Meglio pensare o sentire?

Aperto da Socrate78, 21 Marzo 2018, 21:43:54 PM

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Socrate78

Secondo voi è meglio dare più importanza nella nostra vita alla dimensione del pensiero (ragione) oppure far prevalere maggiormente quella del "sentire" (emozioni, cuore). La risposta è molto meno ovvia di quanto si pensi, e a me sembra che entrambe le dimensioni possano essere fallaci. I nostri ragionamenti infatti sono troppo influenzati da preconcetti, pregiudizi, che sono come una nebbia che non ci fa vedere la realtà autentica: la ragione quindi, lungi dall'essere sempre efficace, finisce per essere molto manipolabile, influenzabile. Le sensazioni, invece, non possono essere falsate: ad esempio si può convincere una persona a livello razionale a credere che il sesso sia sgradevole e doloroso, ma un'affermazione del genere se posta a verifica crollerebbe come un misero castello di carte!
E' pur vero, però, che anche le sensazioni possano ingannare il giudizio: ad esempio un discorso può sembrarti affascinante, bello, coinvolgente, ma le idee proposte possono nascondere aspetti negativi che tu non vedi, poiché sei come "accecato" dalla dimensione emotiva. Di conseguenza, meglio affidarci al pensiero o al sentimento nelle sue varie forme?

viator

#1
Salve. Per Socrate78: La questione non è certo la fallacità (rispetto a quale riferimento esterno al sapere ed al sentire ??): Quesito squisitamente esistenziale al quale sia la logica che l'esperienza del singolo non possono certo rispondere od essere utili.

Già altrove, nel forum, sostenevo che, una volta soddisfatti i bisogni fisiologici, all'uomo si presentano le facoltà, cioè la possibilità di scegliere ciò che meglio dovrebbe soddisfarlo.

D'altra parte il sentire ed il pensare rappresentano due aspetti, due fasi dell'esistere, che sono rigorosamente connessi ed inestricabili.

Secondo me infatti la vita interiore di ciascuno funziona secondo il ciclo sentire-interpretare-comprendere-pensare-sentire.

Ovvero i sensi sentono (percezione), la psiche interpreta, la coscienza comprende, la mente pensa, lo spirito sente (emotività).

Naturalmente dovrei chiarire cosa io intendo per psiche, coscienza,mente e spirito, ma io non sono per gli interventi chilometrici ed aborro la ripetitività (di tutte queste cose ho già parlato in un recente passato).

La soluzione migliore ai fini esistenziali secondo me è dunque di percorrere tale ciclo senza privilegiare nessuna delle tappe in particolare poiché :

- se privilegi i sensi potresti diventare un edonista od un vizioso.
- se privilegi la psiche potresti diventare un fissato od un maniaco.
- se privilegi la coscienza potresti diventare un vanitoso od un narcisista.
- se privilegi la mente potresti diventare un arido od un asociale.
- se privilegi lo spirito potresti diventare un idealista od un prete, cioè uno crede nelle illusioni o fa propaganda di illusioni.

Buonanotte.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

bobmax

Secondo me, pensare e sentire sono strettamente connessi. Il sentire può avviare il pensare che a sua volta può risvegliare un sentire. Penso sia difficile ci possa essere un puro pensare o un puro sentire.

Interessante potrebbe essere considerare che nè il pensare nè il sentire sono determinati da una mia libera scelta.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Angelo Cannata

Quest'alternativa tra pensare e sentire è una distorsione che si è venuta a formare lungo i secoli, nella storia della filosofia. Le ricerche fondamentali condotte da Pierre Hadot hanno ormai mostrato che i filosofi classici dell'antica Grecia non erano semplicemente dei pensatori tutti dediti a riflettere e farsi fumare il cervello; la loro era una vera e propria spiritualità, con tanto di iniziazione per i nuovi adepti, stili di vita da osservare, silenzio, meditazione. Poi, lungo i secoli, quest'aspetto è andato perdendosi, cosicché la filosofia si è ridotta a un puro riflettere teorico, intellettuale, razionale, e la spiritualità si è ridotta a monopolio esclusivo delle religioni.

In realtà anche quella che per noi può essere la più fredda verità, adatta ad essere gestita da un computer, come 2+2=4, per i filosofi antichi era a tutti gli effetti un argomento di meditazione e di silenzio.

green demetr

Rispetto al mio pensiero filosofico, la questione sollevata rientra tra le più delicate.

Concordo con il fatto che entrambe le facoltà siano fallibili, ma entrambe servono all'idealismo che sto cercando da anni di figurare.

Il pensiero di Heidegger mi ha molto segnato, le sue visioni sul nichilismo e sull'essere originario si sono man mano sintetizzate e raffreddate nel moto, che ho fatto mio, che il Pensiero è il destino compiuto dell'umano.

Questo però si scontra con le mie intuizioni più radicali, che invece pongono nel sentire l'unica autenticità da me esperita.

Proprio per questo l'intellettualità è quella guerra quotidiana tra sentire e pensiero, che così bene Nietzche ha dipinto nei suoi libri-romanzo.

Di certo non può esserci mediazione. In questo sono un Nicciano convinto.

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Come sapete, e per chi non lo sa, propongo anche la lettura psicanalitica che in fin dei conti è la più ricca di implicazioni.

Essa distingue tra immaginario e reale: e fa notare come il reale sostanzialmente è un punto vuoto, se non fosse simbolizzato, e pertanto mediato (e quindi mai raggiunto per davvero, non è vero signor Kant) con il vero lato dilagante dell'umano che è l'immaginario.

In fin dei conti la lezione psicanalitica ribadisce come la realtà sia in fin dei conti un dato molto marginale nella vita quotidiana di ognuno di noi.

Bisogna purtroppo ricordare che i discorsi che immobilizzano la vita, sono quelli che dimenticano il reale.
Non che ogni discorso immaginario sia immobilizzante, ma di certo non è un dato da trascurare.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Angelo Cannata

Potrebbe essere utile qualche altra osservazione, spero che non diventi un mettere troppa carne al fuoco.

Anzitutto, il sentire si può considerare come condizione innegabile del pensare e come suo scopo fondamentale. Cioè, nessuno di noi, ritengo, si interesserebbe mai a pensare alcunché se non ci fosse, in qualsiasi pensare, ma anche in qualsiasi azione, qualcosa che li renda attraenti. Il qualcosa che li rende attraenti è, appunto, il sentire. A questo proposito si potrebbe anche notare un sistema simile riguardo alla riproduzione: ci saremmo estinti da un bel pezzo se la natura non avesse messo nel riprodurci qualcosa che ce lo rende attraente, interessante. Insomma, non faremmo niente se non trovassimo del sentire in qualsiasi cosa facciamo. In questo senso si potrebbe sospettare che perfino gli elettroni di un atomo non si muoverebbero se non ci fosse qualcosa in grado di rendere attraente il loro moto, solo che in quel caso descriviamo l'attrazione in termini molto meno romantici: parliamo di attrazione magnetica, attrazione gravitazionale, ma sempre di attrazioni si tratta. Come dicevo, ciò si potrebbe considerare come lo scopo ultimo da raggiungere: se decidiamo di approfondire una questione, potrà essere utile tener presente che lo scopo dovrà essere rendere la vita più attraente, più interessante.

Un'altra osservazione riguarda la caratteristica di otium del pensare. Sappiamo che il riflettere filosofico nasce in condizioni che lo permettano, cioè quando l'uomo non si trova pressato da altre preoccupazioni più urgenti. Ma questo fenomeno può applicarsi all'interno stesso della filosofia. Cioè, col passare dei secoli mi sembra che essa si sia sempre più trasformata in tentativo di risolvere la preoccupazione urgente di conoscere come stanno le cose, come funziona il mondo, trovare un senso alla vita; ma in questo modo si è perso di vista il semplice gustare, contemplare, godersi le esperienze senza rovinarle con l'affanno di volerle capire. Può la filosofia essere anche momento in cui si rinuncia totalmente al capire, al riflettere, e ci si dà semplicemente al godere le idee, contemplarle, come quando si contempla il cielo stellato senza fare sforzi di scervellarsi su come funziona? Alle origini la filosofia fu anche questo, come ha dimostrato Pierre Hadot. Filosofia non è solo riflettere, solo che, a quanto mi sembra, coi secoli essa ha talmente modificato il suo significato, che per recuperare la sua valenza originaria diventa necessario chiamarla piuttosto spiritualità.

In tema, quindi, di filosofia intesa come spiritualità da godere, da sentirsi dentro, e non solo come riflessione, vi segnalo tre puntate della trasmissione di RAI Radio 3, Uomini e profeti, dedicate proprio alla spiritualità intesa come filosofia da sentire dentro, filosofia da coltivare come esperienza interiore, piuttosto che, come è stata intesa tradizionalmente, come esperienza di monopolio pressoché esclusivo delle religioni.

RAI – Radio 3 – Uomini e profeti del 24.04.2016 – Spiritualità contemporanea


RAI – Radio 3 – Uomini e profeti del 14.01.2017 – Spiritualità


RAI – Radio 3 – Uomini e profeti del 25.02.2018 – Laicità, filosofia, misericordia

davintro

Individuare criteri oggettivi per valutare una presunta superiorità morale del "pensare" o del "sentire" avrebbe un senso solo a condizione di vedere i due concetti come diverse funzioni indirizzate però allo stesso obiettivo, per valutare quale dei due sia più efficace al suo raggiungimento. Ma non è questo il caso, in quanto "sentire" (da intendersi nella sua generalità semantica come il genere di tutti gli atti con cui un soggetto apprende IMMEDIATAMENTE i contenuti dei propri atti esperienziali) e "pensare", inteso come attività mediata e rielaboratrice dei contenuti, sono due ambiti non sovrapponibili, intenzionati vero mete differenti e complementari. Il sentire nella sua immediatezza ci fa apprendere i contenuti della nostra esperienza (intendendo "sentire" come comprendente le sensazioni che sono fase basica del processo di conoscenza, il sentire assiologico con cui intenzioniamo valori morali, l'intuizione intellettuale con cui cogliamo i significati intelligibili delle cose, specie di atti molto diversi fra loro, ma accomunati dal carattere di immediatezza, che va con un atto semplice a riempirsi dei propri contenuti), mentre con il pensare questi contenuti vengono analizzati, sintetizzanti, ricondotti a concetti e categorie generali, che sono poi i termini dei giudizi componenti le nostre conoscenze. Parafrasando Kant, il pensare senza sentire e vuoto, il sentire senza pensiero è cieco, caotico, insensato. Inoltre, come ricordato da bobmax, queste due dimensioni non sono solo complementari ma anche interrelate: quanto più intensamente sento una realtà, un valore, tanto più avvertirò l'esigenza di non lasciare la visione ad esso riferita allo "stato brado", ad una condizione di confusione o dispersione, bensì a tematizzare riflessivamente, individuando le proprietà specifiche dell'oggetto, le sue cause, le implicazioni concettuali ecc. , e d'altra parte il pensare porta a il contenuto sentito ad essere interrogato riguardo il livello di corrispondenza con la verità oggettiva delle cose, mentre un sentire lasciato a se stesso sarebbe condannato a fermarsi al piano della pura apparenza soggettiva impossibilita a riconoscersi come qualcosa d'altro da essa. Stabilire "cosa è meglio" resta così demandabile a un arbitrio soggettivo: ciascuno di noi come individuo comprende entrambe le dimensioni e le reciproche connessioni, ma sulla base delle proprie attività e interessi più abituali, professionali e non, ciascuno tende a sviluppare a livello consapevole primariamente una rispetto all'altra, continuando a utilizzare la non-privilegiata ad livello più inconsapevole, ma al tempo stesso forse più profondo (su quanto le dicotomie che contraddistinguono la nostra vita psichica agiscano in modo differenziato in relazione a diversi tipi di personalità andando a situarsi a diversi livelli di profondità psichica,  con aspetti dominanti presenti nel conscio e aspetti inferiori ma comunque presenti e in atto inconsciamente, potrebbero  fornirci alcuni spunti le analisi di Jung o della sua allieva Von Franz, nei loro studi sui diversi tipi psicologici e sulle funzioni cognitive). Ad esempio immagino che un artista si affidi prevalentemente al sentire, alla capacità di raccogliere interiormente sentimenti, immagini sensibili da poter poi esprimere in un linguaggio figurativo, mentre un filosofo, un logico, un matematico sarà orientato a privilegiare l'aspetto di riflessione e di analisi nel suo lavoro, fermo restando che anche l'artista necessita di pensiero, nell'elaborare valide tecniche di creazione artistica efficaci nell'espressione dei contenuti sentiti, così come il filosofo, il logico, il matematico necessitano di una dimensione di immediatezza, in particolare di intuizione intellettuale alla luce dell'intelligibilità dei loro oggetti di indagine, che offre loro i contenuti su cui la riflessione si applica. Ciò che cambia è la costanza e l'intensità con cui la consapevolezza dell'Io si orienta su l'una e l'altra dimensione, nei diversi casi.

bobmax

Per Davintro,
concordo con la tua analisi.
Vorrei aggiungere che secondo me il pensare, a differenza del sentire, implica uno sdoppiamento dell'io.
Per pensare, da uno divento bino, in modo che possa svilupparsi un dialogo tra me e me. Una lotta, un continuo flusso,  dove ipotesi, anche le più assurde, sono proposte da un polo e rifiutate o accettate dall'altro. Un brainstorming che si conclude quando ritorno ad essere uno, per la necessaria sintesi.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

iano

#8
Citazione di: Socrate78 il 21 Marzo 2018, 21:43:54 PM
Secondo voi è meglio dare più importanza nella nostra vita alla dimensione del pensiero (ragione) oppure far prevalere maggiormente quella del "sentire" (emozioni, cuore). La risposta è molto meno ovvia di quanto si pensi, e a me sembra che entrambe le dimensioni possano essere fallaci. I nostri ragionamenti infatti sono troppo influenzati da preconcetti, pregiudizi, che sono come una nebbia che non ci fa vedere la realtà autentica: la ragione quindi, lungi dall'essere sempre efficace, finisce per essere molto manipolabile, influenzabile. Le sensazioni, invece, non possono essere falsate: ad esempio si può convincere una persona a livello razionale a credere che il sesso sia sgradevole e doloroso, ma un'affermazione del genere se posta a verifica crollerebbe come un misero castello di carte!
E' pur vero, però, che anche le sensazioni possano ingannare il giudizio: ad esempio un discorso può sembrarti affascinante, bello, coinvolgente, ma le idee proposte possono nascondere aspetti negativi che tu non vedi, poiché sei come "accecato" dalla dimensione emotiva. Di conseguenza, meglio affidarci al pensiero o al sentimento nelle sue varie forme?
Riferendoti al pensiero usi i termini fallacita' , pregiudizio e preconcetti intesi negativamente e nebbia che nasconde la realtà autentica.
Quindi , sebbene dici che pensiero ed emozioni sono parimenti fallaci  , mi pare tu abbia una leggera preferenza per le sensazioni , per le quali usi l termine "non falsabili".
Io parlerei di perfetta simmetria fra pensiero ed emozioni , ma solo in termini positivi ed operativi.
Il pensiero è il laboratorio dell'emozione , e l'emozione è il risultato finito che non si intende sottoporre ad ulteriori modifiche, perciò appare,relativamente granitica.
Le emozioni a rigore si possono cambiare quindi, anche se non sembra.
In effetti quando ci troviamo di fronte a situazioni drammatiche e insolite per noi , modificare le nostre emozioni può avere il,valore di un salvavita.
L'emozione in se' ha infatti il carattere di salvavita . Qualcosa da utilizzare in caso di necessità in modo immediato , senza starci troppo a pensare, perché se ci pensi troppo potrebbe essere troppo tardi.
È' vero che la fretta è cattiva consigliera , ma a volte il tempo non c'è proprio , quindi meglio ammettere errori inevitabili che non inficiano comunque l'efficienza del processo.
Pregiudizi e preconcetti , seppur non perfetti ,sono parte funzionale del processo simmetrico bilaterale.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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