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Morale e libero arbitrio

Aperto da cvc, 21 Maggio 2020, 12:54:38 PM

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bobmax

Giopap, è davvero ardua, ma non impossibile.

Sì tratta infatti di negare il divenire.

E in nome di cosa lo si dovrebbe negare?

A prescindere delle varie considerazioni logico/fisiche che rendono possibile una messa in discussione del divenire, vi è una motivazione fondamentale.

La medesima motivazione che sospinge, seppur confusamente, a una strenua difesa del libero arbitrio.

Caduta la difesa dell'illusione, resta la motivazione originaria.

E questa motivazione è l'Etica!

È proprio l'Etica a richiedere di mettere tutto in discussione.

Quindi non solo il libero arbitrio.

Ma sia ciò che con esso si dissolve: l'io,
e sia ciò che rende il male un assoluto: il divenire.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Apeiron

Citazione di: bobmax il 23 Maggio 2020, 12:46:29 PM
Apeiron,
la responsabilità morale individuale è imprescindibile dal libero arbitrio.

Ma appunto in quanto il libero arbitrio implica la responsabilità individuale.
Che però non ha nulla che vedere con l'etica in quanto tale.

Vi è forse bisogno di una responsabilità individuale per distinguere il bene dal male?

Inoltre, neppure la responsabilità di per se stessa deriva dal libero arbitrio. Può derivarne solo se individuale.

Di modo che può esservi responsabilità morale in assenza di libero arbitrio.

Di chi è allora la responsabilità se il libero arbitrio è un'illusione?

È mia, ma non in quanto individuo.
Ed è una responsabilità Totale.
@Bobmax,
non capisco quello che intendi. Se non erro la tua prospettiva è monistica, quindi gli individui non sono 'veramente reali'. Ma non sono neanche 'veramente irreali', a meno che non si vuole negare completamente la 'molteplicità', le distinzioni ecc che sono presenti nella nostra esperienza. Quindi secondo me nemmeno in questo caso si può davvero 'negare' la questione della responsabilità 'individuale' e della presenza o meno di 'libero arbitrio', affermando che 'in realtà' la prospettiva individuale non è 'veramente reale'.Inoltre, se riteniamo che solo la 'prospettiva' del 'Tutto' sia 'veritiera', allora a meno che non conosciamo il Tutto 'così come è', non possiamo affermare se il determinismo sia 'vero'.
Faccio una analogia... Se il 'Tutto' è come un 'oceano', il 'molteplice' sono le 'onde', le 'correnti' ecc. Se non conosco 'pienamente' le caratteristiche del 'Tutto', come posso sapere che, per esempio, alcune 'onde' non possano avere un certo grado di autonomia (pur rimandendo 'non separate' dal resto dell''oceano')? Magari, per esempio, la dinamica di questa 'acqua' è talmente complessa da dare la possibilità di una qualche 'autonomia' di alcune 'onde'?

Inoltre, non capisco come la prospettiva 'Totale' possa davvero farmi distinguere il bene dal male (in una tale prospettiva, non si andrebbe, per così dire, 'oltre'?).


@giopap,il problema che vedo io nella descrizione delle 'qualità' è che esse rappresentano una 'tendenza' ad agire, secondo me.

Facendo una analogia, se ho due dadi 'truccati' in modo che uno cada sul numero N il 95% delle volte e l'altro sul numero M il 95% delle volte, dirò che lo fanno per cause 'interne' ad essi. Ovvero, spiegherò la tendenza di uno o dell'altro postulando una certa 'variabile nascosta', ovvero una caratteristica interna ad essi, che possa spiegare tali comportamenti (ovviamente queste 'caratteristiche' sono diverse nei due casi).

Posso pensare che due persone 'tendono' a comportarsi in modo diverso. Magari una tende a comportarsi in modo più 'virtuoso' mentre un'altra tende a comportarsi più facilmente in modo opposto. Possiamo pensare che queste 'qualità morali' siano in qualche modo analoghe alle 'variabili nascoste' dell'esempio dei dadi. Ovvero possiamo postulare che esse sono dovute a cause 'interne', a caratteristiche interne ecc. D'altra parte, però, queste rimangono pur sempre 'tendenze' (che possono cambiare) e non penso che sia sufficiente basarsi su tali 'tendenze' per 'fondare' la 'responsabilità'.

Personalmente, infatti, credo che una azione su cui possiamo davvero parlare di 'responsabilità'* non sia qualcosa che date determinate condizioni interne ed esterne sia inevitabile. Credo che comunque serva una qualche 'autonomia'. Autonomia chiaramente limitata, ma che riesce (in parte) anche a far compiere azioni che possano andare (nel bene o nel male) anche contro le 'tendenze' più radicate (magari portando eventualmente ad una modifica anche parziali di tali 'tendenze'...).
*Si badi bene che NON voglio affermare che, per esempio, un sistema filosofico deterministico non possa contenere al suo interno determinati aspetti etici (vedi per esempio Spinoza, filosofo secondo me molto profondo... col quale però dissento).

"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

giopap

Citazione di: bobmax il 24 Maggio 2020, 10:26:15 AM
Giopap, è davvero ardua, ma non impossibile.

Sì tratta infatti di negare il divenire.

E in nome di cosa lo si dovrebbe negare?

A prescindere delle varie considerazioni logico/fisiche che rendono possibile una messa in discussione del divenire, vi è una motivazione fondamentale.

La medesima motivazione che sospinge, seppur confusamente, a una strenua difesa del libero arbitrio.

Caduta la difesa dell'illusione, resta la motivazione originaria.

E questa motivazione è l'Etica!

È proprio l'Etica a richiedere di mettere tutto in discussione.

Quindi non solo il libero arbitrio.

Ma sia ciò che con esso si dissolve: l'io,
e sia ciò che rende il male un assoluto: il divenire.


Comprendo (o credo-spero di comprendere) poco; e ovviamente commento solo questo poco.


Secondo me non é l' etica, ma lo scetticismo metodico razionalistico a mettere in dubbio l' esistenza dell' io come soggetto dell' esperienza cosciente.
Ma si limita a metterlo in dubbio, a rilevarne l' indimostrabilità (però tanto in positivo quanto in negativo: tanto della sua esistenza quanto della sua inesistenza), senza poter giungere nemmeno a negarla (oltre che ad affermarla) con certezza.


Il divenire non vedo come possa dissolversi, nè in che senso possa rendere il male un assoluto (e infatti per me é sempre inevitabilmente un relativo: é relativo al bene: "omnis determinatio est negatio" - Spinoza).

giopap

Apeiron:

@giopap, il problema che vedo io nella descrizione delle 'qualità' è che esse rappresentano una 'tendenza' ad agire, secondo me.
Facendo una analogia, se ho due dadi 'truccati' in modo che uno cada sul numero N il 95% delle volte e l'altro sul numero M il 95% delle volte, dirò che lo fanno per cause 'interne' ad essi. Ovvero, spiegherò la tendenza di uno o dell'altro postulando una certa 'variabile nascosta', ovvero una caratteristica interna ad essi, che possa spiegare tali comportamenti (ovviamente queste 'caratteristiche' sono diverse nei due casi).

giopap:
E questo é, metaforicamente, il caso del determinismo intrinseco, della negazione del libero arbitrio ovvero indeterminismo (pur nell' imprevedibilità "gnoseologica" dei risultati, il lancio dei dadi, truccati o meno, é un evento senza alcun dubbio ontologicamente deterministico): se sono eticamente buona faccio come il primo dado, deterministicamente agisco bene nel 95% dei casi; se sono cattiva faccio come il secondo dado: agisco male nel 95% dei casi.




Apeiron:
Posso pensare che due persone 'tendono' a comportarsi in modo diverso. Magari una tende a comportarsi in modo più 'virtuoso' mentre un'altra tende a comportarsi più facilmente in modo opposto. Possiamo pensare che queste 'qualità morali' siano in qualche modo analoghe alle 'variabili nascoste' dell'esempio dei dadi. Ovvero possiamo postulare che esse sono dovute a cause 'interne', a caratteristiche interne ecc. D'altra parte, però, queste rimangono pur sempre 'tendenze' (che possono cambiare) e non penso che sia sufficiente basarsi su tali 'tendenze' per 'fondare' la 'responsabilità'.

giopap:
E perché no?
Sono tendenze ben calcolabili (95% N oppure M, 5% tutti gli altri numeri), quantitative; e inoltre deterministicamente causate dal modo di essere (truccati in un certo determinato modo) dei dadi.
E nella misura in cui possono cambiare cambiano con loro (essendo da loro rappresentate tout court: non essendo altro, direi per definizione), cambiano le nostre caratteristiche etiche; inesistenti o comunque irrilevanti in caso di agire non determinato da esse (determinato da altri o indeterminato = liberoarbitrario).

Se noi agiamo allo stesso modo dei dadi, cioé deterministicamente (in ovvia libertà - assenza di coercizioni estrinseche della nostre scelte), le nostre azioni in una certa percentuale di casi buone oppure cattive dipendentemente dalle nostre tendenze deterministiche ad agire, e il nostro modo di essere fonda senza alcun problema o elemento di incertezza la nostra responsabilità (nei limiti nei quali é fondabile; senza cioé togliere che non essendoci autocreati così come siamo a nostra discrezione, il nostro trovarci ad essere più o meno buoni oppure malvagi non può ovviamente dipendere da noi; ma almeno ciò che facciamo sì).
Non così sarebbe in caso di libero arbitrio, ergo di non determinismo da parte delle nostre intrinseche qualità morali (che allora sarebbero infatti inesorabilmente da radersi con Ockam, in quanto non necessarie a determinare né a spiegare alcunché): in quest' altro caso infatti le nostre azioni non sarebbero ontologicamente causate da (ed eticamente valutabili per) nulla, ma invece incausate, letteralmente aleatorie (mentre i lanci dei dadi sono in realtà deterministici), cioé avverrebbero a casaccio e non per nostra responsabilità (ma casomai per nostra sorte).




Apeiron:
Personalmente, infatti, credo che una azione su cui possiamo davvero parlare di 'responsabilità'* non sia qualcosa che date determinate condizioni interne ed esterne sia inevitabile. Credo che comunque serva una qualche 'autonomia'. Autonomia chiaramente limitata, ma che riesce (in parte) anche a far compiere azioni che possano andare (nel bene o nel male) anche contro le 'tendenze' più radicate (magari portando eventualmente ad una modifica anche parziali di tali 'tendenze'...). *Si badi bene che NON voglio affermare che, per esempio, un sistema filosofico deterministico non possa contenere al suo interno determinati aspetti etici (vedi per esempio Spinoza, filosofo secondo me molto profondo... col quale però dissento).

giopap:
Se (o comunque nella misura in cui) un' azione non é inevitabile a causa delle nostre condizioni interne, allora: o la é a causa di condizioni esterne, e allora noi non ne suiamo eticamente responsabili; oppure non la é in assoluto, non ha cause, ovvero é del tutto casuale, fortuita: frutto della fortuna e non di (inesistenti o comunque inefficaci in questo caso) qualità morali.

Che in noi possano esistere ed esistano tendenze comportamentali contraddittorie, delle quali talora possiamo scegliere le une o le altre é un fatto molto importante ma secondo me del tutto irrilevante per la questione: ciò non implica affatto inevitabilmente il libero arbitrio o indeterminismo piuttosto che l' indeterminismo, potendo arsi tanto nell' uno quanto nell' altro caso.
Solo che in caso di indeterminismo il prevalere di tendenze comportamentali più o meno buone su tendenze più o meno malvagie sarebbe determinato dalle nostre caratteristiche etiche, e dunque le dimostrerebbe; invece in caso di indeterminismo - libero arbitrio non sarebbe causato da alcunché bensì casuale, non dimostrando nulle circa eventuali qualità morali.

Anch' io ammiro molto Spinoza e ne dissento.

green demetr


x paul

D'altronde Paul stai parlando del passaggio dalla civilità agricola ancora strettamente costretta alla natura, ossia dalla campagna, alla civilità del sacrificio, ossia alla civiltà del senso dell'esistenza, ossia alla città.


E' sempre la tematica di Agamben tra zoe (corpo naturale) e bios (corpo vivente).


Portando la questione nel campo del novecento, la crisi europea è come se germinasse, meglio verminasse, da quell'incredibile errore, di considerare il senso della vita, una verità.
A questa verità presunta, si aggiunse fino dall'antichità, quello che Agamben chiama il mistero del sacro.
Ossia la sacralità avviene per una sanzione che precede la colpa.
Leggendo il suo ultimo libro, primo dell'istant book sul corona virus dico, ovvero Karman, leggo che coincide con la giurisprudenza classica del Kelsen dove si distingue norme primarie e norme secondarie. Sono solo le norme secondarie, ossia quelle che a buon senso dovrebbero arrivare dopo a dare un senso alle prime.
E' dunque la teoria delle seconde, ossia le sanzioni, a decidere sulla prassi delle prime, ossia le colpe.
Che traducendo dal platonico diventa a mio parere che la giustizia anticipa l'etica, e che l'etica viene prima della morale.
Lo stato dell'arte del pensiero è totalmente avviluppata su questa demenza.
Perchè è ovvio che la morale dovrebbe convertirsi in una etica e l'etica in una giustizia.
E cioè la morale andrebbe decostruita (come Nietzche saggiamente consigliava).
Il punto è che a quel punto non ci siamo mai arrivati.
E la continua sanzione si è arricchita del potere tecnico di poterla implementare, si è passati così dalla spada alle armi nuclerai.
Fino alla guerra delle armi biochimiche. Perchè fin dall'inizio l'obiettivo era quello.
Il nichilismo è non solo l'evacuazione del pensiero, ma proprio della carne viva delle persone (della zoe).
Ecco che allora magari un riflessione sulle 4 virtù di socrate servirebbe, io però non me le ricordo  :P .
Ovviamente dovresti aprire un 3d sul senso della giustizia di Platone, così aiuti pure noi a ricordare qualcosina.
NB
Dai ti sto rivitalizzando il buon Platone! (un fascista per me insopportabile da sempre  ;) )


saluti
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Ipazia

Citazione di: green demetr il 25 Maggio 2020, 00:53:24 AMPerchè è ovvio che la morale dovrebbe convertirsi in una etica e l'etica in una giustizia.

Bingo

CitazioneE cioè la morale andrebbe decostruita (come Nietzche saggiamente consigliava).
Il punto è che a quel punto non ci siamo mai arrivati.

Neppure FN, che prese lucciole o nottole di Minerva per primati meta-post-darwiniani. Convincendoli alla fine che fosse giusto passare da clave a missili a testata nucleare, da schiavi nelle latomie a schiavi informatici a domicilio o furgonati.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Ciao Apeiron

Occorre secondo me procedere per gradi. Perché se affrontiamo una questione come questa, squisitamente esistenziale, presupponendo delle "prospettive" non ne veniamo a capo.

Escludiamo perciò ogni possibile conclusione, che se data come premessa compromette inevitabilmente la ricerca.

La prima domanda che dovremmo porci è se l'etica dipende dal libero arbitrio.
Cioè, senza libero arbitrio non vi può essere etica? Oppure l'etica ne prescinde?
Vi è il male solo perché c'è libertà? Oppure il male prescinde dall'eventuale libertà?

La risposta può venire solo da noi stessi.

Se rispondiamo che senza libertà non può esservi etica, cosa stiamo dicendo in sostanza?
Che la valutazione del bene e del male dipende in fondo solo da noi stessi!
E allora non ha alcun senso parlare di responsabilità.
Responsabilità di che?

Inoltre questa risposta è un non pensiero. Perché la scelta tra il bene e il male è essa stessa a distinguerli!

Rimane perciò solo la constatazione che l'etica prescinde dal libero arbitrio.

Procediamo quindi affrontando la responsabilità.
Responsabilità di un evento significa che vi è stata una causa.
È la causa la responsabile dell'evento.
E se questo evento è male, quella causa ne è responsabile.

Lasciamo perdere determinismo e indeterminismo! Che qui non c'entrano nulla.
La responsabilità è della causa. A prescindere se l'effetto sia determinabile o meno.

Ora, se accettiamo che il libero arbitrio non esista, in che situazione ci troviamo?

Che vi è l'etica, cioè vi è il male.
Male, significa essenzialmente che non dovrebbe esserci!
E vi è la responsabilità di questo male. Senza però nessuno a cui attribuirne la colpa...

Ci ritroviamo perciò a fissare la Medusa che ci interroga: "E adesso?"

Possiamo allora essere colti dalla compassione.
E acquista forse quindi un senso l'invocazione:
"Tu che togli i peccati del mondo"
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

bobmax

Giopap, se il divenire è, se è per davvero... il male, qualunque male, anche il più banale, se ne sta incastonato in quell'istante che fu.

Ed è perciò assoluto!
Assoluto tanto quanto lo stesso divenire.

Per comprenderlo occorre però iniziare a chiedersi cosa davvero conta in questa nostra vita.
Cosa ha davvero valore?

La risposta può essere una sola: il Bene!

E allora è necessario cambiare radicalmente la nostra prospettiva. L'etica non è affatto un epifenomeno del mondo fisico. Ma ne è il fondamento!

Se tengo fermo allora che il Bene è, tutto il resto deve necessariamente adeguarvisi.
A costo di ribaltare la nostra visione del mondo.
La realtà che davamo per scontata va in frantumi...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

paul11

Citazione di: green demetr il 25 Maggio 2020, 00:53:24 AM

x paul

D'altronde Paul stai parlando del passaggio dalla civilità agricola ancora strettamente costretta alla natura, ossia dalla campagna, alla civilità del sacrificio, ossia alla civiltà del senso dell'esistenza, ossia alla città.


E' sempre la tematica di Agamben tra zoe (corpo naturale) e bios (corpo vivente).


Portando la questione nel campo del novecento, la crisi europea è come se germinasse, meglio verminasse, da quell'incredibile errore, di considerare il senso della vita, una verità.
A questa verità presunta, si aggiunse fino dall'antichità, quello che Agamben chiama il mistero del sacro.
Ossia la sacralità avviene per una sanzione che precede la colpa.
Leggendo il suo ultimo libro, primo dell'istant book sul corona virus dico, ovvero Karman, leggo che coincide con la giurisprudenza classica del Kelsen dove si distingue norme primarie e norme secondarie. Sono solo le norme secondarie, ossia quelle che a buon senso dovrebbero arrivare dopo a dare un senso alle prime.
E' dunque la teoria delle seconde, ossia le sanzioni, a decidere sulla prassi delle prime, ossia le colpe.
Che traducendo dal platonico diventa a mio parere che la giustizia anticipa l'etica, e che l'etica viene prima della morale.
Lo stato dell'arte del pensiero è totalmente avviluppata su questa demenza.
Perchè è ovvio che la morale dovrebbe convertirsi in una etica e l'etica in una giustizia.
E cioè la morale andrebbe decostruita (come Nietzche saggiamente consigliava).
Il punto è che a quel punto non ci siamo mai arrivati.
E la continua sanzione si è arricchita del potere tecnico di poterla implementare, si è passati così dalla spada alle armi nuclerai.
Fino alla guerra delle armi biochimiche. Perchè fin dall'inizio l'obiettivo era quello.
Il nichilismo è non solo l'evacuazione del pensiero, ma proprio della carne viva delle persone (della zoe).
Ecco che allora magari un riflessione sulle 4 virtù di socrate servirebbe, io però non me le ricordo  :P .
Ovviamente dovresti aprire un 3d sul senso della giustizia di Platone, così aiuti pure noi a ricordare qualcosina.
NB
Dai ti sto rivitalizzando il buon Platone! (un fascista per me insopportabile da sempre  ;) )


saluti


Ciao Green,
lo studio sull'antichità in me nacque dal fatto che se si vuol capire come e perché si è
nella società attuale, come pensiero, come comportamenti, è necessario capire da dove arriviamo e dove vi sono le contraddizioni. In filosofia è addirittura necessario, perché quasi tutti i filosofi moderni si rifanno o per lode o per critica al pensiero di qualche filosofo antico.


Discutere di morale e libertà in questo forum è comunque limitativo, data la complessità che questi due concetti si portano dietro.


Se non è chiaro il concetto di "bene" è inutile qualunque morale.
In Genesi è scritto che Dio creò l'universo e alla fine disse che era "bene".
La cultura vedica indiana ha costruito gli Yuga,i cicli celesti e storici, prima delle spiritualità.
Le spiritualità e le religioni devono prima di tutto sancire cosa significa "bene".
E il "bene" è anche dentro gli Stati moderni, almeno come vestigia retorica.


Il mio personale giudizio su Socrate è che la sua esigenza umana è potente, ma è debole come costruzione filosofica.. Su Platone devo completarlo per dare un giudizio.


Non si parla di libertà , ma neppure di morale nel mondo greco, non così espressamente come si fa dalla modernità ad oggi. Perché derivavano dai "massimi sistemi".
E' la religione cristiana che apre alla libertà e sembrerebbe paradossale, visto che una regione per antonomasia è morale necessariamente.
Se Socrate indica la via virtuosa affinché ciascun cittadino sia soddisfatto di essere governato da una società, da una Città giusta, quindi un soddisfatto cittadino è possibile se anche la Città è soddisfatta dai suoi cittadini, la cristianità apre alla libertà perché è possibile che un uomo possa scegliere il bene e il male,  il probo e il criminale. E' una indicazione assai importante non solo dal punto di vista religioso, ma anche sociale.


La sacralità è il "bene" ed è l'universo stesso per così come è. Perché non abbiamo scelta di mutarlo, per questo indicavo come "determinismo" ciò che è inviolabile, fonte di vita stessa per la nostra esistenza. Noi possiamo pensare altrimenti, pensare ad universi e mondi diversi, ma non possiamo modificare regole e ordini che sono anche le grandi leggi scientifiche dei massimi sistemi moderni , possiamo agire in alcuni "spazi" rispetto alle leggi fisiche e naturali, ma possiamo agire molto nelle organizzazioni umane, intese come artificio umano e quindi nato dal pensiero umano e agito.


Socrate intende la giustizia come una virtù e quindi è interna alla morale e l'etica non è prima della morale.
Ma questo non avviene storicamente nemmeno nelle scienze giuridiche.
Non sono gli usi e costumi che costruiscono morali e legislazioni , è esattamente l'opposto.
Fu dal F.Barbarossa in età comunale che inserì gli usi e costumi nelle legislazioni.
Addirittura, visto che citi Kelsen, nei primi del Novecento i giuristi teorizzarono che "Sono le legislazioni che costruiscono il popolo"....e nella pratica hanno perfettamente ragione, perché sono le leggi che definiscono gli spazi di azione e se le leggi, dico io, non sono ispirate ai principi morali, e ridico io che infatti non lo sono più, significa che gruppi sociali, ruoli, professioni, diventano corporazioni che negoziano con il legislatore i propri privilegi a scapito del "bene" comune che dovrebbe rappresentare lo Stato.
Il mio giudizio sull'attuale stato dell'arte del sistema di pensiero e azione contemporaneo, nato nella modernità, è che non vi è morale condivisa, vi è educazione personale, vige quindi non l'etica, ma infinite etiche di gruppi sociali, etiche aziendali, etiche come privacy, etiche capitalistiche, etiche sindacali........comportamenti dove il "bene" e la morale sono scomparsi come concetti fondativi e identitari di un popolo e nazione, e dove ogni gruppo sociale anche trasversalmente, agisce con lo Stato negoziando . La morale è finita e si utilizza il nuovo vocabolario: utile, conveniente, funzionale.
La morale, la stessa giustizia che ne è parte deve essere prima di tutto pensiero, perché è ciò che determina prima ancora che agisca un comportamento.


E qui mi sovviene una differenza sostanziale fra il pensiero antico e quello moderno.
La morale nel pensiero antico è nel "reale", nella modernità il reale viene sostituito dal soggettivo, per cui diventa psicologia e finisce per attuarsi nel solipsismo, perché è impossibile trovare due umani identici. La modernità esalta le differenze, perché ha perso le identità antiche che erano i fondativi filosofici .
La libertà nella modernità agisce in contrapposizione alla morale, tanto più la morale viene mortificata, tanto più la libertà viene esaltata. Si perde l'una per acquisirne un 'altra.
Se questo è vero significa che morale e libertà non sono della stessa natura, che la libertà non è una virtù....è qualcosa d'altro.

Ipazia

#54
Il punto critico evidenziato tanto da bobmax che paul11 è:

che cosa ci mettiamo tra morale/etica è libertà ? Come li connettiamo ? E una volta connessi, come individuiamo una catena causale che dia un senso logico, un logos, alla stuttura causale individuata ?

Green demetr ha messo in fila la questione in maniera che condivido: prima viene l'ethos morale, il costume (mores), poi quello ragionato, filosofeggiato, metafisicizzato, socialmente condiviso (etica) e infine la sua fissazione in diritto, norma, legge.

Tale processo è storicamente ed antropologicamente confermato, semmai complicato dai circoli di retroazione che dal diritto - e da quello stato di diritto occulto che è ormai la scienza in sostituzione della religione - retroagiscono sui principi etici filosofeggiati e sulla pratica morale del costume.

Ma il motore del processo qual'è ? Il motore è l'universo dei valori affermatisi in base alla loro importanza e gravità. Radicati nelle leggi naturali quanto a fondamento, ma "liberamente" trattati dal soggetto storico collettivo umano quanto a priorità. Se vi è un determinismo in etica esso è di tipo storico, tanto nelle cause prime che nelle loro successive evoluzioni. Qui FN ci vide giusto: i valori non sono, si pongono. E si pongono non arbitrariamente, ma entro la cornice delle reali condizioni di vita, corregge Marx. Tra cui i fattori oggettivi sono la condizione mortale, il bisogno di cibo e salute, di sicurezza e riconoscimento sociale. E' questo il Bene, caro Bob. E ti sfido a inventarne dell'altro che sia più fondamentale, e fondativo di etica.

Se interroghiamo gli antichi codici, detratti i numi, è di questo che si parla. Detratti istituzionalmente i numi (non ancora ovunque, ma il trend è segnato) lo ritroviamo anche nei codici moderni e nella moderna filosofia morale.
...
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Ipazia,
noi sempre siamo in una "situazione".
La nostra vita è una sequenza di situazioni.

Ogni situazione è caratterizzata dal ricordo del passato, dalle aspettative nel futuro e da ciò che è presente.

La condizione mortale, il bisogno di cibo e salute, di sicurezza e riconoscimento sociale... sono aspetti, tra tanti altri, della situazione.

Ma non vi è mai nulla, nella situazione, che sia "assoluto".
Cioè non vi è mai niente su cui si possa contare al punto da fondare noi stessi.

Nella situazione, il discrimine tra il bene e il male non è mai scontato del tutto. Occorre sempre una nostra presa di posizione.

Per esempio, il mio bisogno di cibo e salute possono farmi stabilire che sia bene appropriarmi di qualcosa.
Tuttavia un attimo dopo posso ritrovarmi a cedere questo qualcosa a qualcun altro. Perché è invece questo il bene.

L'eroe che sacrifica la propria vita, non lo fa solo per la situazione. Il suo è uno slancio ideale contro il male e in nome del Bene, ma non perché ha in mente una chiara futura situazione.

Il Bene appare sempre come Nulla.
Un Nulla a cui tendere nella lotta contro il male.

Il movimento che porta dal male al Bene è l'amore.
E l'amore non lascia alcuna libertà, che non sia se stesso.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

giopap

X bobmax (innanzitutto; ma ovviamente anche per chiunque sia interessato).

giopap:

Mi risulti più oscuro di come doveva apparire agli antichi Eraclito.
Cerco di criticare, di ciò che affermi, quel poco sul quale mi sembra di comprendere (forse) qualcosa.



bobmax:

Giopap, se il divenire è, se è per davvero... il male, qualunque male, anche il più banale, se ne sta incastonato in quell'istante che fu.

Ed è perciò assoluto!


Assoluto tanto quanto lo stesso divenire.

giopap:
Affermazioni di scarsa comprensibilità, ma soprattutto del tutto infondate, proclamate ma non affatto dimostrate.

Perché mai, se il divenire é per davvero, allora il male dovrebbe starsene proprio incastonato in quell' istante che fu e non da qualche altra parte o magari da nessuna parte?
E quale istante, dei tanti che furono, é "quello" di cui parli?
E perché mai in quell' istante non dovrebbe poterci stare invece il bene, o il bello o il brutto, o nulla, o ...chi più ne ha più ne metta?



bobmax:

Per comprenderlo occorre però iniziare a chiedersi cosa davvero conta in questa nostra vita.
Cosa ha davvero valore?

La risposta può essere una sola: il Bene!

giopap:
Riposta che mi pare puramente e semplicemente tautologica.

Definizione: dicesi "Bene" ciò che davvero conta ossia ha valore in questa nostra vita; ergo il Bene é ciò che davvero conta ossia ha valore in questa nostra vita, ovvero ciò che davvero conta ossia ha valore in questa nostra vita é il Bene!



bobmax:
E allora è necessario cambiare radicalmente la nostra prospettiva. L'etica non è affatto un epifenomeno del mondo fisico. Ma ne è il fondamento!


Se tengo fermo allora che il Bene è, tutto il resto deve necessariamente adeguarvisi.
A costo di ribaltare la nostra visione del mondo.
La realtà che davamo per scontata va in frantumi...

giopap:
Che l' etica non sia affatto un epifenomeno del mondo fisico mi sembra evidente.

Così come altrettanto evidente mi sembra che non ne é affatto il fondamento.
Infatti il modo fisico esisteva benissimo anche prima della comparsa dell' uomo nel corso dell' evoluzione biologica, senza alcun bisogno di fondarsi sull' (infatti allora inesistente) etica.

Al bene (per parte mia conosco solo il "bene" con iniziale minuscola: tutt' altro che la divinità personale positiva in incessante lotta contro il Male del manicheismo) deve necessariamente adeguarsi, per definizione, chi intenda essere eticamente buono (ma il problema sta nel comprendere, di volta in volta, in che cosa concretamente consista il bene cui il buono o virtuoso intende adeguarsi: dirlo così non significa alcunché di concreto, non serve a nulla).

Non comprendo poi la questione del "ribaltamento della visione del mondo" e dell' "andare in frantumi della realtà che davamo per scontata".



bobmax (in un altro intervento con un altra interlocutrice):
Il Bene appare sempre come Nulla.
Un Nulla a cui tendere nella lotta contro il male.

Il movimento che porta dal male al Bene è l'amore.
E l'amore non lascia alcuna libertà, che non sia se stesso.

giopap:
Altre affermazioni sia incomprensibili sia proclamate senza essere punto dimostrate.

Peraltro dissento sulla pretesa che l' l'amore non lasci alcuna libertà, che non sia se stesso (in particolare se si intende perseguire il bene, ovvero agire eticamente).
Come qualsiasi altro sentimento l' amore é relativo, e per perseguire il bene può benissimo (e talora deve) darsi che un determinato caso (sentimento) di amore venga liberamente (da coercizioni estrinseche!) negato, posposto ovvero "sacrificato" a un bene maggiore, come ad esempio potrebbe essere un amore più grande quale é quello per l' umanità intera, o l' onestà, con i quali può benissimo darsi che tale particolare caso (sentimento) di amore non sia compatibile.

bobmax

La questione è molto semplice, Giopap.
E in quanto semplice... è davvero difficile.
Perché la mente sguazza nella complessità, mentre nella semplicità le sembra di perdersi.

Vi è il male oppure no?

Vi è almeno un evento per il quale si debba affermare: "Questo è male!"?

Se si risponde di no, che il male cioè non esiste, allora probabilmente si è ancora nel paradiso terrestre.
Luogo agognato da chi vorrebbe rinunciare alla propria evoluzione tornando allo stadio animale (desiderio impossibile ben descritto da Nietzsche, filosofo prezioso e da te così poco apprezzato)

Se invece si ammette l'esistenza del male...
Allora questo male se ne sta in quel punto del divenire dove comparve e, se il divenire è una "verità" assoluta, non può in alcun modo essere annullato!
Una volta avvenuto se ne sta iscritto per l'eternità.

E ciò è inaccettabile!
Perché se così davvero fosse, il Bene non sarebbe.

Dio = Bene, è negazione della negazione.
Non ammette la reale esistenza di alcun male.

Ciò che si chiede all'Uno, infatti, è una cosa sola, che il Bene sia.
Il che significa che ogni male non sia davvero reale.

Quindi, il divenire è in sostanza un'illusione.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

paul11


Apeiron,
Citazione
@giopap,il problema che vedo io nella descrizione delle 'qualità' è che esse rappresentano una 'tendenza' ad agire, secondo me.

Facendo una analogia, se ho due dadi 'truccati' in modo che uno cada sul numero N il 95% delle volte e l'altro sul numero M il 95% delle volte, dirò che lo fanno per cause 'interne' ad essi. Ovvero, spiegherò la tendenza di uno o dell'altro postulando una certa 'variabile nascosta', ovvero una caratteristica interna ad essi, che possa spiegare tali comportamenti (ovviamente queste 'caratteristiche' sono diverse nei due casi).

Posso pensare che due persone 'tendono' a comportarsi in modo diverso. Magari una tende a comportarsi in modo più 'virtuoso' mentre un'altra tende a comportarsi più facilmente in modo opposto. Possiamo pensare che queste 'qualità morali' siano in qualche modo analoghe alle 'variabili nascoste' dell'esempio dei dadi. Ovvero possiamo postulare che esse sono dovute a cause 'interne', a caratteristiche interne ecc. D'altra parte, però, queste rimangono pur sempre 'tendenze' (che possono cambiare) e non penso che sia sufficiente basarsi su tali 'tendenze' per 'fondare' la 'responsabilità'.

Personalmente, infatti, credo che una azione su cui possiamo davvero parlare di 'responsabilità'* non sia qualcosa che date determinate condizioni interne ed esterne sia inevitabile. Credo che comunque serva una qualche 'autonomia'. Autonomia chiaramente limitata, ma che riesce (in parte) anche a far compiere azioni che possano andare (nel bene o nel male) anche contro le 'tendenze' più radicate (magari portando eventualmente ad una modifica anche parziali di tali 'tendenze'...).
*Si badi bene che NON voglio affermare che, per esempio, un sistema filosofico deterministico non possa contenere al suo interno determinati aspetti etici (vedi per esempio Spinoza, filosofo secondo me molto profondo... col quale però dissento).
Citazione



Concordo e ha parecchia importanza nel giudizio delle scienze forensi e giuridiche.
Quando dicano che una persona è "legalmente interdetta" necessita o di un curatore o di una patria potestà, in quanto la firma dell'interdetto non vale nulla. E' ritenuto privo di una volontà responsabile.
Altro aspetto inerente sono gli avvocati che chiedono pene inferiori in processo per il loro cliente, "in quanto incapace di intendere e di volere" durante ad esempio un atto criminoso.
Significa che il livello di responsabilità, che è anche formulabile come "conseguenza di un'azione",si abbassa tanto più si abbassa la consapevolezza in un momento di ira, di pulsioni psichiche schizofreniche ,psicopatiche, ecc.
Si è arrivato, e questo a mio parere è pericoloso, a stabilire che gli alleli genetici (utilizzate un motore di ricerca con : "alleli genetici sentenze tribunale") sono quella tendenza da te descritta.

giopap

Citazione di: bobmax il 25 Maggio 2020, 20:50:04 PM

Vi è il male oppure no?

Vi è almeno un evento per il quale si debba affermare: "Questo è male!"?

Se si risponde di no, che il male cioè non esiste, allora probabilmente si è ancora nel paradiso terrestre.
Luogo agognato da chi vorrebbe rinunciare alla propria evoluzione tornando allo stadio animale (desiderio impossibile ben descritto da Nietzsche, filosofo prezioso e da te così poco apprezzato)

Se invece si ammette l'esistenza del male...
Allora questo male se ne sta in quel punto del divenire dove comparve e, se il divenire è una "verità" assoluta, non può in alcun modo essere annullato!
Una volta avvenuto se ne sta iscritto per l'eternità.

E ciò è inaccettabile!
Perché se così davvero fosse, il Bene non sarebbe.
Citazione
Il male esiste in quanto esiste il bene e viceversa: "omnis detreminatio est negatio" (Spinoza).

Nel corso del divenire l' uno é iniziato con l' altro e relativamente all' altro al momento in cui hanno cominciato ad esistere animali considerabili dotati di coscienza, volontà e capacità di scelta (determinata da causalità intrinseca; che se invece é indeterminata di bene e di male non si può sensatamente parlare ma casomai solo di fortuna o sfortuna).


Prima non c' era né l' uno né l' altro, dal momento che l' esistenza dell' uno é condizione dell' esistenza dell' altro e viceversa.

Dunque se si spera che l bene sia eterno, allora anche il male necessariamente deve esserlo.
Altrimenti il bene non é "inaccettabile", ma impossibile non avendo senso se non relativamente alla sua negazione.

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Citazione di: bobmax il 25 Maggio 2020, 20:50:04 PM
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Dio = Bene, è negazione della negazione.
Non ammette la reale esistenza di alcun male.

Ciò che si chiede all'Uno, infatti, è una cosa sola, che il Bene sia.
Il che significa che ogni male non sia davvero reale.

Quindi, il divenire è in sostanza un'illusione.


Queste sono affermazioni assolutamente indimostrate.


Partendo da due premesse indimostrate, l' esistenza di Dio (evidentemente onnipotente in quanto gli si attribuisce l' intenzione di negare il male e l' ottenimento "assoluto" di quanto voluto) e la coincidenza di Dio con il Bene.


Da questi assunti indimostrati (e indimostrabili) si deduce l' impossibilità dell' esistenza del divenire (peraltro ampiamente falsificata empiricamente: il male esiste eccome! (e infatti esiste anche il bene).


Ma  questa pretesa deduzione é falsa anche sul piano puramente logico formale (oltre che come predicato sintetico a posteriori circa la realtà di fatto empiricamente constatabile), dal momento che il divenire potrebbe benissimo esistere anche senza implicare il male: basterebbe con non implicasse nemmeno il bene ma per esempio solo il bello e il brutto, il bianco e il nero, il caldo e il freddo e un' infinità di altre determinazioni reciproche.
E fra l' altro se fosse corretta -per assurdo; ammesso  non concesso- implicherebbe necessariamente anche l' inesistenza del Bene, e dunque di Dio che con il bene si identificherebbe: il concetto di "bene" semplicemente none esisterebbe come tale (non avrebbe alcun senso) se non fosse in relazione oppositiva col concetto di "male" e viceversa.

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