Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Aperto da Garbino, 08 Aprile 2016, 20:16:34 PM

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Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

 Spero che Lady Joan Marie e filosofia 1 mi perdoneranno se sorvolo sui loro post. Prometto di rispondere nel prossimo intervento. E' necessario che concluda il trattamento del primo saggio.

Gli ultimi paragrafi del primo saggio sono feroci e la ferocia ha come soggetto principalmente l' uomo moderno. Un uomo che nasconde la sua debolezza confortandosi col credere che appunto è così per scelta, e non perché è fatto così e così, come aveva indicato Maral.
Una scelta di virtù, una scelta di essere agnello, buono, in contrapposizione al malvagio, al cattivo, che lo terrorizza e da cui si nasconde mimetizzandosi. Ma al tempo stesso i malvagi, i rapaci, penseranno tutt' altro e cioè che questi agnelli sono proprio buoni, e che amano i buoni agnelli.

In fondo tutto si basa appunto sulla possibilità di scelta del forte di farsi debole e del rapace di farsi agnello.
Ciò infatti dà il diritto al debole, all' agnello, di imputare al rapace, all' uccello da preda di essere uccello da preda.

Il brano più esauriente lo troviamo nel paragrafo 13:
Se, in preda all' astuzia assetata di vendetta, gli oppressi, gli offesi, gli afflitti dicono: " Fateci essere diversi dai malvagi, e cioè buoni! e buono è colui il quale non violenta, non ferisce nessuno, non attacca, non fa rappresaglie, rimette la vendetta a Dio che, come noi, si tiene nascosto, che evita ogni male,......", questo non significa, se lo si considera freddamente e senza prevenzioni, altro che: " Ecco, noi siamo proprio deboli, è bene che non si faccia niente per cui non si possegga forza bastante "; ..........

Ma perché il modo in cui si è sia e diventi una scelta, un' azione, un merito, è indispensabile, ma soprattutto una necessità per ogni debole, che esista un' essenza che possa scegliere. E' una necessità derivata dall' istinto di conservazione, di autoaffermazione, di cui ciascun individuo ha bisogno, e in cui ogni menzogna è solita santificarsi. E questa essenza è un errore secolare e porta il nome di anima. 

Dopo un brano di Tommaso D' Aquino ( per altro in latino ) con cui dimostra la sete di vendetta e il reissentment profondamente intriso nel Cattolicesimo di quel periodo, torna a a parlare dei due modi di essere: quello aristocratico e quello cristiano, e che il secondo abbia vinto è palese appunto nel constatare che a Roma e in metà del mondo si ci inginocchia davanti a quattro ebrei: Paolo, Pietro, Cristo e la Madonna. 

Nell' ultimo paragrafo infine si auspica che quello aristocratico ritrovi vigore, e che soprattutto ci si renda conto che è necessario far sì che lo ritrovi.

Nel prossimo post riprenderò l' argomento sul fare che ho voluto tenere da parte per diversi motivi.

Ringrazio per la cortese attenzione e a presto.

Garbino Vento di Tempesta.

maral

A margine dell'interessante riflessione su "Genealogia della morale" condotta da Garbino, ma sempre a proposito della rilevanza che per Nietzsche assume l'aspetto morale vorrei riportare il seguente aneddoto in cui mi sono imbattuto.
In procinto di rompere il suo rapporto con Lou Salomé che gli era un tempo apparsa come un "angelo della speranza e del coraggio", Nietzsche scrive a Ree, che ora vive con lei: "Io non ho morale", gli aveva detto la giovane russa e lui, Nietzsche, aveva "creduto che come me avesse una morale più rigida di chiunque altro!... invece lei mira solo a divertirsi e a passare il tempo, è una vera sciagura e io ne sono la vittima".
Credo che con questo l'immoralità di Nietzsche si presenti in tutta la sua forza morale, oserei dire ... ascetica nel suo modo di esercitarsi, ben diversa comunque dalla libera amoralità di Lou, assai più facilmente comprensibile nella concezione odierna.   

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

 Sto preparando il secondo saggio e sono talmente perplesso su come affrontarlo che il tempo mi sfugge via dalle dita con una velocità impressionante. Sono molto fiducioso però che nonostante la complessità dello stesso riuscirò a trovare il modo di riportarne fedelmente la mia interpretazione, che per altro è in continua evoluzione. Sinceramente mi sembrava di averlo inquadrato bene, ed invece ad ogni lettura rilevo qualcosa di nuovo che rende tutto più difficile.

Comunque per il momento torniamo alla scaletta prevista e, per prima cosa, devo ringraziare Maral per l' aneddoto su Nietzsche che non conoscevo, ma che conferma l' errore in cui molti incorrono cercando di inquadrare il superamento della morale in Nietzsche. Come Maral afferma infatti Nietzsche non intende che il no rivolto alle morali passate debba significare una amoralità volta al lassismo e al divertimento, ma una moralità maggiore di cui l' individuo diviene creatore e in cui si riconosce. E all' apice di tale processo c' è l' oltreuomo che, tornato bambino, crea nuovi valori grazie all' arte che finalmente può sviluppare essendosi liberato di ogni vincolo morale con il passato. E naturalmente l' uomo moderno ha preso il percorso inverso e cioè quello del lassismo e del degrado morale assoluto.

Per quanto riguarda la riflessione di Lady Joan Marie, posso tranquillamente affermare che più volte abbiamo affrontato l' argomento ravvisando l' abisso che separa Nietzsche e D' Annunzio. E l' argomento appena riportato lo conferma chiaramente. D' Annunzio è chiaramente un rappresentante di una moralità in disfacimento, tanto cara all' uomo moderno. E per molti versi purtroppo l' inevitabile destino e la sua fatale disgrazia.

A filosofia 1 rispondo che anche se non ho capito molto bene cosa lui intenda, il mio intento è uno studio su Genealogia della morale. La percezione della verità su base storica di ciò che l' uomo percepisce come tale in un' analisi intima ed interiorizzata potrebbe essere l' argomento di un altro post. Oppure un argomento da riprendere più tardi con una chiarezza ed estensione che non lasci scampo a dubbi o incomprensioni.

Il fare. O il far fare. Questo argomento del primo saggio ( nel par. 13 e che serve a Nietzsche per convalidare qualcosa che abbiamo già affrontato ) l' ho lasciato per ultimo per due motivi. Il primo è che a livello linguistico proprio non saprei come affrontarlo. Il secondo è che su base logica questo è stato forse il pensiero di Nietzsche che ho accettato immediatamente e senza remore. E questo perché fin dalle medie inferiori ho sempre provato perplessità per il modo in cui le scienze arrivavano a conclusioni strane, proprio per come afferma Nietzsche, in modo che per me è stato illuminante, pensando che dietro il fare ci sia sempre un sostrato che possa decidere se agire o no. Ma se ciò è già molto complicato ipotizzarlo per l' uomo, per quanto riguarda tutto il resto ( natura, atomi, forze etc...) si tinge addirittura di assurdo. 

Come ho già detto altrove, il filosofo del futuro dovrà necessariamente confrontarsi con tale problema e cercare di risolverlo. Altra strada non c' è, se si soffre e si vive per la conoscenza.

Al prossimo post e grazie per l' attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.

green demetr

Gli ultimi post non mi hanno molto soddisfatto.

Capisco che la complessità, che un autore come Nietzche possa portare, crei scompiglio nell'agenda.(sopratutto di uno studente)
Ma tant'è siamo qua e cerchiamo di approfondire almeno qualcosina. Per conto mio: tutto.

L'estate non è stata full immersion Nietzche, ahimè. Ma già quei pochi giorni di rilettura mi hanno fatto capire che le cose andranno per le lunghe.

Anzitutto sgriderei subito gli interventi di Lady Joan Marie e di filosofia1 che denotano una profonda benchè capibile ignoranza della questione Nicciana.
No D'Annunzio ha completamente frainteso Nietzche, il suo super-eroismo è proprio un altra cosa, anche se di certo anche quello di D'Annunzio è estremamente difficile da intendere. Ma il concetto di Natura in Nietzche, se mai esiste, sarebbe tutta altra cosa, cosa impensabile per il pan-naturalismo dannunziano (dove la natura è il metafisico).
Anche il concetto di verità paveggiato da filosofia1, è sbagliato, ma qui andiamo sul grave, infatti la questione del nuovo utente sarebbe all'esatto opposto di quello che è l'interesse, il centro gravitazionale nicciano: ossia la negazione del concetto di verità. (che automaticamente se svolto bene porterebbe ad una filosofia metafisica, e Nietzche di certo è un anti-metafisico radicale).


Torno da Garbino: non mi è chiaro se effettivamente Nietzche leghi ebraismo e cristianesimo come un Unicum.
Perchè ricordo assai bene, che il tema del pensiero giudaico e quello cristiano in UTU siano sviluppati in maniera separata.

Il tema della scelta di chi vogliamo essere, voglio ricordare però, non è una scelta politica.

Purtroppo questo è un errore grave a cui tanti seguaci del pensiero nicciano cadono. Pensiero aristrocratico romano e poi fascista (perchè tale gente spesso è fascista) non sono i valori a cui Nietzche si richiama.
E' vero che li usa come termine di paragone, ma ad una attenta lettura, almeno negli aforismi di UTU, sono spesso legati a ferocia sardonica contro il cristianesimo, che ovviamente è il nemico numero uno sulla lista. (tra l'altro il primo non significa l'unico o il più importante).
Quindi sebbene Nietzche preferisca il paganesimo antico (greci inclusi) lo fa solo in nome di una supposta vicinità di quel pensiero con quello che  per Nietzche è il primo passo verso una liberazione da quella che per lui è una specie di trance ipnotica in cui l'occidente è invischiato da 2000 annni. Beh all'epoca erano solo 1900....
Ma quello amici miei è solo un presupposto, un assecondare i tempi sperando nel trionfo della politica prussiana.
Come lui dice, e qui è il passo fondamentale di questa estate a cui sono giunto (enorme passo per quel che mi riguarda):
UNA FALSITA' CONSAPEVOLE.

Questa questione ovviamente richiede un ripensamento generale. (l'ennesimo, ma è di qui che nasce la difficoltà ermeneutica a cui siamo obbligati, se vogliamo raggiungere i suoi abissi, a dare risposte).

Per tornare  a bomba con Garbino, dunque la capacità di poter decidere cosa siamo, in realtà, per Nietzche è da leggere esattamente nel suo senso più generale, ossia noi possiamo essere QUALUNQUE COSA noi decidiamo di essere (questo sì a livello politico, dove il politico è appunto il decidere di volta in volta qualsiasi cosa noi si faccia, persino spostare un cuscino per banale che sia).

Con la Lou Salomè il discorso nietzchiano è stato preso in consegna dal discorso del fantasma materno.
Questione che è ardua da intraprendere qui.
Ne prendo come consegna il risultato: ossia un fraintendimento, laddove per la Lou Salomè la rivolta era contro la vita borghese. per Nietzche era contro tutto. Politica vs Filosofia semplicemente.

Con l'appunto che per Nietzche non è nemmeno una rivolta, non lo è affatto, come non lo sarebbe d'altronde contro il cristianesimo.

L'appunto continuerebbe con la necessità di dover constatare che esiste una psicologia, una tecnica del fantasma (uso termini lacaniani), che è in seno sia al giudaismo che al cristianesimo. Non è mai stato un attacco alla Cultura dell'ebraismo e del cristianesimo.

Questa tecnica consegna il carattere ossessivo del nostro tempo: la ricerca della verità fuori dall'agire, o meglio dal farsi agire (se no, non spiegheremmo l'eterno ritorno) nel Mondo e non fuori dal Mondo (termine Heidegeriano) (prerogativa di ogni metafisica, compresa la scienza).

In termini matematici la consegna di nietzche è che S (discorso) è sempre non S. (ossia all'interno del discorso A ve ne è un altro B).
A conferma che Hegel è dietro l'angolo.

Capisco di aver aperto una marea di domande, che d'altronde sono le mie stesse.

Per questo diffido di questa prima esposizione dell'ottimo garbino, che almeno sta sul testo e non racconta rapsodicamente.
Insomma possibile che l'esposizione sia così piana (per quanto difficile per un pubblico incolto)? Possibile che Nietzche non dia indizi sul discorso all'interno del discorso? A te la risposta Garbino.

D'altronde la parte finale quella dell'asceta, la attendo con impazienza. ( e temo che non riusciremo a intenderla fino in fondo, presumo almeno sfiorarne la superficie).

Anche per stimolare qualche domanda scomoda a me viene in mente la questione del "silenzio di Nietzche" : come vi spiegate i 10 anni di silenzio di Nietzche? Che abbia a che fare con le considerazioni che sono all'interno di quella sezione?
(in UTU non ricordo traccia sul pensiero ascetico, non a fondo almeno, lo sto rileggendo comunque).

« Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l'abisso vorrà guardare dentro di te. »
Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, traduzione di Ferruccio Masini, Adelphi, 1977 (146; 2007)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Una premessa a posteriori che ritengo necessaria, sono talmente concentrato sul secondo saggio che ho serie difficoltà a concentrarmi su altro. Mi scuso inoltre sempre per lo stesso motivo con Green Demetr, a cui rinnovo la mia stima, se dovesse riscontrare una certa durezza di esposizione.

 Ringrazio Green Demetr sia per le critiche espresse nel suo post sia per avermi detto, inconsapevolmente ed implicitamente, che stavo seguendo la strada che mi ero prefisso. E cioè una lettura e studio che non si discostasse da ciò che Nietzsche ha espresso nell' opera.

Al tempo stesso però mi è anche sorto il dubbio che non fossi stato sufficientemente chiaro e perciò cercherò di rispondere alle domande in modo che non ci possano essere dubbi su quanto da me esposto.

Probabilmente è vero che Nietzsche in UTU affronta i rapporti tra il popolo ebraico e il Cristianesimo in modo separato, ma in Genealogia della morale afferma chiaramente che Il Cristianesimo è scaturito dall' odio che gli Ebrei nutrivano per Roma. Una vendetta geniale, la figura di Cristo come massima seduzione nei cui confronti persino Roma poteva soccombere. 

Questo è ciò che Nietzsche afferma: prendere o lasciare. E comunque nulla a che fare con la cultura. 

Il decidere: è ovvio che nessuno decide nulla, e che ognuno è quel che è. Ma quello che afferma Nietzsche è che mentre il modo aristocratico di vivere scaturisce dalla forza, quello Cristiano scaturisce da una debolezza che ritiene di essere forza. Un debole cioè che ritiene di scegliere di essere buono perché è forte e che invece è buono proprio perché debole.

Anche l' aspetto politico, qui non vi entra affatto e mi si salvi dalla demagogia del fascismo di richiamarsi alla Roma Antica. Qui si parla dell' uomo e del modo in cui è e che invece dovrebbe essere. Quello che afferma Nietzsche è che la debolezza è sintomo di malattia, e che se non vi sono mutazioni l' uomo perderà l' accesso al futuro.


Mi sono poco chiari gli aspetti logici, che sinceramente mi sembrano erronei ed estranei a Nietzsche, e la falsità consapevole. Su questi argomenti vorrei un chiarimento ( anche via mail ) per poter esprimere un' opinione. Spero solo che non si voglia ipotizzare che Nietzsche abbia voluto affermare il falso consapevolmente. L' unica cosa che conta per me è il testo. Ciò che Nietzsche ha scritto.  

Sui dieci anni di silenzio, che ritengo essere gli ultimi della sua vita, l' ipotesi più probabile, sempre a mio avviso, è che dopo L' Anticristo Nietzsche abbia superato la soglia della follia e che non abbia più fatto ritorno. 

Ognuno ha il suo abisso e deve imparare a gestirlo e a conviverci, se non vuole esserne risucchiato.

Spero che Green Demetr sia soddisfatto di questo chiarimento. Altrimenti siamo sempre qui.

Ringrazio per la cortese attenzione e vi rimando al prossimo post.

Garbino Vento di Tempesta.

maral

Forse chiunque si incammini verso l'abisso trova un punto di non ritorno e Nietzsche è questo punto che ha trovato. Oltre quel punto la parola non può che tacere e il pensiero cessare, perché parola e pensiero non paiono allora che una patetica danza sull'orlo di un assoluto che non li ammette. Proprio la follia muta di Nietzsche negli ultimi anni della sua vita può allora essere considerata l'ultima parola della sua filosofia.
Citazione...quello che afferma Nietzsche è che mentre il modo aristocratico di vivere scaturisce dalla forza, quello Cristiano scaturisce da una debolezza che ritiene di essere forza. Un debole cioè che ritiene di scegliere di essere buono perché è forte e che invece è buono proprio perché debole.
Eppure qui sento riaffiorare la contraddizione, perché se il debole, il malato mancante di forza vitale, il cristiano o l'ebreo, si impone con la sua morale insalubre sull'aristocratico, sul pieno di salute, sul forte e sulla sua potente morale vitale, significa che in quel debole la volontà di potenza è più forte, che l'asceta che fa marcire il proprio corpo per la salvezza nell'altro mondo incarna meglio la volontà di potenza. Il punto della contraddizione è forse vedere la volontà di potenza come prodotto individuale e al contempo pretenderla assoluta, mentre se è assoluta essa non può avere riguardo per alcun individuo, cristiano o aristocratico che sia, poiché entrambi non ne sono che lo strumento con cui il suo assoluto si realizza e l'unica scelta concesso all'individuo è quello di volerne essere fino in fondo consapevole strumento piuttosto che esserne strumento senza sapere di esserlo comunque. Credo che alla fine proprio questo intuì Nietzsche con l'Eterno Ritorno, e oltre questo non restava che l'abisso e il silenzio.
https://www.youtube.com/watch?v=FYtArM4HWXE


green demetr

x garbino

Garbino sì, evidentemente Nietzsche intende benissimo la questione del fatto che la nostra è una cultura giudaico-romana, come autori misconosciuti ma di primo ordine nel panorama filosofico contemporaneo scrivono e trattano.

Sì capisco le tue riserve sulla questione logica. D'altronde a me sono costate un lungo lavorio di senso: come afferma omissis nell'altro thread la questione della meta-relativizzazione, deve essere sempre tenuta conto. E così se la questione del giudaismo e del cristianesimo viene considerata nei suoi momenti di ibernazione del pensiero, questo è valido però anche per le sue stesse teorie, che devono essere messe in discussione dallo stesso principio.
A mio parere la questione della guerra (forza) fa tutt'uno con questa unica necessità che Nietzche tenta di illustrare, appunto la lotta al soggetto stesso e alle sue forme di cristallizzazione (debolezza).

I suoi lavori sono dunque un aiuto indispensabile per intaccare le fondamenta delle strutture dell'io, che noi da bravi cattolici, intendiamo storicamente dettate di senso progressivo, e che invece per Nietzche sono abitate da una forza cieca che sempre chiede una propria interpretazione interna.

Sulla questione del silenzio e del perchè possa essere un problema: come ben sappiamo dal lavoro di Janz, la pazzia di Nietzche fu diagnosticata come una rara forma ereditaria di sifilide, che rende il sistema nervoso progressivamente incapace di reazione, di modo che il colasso che ebbe a Torino fu solo uno dei sintomi più famosi.
Ma effettivamente quando leggiamo i cosidetti foglietti della follia, noi possiamo ancora trovare la stessa lucidità e potenza di un pensiero senza eguali, laddove ovviamente passiamo oltre gli improperi, frutto della malattia. Si suppone dunque che Nietzche abbia di proposito smesso di scrivere. La questione è se egli fosse consapevole del sostanziale rischio di totale incomunicabilità del suo lavoro, o se invece, azzarda qualcuno, non sia stato il suo ultimo tentativo di resistenza silenziosa e guerresca alla necessità che egli andava affrontando. Quindi una resistenza di totale ascetismo, mi è venuto da pensare, io che ho un background inzuppo del pensiero orientale, ovviamente solo una fascinazione, non c'è nulla di intellettualmente rilevante che noi possiamo concretamente seguire.

x maral

Certamente la volontà di potenza non guarda in faccia nessuno, però bisogna ricordare che lo sforzo nietzchiano è quello sotteso di far della propria vita un capolavoro, come direbbe un Carmelo Bene. Siamo nello stessa orbita di Severino in fin dei conti, laddove parla della durezza di fondo della natura, che inutilmente l'uomo tenta di trasformare. Non so nel caso di Severino, ma in Nietzche questo scontro violento si risolve in un sguardo sull'abisso interiore, su ciò che emerge a contatto con la necessità. Ma se non vi è scontro l'uomo rinuncia a se stesso, nè più o meno del conosci te stesso della tradizione (tardo)greco-alessandrina, rivoluzionato nel suo significato, da metafisico ad antimetafisico.
Questo Significa inanzitutto uscire dalla morale (la guerra), e quale morale incatena così potentemente, se non  il cristianesimo, che dunque suo malgrado, si rivela la più potente Macchina Incantatoria? Potente certo ma incantatoria.
Per quanto riguarda il silenzio, mi sembra che anche tu ragioni in quei termini forse azzardati sopradetti, ma per nulla fuori strada come traccia.

Il tema dell'ascetismo aspettiamo Garbino che ne parli. Francamente non avendone ancora mai ragionato non saprei dire.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Un animale che possa fare delle promesse: non è questo il compito paradossale che la natura si è assunto e al tempo stesso il reale problema dell' uomo? 
Questo l' intrigante inizio del secondo saggio di Genealogia della morale: ' Colpa ', ' Cattiva coscienza ' e simili.
Un saggio che mi ha impegnato più del previsto perché molto più organico e complesso di quello che mi era apparso nelle prime due letture. Ma lasciamo parlare Nietzsche.

Un compito i cui risultati raggiunti stupiscono ancor di più se si valuta la grande forza avversa rappresentata dal dimenticare. Il dimenticare che non solo non fa giungere alla nostra coscienza molto di ciò che assorbiamo intellettualmente, ma che rappresenta un autentico guardaportone, tanto che nessuna felicità, presente, serenità è possibile senza smemoratezza. Eppure l' uomo attraverso l' educazione si è costruito la memoria, una facoltà che sospendendo il dimenticare possa permettergli di fare delle promesse.
Ma ciò significa che tra io voglio, io farò e l' atto stesso ha frapposto una serie di alterazioni che non permettano di far saltare questa lunga catena del volere. Un uomo perciò prevedibile, per la propria rappresentazione, per potersi fare garante come futuro, come chi fa chi promette.

Tutto ciò è stato reso possibile in millenni di eticità dei costumi, a prescindere da quanta durezza ed idiotismo abbia comportato. Il risultato finale è l' uomo che, liberatosi della catena dei costumi, è divenuto sovrano di sé stesso, libero e sovramorale ( non sovramortale come trovo nel mio testo ) e che può farsi garante del futuro ( probabilmente qui allude all' anticamera dell' oltreuomo ). E questo uomo sovrano, come chiamerà questa libertà rara, penetrata fin nel suo inconscio fin a farsi istinto? Non c' è dubbio che la chiamerà 'coscienza'.

Il termine coscienza che qui troviamo nel suo senso più alto e compiuto è però un frutto tardo. Per molto tempo acerbo e per un periodo ancora più lungo ancora da nascere. Ma perché questo ' oblio vivente ' potesse essere distratto dalla sua smemoratezza sono occorsi metodi durissimi. Si marchia con il fuoco per evitare il dimenticare, soltanto ciò che non cessa di far male, rimane nella memoria.
Sangue, torture, sacrifici ( tra cui quello del primogenito ), atroci mutilazioni ( castrazioni ), le crudeli ritualità di tutti i culti religiosi ( ogni religione è un sistema di crudeltà ), sono stati necessari a questo scopo.
Anche l' ascetismo non è che questo: una forma di crudeltà. Un paio di idee devono essere rese indelebili e onnipresenti e tutto il rituale che ne consegue è il modo in cui queste idee divengono indimenticabili.

La durezza della legislazione penale, un po' dappertutto, è la testimonianza di quanto sia stato difficile a che cinque o sei non voglio venissero marchiati in profondità in questo animale vittima delle sue passioni e desideri. Esigenze sociali da un lato e possibilità di vivere nei vantaggi della società dall' altro. E grazie a questa specie di memoria si è arrivati alla ragione. Questo accessorio di lusso che ha una scia di sangue e di orrore inenarrabile.

Rimane però il problema di come sia nata la coscienza della colpa, la cattiva coscienza.
Naturalmente i nostri genealogisti della morale sbagliano su tutto, non valgono nulla. Non hanno la capacità, l' intuito e l' istinto storico, come una seconda vista, per poter determinare una qualsiasi possibilità d' accesso ad una verosimiglianza con ciò che è accaduto. 
La colpa, sempre secondo Nietzsche, ha l' origine nel concetto di debito e in origine la giustizia non si basava sul concetto che il delinquente dovesse essere punito perché avrebbe potuto agire diversamente; questa è una forma tarda e raffinata del giudicare e dedurre. Ma si puniva come spesso ancora oggi i genitori puniscono i propri figli, sotto l' impulso della collera per il danno subito. Il dolore del colpevole che compensava il danno subito. E questa equivalenza trae la sua origine proprio dal rapporto contrattuale tra debitore e creditore.

Per rendere credibile la sua promessa, il debitore offriva in pegno qualcosa che possedeva, la sua donna, la libertà, il proprio corpo e persino la vita. Ma anche la sua beatitudine, o come in Egitto persino la sua pace dopo la morte. Infatti neanche dopo la morte il debitore trovava pace dal creditore. Ma proprio nei confronti del corpo del debitore il creditore poteva usare ogni genere di offesa a saldo del debito. Per altro sono noti i dettagli di taluni parametri valutativi per le singole parti del corpo a compensazione di un debito non riscattato. E' già un bel passo avanti il diritto romano che stabiliva l' indifferenza di ciò che dovesse essere asportato per compensare il danno subito.

Ma ciò che comunque traspare è la compensazione del danno che non potendo avvenire con un risarcimento in denaro avveniva attraverso la possibilità di poter dare libero sfogo alla violenza nei confronti di un altro essere umano. Il piacere di fare del male per il piacere di farlo.E nel caso in cui la pena fosse già stata affidata all' autorità, di vederlo disprezzato e maltrattato. Perciò in un mandato o in un diritto alla crudeltà.

Ringrazio Green Demetr e Maral per gli interventi. La lettura di questo post penso che possa giustificare il ritardo nelle risposte. Grazie per la cortese attenzione. Alla prossima.

Garbino Vento di Tempesta.

green demetr

#23
Il buon Federico aveva una cultura pazzesca, basta leggere i titoli della sua biblioteca. (molti libri sull'egitto oltre che sull'india).

La ragione come frutto delle atrocità.

Il tema della giustizia come sistema creditizio come mimesi delle atrocità. (risposta di altre atrocità).

Dunque l'ascetismo non è un tema come mi aspettavo di interesse religioso, piuttosto è visto come diritto positivo, come sistema mimetico per infliggere atrocità.
E visto come l'ho vissuto sulla mia pelle (in maniera molto soft si intende) quanto ha ragione il filosofo di Röcken!!!
Tra l'altro il carattere di auto-inflizione del dolore è il massimo che l'arte sadica possa aspirare di ottenere, e che ha ottenuto.

In effetti ogni cristiano è sempre un pò masochista (essendo nel "discorso paranoico" ma questo è un altro "discorso" appunto  ;) ).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Certo queste sono solo supposizioni, anche perché è molto difficile e increscioso addentrarsi in tali argomenti. Inoltre per l' uomo moderno ( cioè noi ) è quasi impossibile ammettere che la cattiveria disinteressata ( sympathia malevolens di Spinoza ) sia qualcosa a cui in passato la coscienza abbia detto sì con tutto il cuore. Tanto che si potrebbe affermare che la crudeltà costituisca la più grande gioia festiva dell' umanità più antica e che sia mescolata a quasi tutte le sue gioie. Ma anche che la sua crescente spiritualizzazione e divinizzazione costituisca e attraversi la storia della civiltà superiore.

Se ci voltiamo indietro d' altronde non è passato molto tempo da quando non era possibile pensare a matrimoni e feste principesche senza esecuzioni capitali e i contemporanei di Cervantes leggevano a cuor leggero Don Chisciotte quando invece noi lo leggiamo con l' amaro in bocca. Veder soffrire fa bene e far soffrire fa ancora meglio, questa è una massima dura ma anche fondamentale, potente, antica. Senza crudeltà non c' è festa ed anche nella pena c' è molto di festivo.

E' necessario però anche affermare che allora la vita era molto più serena. Che i problemi sono cominciati proprio con la vergogna dell' uomo di fronte all' uomo. E che il gelido no alla vita ha preso piede proprio quando l' uomo ha imparato a vergognarsi dei propri istinti. 

Oggi che il dolore fa più male, lo ritroviamo associato ad appellativi che non risveglino nelle coscienze alcun sospetto. La compassione tragica e la nostalgia della croce rientrano tra questi. Ma ciò che indigna non è il dolore, ma la sua mancanza di senso. Mentre per gli antichi tutto era palese, e quando si ritrovarono di fronte a dolori nascosti si ingegnarono ad inventare divinità e spiriti a cui nulla poteva essere nascosto. In questo modo perfezionarono l' arte di giustificare il male. " Ogni male è giustificato, il cui spettacolo serva ad edificazione di un Dio ". Ma non solo, gli dei erano intesi come appassionati di spettacoli crudeli. Basti pensare a Omero che diede un senso alle guerre troiane ed altri orrori palesandoli come spettacoli di festa per gli dei.

Il baratto portò l' uomo a valutare, a diventare l' essere valutante in sé. E la sua vita ne fu permeata. Anche la giustizia. E mentre ad un primo livello il delinquente è colui che non solo viola un patto e non ripaga i vantaggi di cui ha beneficiato, ma anche colui che arriva a vie di fatto con il suo creditore ( la collettività ) e perciò ne viene respinto e trattato come fuorilegge, con il crescere della potenza la comunità incomincia a comportarsi diversamente. Tende cioè ad allontanare il delinquente dalla collera generale e ad isolarlo per quanto possibile dalla sua azione. Tendenza che bisogna ritenere sempre reversibile in caso di indebolimento e pericolo per la comunità stessa. Mentre la massima forza è l' auto annullamento della giustizia, che è una prerogativa del più potente e prende il nome di grazia.

Ai tentativi di cercare l' origine della giustizia sul terreno del reissentment ( Duhring ), Nietzsche contrappone la tesi che l' ultimo terreno conquistato dallo spirito della giustizia è quello del sentimento reattivo. Ma che in origine furono le forze attive che impegnarono una parte della potenza ed originarono la giustizia, proprio per allontanare il pathos del sentimento reattivo all' interno della comunità. E non è un caso che le stesse forze, non appena possono istituiscono le leggi. Ciò che dal loro punto di vista è giusto e ingiusto. Lecito e vietato. Ciò, come si è detto in precedenza, tende ad isolare il malvivente dalla sua azione e ad allontanare quanto possibile lo stesso dal sentimento reattivo.

L' istituzione della legge dà origine al diritto e al torto, sempre criticando Duhring che afferma che l' origine si ha nell' atto lesivo. Ma anche che gli stati di diritto devono essere pensati come transitori, come periodi in cui possano generarsi unità di potenza più grandi. " Un ordinamento giuridico ( fine del par 11 ) pensato come sovrano e generale, non come mezzo nella lotta tra complessi di potenza, ma come mezzo contro ogni lotta in genere,......., sarebbe  un principio ostile alla vita, ....., un attentato al futuro dell' uomo, un segno di stanchezza, un cammino tortuoso verso il nulla. " 

Ringrazio per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta

green demetr

Ma perchè deve essere increscioso, se lo vediamo applicato alla realtà di tutti i giorni?

Rimanendo nelle angustie della cronaca, il dramma dei migrati cosa dovrebbe sottolineare???

La cattiveria umana non ha limiti, e la dico "cattiveria" solo perchè sono intriso di cattolcesimo anch'io.

In realtà il potere che vuole accentrarsi (quello americano) sta creando una tale centrifugazione del potere corollario (contropotere), che è difficile solo anche provare a fare dei distinguo su scala mondiale.

D'altronde la carta dei principi unesco va a braccetto con le missioni di pace, armate e chiaramente politiche.

Si tratta a mio parere di saper leggere questo continuo bagno di sangue, sempre nel nome del buon Dio, a cui nessun presidente USA si è mai sottratto.

La visione di Nietzche è probabilmente un unicum nella storia del pensiero, altri nomi non mi vengono in mente, forse un Focault, ma non ne sono così sicuro.
Vedere con coraggio l'Ombra, e rispondere con la forza di un analisi che ha dell'irreale per profondità e acume.
Altri personaggi hanno provato a guardare in faccia l'Ombra, primo fa tutti, Jung che l'ha teorizzata, ma non aveva sufficienti forze intellettuali per rispondere ad un simile strazio.
Il balbettio patetico che esprime a proposito dello Zarathustra, basterebbe a squalificarlo, ma se non bastasse, l'incredibile crollo su se stesso nel discoroso paranoico alchemico starebbe lì a sottolinearlo.

Amico Garbino, di increscioso c'è solo che nessuno è all'altezza di Nietzche.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Garbino

Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Prima di continuare la trattazione del secondo saggio volevo scusarmi con Green Demetr e tutti coloro che hanno pensato che il termine 'increscioso' fosse di mia coniatura. Ma è lo stesso Nietzsche che, continuando nel solito schema già delineato precedentemente, lo usa come esca per predisporre il lettore alle 'verità' molte scomode che seguono e che riguardano la crudeltà. Di mio nel precedente post c' è soltanto ciò che è tra parentesi. A tutti buona lettura.

A questo punto è bene prendere in considerazione due aspetti nei cui confronti i genealogisti della morale si comportano sempre allo stesso modo e cioè sbagliando inopinatamente.  E questi aspetti sono l' origine e lo scopo della pena. Infatti loro ravvedono uno scopo nella pena e lo pongono all' origine, senza minimamente pensare al fatto che lo scopo ultimo o individuato  in qualsiasi processo storico ha poco o addirittura niente a che fare con l' origine stessa del processo. 

Uno degli errori più grandi che si commettono nell' identificare un processo è condensabile nella frase:  la mano è stata fatta per prendere e l' occhio per vedere. 
Mentre qualsiasi processo è un continuo svolgersi di sopraffazioni di un' entità più potente su una più debole, che ne sequestra gli aspetti e li reinterpreta a suo piacimento. Ciò significa, allo stesso tempo, che qualsiasi processo non segue automaticamente una logica né ha un fine ben preciso, ma soltanto una serie di sopraffazioni che si susseguono casualmente e che possono determinare persino un regresso, come nel caso di controazioni riuscite.

Questa teoria ha contro tutto e tutti. Oggi che il misarchismo ha ottenebrato le menti e ha preso il possesso della storia e della scienza. La vita stessa (Herbert Spencer) è stata definita come un adattamento interno sempre più finalizzato a fatti esterni. Ma in questo modo si tralascia il fatto determinante di qualsiasi processo e cioè quello svolto dalle forze attive che determinano un cambiamento ( anch' esso casuale ) e a cui solo in un secondo tempo segue l' adattamento.

Tornando alla pena perciò, seguendo tale teoria, in essa vanno distinti due aspetti: la forma e lo scopo. La forma è duratura, mentre lo scopo è fluido. Ed in base alla stessa teoria la forma o procedura sarà più antica della pena, era cioè preesistente alla stessa, e ad essa è stata adattata. Tutto all' opposto di ciò che si pensa attualmente e cioè che la procedura sia stata inventata appositamente per la pena.
In altre parole: E' DEFINIBILE SOLTANTO CIO' CHE NON HA STORIA. Non è un caso infatti che le utilità della pena siano talmente tante e varie che estrapolarne una sia veramente difficile anzi impossibile.

La fede popolare però è stata sempre indirizzata verso un aspetto particolare e cioè quello di risvegliare nel colpevole il sentimento di colpa. Nulla di più sbagliato. Non è certo nelle prigioni in cui si può trovare il rimorso o senso di colpa. Come del resto tutti i ricercatori seri convergono, anche se a malincuore. Anzi per molti versi è proprio la pena che arresta nel detenuto l' insorgere di qualsiasi sentimento di rimorso o cattiva coscienza proprio perché gli stessi crimini vengono commessi con buona coscienza dal potere che lo ha condannato. 

Vale la pena di prendere in considerazione ciò che afferma Spinoza, lui che aveva inveito contro i bestemmiatori che avevano relegato Dio agli effetti del destino destinandolo appunto ad agire soltanto ' sub ratione boni'. Spinoza cosa afferma sul morsus coscientiae? L' opposto del gaudium: 'una tristezza accompagnata dalla rappresentazione di un evento passato che si è compiuto  in modo contrario ad ogni aspettativa'. Tutt' altra cosa cioè di un 'Non avrei dovuto farlo'. E questo è appunto il modo in cui quasi ogni criminale interpreta la pena. Come un qualcosa che gli cade addosso all' improvviso e contro cui non è possibile lottare. L' effetto della pena è un acuirsi della paura e dell' intelligenza. Addomestica l' uomo, ma non lo migliora, anzi lo rende anche più cattivo.

La mia teoria è che la cattiva coscienza sia stato l' esito della più grande mutazione avvenuta nel corso della storia dell' uomo. E questa mutazione prende il nome di stato. Una qualsiasi organizzazione che costringe l' uomo a non poter dar più sfogo ai suoi istinti, alla sua libertà nell' agire ( volontà di potenza ). Tutti gli istinti che non si scaricano all' esterno però si scaricano all' interno. Questo è il processo che io chiamo ' interiorizzazione dell' uomo '. Questo è il processo da cui in seguito scaturirà l' anima. Una volta sottile e poi divenuta sempre più grande sotto la spinta dell' interiorizzazione della crudeltà fino a farsi immensa. La crudeltà, il piacere della persecuzione etc., una volta interiorizzati, in questo uomo rinchiuso nella sua gabbia, da cui vorrebbe uscire ma da cui non può, sono l' origine della cattiva coscienza.

Ma è anche ipotizzabile che - ' un' anima volontariamente divisa in sé stessa, che si procura dolore per il piacere di dare dolore, tutta questa cattiva coscienza' attiva, infine come un autentico grembo materno di avvenimenti ideali ed immaginari, ha partorito anche una quantità di nuove sorprendenti bellezze e affermazioni'- tra cui il concetto di bellezza. E soprattutto che questo processo scioglie anche l' enigma di come concetti contraddittori tipo altruismo, abnegazione, autosacrificio possano esprimere un ideale, una bellezza. Crudeltà, la natura  del piacere che prova l' altruista, chi nega e sacrifica sé stesso non è nient' altro che crudeltà. Soltanto la cattiva coscienza, , soltanto la volontà di maltrattare sé stessi costituisce il presupposto per il valore del non-egoistico.

A questo punto vorrei fare una considerazione. Sia questa parte che la successiva sono di una genialità, di una profondità e di una veridicità senza pari. Al di là del fatto se poi Nietzsche abbia ragione o no. Certo di qua e di là si può smussare qualche angolo. Qualche interpretazione può essere messa in discussione, ma l' aspetto filosofico e tutto ciò che concerne gli errori di un certo modo di pensare sono palesi. Errori che ci sono stati trasmessi e da cui ancora siamo tutti profondamente e incolpevolmente condizionati.
Incolpevolmente finché non siamo giunti al cospetto dell' opera di Nietzsche.

Grazie per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.

paul11

Citazione di: Garbino il 20 Dicembre 2016, 14:47:20 PM
Nietzsche: l' uomo e il suo diritto al futuro.

Prima di continuare la trattazione del secondo saggio volevo scusarmi con Green Demetr e tutti coloro che hanno pensato che il termine 'increscioso' fosse di mia coniatura. Ma è lo stesso Nietzsche che, continuando nel solito schema già delineato precedentemente, lo usa come esca per predisporre il lettore alle 'verità' molte scomode che seguono e che riguardano la crudeltà. Di mio nel precedente post c' è soltanto ciò che è tra parentesi. A tutti buona lettura.

A questo punto è bene prendere in considerazione due aspetti nei cui confronti i genealogisti della morale si comportano sempre allo stesso modo e cioè sbagliando inopinatamente.  E questi aspetti sono l' origine e lo scopo della pena. Infatti loro ravvedono uno scopo nella pena e lo pongono all' origine, senza minimamente pensare al fatto che lo scopo ultimo o individuato  in qualsiasi processo storico ha poco o addirittura niente a che fare con l' origine stessa del processo.

Uno degli errori più grandi che si commettono nell' identificare un processo è condensabile nella frase:  la mano è stata fatta per prendere e l' occhio per vedere.
Mentre qualsiasi processo è un continuo svolgersi di sopraffazioni di un' entità più potente su una più debole, che ne sequestra gli aspetti e li reinterpreta a suo piacimento. Ciò significa, allo stesso tempo, che qualsiasi processo non segue automaticamente una logica né ha un fine ben preciso, ma soltanto una serie di sopraffazioni che si susseguono casualmente e che possono determinare persino un regresso, come nel caso di controazioni riuscite.

Questa teoria ha contro tutto e tutti. Oggi che il misarchismo ha ottenebrato le menti e ha preso il possesso della storia e della scienza. La vita stessa (Herbert Spencer) è stata definita come un adattamento interno sempre più finalizzato a fatti esterni. Ma in questo modo si tralascia il fatto determinante di qualsiasi processo e cioè quello svolto dalle forze attive che determinano un cambiamento ( anch' esso casuale ) e a cui solo in un secondo tempo segue l' adattamento.

Tornando alla pena perciò, seguendo tale teoria, in essa vanno distinti due aspetti: la forma e lo scopo. La forma è duratura, mentre lo scopo è fluido. Ed in base alla stessa teoria la forma o procedura sarà più antica della pena, era cioè preesistente alla stessa, e ad essa è stata adattata. Tutto all' opposto di ciò che si pensa attualmente e cioè che la procedura sia stata inventata appositamente per la pena.
In altre parole: E' DEFINIBILE SOLTANTO CIO' CHE NON HA STORIA. Non è un caso infatti che le utilità della pena siano talmente tante e varie che estrapolarne una sia veramente difficile anzi impossibile.

La fede popolare però è stata sempre indirizzata verso un aspetto particolare e cioè quello di risvegliare nel colpevole il sentimento di colpa. Nulla di più sbagliato. Non è certo nelle prigioni in cui si può trovare il rimorso o senso di colpa. Come del resto tutti i ricercatori seri convergono, anche se a malincuore. Anzi per molti versi è proprio la pena che arresta nel detenuto l' insorgere di qualsiasi sentimento di rimorso o cattiva coscienza proprio perché gli stessi crimini vengono commessi con buona coscienza dal potere che lo ha condannato.

Vale la pena di prendere in considerazione ciò che afferma Spinoza, lui che aveva inveito contro i bestemmiatori che avevano relegato Dio agli effetti del destino destinandolo appunto ad agire soltanto ' sub ratione boni'. Spinoza cosa afferma sul morsus coscientiae? L' opposto del gaudium: 'una tristezza accompagnata dalla rappresentazione di un evento passato che si è compiuto  in modo contrario ad ogni aspettativa'. Tutt' altra cosa cioè di un 'Non avrei dovuto farlo'. E questo è appunto il modo in cui quasi ogni criminale interpreta la pena. Come un qualcosa che gli cade addosso all' improvviso e contro cui non è possibile lottare. L' effetto della pena è un acuirsi della paura e dell' intelligenza. Addomestica l' uomo, ma non lo migliora, anzi lo rende anche più cattivo.

La mia teoria è che la cattiva coscienza sia stato l' esito della più grande mutazione avvenuta nel corso della storia dell' uomo. E questa mutazione prende il nome di stato. Una qualsiasi organizzazione che costringe l' uomo a non poter dar più sfogo ai suoi istinti, alla sua libertà nell' agire ( volontà di potenza ). Tutti gli istinti che non si scaricano all' esterno però si scaricano all' interno. Questo è il processo che io chiamo ' interiorizzazione dell' uomo '. Questo è il processo da cui in seguito scaturirà l' anima. Una volta sottile e poi divenuta sempre più grande sotto la spinta dell' interiorizzazione della crudeltà fino a farsi immensa. La crudeltà, il piacere della persecuzione etc., una volta interiorizzati, in questo uomo rinchiuso nella sua gabbia, da cui vorrebbe uscire ma da cui non può, sono l' origine della cattiva coscienza.

Ma è anche ipotizzabile che - ' un' anima volontariamente divisa in sé stessa, che si procura dolore per il piacere di dare dolore, tutta questa cattiva coscienza' attiva, infine come un autentico grembo materno di avvenimenti ideali ed immaginari, ha partorito anche una quantità di nuove sorprendenti bellezze e affermazioni'- tra cui il concetto di bellezza. E soprattutto che questo processo scioglie anche l' enigma di come concetti contraddittori tipo altruismo, abnegazione, autosacrificio possano esprimere un ideale, una bellezza. Crudeltà, la natura  del piacere che prova l' altruista, chi nega e sacrifica sé stesso non è nient' altro che crudeltà. Soltanto la cattiva coscienza, , soltanto la volontà di maltrattare sé stessi costituisce il presupposto per il valore del non-egoistico.

A questo punto vorrei fare una considerazione. Sia questa parte che la successiva sono di una genialità, di una profondità e di una veridicità senza pari. Al di là del fatto se poi Nietzsche abbia ragione o no. Certo di qua e di là si può smussare qualche angolo. Qualche interpretazione può essere messa in discussione, ma l' aspetto filosofico e tutto ciò che concerne gli errori di un certo modo di pensare sono palesi. Errori che ci sono stati trasmessi e da cui ancora siamo tutti profondamente e incolpevolmente condizionati.
Incolpevolmente finché non siamo giunti al cospetto dell' opera di Nietzsche.

Grazie per la cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.
premetto che non ho letto questa opera di Nietzsche, ma alcune osservazioni ,più come elementi di riflessione che come convinzioni personali, le faccio.

L'ordine della natura ha un suo agire che  è al di là del bene e del male
L'ordine razionale si scontra con l'ordine naturale.

La complessità umana sta proprio nello "scontro" interiore umana fra natura e ragione.
Non penso sia possible per l'uomo essere un animale istintivo.
Anche perchè il giudizio etico è relazionato al giudizio estetico e a sua volta all'uomo "culturale"
Il nostro personale, ma anche culturale inteso come giudizio di una civiltà dominante che a sua volta ci condiziona,,giudizio spesso
coniuga il buono con il bello e il giusto, così come il cattivo con il brutto con l'ingiusto.
Queste categorie, banalmente e superficialmente quì esposte da me come esempio, sono tipiche di un "animale" che necessita di relazioni per legare i particolari ad un quadro generale,il che significa che se la nostra mente modella un tipo di mondo il comportamento morale cerca e giudica una coerenza interna a questo sistema di relazionare..

Quindi, sempre a mio parere, è impossibile essere fuori dal contesto etico/morale e dire non esiste una morale, semmai è possible essere contro una morale imperante e condizionante e quindi a sua volta avere un giudizio morale su una cultura che giustifica  o meno dei comportamenti dichiarando ciò che è bene e ciò che è male.

paul11

Scusa Garbino,
ho capito rileggendo che prima vorresti seguire e finire la lettura dell'opera di Nietzsche, per non perdere il filo logico e narrativo, per  poi passare alla contestuale discussione.
Per cui non sentirti in debito ora di una risposta, segui pure il tuo percorso e a suo tempo si discuterà

Ciao e auguri

Garbino

Nietzsche : l' uomo e il suo diritto al futuro.

Ringrazio Paul11 della cortesia e prendo lo spunto per fare a tutti dei sinceri auguri di Buon Natale, Buona Fine e Buon Inizio d' Anno. L' unica cosa che volevo aggiungere è che sono d' accordo con la prima parte dell' argomentazione di Paul11, ma non sulla seconda. Sottolineo che è pensiero un po' comune che in Nietzsche il superamento o autoannullamento della morale corrente si concretizzi in una vita senza morale. Ma, come del resto è già stato evidenziato in altri interventi, le cose stanno in un modo totalmente diverso.
Comunque riprenderemo l' argomento più avanti. A questo punto, pensando di fare cosa gradita, non rimane che terminare lo studio del secondo saggio. A tutti buona lettura.

La cattiva coscienza è a tutti gli effetti una malattia e adesso andremo alla ricerca delle condizioni in cui è arrivata al suo culmine. Ma per far ciò bisogna tornare, in un contesto storico primordiale, al rapporto tra creditore e debitore tra i contemporanei e i loro antenati. Rapporto che per noi sarebbe incomprensibile, ma che ha avuto un peso enorme nella storia dell' uomo. Infatti nelle stirpi vincenti il debito verso gli avi è andato sempre aumentando, in virtù dei loro sacrifici e sforzi. Sacrifici e sforzi che inizialmente vennero ripagati con doni alimentari, feste e cappelle votive, ma con il passare del tempo, aumentando il riscatto cumulativo, i sacrifici diventarono anche umani, come ad esempio nel sacrificio del primogenito. Sangue, sangue umano.

Inoltre la coscienza dei debiti verso gli antenati, si da mai abbastanza agli avi?,  cresce o diminuisce nella misura in cui la stirpe si fa più potente o più debole. E nelle stirpi più potenti finirono per essere trasformati in dei. Per molti versi questa può essere l' origine ( a mio avviso una delle origini ) degli dei. Comunque sempre un' origine scaturita dal timore ( come appunto avvenne, sempre a mio avviso, nei confronti dei fenomeni naturali ). E questa credenza e devozione si espanse a tutte le popolazioni sottomesse, sia per mimicry che per imposizione.

In diversi millenni il sentimento del debito verso la divinità è continuato a crescere e nella stessa misura in cui crescevano e venivano elevati il concetto di Dio e il senso della divinità. Il Dio Cristiano, come massima divinità a cui si sia giunti finora, rappresenta anche il maximum del debito. E anche se adesso l' ateismo sembra riportare l' uomo ad una seconda innocenza, la moralizzazione dei concetti di colpa e di dovere non solo porta alla convinzione di una inestinguibilità del debito, ma anche ad una condanna del creditore (Adamo, peccato originale) e ad una demonizzazione della natura. Oppure al ritenere l' esistenza come non valida in sé ( nichilismo ) o di essere altro ( buddhismo ). Finché il Cristianesimo non escogita l' espediente, che induce un po' di sollievo per l' umanità martoriata, nel Dio che si sacrifica per la colpa dell' uomo, Dio stesso che si risarcisce su sé stesso. Per amore? ( si ci può credere?? ) per amore del suo debitore!....

Naturalmente tutto ciò non è altro che autoturturamento. Il desiderio di autotorturarsi infine arriva al rifiutare la propria naturalità e a non sentirsi degno di Dio. - Oh, bestia uomo, com' è tutto folle e triste! ......... Nell' uomo c' è tanto di orribile!... Per troppo tempo la terra fu un manicomio!..

Non possiamo che evidenziare che presso i Greci, questo popolo di fanciulli, il sentimento religioso aveva tutt' altro aspetto. I Greci usarono i propri dei proprio per tenere lontano la cattiva coscienza. Per gli artisti gli dei pensavano che era strano che gli uomini si lamentassero degli dei, quando tutto era dovuto alla loro stoltezza. Stoltezza, non peccato!!! Che abisso ci separa da una tale considerazione. E gli stessi uomini si liberavano di qualsiasi pensiero negativo generato dalle nefandezze di alcuni di loro ritenendo che un dio li avesse accecati. Un Dio perciò che si assume, cosa molto più nobile, la colpa....

Sulla terra, l' istituzione di ogni ideale ha determinato un dilagare della menzogna e un profondo misconoscimento della realtà, oltre ad un profondo malessere nei confronti della vita. L' uomo ha per così tanto tempo guardato con occhio cattivo la proprio naturalità da farci disperare sulla sua effettiva redenzione. Abbiamo contro proprio i 'buoni'.
E in fondo ci auguriamo che l' uomo non si soffermi in questo suo stato di promessa, di ponte verso qualcos' altro. Ma a questo punto l' unico che può prendere la parola è Zarathustra, Zarathustra il senza Dio....

L' unico commento che volevo aggiungere al termine del secondo saggio, è che purtroppo ancora adesso la Terra è un manicomio.

Grazie della cortese attenzione.

Garbino Vento di Tempesta.

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