Negazione della molteplicità ed estreme conseguenze di tale negazione.

Aperto da pepe98, 19 Luglio 2017, 12:55:11 PM

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Apeiron

Citazione di: pepe98 il 20 Luglio 2017, 11:18:29 AMIl concreto non è un concetto astratto, è solo intuibile attraverso la comunicazione, ma non definibile. Tuttavia l'idea dell'uno credo sia la più "utile"per descriverlo. Ma più che un uno inteso come "non molteplice"(che non negherebbe necessariamente l'esistenza del molteplice) è, come ho detto, il più evidente "non nulla", o essere (il nulla si auto-nega, essendo non essere). E dal momento che credo che l'esistenza non possa avere altra definizione che questa, poiché altrimenti sarebbe definita in un modo tra molti possibili, e ció mi sembra assurdo, poiché ritengo l'esistenza pura necessità, bisogna intuire la sua interezza, pur ricorrendo a concetti astratti(che quindi implicano l'esistenza di un concetto contraddittorio, poiché sono definiti come A=/=(non A)). Se dici che l'uno implica i molti è perché stai parlando di concetti (A==>(non A) nell'insieme dei concetti), non dell'essenza concreta. Andare oltre significa ammettere che l'essere non è definibile. TUTTAVIA questa non definibilità dell'essere non nega che possa essere intuito, e come intuirlo se non parlando di assoluta necessità e parlando quindi di unità e non configurabilità. Io credo che chiunque non sia un robot possa capire: se parliamo di pure astrazioni non possiamo conoscere l'essenza, che va al di là dell'astratto! Trovo che l'esistenza descritta da me descriva molto bene l'assoluta asistematicità dell'esistenza, quindi l'assoluta necessità. Trovo assurdo qualsiasi tentativo di limitare l'esistenza. Come può il nulla limitare l'esistenza???

Se non vuoi limitare l'esistenza perchè dire "tutto è uno"? Non è meglio liberarsi dalle varie etichette che assegnamo alla realtà? Da questo puoi capire come la dottrina del "non-sé" buddista coincide per certi versi con la massima libertà.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

pepe98


Se non vuoi limitare l'esistenza perchè dire "tutto è uno"? Non è meglio liberarsi dalle varie etichette che assegnamo alla realtà? Da questo puoi capire come la dottrina del "non-sé" buddista coincide per certi versi con la massima libertà.
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Perché è la molteplicità che limita l'esistenza: essa risulterebbe definibile concretamente come insieme di un certo numero di enti, con differenze DEFINITE. Ma perché gli enti si differenziano(si definiscono) per queste caratteristiche e non per altre??? Sarebbe totalmente assurdo che l'esistenza nella sua totalità risulti definibile in un certo modo e non in un altro. Per questo è necessario parlare di unità, o, come suggeriva Anassimandro(pur non conoscendo le caratteristiche dell'essere parmenideo), di infinito. Sono tutti concetti utili per capire l'esistenza, tuttavia non adatti ad esprimere adeguatamente la sua totalità. Oltre ad uno ed infinito gli si puó associare(ma non identificare, come già detto per gli altri concetti) il concetto di nulla: questo monismo, è in fondo un nichilismo, poiché è la negazione di un assoluto ordine dei fenomeni: dire che l'essenza concreta dei fenomeni è questo uno, infinito, nulla (lo chiamo spesso super-razionale), significa dire che i fenomeni sono un tutt'uno, cioè percepiti contemporaneamente ed eternamente dall'unico io(che coincide con il concreto super-razionale, che sono letteralmente io(tu)).
Io mi identifico quindi con l'intera esistenza, che è percepire.

Apeiron

Citazione di: pepe98 il 22 Luglio 2017, 15:01:55 PMSe non vuoi limitare l'esistenza perchè dire "tutto è uno"? Non è meglio liberarsi dalle varie etichette che assegnamo alla realtà? Da questo puoi capire come la dottrina del "non-sé" buddista coincide per certi versi con la massima libertà.
Perché è la molteplicità che limita l'esistenza: essa risulterebbe definibile concretamente come insieme di un certo numero di enti, con differenze DEFINITE. Ma perché gli enti si differenziano(si definiscono) per queste caratteristiche e non per altre??? Sarebbe totalmente assurdo che l'esistenza nella sua totalità risulti definibile in un certo modo e non in un altro. Per questo è necessario parlare di unità, o, come suggeriva Anassimandro(pur non conoscendo le caratteristiche dell'essere parmenideo), di infinito. Sono tutti concetti utili per capire l'esistenza, tuttavia non adatti ad esprimere adeguatamente la sua totalità. Oltre ad uno ed infinito gli si puó associare(ma non identificare, come già detto per gli altri concetti) il concetto di nulla: questo monismo, è in fondo un nichilismo, poiché è la negazione di un assoluto ordine dei fenomeni: dire che l'essenza concreta dei fenomeni è questo uno, infinito, nulla (lo chiamo spesso super-razionale), significa dire che i fenomeni sono un tutt'uno, cioè percepiti contemporaneamente ed eternamente dall'unico io(che coincide con il concreto super-razionale, che sono letteralmente io(tu)). Io mi identifico quindi con l'intera esistenza, che è percepire. [/quote]

Non ti identifichi con tutta l'esistenza, semmai "dissolvi l'io" e trascendi le "distinzioni": rimane solo l'esistenza. In ogni caso non puoi nemmeno dire che questo "io" sarebbe razionale E coincidente col tutto, visto che la razionalità implica la capacità di creare distinzioni e questo "io cosmico" non potrebbe creare una distinzione: se esso è Tutto allora come fa a distinguersi (e quindi percepire sé stesso...). Il problema è che moltissimi filosofi confondono la dissoluzione dell'io con l'identificazione col Tutto. Piuttosto l'idea è di sentirsi "parte" del Tutto, uniti al "Tutto", uniti alla "realtà suprema", assorbiti nel Tutto, una manifestazione temporanea del Tutto, uno col "Tutto" fino a "dissolversi nel Tutto" come la goccia di inchiostro si diffonde nell'acqua. Dire che "io sono tutto" mi pare quasi un delirio di grandezza: anziché dare l'idea di mettere da parte il desiderio di possesso e di onnipotenza finisce per cavalcarlo. Quindi tutti quelli che dicono "io sono il Tutto" e allo stesso tempo dicono che l'illuminato è "senza desideri, in pace, libero, equanime, umile ecc" secondo me non si rendono conto di quanto il loro messaggio si possa fraintendere.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

maral

In realtà la cosa è molto semplice: uno e molti sono perfettamente complementari, non si escludono, ma sono l'uno in conseguenza degli altri e viceversa. L'uno è l'unità a cui i molti ontologicamente tendono, i molti sono il modo di apparire dell'uno significando - l'aveva già detto Aristotele nel primo libro della metafisica: l'essere (uno) si dice in molti modi e non c'è altro modo di dirlo. Se non aprisse ai molti, l'uno non esisterebbe, equivarrebbe al nulla. Ma l'uno e il nulla sono peraltro già due.

pepe98

Apeiron: infatti io chiamo l'esistenza nella sua totalità "soprarazionale", anziché razionale, poiché ogni definizione per descriverla è funzionare solo alla comunicazione.

Carlo Pierini

Citazione di: pepe98 il 19 Luglio 2017, 12:55:11 PM
Se i molti fossero, il non essere di una cosa sarebbe qualcosa, sarebbe "altro". I molti sarebbero quindi definiti dal non essere degli altri. Ma in base a quale criterio(qual è il principio) i molti sono definiti cosí e non in un altro modo? Come possono le cose essere così DEFINITE per principio? La questione si risolve solo negando l'esistenza del molteplice: il non essere di una cosa non è, quindi la cosa è una sola. Poiché è una sola, non è definita dal non essere di qualcosa, ma solo ed ESCLUSIVAMENTE dal non essere del nulla, che è una verità evidente(nulla=non essere, per definizione). Questa cosa, che coincide con l'essere parmenideo, non ha quindi forma, e non è definita né spazialmente, né nel tempo: al di fuori di essa c'è il nulla, quindi né spazio né tempo. Tale cosa è dunque eterna ed immutabile.
Ora, poiché io esisto(se siete coscienti potete capirmi), ed esiste una sola cosa, esisto solo io. Le persone(noi) sono in realtà un unico IO. Noi siamo il tutto, che è la semplice non esistenza del nulla, e non è un ente astratto e definito, ma il totale concreto. Io sono tutto, eterno ed immutabile. Il molteplice è astrazione: concreto percepire separatamente. Ma tutto il percepire, che è la non esistenza del nulla, avviene tutta in un "eterno istante".

Questo è l'antico dilemma "identità-unità, oppure alterità-molteplicità tra gli enti?", che Parmenide risolveva in un Uno immanente che cancellava ogni alterità-molteplicità (En to pan) e che Eraclito risolveva nell'idea (opposta-contraddittoria rispetto alla parmenidea) di un assoluto "Panta rei", cioè di una molteplicità assoluta che cancellava ogni unità. L'apparente contraddizione si risolve - salvando sia l'Unità che la molteplicità - nel momento in cui introduciamo l'idea di un Uno-Principio non-immanente, ma TRASCENDENTE, che è ARCHETIPO (inteso proprio in senso platonico) di ogni ente e, quindi, di cui ogni ente è "immagine e somiglianza", cioè, analogia strutturale, ontologica. In virtù di questa analogia VERTICALE, ogni ente sarà analogia ORIZZONTALE di ogni altro ente e, quindi, come nell'idea di "matrimonio IN Dio" (la dualità che converge in una unità superiore), avremo una molteplicità di enti reciprocamente complementari e convergenti IN un Uno trascendente il quale, proprio in quanto non appartenente alla realtà immanente, NON ne annulla la molteplicità (l'unità del Tao non annulla la dualità di Yin e Yang proprio in quanto questi sono strutturalmente analoghi-complementari all'Uno).
Un esempio sintetico: una molteplicità ontologica di uomini che trova la propria unità in un ideale superiore trascendente.
 
Ecco, l'"elemento comune", il "terzo uomo" di Aristotele è il Principio-Uno, ma senza alcun "regresso all'infinito" proprio perché l'UNO contiene in sé il molteplice essendo il modello metafisico ultimo di ogni uomo particolare che costituisce la molteplicità (l'uomo fatto a "immagine e somiglianza" dell'Uno).
E' per questo che la mitologia cristiana considera la Croce (verticalità/orizzontalità) e la Trinità (il Tre è l'Uno) come figure simboliche sacre: perché sono la chiave filosofica che apre la porta di una relazione ontologica tra la molteplicità degli uomini e l'Unità divina senza cancellare la sovranità ontologica dell'individuo di fronte ad un Uno che, altrimenti, divorerebbe i suoi figli, come il mitico Saturno:
 
http://www.arteworld.it/wp-content/uploads/2014/11/Saturno-che-divora-i-suoi-figli-goya-analisi.png

Carlo Pierini

Citazione di: maral il 23 Luglio 2017, 17:40:19 PM
In realtà la cosa è molto semplice: uno e molti sono perfettamente complementari, non si escludono, 

Sì, ma non farlo sapere ai matematici, i quali, invece, sostengono che 1=500 sia un'eresia.  Sono degli sciocchi?  :)
In altre parole, se vuoi fare di 500 un'unità, devi spostare l'Uno su un piano superiore (metafisico) verso cui far convergere delle proprietà essenziali di ciascuno dei 500, così da non dover annullare la loro molteplicità ontologica. Questo significa "complementarità": convergenza verso un "uno" comune che rappresenti significativamente ciascun ente che costituisce la molteplicità. Altrimenti scatta il principio di non contraddizione: "1 non può equivalere a 500".
Un esempio di "unità molteplice" è rappresentato, per esempio dal concetto di Trinità, o meglio, di Uni-Trinità, che è talmente complicato che i preti stessi hanno preferito stabilirlo come dogma (senza tante chiacchiere) e contemplarlo come "Mistero". ...Quindi, senza saperlo, ti sei messo in un bel ginepraio!!! :)
A questo proposito, senti cosa dice padre Pizzarro / Guzzanti:   ;D


https://youtu.be/x-zuD1D56L0?t=656

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