Neurofilosofia, mente, cervello

Aperto da Jacopus, 11 Febbraio 2019, 22:46:51 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

davintro

#15
per Viator

non ho mai pensato a una totale estraneità della vita rispetto alla materia, ma a una distinzione necessitata dal dover rendere ragione di due distinti aspetti, quello della vita e quella della finitezza, nella conoscenza degli esseri viventi. La vita rende, direi quasi tautologicamente, ragione di se stessa, mentre la finitezza è data dalla componente materiale, a cui la vita è legata, per cui essa non è puro atto del tutto capace di autodeterminarsi, ma sempre in relazione con uno spazio nel quale si entra in contatto con dei condizionamenti esterni che impediscono che tutte le potenzialità insite nel concetto, nella forma dell'essere vivente, possano attuarsi pienamente: ad esempio, il linguaggio è certamente una proprietà insita nell'idea dell'anima razionale, della forma, ma la nostra componente spaziale e materiale ci lega a un certo ambiente esterno, che influenza le possibilità di poter esprimere al meglio tale proprietà, e fa sì che un uomo cresciuto in un ambiente come la giungla avrà quantomeno grandi problemi a sviluppare un linguaggio allo stesso livello di altri individui come lui nati con la stessa forma ideale dell' "umanità", ma cresciuti in città e aventi un'istruzione. Quindi non trovo un rapporto di separazione tra vita (e anima, che intendo come "principio vitale", quindi come concetto sempre necessariamente connesso a quello di "vita") e materia, ma di distinzione interna però a un'unità, a una complementarietà.

Non vorrei aprire il discorso della vita oltre la morte, perché si devierebbe troppo dal topic, mi limiterei a dire che il vincolo della finitezza, in quanto costitutivo della vita umana, anche accettando la possibilità di una vita oltre la morte, vincolerebbe la vita, dovrebbe imporre alla forma, cioè all'elemento più specificatamente vitale e dinamico, a mantenere, al fine della sua preservazione, un  contatto con una componente identificabile con la materia (magari anche intendendola diversamente da come oggi concepiamo il nostro corpo)


Per Sgiombo

definendo la vita come quella condizione in cui un dinamismo è in atto a partire da un movente interno al soggetto a cui la vita viene attribuita, non troverei alcun ostacolo a comprendere tale condizione ad ogni materia vista come "dinamica", cioè capace di produrre azioni causali sulla base di una propria organizzazione interna. In parole povere, non trovo alcuna differenza concettuale tra "vita" e "dinamismo". Questo perché il dinamismo che tende a produrre vita può produrla, perché la vita, con tutte le sue proprietà insite nella specie particolare di "vita" a cui facciamo riferimento, è già presente come tendenza a orientare il dinamismo in direzione della progressiva attualizzazione delle proprietà che ne definiscono il concetto. Quella che trovo assurda è l'idea di dover dividere (il che è appunto frutto di una mentalità materialista, tesa a spezzettare, dividere, spazializzare, anziché cogliere l'unità, la durata complessiva di un processo) un tempo T1, in cui esisterebbe la materia "dinamica ma senza vita" e un tempo T2, in cui la vita sembrerebbe apparire dal nulla, senza alcun legame di continuità logica con il dinamismo presente nel momento T1. Se si vuole riconoscere le fasi del processo come connesse tra loro, allora è necessario che ogni fase sia già in qualche modo presente nelle precedenti, cioè che il dinamismo muova da un'origine in cui sia già predelineato ogni successivo sviluppo, cioè un dinamismo che esprime un'idea di sviluppo coerente con il suo punto di partenza, uno sviluppo autonomo e che dunque può tranquillamente essere ricondotto alla definizione di "vita". Anche il richiamo all' "organizzazione" mi pare rispecchi quello che provavo a intendere io con organizzazione, consistente in una forma che appunta organizza la materia imponendo una logica complessiva attrezzata a produrre determinati effetti, e nel caso degli esseri viventi, tale organizzazione si costituirà come organizzazione mirante allo sviluppo e alla preservazione della vita, a tutti gli effetti "organismo". In questa posizione non c'è rischio di pervenire a panpsichismi o animismi di sorta, anche se riconosco che potrei aver generato equivoci parlando di una "vita cosciente" presente fin dall'inizio nella materia. Non volevo dire che sin dall'inizio dell'innescamento del processo vitale degli esseri coscienti la coscienza sia già presente nella sua piena attualità, ma che è in qualche modo presente come tendenza a sviluppare progressivamente le sue proprietà, quindi come orientamento impresso al dinamismo che lo necessita internamente, fin dall'inizio. Fin dall'inizio la materia vivente a predeterminata a realizzarsi, nel caso degli esseri viventi coscienti, come vita cosciente. Il presupposto da cui cerco di muovere è l'idea che in ogni rapporto di causa-effetto, l'effetto non sia solo un momento secondario e accidentale, ma sia già contenuto necessariamente nella causa, in quanto fa sì che la causa produca quel tipo di effetto e non un altro. Condivido l'idea che la coscienza comprenda il cervello e non viceversa, quantomeno, la condivido nel senso che l'esperienza sensibile in cui il cervello viene osservato è uno tra le forme, non l'unica, in cui la vita cosciente si esprime, e quindi è impossibile pretendere di conoscere nel complesso dei suoi aspetti la coscienza, che in quanto soggetto stesso della stessa osservazione sensibile del cervello non può coincidere con le sue oggettivazioni visibili dall'esterno. Messa così, però mi pare che il discorso rientri nel riconoscimento della dualità tra soggettività vitale e dinamica che costituisce l'attività cosciente e la passività statica di un cervello che dal punto di vista dei sensi si coglierebbe come mera spazialità, che non troverei certo un'obiezione al mio punto di vista

Ipazia

Citazione di: Jacopus il 12 Febbraio 2019, 22:02:48 PM

La coscienza è la non indifferente possibilità che Jacopus si riconosca nel soggetto Jacopus anche a fronte di innumerevoli cambiamenti interni/esterni. Fatto notevole che non può essere spiegato agevolmente dai flussi sinaptici e dalle mappe neuronali.

Questo è un punto cruciale: la coscienza è la costante memoria di noi stessi. Contenuta nelle aree del cervello che la contengono. Se un ictus danneggia alcune aree cerebrali noi perdiamo fette di coscienza. Il nostro continuo mutare è in diretta relazione con le aree di memoria che passano in primo piano nella nostra intenzione e attenzione. Un reset totale della memoria ci ridurrebbe a poppanti che devono ricostruire la loro coscienza da zero.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: davintro il 12 Febbraio 2019, 22:41:21 PM

definendo la vita come quella condizione in cui un dinamismo è in atto a partire da un movente interno al soggetto a cui la vita viene attribuita, non troverei alcun ostacolo a comprendere tale condizione ad ogni materia vista come "dinamica", cioè capace di produrre azioni causali sulla base di una propria organizzazione interna. In parole povere, non trovo alcuna differenza concettuale tra "vita" e "dinamismo". Questo perché il dinamismo che tende a produrre vita può produrla, perché la vita, con tutte le sue proprietà insite nella specie particolare di "vita" a cui facciamo riferimento, è già presente come tendenza a orientare il dinamismo in direzione della progressiva attualizzazione delle proprietà che ne definiscono il concetto. Quella che trovo assurda è l'idea di dover dividere (il che è appunto frutto di una mentalità materialista, tesa a spezzettare, dividere, spazializzare, anziché cogliere l'unità, la durata complessiva di un processo) un tempo T1, in cui esisterebbe la materia "dinamica ma senza vita" e un tempo T2, in cui la vita sembrerebbe apparire dal nulla, senza alcun legame di continuità logica con il dinamismo presente nel momento T1.
Citazione
Se non c'é differenza fra materia tout court (o in generale) e materia vivente (o vita), allora non vedo dove starebbe il problema: tutto ciò che é materia é materia, ovviamente (tautologicamente).


Se si vuole riconoscere le fasi del processo come connesse tra loro, allora è necessario che ogni fase sia già in qualche modo presente nelle precedenti, cioè che il dinamismo muova da un'origine in cui sia già predelineato ogni successivo sviluppo, cioè un dinamismo che esprime un'idea di sviluppo coerente con il suo punto di partenza, uno sviluppo autonomo e che dunque può tranquillamente essere ricondotto alla definizione di "vita".
Citazione
Ma allora concordi con me che nella materia vivente non c' é nulla di più (di "vitalistico". sopra- o comunque preter- -naturale) che la materia tout court quale naturalissimamente diviene secondo le sue "normalissime" leggi (fisiche) quali si esplicano in certe determinate circostanze pure naturalissime.

Anche il richiamo all' "organizzazione" mi pare rispecchi quello che provavo a intendere io con organizzazione, consistente in una forma che appunta organizza la materia imponendo una logica complessiva attrezzata a produrre determinati effetti, e nel caso degli esseri viventi, tale organizzazione si costituirà come organizzazione mirante allo sviluppo e alla preservazione della vita, a tutti gli effetti "organismo". In questa posizione non c'è rischio di pervenire a panpsichismi o animismi di sorta, anche se riconosco che potrei aver generato equivoci parlando di una "vita cosciente" presente fin dall'inizio nella materia. Non volevo dire che sin dall'inizio dell'innescamento del processo vitale degli esseri coscienti la coscienza sia già presente nella sua piena attualità, ma che è in qualche modo presente come tendenza a sviluppare progressivamente le sue proprietà, quindi come orientamento impresso al dinamismo che lo necessita internamente, fin dall'inizio.
Citazione
"Impresso" o meglio insito del tutto naturalmente, senza alcuna teleologia, come pura e semplice manifestazione delle leggi fisiche (del determinismo) del divenire naturale e nient' altro.


Fin dall'inizio la materia vivente a predeterminata a realizzarsi, nel caso degli esseri viventi coscienti, come vita cosciente. Il presupposto da cui cerco di muovere è l'idea che in ogni rapporto di causa-effetto, l'effetto non sia solo un momento secondario e accidentale, ma sia già contenuto necessariamente nella causa, in quanto fa sì che la causa produca quel tipo di effetto e non un altro. Condivido l'idea che la coscienza comprenda il cervello e non viceversa, quantomeno, la condivido nel senso che l'esperienza sensibile in cui il cervello viene osservato è uno tra le forme, non l'unica, in cui la vita cosciente si esprime, e quindi è impossibile pretendere di conoscere nel complesso dei suoi aspetti la coscienza, che in quanto soggetto stesso della stessa osservazione sensibile del cervello non può coincidere con le sue oggettivazioni visibili dall'esterno. Messa così, però mi pare che il discorso rientri nel riconoscimento della dualità tra soggettività vitale e dinamica che costituisce l'attività cosciente e la passività statica di un cervello che dal punto di vista dei sensi si coglierebbe come mera spazialità, che non troverei certo un'obiezione al mio punto di vista
Citazione 
Non comprendo l' ultima osservazione sulla dualità tra soggettività vitale e dinamica che costituisce l'attività cosciente e la passività statica di un cervello.
 
Comprendo invece una dualità fra aspetti materiali (comprendenti i cervelli) e componenti mentali della coscienza (fenomeni).

sgiombo

CitazioneJacopus:
La coscienza è la non indifferente possibilità che Jacopus si riconosca nel soggetto Jacopus anche a fronte di innumerevoli cambiamenti interni/esterni. Fatto notevole che non può essere spiegato agevolmente dai flussi sinaptici e dalle mappe neuronali.
Citazione di: Ipazia il 13 Febbraio 2019, 00:18:06 AM
Questo è un punto cruciale: la coscienza è la costante memoria di noi stessi. Contenuta nelle aree del cervello che la contengono. Se un ictus danneggia alcune aree cerebrali noi perdiamo fette di coscienza. Il nostro continuo mutare è in diretta relazione con le aree di memoria che passano in primo piano nella nostra intenzione e attenzione. Un reset totale della memoria ci ridurrebbe a poppanti che devono ricostruire la loro coscienza da zero.

La memoria intesa come configurazioni sinaptiche cerebrali determinate dalle esperienze pregresse e in varia misura condizionanti le esperienze future é una cosa.

I ricordi coscienti (che necessariamente coesistono e corrispondono biunivocamente, allorché accadono, a determinate attivazioni di tali configurazioni sinaptiche cerebrali; però in altre esperienze, di "osservatori", diverse da quella dell' "osservato"di cui qui si parla) sono altre cose (per quanto necessariamente coesistenti).
E' per questo che Se un ictus danneggia alcune aree cerebrali noi perdiamo fette di coscienza (non perché tali "fette di coscienza" si identificano con tali ben diverse aree cerebrali, ma perché non si danno le une senza le altre e viceversa), e al limite  Un ipotetico reset totale della memoria ci ridurrebbe a poppanti che devono ricostruire la loro coscienza da zero.

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2019, 22:32:45 PM
Lungi da me negare la specificità antropologica cui ho perfino riconosciuto una capacità trascendentale rispetto all'evoluzione naturale basata sulla trasmissione del DNA.
Ciao Ipazia
Beh, "lungi da te" non tanto, visto che nel primo dei tuoi interventi affermavi: "escluderei fin
dall'inizio l'idea di una (auto)coscienza specificamente umana" (cui io ho risposto: "Al contrario:
piuttosto fin dall'inizio parlerei di una coscienza specificatamente umana...").
Non ho, ovvero, affermato né santi né madonne (elementi che, permettimi, tu vedi dappertutto), ma
proprio quella specificità dell'uomo che adesso sembri condividere.
Visto appunto questa tua condivisione non mi sembra il caso di risponderti sui maiali e sulle carote.
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Jacopus il 12 Febbraio 2019, 22:02:48 PM
Scusami Ipazia ma la tua risposta non mi convince, anche se condivido in parte la tua tesi. Credo che anche molte specie di animali superiori siano dotate di coscienza, intendendo con essa la capacità di pensare sé stessi nel mondo. Ma nel caso specifico di homo sapiens sono intervenuti diversi fattori che hanno amplificato la coscienza di base che condividiamo con i primati, i cetacei e i mammiferi più evoluti.
Con coscienza intanto intendo l'attitudine dell'essere umano di essere sempre sé stesso, con il passare del tempo e di avere consapevolezza di questa sestessita'. Nessun collegamento all'etica.

Ciao Jacopus
Scusami ma finchè non ci si mette d'accordo sul significato dei termini risulta molto difficile
intavolare una discussione...
In un precedente intervento citavo la definizione che di "coscienza" dà il Dizionario di N.Abbagnano.
Sulla base di quella, ritengo la tua definizione corrispondente non al significato di "coscienza", ma
a quello di "consapevolezza".
Il significato proprio di "coscienza" non può non aver a che fare con l'etica...
saluti

Jacopus

Ciao Ox. Ho precisato il mio significato di coscienza proprio per evitare fraintendimenti. É il significato accettato in campo neuroscientifico. Il tuo é collegato alla tradizione filosofica idealistica, quella che emerge anche nel linguaggio comune: "ma dai, abbi un po' di coscienza". Anche questa interpretazione del termine coscienza ha dei corrispettivi genetici e cerebrali (cosiddetto circuito dell'empatia,) ma a me interessava Una interpretazione più legata ai processi vitali e ai fondamenti dell'identità umana in quanto essere vivente consapevole di sé stesso. Una interpretazione che comunque si riverbera indirettamente anche nell'ambito del significato da te preferito di coscienza.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

0xdeadbeef

Citazione di: Jacopus il 13 Febbraio 2019, 14:15:02 PM
Ciao Ox. Ho precisato il mio significato di coscienza proprio per evitare fraintendimenti. É il significato accettato in campo neuroscientifico. Il tuo é collegato alla tradizione filosofica idealistica, quella che emerge anche nel linguaggio comune: "ma dai, abbi un po' di coscienza". Anche questa interpretazione del termine coscienza ha dei corrispettivi genetici e cerebrali (cosiddetto circuito dell'empatia,) ma a me interessava Una interpretazione più legata ai processi vitali e ai fondamenti dell'identità umana in quanto essere vivente consapevole di sé stesso. Una interpretazione che comunque si riverbera indirettamente anche nell'ambito del significato da te preferito di coscienza.


Ciao Jacopus
A parer mio le neuroscienze dovrebbero occuparsi di cose "materiali" (sinapsi, recettori etc.), non
spingersi in ambiti che non gli competono...
Da questo punto di vista, se esse dicono che la coscienza è la capacità di pensare se stessi nel mondo,
ritengo appunto che si spingano troppo "oltre" le proprie competenze (che sono, intendiamoci, indubbie).
Cosa vuol dire, infatti, capacità di pensare se stessi nel mondo? E' forse, questa definizione, poi
tanto diversa da quella di Heidegger quando dice: "l'esserci dell'uomo nel mondo progetta il suo essere
in possibilità"?
Forse che il "pensare se stessi" può escludere un pensar-si come relazione intima con un "sé" che, appunto
per questo, riesce e veder-si come un oggetto; come un "altro da sé" e, dunque, giudicar-si?
Perchè, ritengo, eccola qui la differenza: l'essere umano riesce a pensar-si e perciò a giudicar-si.
Ed ecco perchè l'etica non può essere esclusa...
saluti

Jacopus

#23
Ciao Ox. Non a caso ho aperto questa discussione in filosofia e l'ho intitolato "neurofilosofia, mente, cervello". Heidegger è molto appropriato. Grazie per lo spunto. Approfondirò la tematica e proverò a rispondere.
Questo è il link per saperne di più sulla neurofilosofia:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Neurofilosofia

Si può ulteriormente suddividere la neurofilosofia in tre grandi campi di indagine: quella empirica, la prima a cui fa riferimento la Churchland, per la quale esiste solo il cervello (io come cervello), la neurofilosofia pratica, che è proprio quella che si occupa di questioni etiche o neuroetiche  e la neurofilosofia teoretica che tende a conciliare e integrare le scoperte neuroscientifiche con un discorso logico argomentativo tradizionalmente filosofico, che è la prospettiva che più mi attrae.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

0xdeadbeef

Citazione di: Jacopus il 13 Febbraio 2019, 14:59:33 PM
Ciao Ox. Non a caso ho aperto questa discussione in filosofia e l'ho intitolato "neurofilosofia, mente, cervello". Heidegger è molto appropriato. Grazie per lo spunto. Approfondirò la tematica e proverò a rispondere.
Questo è il link per saperne di più sulla neurofilosofia:
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Neurofilosofia

Si può ulteriormente suddividere la neurofilosofia in tre grandi campi di indagine: quella empirica, la prima a cui fa riferimento la Churchland, per la quale esiste solo il cervello (io come cervello), la neurofilosofia pratica, che è proprio quella che si occupa di questioni etiche o neuroetiche  e la neurofilosofia teoretica che tende a conciliare e integrare le scoperte neuroscientifiche con un discorso logico argomentativo tradizionalmente filosofico, che è la prospettiva che più mi attrae.

Ciao Jacopus
A mio modo di vedere esistono i saperi particolari (che possono essere più o meno particolari...) ed
esiste la filosofia, che è il sapere generale che "unifica" i saperi particolari (senza per questo
essere il sapere gerarchicamente più importante, come diceva Aristotele).
Per questo motivo non può esistere la "neurofilosofia", ma al più un discorso di tipo filosofico
sul sapere neuroscientifico.
Non sembri un discorso cavilloso...
saluti

Lou

#25
Citazione di: Jacopus il 11 Febbraio 2019, 22:46:51 PM
La discussione aperta da Viator, "la coscienza priva di sensi" mi spinge ad aprire una discussione simile ma sul terreno più neutro della filosofia.
La domanda classica che può aprire il dibattito è "come può essere definita la coscienza umana?" Ha qualche attinenza con l'anima, come vuole una lunga tradizione spirituale oppure è solo la conseguenza di reazioni elettriche all'interno del cervello come invece proclamano alcuni importanti neuroscienziati (Damasio e Churchland)? Oppure si può pensare a qualche strada mediana o rivoluzionaria? I più diligenti potranno leggere la discussione "La coscienza di sé da un punto di vista neurologico" nella sezione scienze, con link a lectio magistralis dello stesso Damasio e Searle.
Per quanto riguarda le posizioni dominanti che si riscontrano nella neurofilosofia attuale, in quanto, ante litteram, credo che si possano annoverare filosofi quali Merleau-Ponty, ad esempio che introdusse nei sui testi di fenomenologia ( di percezione ) il cervello e le sue reti correlandoli agli stati percettivi vissuti dal soggetto, trovo che si assista a una certo riduzionismo. Il concetto di coscienza (-di) è perfettamente ridotta a reti cerebrali, network neuronali, circuiti e sinapsi, pur nella loro complessità, in larghissima misura ignoti, non "solo" conseguenza. Ora, se da un lato posso concepire una correlazione tra il concetto di coscienza e il cervello, non mi sento di sovrapporli o identificarli, l'uno non è l'altro.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Ipazia

#26
Vedo che Jacopus ha già risposto a Ox e sottoscrivo quanto da lui detto. Fin dall'inizio Jacopus aveva parlato di (auto)coscienza umana...

(D'ora in poi, per evitarmi complicazioni ortografiche userò solo il termine coscienza, intendendo con ciò l'autocoscienza che ne è il fondamento e la coscienza del mondo, e dell'altro, che su di essa si struttura: coscienza come interfaccia tra res cogitans e res extensa)

... Io mi sono cautelata affermando che se vogliamo capire quel fenomeno non possiamo partire da uno stadio già evoluto, ma lo dobbiamo considerare nel processo evolutivo dei viventi in generale. Chiarito ciò, parliamo pure solo della coscienza umana, vista anche la nostra ignoranza sul fenomeno in generale ed in particolare sulla coscienza di altri viventi.

La differenza tra coscienza e consapevolezza non mi convince. Puzza troppo di incenso antropocentrico. Più o meno legato a mitologie del "sesto giorno". Avendo avuto cani e gatti per casa questa distinzione mi pare assolutamente scolastica e inutile, sia sul piano scientifico che su quello filosofico.

Certo, e nell'ultimo post l'ho chiarito, non nego la specificità e originalità della coscienza umana nel contesto evolutivo generale. L'etica preferisco lasciarla a margine del discorso perchè introdurrebbe elementi di involuzione della coscienza umana rispetto al suo decorso evolutivo nel mondo dei viventi. Maiali e carote inclusi. Involuzione il cui tanfo non c'è incenso "magnifiche e progressive sorti" che possa coprire.

Tornando all'argomento, un'osservazione di Jacopus mi ha spostato l'attenzione su quello che potrebbe essere l'anello di congiunzione tra gli apparati neurofisiologici e le funzioni psichiche superiori dell'essere autocosciente, ovvero la memoria. E' nella memoria biologica-genetica ed esistenziale-culturale che si condensa il nostro ego individuale e sociale. Il contenitore è indubbiamente il cervello, e spetta alle neuroscienze individuare gli arcani percorsi e backup, mentre il contenuto è l'esperienza cogitante che costantemente a quel materiale archiviato ritorna e alimenta con nuovo, riconoscendosi in esso quale unità indissolubile.
.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 13 Febbraio 2019, 19:20:35 PM
Certo, e nell'ultimo post l'ho chiarito, non nego la specificità e originalità della coscienza umana nel contesto evolutivo generale. L'etica preferisco lasciarla a margine del discorso perchè introdurrebbe elementi di involuzione della coscienza umana rispetto al suo decorso evolutivo nel mondo dei viventi. Maiali e carote inclusi. Involuzione il cui tanfo non c'è incenso "magnifiche e progressive sorti" che possa coprire.



Ciao Ipazia
In un discorso sulla "coscienza" (prendo per buona la definizione di Jacopus - che pur mi appare
riduttiva: "la capacità di pensare se stessi nel mondo") l'etica non può certo essere lasciata ai
margini, visto che è centrale.
Il "pensare se stessi nel mondo" non può che, come dicevo, voler dire pensarsi allo stesso tempo sia
come soggetto pensante che come oggetto pensato, e quindi come tale giudicar-si (e non ci si giudica
se non su una base etica/morale).
L'incenso lasciamolo alle chiese, come pure le "magnifiche e progressive sorti" dell'umanità a coloro
che, ingenuamente, credono all'innatezza dell'etica/morale...
saluti

Ipazia

L'etologia umana (e non solo) si fonda sull'innatismo delle pulsioni etiche negli animali sociali, dalla prima poppata o beccata, in cui il mondo è la tetta/becco della madre, a tutto quello che segue. La formazione e formalizzazione di questa pulsione etica non è naturale, ma culturale, epifenomenica. La coscienza umana è sociale ab origine e può benissimo essere indagata a prescindere dalla forma(lizzaz)zione etica, ma non dalla pulsione originaria che è genetica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Ipazia. "L'etologia umana (e non solo) si fonda sull'innatismo delle pulsioni etiche negli animali sociali, dalla prima poppata o beccata, in cui il mondo è la tetta/becco della madre, a tutto quello che segue".

Vero, notando però che l'innatismo etico consiste semplicemente nei comportamenti suggeriti dall'istinto di sopravvivenza, quindi esso esprime solo una tendenza inevitabilmente "egoistica", aspetto e definizione questa che la maggior parte dei lettori - per inevitabile deformazione cultural-mentale - troverà "dis-etico" e che quindi tenderà ad escludere dalla sfera dell'eticità.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Discussioni simili (5)