessato, la riapertura delle attività del gruppo  "Mechrì" (che ruota intorno a Sini e che presenta quest'anno un seminario di filosofia a mio avviso particolarmente interessante). Qui puoi leggere il programma completo con i costi di partecipazione: http://www.mechri.it/20172018/Mechri_Programma_2017-18_CORRETTO.pdf
L'incontro di presentazione è previsto (previo avviso di partecipazione) per il 23-9 alle 17,30 presso la sede milanese dell'associazione. Se ti interessa fammi sapere. :)

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

X Green Demetr.

Un saluto e un ben tornato. Mi sembra che la vacanza presso Aquila, se ho capito bene, ti ha rimesso veramente in forma. Nulla di più auspicabile.
Scusa il ritardo ma il compito che mi sono prefisso ( quello di parlare de La filosofia futura ) non è dei più facili dal punto di vista dell' impostazione, ma penso di aver raggiunto una scaletta che mi tornerà molto utile.
Per quanto riguarda la frase di Carrera, mi riferivo proprio all' uso indistinto del termine essere sia come infinito del verbo che come significato simbolico di carattere metafisico. Ma anche appunto alla determinazione scontata che dietro il pensare ci sia un essere. Per altro Aristotele lo usa come tutto a metà strada tra fisica e metafisica e inoltre lo si usa comunemente come predicato come ad esempio nella frase: Io sono un essere umano. E non credo che in Greco "essere" possa essere ritrovato in ogni caso con lo stesso termine. La confusione, a mio avviso, è profonda e è necessario fare molta attenzione al suo uso.

Per la sua lunghezza e complessità ritengo meglio a questo punto sorvolare sul contesto del saggio di Carrera. Ciò non toglie che potremo riprenderlo in seguito. Una cosa è certa: che la nostra conoscenza si è arricchita e non si può che ringraziare ancora una volta Maral, sempre molto attento a ciò che avviene in casa nostra. Per altro invidiando chi come lui potrà partecipare, anche attivamente penso, al seminario del gruppo che ruota intorno a Sini.

La filosofia futura ( Severino ).

La lettura dei primi capitoli mi ha lasciato molto perplesso. E a questo riguardo inquadrerò i vari argomenti prima separatamente e in seguito, se ci sarà bisogno, globalmente.
Il primo argomento riguarda la causa del Nichilismo moderno che secondo Severino è tutta sulle spalle della filosofia dei Greci. E la loro colpa sarebbe stata il tradimento dell' episteme in favore del fato ( in rapporto al divenire, ma lo affronteremo in seguito ). 
A tal proposito val la pena qui ricordare che secondo Nietzsche è il Cristianesimo la causa del Nichilismo e che proviene da Socrate e da Platone. Inoltre, fino a prova contraria, la filosofia Greca è nata proprio per il motivo opposto. E cioè per soppiantare il mito ( quello sì fatalistico ) con un episteme. E cioè con uno stare garantito da prove razionali basate sull' osservazione. Non credo di essere blasfemo nell' affermare che i filosofi che hanno avuto più influenza sul pensiero occidentale siano proprio Socrate, Platone ed Aristotele. E nessuno dei tre, sempre a mio avviso, avrebbe mai tradito l' episteme. Anzi possiamo affermare con Nietzsche, che in essi vi è il principio della razionalità ad ogni costo.

Ma allora, da dove avrebbe tratto Severino questa affermazione? A tal riguardo, ad esempio mi torna in mente la riflessione sul Gorgia di Maral "Nulla è". Riflessione che pone in evidenza che probabilmente Severino si rivolga più ai sofisti che ai tre grandi. Cosa questa che, come dicevo mi ha destato una notevole perplessità. Socrate non avrebbe mai tradito l' episteme, e Platone basa il Mondo delle Idee, come sappiamo, su prove di una certa attendibilità. Per non parlare poi di Aristotele per il quale il valore del sillogismo è alla base di qualsiasi conoscenza.
Per altro, proprio Aristotele ha affermato che " niente viene dal nulla e nulla vi torna ".

E ciò ci introduce nel secondo argomento che però rimando al prossimo post. Ritengo infatti doveroso riuscire ad affrontare questi argomenti ad uno ad uno per evitare qualsiasi tipo di confusione in merito. 

Ricapitolando: io ritengo che l' affermazione di Severino sia alquanto discutibile e poco sostenibile. E il motivo appunto è che non si può dare la colpa di qualcosa a filosofi che non hanno avuto una profonda influenza sul pensiero occidentale. Spero che ci sia qualcuno che possa illuminarci su questo argomento. E cioè se Severino in altra opera ne parli e fornisca le prove di quel che afferma. E sinceramente non mi scandalizzerei se non vi sia, proprio perché ho già affermato che è un genio sofista. A Severino non interessa, sempre a mio avviso, dimostrare ma convincere.

Ringrazio tutti per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta

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