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Matematica e realta’.

Aperto da iano, 24 Maggio 2018, 06:10:33 AM

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iano

All'inizio di questa storia il rapporto fra matematica e realtà che sperimentiamo è di tipo utilitario ed è forte.
Non solo i numeri ammessi sono quelli che aiutano a descrivere la realtà, ma non si pensa nemmeno possano esisterne altri.
All'inizio di questa storia quindi nella testa dell'uomo matematica e realtà sono ben fusi , come uno l'immagine dell'altro.
Posso rappresentare un numero con un asta e viceversa , in un rapporto di precisa reciprocità.
Poi i greci scoprono che le cose non sono così perfettamente reciproche e nasce il concetto moderno di numero potenzialmente svincolato dalla realtà che sperimentiamo , e questo per chi mastica matematica è ormai un fatto acquisito,ma......
... da cosa era nata allora l'illusione di questa perfetta reciprocità , dove si poteva rappresentare un'asta con un numero e un numero con un asta ?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

epicurus

Secondo me il problema del rapporto tra mondo fisico e mondo matematico si dissolve quando riconosciamo che dietro al termine "mondo matematico" non c'è nient'altro che un tipo di linguaggio, il linguaggio matematico.

Semplicemente la matematica è un linguaggio e come tale è costruito per cogliere alcuni aspetti della realtà. Ovviamente, come il linguaggio ordinario, anche il linguaggio matematico è cresciuto nei secoli, andando inglobando sempre nuovi concetti, cioè riuscendo a descrivere sempre più aspetti diversi della realtà. Ma, ancora, come il linguaggio ordinario, anche il linguaggio matematico può spingersi oltre al mondo reale e descrivere situazioni e aspetti non presenti nel nostro mondo.

iano

#2
Ottima analisi e stimolante.
Non hai risposto però alla domanda finale.
Dove voglio andare a parare?
Se abbiamo superato il realismo ingenuo dei greci , siamo sicuri di non starci ricadendo?
Gli algebristi italiani per risolvere le loro equazioni si inventano dei numeri che non sono veri numeri ammessi , i numeri immaginari.
Sono un trucco per giungere alla soluzione , ma non appaiono nella soluzione all'inizio.
È solo un trucco per far quadrare i conti perché quei numeri non trovano un corrispondente nel reale .In particolare non si riesce a darne una rappresentazione visiva al momento.
Successivamente si trova una rappresentazione visiva per essi e questo aiuta a sdoganarli.
Trucchi simili si sono usati per trovare equazioni soddisfacenti per la MQ , introducendo i quanti, come enti non ammessi come reali inizialmente  , ma che facevano quadrare i conti.
Questo parallelo mi fa' pensare.
La natura dei quanti però non permette di creare per loro una rappresentazione visiva soddisfacente , così sono rimasti in una specie di limbo , mentre i numeri complessi sono stati ammessi nel paradiso matematico.
Avere una rappresentazione visiva è stato fondamentale anche per Einstein nel costruire la relatività.
Mi chiedo quanto in questa esigenza di avere una soddisfacente rappresentazione visiva per digerire le teorie fisiche e matematiche non si celi ancora una buona dose di realismo ingenuo.
Questo realismo ingenuo lo abbiamo superato gia'una volta.
Non è arrivato il momento di superarlo una volta per tutte?
Così ad esempio la particella/onda è solo un trucco che funziona , ma noi ci illudiamo solo di avere in genere cose che non sono trucchi che funzionano!
Qual'e' il trucco che voglio usare qui per far quadrare le cose ?
Se non riesco a immaginare la particella /onda come cosa reale , per dargli dignità, abbasso la quota di realtà di tutto il resto.
In sostanza non esiste un realismo al di fuori di quello ingenuo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

#3
Citazione di: iano il 24 Maggio 2018, 06:10:33 AM
All'inizio di questa storia il rapporto fra matematica e realtà che sperimentiamo è di tipo utilitario ed è forte.
Non solo i numeri ammessi sono quelli che aiutano a descrivere la realtà, ma non si pensa nemmeno possano esisterne altri.
All'inizio di questa storia quindi nella testa dell'uomo matematica e realtà sono ben fusi , come uno l'immagine dell'altro.
Posso rappresentare un numero con un asta e viceversa , in un rapporto di precisa reciprocità.
Poi i greci scoprono che le cose non sono così perfettamente reciproche e nasce il concetto moderno di numero potenzialmente svincolato dalla realtà che sperimentiamo , e questo per chi mastica matematica è ormai un fatto acquisito,ma......
... da cosa era nata allora l'illusione di questa perfetta reciprocità , dove si poteva rappresentare un'asta con un numero e un numero con un asta ?
Ciao @Iano ed @epicurus!

Il tema della corrispondenza tra matematica e realtà è molto complesso ed è necessario affrontarlo con cautela. Nel mondo occidentale già i presocratici avevano l'idea che i fenomeni seguissero una certa regolarità. La filosofia per loro mirava alla comprensione/conoscenza ("nòon"/"sophia"). Sicuramente lo era già per Eraclito. Questo filosofo parlava di misura ("metron"), razionalità ("logos") e ordine ("kosmos") della natura che la sua filosofia cercava di far comprendere. Il suo rivale, Pitagora, molto probabilmente aveva legato le leggi della natura e i ritmi musicali. Anche qui matematica. Ma probabilmente già Talete, Anassimandro e Anassimene avevano già un'idea di "ordine cosmico". Dopo arrivò Platone nel quale ,secondo me, c'è la ragione per cui in occidente è nato il metodo scientifico e non altrove. Già, perchè anche in India e in Cina c'erano idee simili a quelle greche (ah ovviamente la presenza del Logos nel Cristianesimo...), ma nessuno come Platone ebbe l'idea che probabilmente non solo la natura è regolare ma addirittura gli stessi concetti matematici precedono i fenomeni! Platone ideò la dottrina delle Forme (eidos) per la quale il nostro mondo è una "immagine mobile" (e imperfetta) di quell'altro mondo perfetto. La matematica, per Platone, aveva in pratica una natura quasi religiosa. In genere moltissimi pensatori antichi (e non solo greci!) avevano l'idea che la filosofia era legata alla comprensione dell'"ordine" della natura e che questa comprensione poteva portare alla "sapienza", una conoscenza qualitativamente diversa da quella che si apprende normalmente. Ma solo Platone (e i suoi sostenitori) fece la proposta coraggiosa di dire che quell'ordine non è "la natura delle cose", bensì è "da un'altra parte" - posizione che sembra assurda finché pensiamo che le verità matematiche esistono allo stesso modo della materia. Tuttavia se cominciamo ad ammettere che forse ci sono più significati - magari connessi - della parola "realtà", la cosa cambia. Questa idea di Platone così radicali, speiga secondo me, il motivo per cui la scienza è nata in Occidente proprio quando è stato riscoperto il Platonismo nel rinascimento, anche se ora le "forme matematiche" risiedevano eternamente nella mente Divina. Keplero addirittura pensava che l'universo era strutturato come i solidi descritti nel Timeo, i solidi Platonici. Per Galileo:
"La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l'universo, ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto"
In un certo senso, come dice @epicurus è un linguaggio. Ma dire che è un linguaggio, secondo me, spiega pochissimo. Anzi, quasi niente. Perchè infatti una creazione della mente umana dovrebbe descrivere la natura, si chiederà Einstein? E perchè numeri complessi, tecniche matematiche stranissime funzionano? Perchè concetti apparentmente inutili e astrusi si sono rivelati importantissimi per la fisica? Queste sono le domande che ci dobbiamo porre. Sarà pure un linguaggio, ma la matematica è un linguaggio che:
1) sembra contenere verità che sono indipendenti dal tempo;
2) descrive in modo sbalorditivo la natura;
3) si può volendo pensare che ci sia una parte convenzionale nel linguaggio matematico. Ma come possiamo dire che tutto è convenzionale?

In sostanza la stessa regolarità della realtà che gli antichi cercavano di "afferrare" oggi ci è ancora ignota perchè d'altronde non sappiamo cosa sia. Ma la matematica è reale? Personalmente mi ritengo un "realista" in ambito matematico che, addirittura, protende verso il platonismo. Realismo perchè semplicemente la matematica è lo studio della regolarità della nostra mente, della natura ecc e chiaramente anche se ci possono essere aspetti convenzionali, è difficile pensare che le regolarità siano convenzionali (anzi per me è completamente sbagliato). Ma la "fissità" della matematica, la sua indipendenza dal tempo mi fa pensare che non solo "è reale" ma anche che forse in un certo senso "esiste" in modo separato dal mondo fenomenico. Ma anche qui una simile affermazione ha senso se accettiamo che ci possano essere differenti livelli di realtà e/o di comprensione "delle cose". Altrimenti, ovviamente, se diciamo che la sedia "esiste", non possiamo dire che una verità matematica "esiste" se con la parola "esiste" intendiamo il come esiste la sedia. Credo che sia utile pensare a livelli, a gradazioni. Altrimenti si rimane nella dicotomia tra "realismo diretto" e "antirealismo". Personalmente ritengo che il legame matematica-realtà è molto stretto. Tramite la matematica comprendiamo molte strutture insite nei fenomeni e quindi la matematica non è riducibile ad un semplice linguaggio umano. Ma la matematica è anche collegata alla razionalità, al logos. Dunque anche alla natura della nostra mente! Forse è il punto di connessione tra il mondo mentale e quello materiale, come tra l'altro Penrose, se non erro, suggerisce. Quello che semmai non accetto del platonismo è che le verità matematiche in qualche modo creino la matematica (ciononostante per Tegmark, la realtà è matematica.... ogni struttura matematica è realizzata fisicamente).

Dunque forse @iano la chiave per riuscire a non cadere in un realismo ingenuo o in un antirealismo (secondo me altrettanto ingenuo, se non di più  ;) ) è quello di ammettere una posizione intermedia. Purtroppo di recente non molti pensano che ci possono essere differenti livelli di realtà e/o di comprensione. E quindi il dibattito si polarizza tra chi crede che sia "invenzione" e chi crede che sia "scoperta" (lo stesso vale anche per altre discipline oltre la matematica, come l'etica...). Secondo me, se non si ammette una via di mezzo non se ne esce. Entrambi gli estremi hanno per certi versi ragione e per certi versi torto. Nessuno dei due però riesce a dare la chiave del mistero. Oggi va più di moda l'antirealismo, ma personalmente preferisco di gran lunga il realismo ingenuo. Perchè, in fin dei conti, le regolarità (kosmoi) sonno qualcosa di innegabile e indiepndente dalle convenzioni umane.

E se in meccanica quantistica la funzione d'onda fosse in una posizione intermedia tra realtà e irrealtà? Dopotutto Heisenberg paragonava le particelle quantistiche alle Forme platoniche.

Poi come capirono Pitagora e Platone, le proporzioni, le regolarità, l'ordine, i ritmi ecc sono alla base anche del bello, dell'estetica! La bellezza della matematica e delle regolarità... Direi che è difficile che così tante cose siano connesse ad un qualcosa che semplicemente non è reale ;)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

iano

#4
Non è facile trovare la chiave Apeiron , come dici.
Io ho abbozzato nel precedente post , che , se non si riesce a dare alla matematica lo stesso livello di essere che ha la sedia , allora proviamo a dare alla sedia lo stesso livello di essere che ha la matematica.
Cioè proviamo a portare tutto allo stesso livello.
Io non voglio togliere alcun merito al tuo amato Platone ☺️ .
Ma il fatto che la nascita della scienza possa farsi risalire al "trucco" dei due livelli di esistenza inventati da Platone , non ci conferma l'esistemza di più livelli.
Voglio portare tutto allo stesso livello , perché io credo sia unico il livello cui noi abbiamo accesso.
Per me questo livello unico , dove la differenza sostanziale fra la sedia e l'idea della sedia è una illusione , somiglia però più a quello che diciamo mondo Platonico , piuttosto che a quello che diciamo reale.
Ciò perché noi non abbiamo accesso,diretto al mondo reale , ma solo al mondo Platonico , magari moltiplicato al quadrato.
Non sto negando che vi sia un livello del reale , dico solo che noi ci illudiamo di avervi accesso diretto , mentre questo è indiretto attraverso strumenti come la matematica.
Quindi io vedo il mondo attraverso occhiali colorati , quindi il mondo mi appare colorato , così il mondo appare "color matematica".
Così io vedo il mondo come una moltitudine di oggetti , ma forse il mondo reale non è una moltitudine di oggetti.
E' la matematica ad essere quantizzata, o , a scelta , continua e perciò io vedo il mondo quantizzato o continuo.
Io non so' è non posso sapere direttamente come è la realtà.
Posso solo fare congetture , ma dal fatto che il mondo appaia discontinuo ,diviso,in oggetti distinti ,non significa che lo sia.
Non è detto che quegli oggetti distinti esistano.
E se mi appare parimenti diviso nel mondo perfetto delle idee , e in quello imperfetto del divenire , non è detto che questi mondi esistano.
La chiave quindi  forse non è mettere da parte Platone , ma moltiplicarlo al quadrato.
Qual'e' il vantaggio di portare tutto ciò cui abbiamo accesso allo stesso livello?
Un vantaggio psicologico , ma non per questo di poco conto.
Continuerò a procedere per "trucchi" , ma non diro' più che sono trucchi , uscendo da tanti imbarazzanti imbarazzi.😀
Quindi , onore a Platone.😇
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Apeiron

Sì @iano, hai ragione, in effetti! Ed è per questo che io ho distinto due alternative:
1) ci sono piani ontologici diversi;
2) ci sono piani epistemologici diversi (ovvero diversi livelli di comprensione);
Il secondo caso, in pratica, è quello che preferisci tu e che preferiscono anche molti buddhisti (e in parte, anche io in verità - infatti se ci fai caso, non ho detto che secondo me la matematica così come è "è reale" come direbbe Platone...). In sostanza secondo quest'ottica, per esempio, la realtà non ha diversi "livelli". Secondo molti buddhisti, per esempio, il nostro "stato" attuale è caratterizzato da "avijja", parola traducibile con "ignoranza". A causa di "avijja" vediamo la permanenza dove non c'è, il "sé" dove non c'è ecc. Ciononostante gli stessi buddhisti dicono che c'è una "verità convenzionale". Ovvero, utilizzando la tua metafora delle lenti (molto Kantiana!), anche rimanendo "ignoranti" possiamo fare delle descrizioni della "realtà" che sono "più veritiere" di altre. Per esempio, uno che dice che prendendo a pugni il muro ti fai male dice una cosa "più veritiera" di un altro che dice che non sentirai niente (non ci vuole questa grande illuminazione per dirlo). Ciononostante il nostro "stato" è quello di essere "oscurati" da una sorta di filtro che non ci permette di vedere "le cose come realmente sono" (Pali: yathabutham). In sostanza finché abbiamo questo filtro la nostra conoscenza è imperfetta, distorta. Tuttavia ciò non toglie che possiamo avere una conoscenza approssimata e quindi in parte veritiera! In parte, almeno, sono d'accordo con loro (e con te!). Noi siamo in uno stato di "conoscenza distorta", ben distanti dal "vedere la realtà così come è" senza un "mezzo", una "lente" come dici tu.

D'altro canto, anche se la nostra conoscenza è imperfetta ciò non toglie che possiamo progredire. E qui appunto arriva il platonismo. Per esempio: vediamo che possiamo utilizzare la matematica per studiare la natura anche se in realtà sembra solo un artificio della nostra mente. Ma se la matematica fosse totalmente riducibile alla nostra mente come fa a funzionare così bene nello studio dei fenomeni naturali? E viceversa, se fosse riducibile alle regolarità materiali perchè, invece, la matematica sembra così staccata dall'esperienza? Ovviamente, anche qui ci sono diverse soluzioni. 1) Se non possiamo ridurre la matematica né al nostro "mondo mentale" né a quello "materiale" allora ci deve essere un altro "dominio" che non è incluso in nessuno dei due. Questo è il platonismo. Ma il platonismo non spiega, invero, perchè ad esempio la materia segue tali "regolarità".2)  Oppure possiamo pensare che sì la matematica è "reale" ma è, per così dire, la regolarità stessa della materia e della nostra mente (o più precisamente la matematica nasce dal nostro tentativo di concettualizzare tale regolarità). 3)  Oppure la matematica è semplicemente la natura della mente e il mondo materiale è regolare perchè, in realtà, è "mentale", per così dire una proiezione delle nostre menti (o di una mente più grande?). 4) Viceversa con la materia 5) Oppure il nostro mondo è una creazione di una Divinità ed è stato creato "regolare". Come vedi ci sono molte alternative.

La tua "soluzione" è simile alla (2). In pratica al meglio possiamo solo fare approssimazioni ma finché la nostra conoscenza è "oscurata" da determinati filtri non possiamo dire nulla di "vero" nel senso pieno del termine ma solo qualcosa di approssimativo, di "veri-simile". Platone (e Penrose seppur in modi diversi) invece è il tipico esponente delle (1): noi possiamo conoscere l'iper-uranio e il mondo materiale è una sorta di copia movimentata dell'iper-uranio.  Personalmente forse sono tra la "1" e la "2" attualmente: secondo me siamo certamente limitati ma non è detto che la nostra conoscenza sia completamente distorta. In sostanza il solo fatto che abbiamo delle lenti non significa che tali lenti ci portino, necessariamente, a solo una conoscenza "vero-simile". Infatti mentre per la "2" il fatto di avere una lente ci porta a una "errata visione" perchè abbiamo una lente (in sostanza sbagliamo perchè partiamo da un presupposto) ovvero sbagliamo perchè partiamo da assiomi di una certa natura, secondo me a volte l'avere una lente non necessariamente porta ad una conoscenza distorta.
In altri termini: per chi sostiene la "2" la vera conoscenza la si ottiene rimuovendo ogni "lente". Per la "1" invece le lenti danno una corretta visione delle cose. Secondo me, invece, "1" e "2" sono per così dire entrambe vere. Il fatto di avere delle lenti non ci da necessariamente una visione distorta, ma ci fa apprezzare livelli diversi di realtà. A livello ultimo, però, effettivamente la "conoscenza diretta della natura delle cose" la si ottiene, appunto, senza lenti. @epicurus in realtà mi diceva proprio questo in un dialogo che abbiamo avuto - è interessante vedere che, effettivamente, siamo più in accordo di quanto pensavo. La differenza, forse, è che io accetto che ci sia una gerarchia tra le varie "conoscenze".

Secondo me è innegabile la Regolarità delle cose. Senza lenti, volendo, dovremo vederla direttamente. Con le lenti, invece, vediamo una sua immagine "tradotta" a seconda di come è fatta la lente. Se noi esseri umani possediamo tutti le stesse lenti (o almeno alcune di esse sono uguali per tutti) è possibile parlare di realtà condivisa. Dunque, la particolare "lente" matematica produce verità per tutti noi. Più precisamente, noi abbiamo una lente che ci fa "vedere" la matematica come la vediamo noi non appena indaghiamo la regolarità dei fenomeni. Questo ci permette, per esempio, di stabilire che alcune descrizioni delle cose sono migliori delle altre.

Ma questo, effettivamente, ci porta ad un'altra questione: è possibile rimuovere la nostra stessa lente come dicono alcuni buddhisti?  Ad esempio Kant ha fatto lo stesso esempio ma a differenza tua e dei buddhisti, secondo lui, rimuovere la lente (l'io e le sue categorie) era impossibile (credo...). In tal caso, non ha nemmeno più senso parlare di "visione senza le lenti" e a questo punto torniamo ad essere molto vicini alla posizione "2": ovvero che la nostra lente che non possiamo togliere ci mostra che la regolarità dei fenomeni materiali e mentali è, invece, matematica. Questo permette di distinguere due livelli di realtà: quello fenomenico che è appunto formato da mente e materia. E quello "delle regolarità" (e aggiungo io dei valori etici, dei "giudizi" estetici ecc), il quale non è "altrove" come diceva Platone, ma è, per così dire, parte della natura dei fenomeni stessi. Oppure possiamo pensare che non possiamo rimuovere tutte le lenti ma possiamo migliorarne la qualità. In sostanza in questo caso la conoscenza "perfetta" non la otteniamo rimuovendo tutte le lenti ma prendendo quella "giusta". Entrambe queste prospettive mi affascinanano molto, in realtà! Ma finché abbiamo la lente che abbiamo secondo me è giusto dire che la matematica in un certo senso è "reale" e in un certo senso non lo è  ;)

Come vedi sul "mercato" ci sono varie soluzione, basta che si accetta che ci possano essere divessi livelli ontologici e/o epistemologici.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

sgiombo

Secondo me esistono due fondamentali "livelli della realtà": la realtà di fatto e la realtà teorica, pensata.

E sono completamente diversi.

Può essere reale (accadere realmente) che immagino di campare 100 anni in buona salute, mentre potrei morire e/o ammalarmi presto (se fossi  molto diverso da come sono direi "di essere straricco", mentre magari sono povero in canna, o magari "di avere centinaia di bellissime amanti"), ma il fatto di campare realmente di fatto cent' anni in buona salute anziché forse -se fossi superstizioso farei gli scongiuri!- ammalarmi e/o morire presto (o, per coloro a cui piace, il fatto di essere realmente di fatto straricchi anziché poveri in canna) é ben altra, ben diversa cosa!

Due ben diversi significati di "essere" ! ! !

Talora coincidenti (pensiero di un cavallo ed esistenza reale di quel cavallo = conoscenza dell' esistenza di quel cavallo) ma spesso non coincidenti affatto (pensiero di un ippogrifo che non esiste realmente; esistenza reale di un' infinità di cose non pensate; e conseguentemente non conosciute, ecc.).

I concetti matematici nascono secondo me per astrazione - immaginazione dall' osservazione della realtà di fatto concreta.
E dunque spesso (senza alcunché di stupefacente, al contrario di come si dice credesse Einstein) spesso sono (ri-) applicabili allo studio e alla conoscenza della realtà, mentre in altri casi non lo sono (matematica "pura" senza applicazioni fisiche di fatto; almeno fino al momento in cui se ne consideri l' eventualità).

Il_Dubbio

Il rapporto tra la metamatica e la realtà credo sia simile a quello tra le regole di un gioco e i partecipanti del gioco stesso.

In un certo senso la matematica crea migliaia o centinaia di migliaia od anche infiniti giochi poi comunque noi ne giochiamo solo uno.
La matematica crea una sorta di elenco di giochi possibili. Poi noi verifichiamo quale gioco stiamo giocando attraverso l'osservazione delle regole imposte.
Potremmo non sapere che l'acqua bolle perche non abbiamo mai sperimentato questo evento, ma potremmo prevederlo solo attraverso la tiratura di una regola. Se poi scopriamo, facciamo l'esperimento e troviamo che l'acqua bolle per davvero possiamo dire di essere nella strada giusta nell'individuazione della regola.

Ora qui io credo potrebbe nascere un fraintendimento. Quando parlo di regole non sto pensando alla realtà. Infatti come preambolo ho detto che le regole (quindi la matematica) si rapportano con i partecipanti del gioco. Sono questi ultimi la realtà. Questo diventa un grosso fraintendimento  quando, con la m.q. (richiamata da jano) sembra voler intendere una regola, cioè un gioco, senza partecipanti.  La funzione d'onda descrive matematicamente stati sovrapposti ma mai (o quasi mai) qualcosa di preciso e netto come un singolo partecipante al gioco. In questo caso la regola antecede la realtà (che in precedenza non esiste o chi cui possiamo dire poco), la quale poi nasce con l'osservazione ma senza (al momento) la comprensione della regola di creazione. Mi spiego. Quando io mi accingo a fare una osservazione quantistica (prima di farla) non sto misurando qualcosa che è gia in atto. Non solo, secondo le regole che ci sono date, neppure posso prevedere quello che misurerò.  Per cui la m.q. che antecede l'atto di misura non può descrivere la realtà. E' una regola senza giocatori. Quello che io chiamerei "matematica pura" ...
Poi esiste un'altra regola: l'atto di misura rende reale una proprietà, ma questa non segue la meccanica classica. Facciamo conto che la m.q. sia uno scatolo di gioco, tipo il risiko. Io sono il giocatore esterno, o meglio quello che farà l'osservazione, e accanto a me ho altri giocatori/osservatori. Abbiamo un bel gioco da fare ora però ricapitoliamo le regole. Io ho la possibilità di prendere un carro armato viola alla volta il secondo osservatore un carro armato nero, il terzo un soldato un carro armato bianco.  Abbiamo tutti le stesse probabilità: 33%. All'interno dello scatolo però non esistono carri armati e tanto meno la vernice per colorarli. Esistono però delle fessure da dove può uscire un carro armato viola o non uscire alcun carro armato (cosi uguale per gli altri due amici osservatori) Io che faccio. mi metto con un piccolo barattolo sotto la fessura di mia competenza e faccio un klikk dalla parte  del carro armato viola e osservo che alle volte esce un carro armato (che sarà viola per forza) alle volte non esce nessun carro armato. Alla fine quando tutti noi avrermo piu o meno 1/3 dei carrarmati totali incominciamo il gioco del risiko. Prima però il gioco lo ha fatto lo scatolo vuoto ma con una regola ben precisa. Deve restituire ai partecipanti 1/3 di carri armati di un solo colore.
Quella della regola probabilistica è una regola che descrive in comportamento della somma totale dei carro armati. Non del singolo. Il singolo è costretto diciamo a non indugiare troppo nell'uscire.
Come si vede il gioco non ha pezzi reali all'interno, ma per realizzarsi impone una regola probabilistica. Come posso notare la regola interna alla m.q. (che io ho accumunato allo scatolo del risiko) è molto piu importante del partecipante (in quel caso il carro armato). Non può esiste un partecipante senza la regola e il partecipante è reale solo dopo aver rispettato la regola probabilistica.

Per cui per finire la matematica alle volte, come nel caso della m.q. , non descrive la realtà, ma detta le regole della sua stessa esistenza. 

Come abbiamo visto nella discussione sull'entangled (per chi ha partecipato) nato da un argomento parallelo che lo ha fatto nascere (fisica e tempo) alle volte la matematica da una regola per la nascita della realtà e noi la osserviamo mentre si realizza. In taluni casi però le regole cosi trovate non bastano a farci comprendere i meccanismi. Anche la stessa regola probabilistica a me lascia un po' interdetto. Quella è una regola fondamentale o è solo il modo migliore per fare una previsione? Non è molto chiaro. Due sistemi entangled si correlano nonostante siano lontani e nonostante le correlazioni nascano solo ad osservazione attuata; anche questa ultima regola non è molto chiara e ci lascia senza alcuna spiegazione di come facciano a rimanere correlate. Ovvero tra le regole da una parte e la realtà dall'altra, manca una comprensione meccanica che noi fondiamo ad esempio con  il principio di causa ed effetto. Se una dopo l'altra dovessimo abbandonare principi cardine che si legano alla comprensione, per mantenere in piedi solo regole matematiche (scatole di gioco vuote), dovremmo abbandonare l'idea di avere del mondo una "visione" comprensibile.

sgiombo

Tutto questo secondo l' interpretazione conformistica (come mi piace chiamarla; o "corrente", secondo l' andazzo anch' esso corrente) della M Q.

Ma personalmente ne dissento, abbracciando l' interpretazione, non affatto meno compatibile con le osservazioni sperimentali, "deterministica - realistica" di Bohm (e Einstein, Schroedinger, de Broglie e vari altri ottimi fisici).

paul11

#9
Citazione di: Apeiron il 26 Maggio 2018, 00:12:13 AM
Citazione di: iano il 24 Maggio 2018, 06:10:33 AM
All'inizio di questa storia il rapporto fra matematica e realtà che sperimentiamo è di tipo utilitario ed è forte.
Non solo i numeri ammessi sono quelli che aiutano a descrivere la realtà, ma non si pensa nemmeno possano esisterne altri.
All'inizio di questa storia quindi nella testa dell'uomo matematica e realtà sono ben fusi , come uno l'immagine dell'altro.
Posso rappresentare un numero con un asta e viceversa , in un rapporto di precisa reciprocità.
Poi i greci scoprono che le cose non sono così perfettamente reciproche e nasce il concetto moderno di numero potenzialmente svincolato dalla realtà che sperimentiamo , e questo per chi mastica matematica è ormai un fatto acquisito,ma......
... da cosa era nata allora l'illusione di questa perfetta reciprocità , dove si poteva rappresentare un'asta con un numero e un numero con un asta ?
Ciao @Iano ed @epicurus!

Il tema della corrispondenza tra matematica e realtà è molto complesso ed è necessario affrontarlo con cautela. Nel mondo occidentale già i presocratici avevano l'idea che i fenomeni seguissero una certa regolarità. La filosofia per loro mirava alla comprensione/conoscenza ("nòon"/"sophia"). Sicuramente lo era già per Eraclito. Questo filosofo parlava di misura ("metron"), razionalità ("logos") e ordine ("kosmos") della natura che la sua filosofia cercava di far comprendere. Il suo rivale, Pitagora, molto probabilmente aveva legato le leggi della natura e i ritmi musicali. Anche qui matematica. Ma probabilmente già Talete, Anassimandro e Anassimene avevano già un'idea di "ordine cosmico". Dopo arrivò Platone nel quale ,secondo me, c'è la ragione per cui in occidente è nato il metodo scientifico e non altrove. Già, perchè anche in India e in Cina c'erano idee simili a quelle greche (ah ovviamente la presenza del Logos nel Cristianesimo...), ma nessuno come Platone ebbe l'idea che probabilmente non solo la natura è regolare ma addirittura gli stessi concetti matematici precedono i fenomeni! Platone ideò la dottrina delle Forme (eidos) per la quale il nostro mondo è una "immagine mobile" (e imperfetta) di quell'altro mondo perfetto. La matematica, per Platone, aveva in pratica una natura quasi religiosa. In genere moltissimi pensatori antichi (e non solo greci!) avevano l'idea che la filosofia era legata alla comprensione dell'"ordine" della natura e che questa comprensione poteva portare alla "sapienza", una conoscenza qualitativamente diversa da quella che si apprende normalmente. Ma solo Platone (e i suoi sostenitori) fece la proposta coraggiosa di dire che quell'ordine non è "la natura delle cose", bensì è "da un'altra parte" - posizione che sembra assurda finché pensiamo che le verità matematiche esistono allo stesso modo della materia. Tuttavia se cominciamo ad ammettere che forse ci sono più significati - magari connessi - della parola "realtà", la cosa cambia. Questa idea di Platone così radicali, speiga secondo me, il motivo per cui la scienza è nata in Occidente proprio quando è stato riscoperto il Platonismo nel rinascimento, anche se ora le "forme matematiche" risiedevano eternamente nella mente Divina. Keplero addirittura pensava che l'universo era strutturato come i solidi descritti nel Timeo, i solidi Platonici. Per Galileo:
"La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l'universo, ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto"
In un certo senso, come dice @epicurus è un linguaggio. Ma dire che è un linguaggio, secondo me, spiega pochissimo. Anzi, quasi niente. Perchè infatti una creazione della mente umana dovrebbe descrivere la natura, si chiederà Einstein? E perchè numeri complessi, tecniche matematiche stranissime funzionano? Perchè concetti apparentmente inutili e astrusi si sono rivelati importantissimi per la fisica? Queste sono le domande che ci dobbiamo porre. Sarà pure un linguaggio, ma la matematica è un linguaggio che:
1) sembra contenere verità che sono indipendenti dal tempo;
2) descrive in modo sbalorditivo la natura;
3) si può volendo pensare che ci sia una parte convenzionale nel linguaggio matematico. Ma come possiamo dire che tutto è convenzionale?

In sostanza la stessa regolarità della realtà che gli antichi cercavano di "afferrare" oggi ci è ancora ignota perchè d'altronde non sappiamo cosa sia. Ma la matematica è reale? Personalmente mi ritengo un "realista" in ambito matematico che, addirittura, protende verso il platonismo. Realismo perchè semplicemente la matematica è lo studio della regolarità della nostra mente, della natura ecc e chiaramente anche se ci possono essere aspetti convenzionali, è difficile pensare che le regolarità siano convenzionali (anzi per me è completamente sbagliato). Ma la "fissità" della matematica, la sua indipendenza dal tempo mi fa pensare che non solo "è reale" ma anche che forse in un certo senso "esiste" in modo separato dal mondo fenomenico. Ma anche qui una simile affermazione ha senso se accettiamo che ci possano essere differenti livelli di realtà e/o di comprensione "delle cose". Altrimenti, ovviamente, se diciamo che la sedia "esiste", non possiamo dire che una verità matematica "esiste" se con la parola "esiste" intendiamo il come esiste la sedia. Credo che sia utile pensare a livelli, a gradazioni. Altrimenti si rimane nella dicotomia tra "realismo diretto" e "antirealismo". Personalmente ritengo che il legame matematica-realtà è molto stretto. Tramite la matematica comprendiamo molte strutture insite nei fenomeni e quindi la matematica non è riducibile ad un semplice linguaggio umano. Ma la matematica è anche collegata alla razionalità, al logos. Dunque anche alla natura della nostra mente! Forse è il punto di connessione tra il mondo mentale e quello materiale, come tra l'altro Penrose, se non erro, suggerisce. Quello che semmai non accetto del platonismo è che le verità matematiche in qualche modo creino la matematica (ciononostante per Tegmark, la realtà è matematica.... ogni struttura matematica è realizzata fisicamente).

Dunque forse @iano la chiave per riuscire a non cadere in un realismo ingenuo o in un antirealismo (secondo me altrettanto ingenuo, se non di più  ;) ) è quello di ammettere una posizione intermedia. Purtroppo di recente non molti pensano che ci possono essere differenti livelli di realtà e/o di comprensione. E quindi il dibattito si polarizza tra chi crede che sia "invenzione" e chi crede che sia "scoperta" (lo stesso vale anche per altre discipline oltre la matematica, come l'etica...). Secondo me, se non si ammette una via di mezzo non se ne esce. Entrambi gli estremi hanno per certi versi ragione e per certi versi torto. Nessuno dei due però riesce a dare la chiave del mistero. Oggi va più di moda l'antirealismo, ma personalmente preferisco di gran lunga il realismo ingenuo. Perchè, in fin dei conti, le regolarità (kosmoi) sonno qualcosa di innegabile e indiepndente dalle convenzioni umane.

E se in meccanica quantistica la funzione d'onda fosse in una posizione intermedia tra realtà e irrealtà? Dopotutto Heisenberg paragonava le particelle quantistiche alle Forme platoniche.

Poi come capirono Pitagora e Platone, le proporzioni, le regolarità, l'ordine, i ritmi ecc sono alla base anche del bello, dell'estetica! La bellezza della matematica e delle regolarità... Direi che è difficile che così tante cose siano connesse ad un qualcosa che semplicemente non è reale ;)
Nei libri veda degli ari i cicli rappresentano realtà universali, tempi del corso e ricorso e conoscevano benissimo il percorso dell'eclittica fra terra e Sole.
Le tavolette alla Columbia University dimostrano che i sumeri conoscevano benissimo la  trigonometria.
Il culto di Iside in Egitto dimostra che fosse possibile tornare indietro nel tempo, senza invecchiare o ringiovanire, così ebbe un figlio da Osiride che era morto.
La traduzione copta del libro gnostico di Maria Maddalena dimostra che le stesse conoscenze erano perfettamente alla portata da Gesù, quando risorge è maddalena che lo fa comparire come iside per osiride.
Così un pazzo visionario come il sottoscrittto......
Gli antichi anche presocratici, ma siamo già in epoca tarda, avendo avuto contatti con l'Egitto, in cui Gesù fuggi con la famiglia, in cui Pitagora acquisisce conoscenze ermetiche in cui Democrito impara l'atomos sapevano la differenza fra psuchè (che non la psiche) e il nous l'intelletto supremo.
E'Aristotele che sbaglia, abbandona il nous e proietterà tutta la storia del pensiero occidentale nel psuchè.
il rapporto fra psuchè è nous è simile al rapporto  nell'universo all'energia e materia manifesta e conosciuta con l'energia e materia  oscura  e mettiamoci l'antimateria sparita dalla cosmologia, che non conosciamo ma sappiamo che c'è
Il nostro pensiero occidentale è stato focalizzato sulla pratica, da quì la crescita tecnologica senza pari rispetto alle altre culture, ritenendo che la verità fosse nella relazione mappa mentale mappa rappresentativa dell'universo dove quest'ultima sia la prova che conferma verità o falsità.
Persa molta ontologia, diventa preponderante la fenomenologia, dove la gnoseologia o epistemologia segna il sistema relazionale fra pensiero e realtà. ma qualunque conoscenza della realtà ha come presupposto e indotta in primis dalla nostra mappa mentale per cui il linguaggio diventa adattativo come uno strumento dentro un ambiente piuttosto che un altro.
Il nostro pensiero  è indotto verso scopi e finalizzazioni materiali che decretano o no il successo di un pensiero, è come dire che la mia mappa mentale funziona se e solo se la realtà che descrivo è supportata da una gnoseologia segnica ,simbolica e quindi linguistica o semiotica o logica formale poco importa Ma siamo ad un ambiente ancora autoreferente. che si autogiustifica.
E come quando abbiamo una prima espressione algebrica e alla fine del libro c''è la soluzione e quindi ci viene richiesto  come svolgere il problema algebrico per arrivare allo scopo finale che indica l'esattezza. La nostra attuale scienza e linguistica è in questo che sbaglia crede che sia la mappa mentale a sbagliare, che sia giusto il metodo, e che forse lo scopo è modificabile, perfettibile.

La matematica in sè è pura metafisica.Non stupisce che le relazioni metafisica del numero e oggetti fisici reali possano essere correlati, ma ciò che stupisce è che le regole matematiche ,senza necessariamente una realtà fisica funzionino tanto da poi essere correlate.Ma allora significa che la mappa mentale umana è più potente della realtà fisica se riesce solo con leggi dentro un mondo metafisico costruirvi regole, enunciati e postulati per poi riuscire ad applicarli nel mondo fisico.
..il pazzo visionario chiude semplicemente dicendo: la settima razza umana descritta dai veda acquisisce conoscenze da razze precedenti molto evolute(che ogni tradizione descrive a suo modo) che avevano una mente nettamente superiore,la trasmettono ad una neonata razza. Se la mente non è potente, accade che la paura vince la ragione e la conoscenza è funzionale al controllo del fenomeno per vincere la paura. la nostra attuale razza è ancora nella fase del controllo, per questo ha necessità di una scienza pratica che predica i fenomeni e decade in questo tempo storico perchè ha perso il nous concentrandosi sulla psuchè.
ciao

epicurus

Citazione di: iano il 24 Maggio 2018, 20:43:05 PM
Non hai risposto però alla domanda finale.
La tua domanda finale era: "da cosa era nata allora l'illusione di questa perfetta reciprocità, dove si poteva rappresentare un'asta con un numero e un numero con un asta?".

Così funziona il linguaggio. Sono interessato al colore, prendo un uovo e lo utilizzo come metodo per indicare il colore bianco. Così, sono interessato alla lunghezza, prendo un'asta e la utilizzo come metodo per indicare una certa lunghezza.

Originariamente i numeri furono introdotti per parlare di quantità: io ho 5 pecore e tu 2. Così funziona il linguaggio, compreso il linguaggio matematico. Niente di misterioso.

Citazione di: iano il 24 Maggio 2018, 20:43:05 PM
Gli algebristi italiani per risolvere le loro equazioni si inventano dei numeri che non sono veri numeri ammessi , i numeri immaginari.
Sono un trucco per giungere alla soluzione , ma non appaiono nella soluzione all'inizio.
È solo un trucco per far quadrare i conti perché quei numeri non trovano un corrispondente nel reale.
Perché parlare di trucco? Sono semplicemente degli oggetti matematici come gli altri. Le strutture matematiche come i gruppi abeliani, i reticoli o gli anelli sono trucchi? Non penso proprio. La matematica prima di tutto si occupa di oggetti astratti, formali... se poi c'è una qualche forma di corrispondenza nel mondo reale è una contingenza non fondamentale.

I numeri complessi hanno tutta una serie di proprietà matematiche interessanti e solo per questo hanno il diritto di far parte del linguaggio matematico. Poi hanno un'applicabilità pratica, ma non sarebbe stata necessaria.

Come dicevo nel mio primo messaggio: "come il linguaggio ordinario, anche il linguaggio matematico può spingersi oltre al mondo reale e descrivere situazioni e aspetti non presenti nel nostro mondo."

epicurus

Citazione di: Apeiron il 26 Maggio 2018, 00:12:13 AM
Per Galileo:
"La filosofia naturale è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi, io dico l'universo, ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua e conoscer i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto"
In un certo senso, come dice @epicurus è un linguaggio. Ma dire che è un linguaggio, secondo me, spiega pochissimo. Anzi, quasi niente. Perchè infatti una creazione della mente umana dovrebbe descrivere la natura, si chiederà Einstein? E perchè numeri complessi, tecniche matematiche stranissime funzionano? Perchè concetti apparentmente inutili e astrusi si sono rivelati importantissimi per la fisica? Queste sono le domande che ci dobbiamo porre. Sarà pure un linguaggio, ma la matematica è un linguaggio che:
1) sembra contenere verità che sono indipendenti dal tempo;
2) descrive in modo sbalorditivo la natura;
3) si può volendo pensare che ci sia una parte convenzionale nel linguaggio matematico. Ma come possiamo dire che tutto è convenzionale?

In sostanza la stessa regolarità della realtà che gli antichi cercavano di "afferrare" oggi ci è ancora ignota perchè d'altronde non sappiamo cosa sia. Ma la matematica è reale? Personalmente mi ritengo un "realista" in ambito matematico che, addirittura, protende verso il platonismo. Realismo perchè semplicemente la matematica è lo studio della regolarità della nostra mente, della natura ecc e chiaramente anche se ci possono essere aspetti convenzionali, è difficile pensare che le regolarità siano convenzionali (anzi per me è completamente sbagliato). Ma la "fissità" della matematica, la sua indipendenza dal tempo mi fa pensare che non solo "è reale" ma anche che forse in un certo senso "esiste" in modo separato dal mondo fenomenico. Ma anche qui una simile affermazione ha senso se accettiamo che ci possano essere differenti livelli di realtà e/o di comprensione "delle cose". Altrimenti, ovviamente, se diciamo che la sedia "esiste", non possiamo dire che una verità matematica "esiste" se con la parola "esiste" intendiamo il come esiste la sedia. Credo che sia utile pensare a livelli, a gradazioni. Altrimenti si rimane nella dicotomia tra "realismo diretto" e "antirealismo". Personalmente ritengo che il legame matematica-realtà è molto stretto. Tramite la matematica comprendiamo molte strutture insite nei fenomeni e quindi la matematica non è riducibile ad un semplice linguaggio umano. Ma la matematica è anche collegata alla razionalità, al logos. Dunque anche alla natura della nostra mente! Forse è il punto di connessione tra il mondo mentale e quello materiale, come tra l'altro Penrose, se non erro, suggerisce. Quello che semmai non accetto del platonismo è che le verità matematiche in qualche modo creino la matematica (ciononostante per Tegmark, la realtà è matematica.... ogni struttura matematica è realizzata fisicamente).

Ciao Aperion, ribadire (forse) l'ovvietà che la matematica è un linguaggio è per me fondamentale per capire come muoversi in questa questione. Cerco di chiarire meglio le cose.

Tu poni queste domade:

1. Perchè infatti una creazione della mente umana dovrebbe descrivere la natura, si chiederà Einstein?
Se la matematica è un linguaggio, allora possiamo riformulare la domanda in modo più generico: perché il linguaggio descrive la natura? Perché abbiamo creato noi il linguaggio e lo abbiamo creato con quello scopo. Un po' come chiedersi: perché la sedia funziona così bene per farci stare seduti?

2. E perchè numeri complessi, tecniche matematiche stranissime funzionano? Perchè concetti apparentmente inutili e astrusi si sono rivelati importantissimi per la fisica?
Perché a volte costruiamo tali tecniche proprio con l'obiettivo di applicarle a tale contesto (vedi l'esempio della sedia sopra), oppure siamo così bravi a notare a posteriori un determinato aspetto della realtà ben descrivibili da tali costrutti matematici.

Poi osservi questi fatti riguardo la matematica:

a. sembra contenere verità che sono indipendenti dal tempo;
Perché si è costruito così tale linguaggio, cioè si è deciso di parlare di oggetti e situazioni immutabili. La cosa carina, poi, è che è possibile costruire comunque modelli matematici temporali.
Ma prendiamo il "linguaggio degli scacchi". Anche lì c'è pieno di verità indipendenti dal tempo.

b. descrive in modo sbalorditivo la natura;
Vedi le risposte sopra al punto 1 e 2.

c. si può volendo pensare che ci sia una parte convenzionale nel linguaggio matematico. Ma come possiamo dire che tutto è convenzionale?
Come già detto in altre nostre discussioni, sai bene che non sono affatto contento per come viene usato il termine "convenzionale" in molte questioni filosofiche. Quindi eviterei l'ipersemplificante "la matematica è convenzionale" e parlerei nel dettaglio delle sue proprietà.

Ma ha senso chiedersi se l'italiano è reale? Ecco, secondo me tale domanda è poco sensata quando lo è la domanda che si chiede se la matematica è reale.

Inoltre tu dici che la "fissità" della matematica ti suggerisce la sua realtà. E riguardo la fissità del "linguaggio degli scacchi"?

Citazione di: Apeiron il 26 Maggio 2018, 15:56:44 PM
1) Se non possiamo ridurre la matematica né al nostro "mondo mentale" né a quello "materiale" allora ci deve essere un altro "dominio" che non è incluso in nessuno dei due. Questo è il platonismo.
Perché ridurre il "mondo matematico" ad un altro mondo? E poi, ancora, secondo me creerebbe meno fraintendimenti parlare di linguaggio matematico.

iano

#12
Citazione Apeiron.
Perché infatti una creazione della mente umana dovrebbe descrivere la natura si chiede Einstein?
—————————-
La risposta potrebbe essere che .... infatti.....non la descrive ,e il credere che ciò sia da' origine al realismo ingenuo.
Il ragionamento , che sospetto ingannevole,da cui tutto ciò deriva , è che per interagire con la realtà devo conoscerla, seppure in modo approssimato e sempre perfezionabile.
Ma tutto quello che noi strettamente sappiamo è che riusciamo ad interagire con la realtà , magari in modo forse qualitativamente diverso , ma non sostanzialmente diverso da quello di un ameba , la quale di matematica non si sa' bene quanto ne mastichi , ma di certo non legge libri della natura scritti in caratteri di triangoli e sfere.
Quello che noi confondiamo , comprensibilmente , con una sempre migliore conoscenza della realtà, è in effetti una sempre migliore (si spera a buon fine) interazione con la realtà .
Dire che se interagisco meglio allora conosco meglio , temo sia una illazione.
Non faccio meglio perché conosco sempre di più,in una progressione che approssima sempre meglio la realtà, ma perché mi munisco di strumenti sempre più potenti che mi permetto di fare meglio.
C'e' quindi certamente una progressione nel mio lavoro , laddove la mia officina si arricchisce di sempre nuovi strumenti che mi permettono di reinventarlo continuamente , ma tutte le varie fasi progressive non si differenziano in modo sostanziale una dall'altra.
Si caratterizzano infatti tutte parimenti per il fatto che possiedo strumenti che mi permettono di interagire con la realtà.
In genere produrrò nuovi strumenti in vista di un uso preciso , tuttavia spesso gli strumenti prendono il sopravvento sulle nostre previsioni e si rivelano utili oltre l'atteso è in modi inattesi , fino al punto da creare fenomeni di rigetto.
Del tipo ....so' contrario alla pentola a pressione....., dove mi piace citare Cipollino piuttosto che Platone.☺️
Uno strumento non si caratterizza per avere una forma , ma delle funzioni , che possiamo provare a spiegare semmai in funzione della forma.
Lo strumento non descrive , lo strumento funziona.
Esso funziona perché la sua forma , le sue regolarità , entrano in rapporto funzionale con la realtà, dal che' deduciamo che anche questa debba avere una certa forma e certe regolarità.
Una teoria matematica apparentemente astrusa e del tutto astratta equivale ad uno strumento di fantasia , al quale però, una volta portato in officina , una funzione si può sempre trovare , allo stesso modo che uno strumento indirizzato ad un preciso uso si mostra inaspettatamente utile per altri usi del tutto nuovi.
La cosa singolare è che tanto più il mio lavoro si evolve grazie ai nuovi strumenti tanto più si verificano fenomeni di rigetto verso questi.
Se io studio da falegname col tempo il mondo per me appare ingenuamente come una falegnameria, ma i lavori sono tanti e nessuno è eterno.
Se col tempo la mia falegnameria si modernizza , no stante le mie umane resistenze , superati i fenomeni di rigetto,al punto che stento a riconoscerla , non significa che mi sono avvicinato di più alla conoscenza della falegnameria , avendone una migliore descrizione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#13
Io credo che esista una realtà, e lo credo perché non posso provarlo.
Ciò che vedo , ciò che sperimento , ciò che teorizzo,seppur in modo comprovatamente difettoso , non si avvicina alla realtà , seppur per difetto.
Non possiamo approssimare la realtà , in quanto ne siamo parte , ma possiamo solo acquisire la consapevolezza di esserne parte.
In effetti il processo di conoscenza non è una approssimazione , ma un allentamento dalla realtà , che vale come una presa di coscienza.
Impossibile non avvertire echi biblici in ciò che scrivo , seppur senza alcuna mia intenzione di evocarli.
L'illusione della conoscenza della realtà equivale all'illusione di esserne distinti, e queste illusioni sono esse stesse parte della realtà.
In una realtà unica e indistinta non necessita alcuna coscienza , ma siccome la coscienza esiste , allora la realtà non è unica e indistinta e noi ne siamo parte , ed essendone parte "siamo di parte" , di modo che vorremmo ridurre a noi stessi la realtà, alla nostra conoscenza , alla nostra illusione di poterla ridurre ad una nostra descrizione.
Ma quella descrizione non è la realtà, ma il prodotto della scissione da quella realtà.
A mio sentimento , al di la' dei previggenti echi biblici , in questa scissione io non ci vedo alcun male , perché essa è la mia vita e io sono felice di viverla senza alcun senso di colpa.
E anzi , semmai , mi sembra peccato l'ansia che ci prende di volerci ricongiungere in modo indistinto alla realtà,ciò che comunque avverrà, che si parteggi o meno.
A me semplicemente sembra di vivere un bel gioco , che per essere giocato ha bisogno di regole , però ciò che conta è il gioco , e non le regole.
Giochiamo a "Noi siamo distinti dalla realtà " e stabiliamo la regola due più due uguale quattro.😋
Ma poi , come i bambini ci insegnano,il gioco e' cosa molto seria , come se fosse vera.
Lo stesso gioco quando viene riprodotto dagli adulti , i quali negano di star giocando , è quello della realtà ingenua.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#14
Una "descrizione della realtà " è parte della realtà, ma non la realtà.
Le masse con cui descrivo la realtà perciò sono parte della realtà, ma la realtà non è fatta di masse.
Che la realtà sia fatta di masse è una nostra innocente illazione ,e a noi pare davvero che le cose stiano così,e millantiamo che le cose stiano così perché si dimostra utile pensare che le cose stiano così.
Ma l'unica essenza delle masse è quella di essere una utile descrizione della realtà,e non di essere la realtà,seppure il crederlo non è privo di qualche vantaggio.
Non credo infatti possa considerarsi di aiuto il continuo ricordare a se stessi che ciò in cui dentro ci sembra di vivere è solo un provvisorio racconto , perché ciò non ci aiuta a vivere meglio questo racconto.
Questa capacità ,di illudersi ,di credere di vivere dentro il nostro racconto , come non fosse nostro , è umanamente commovente , a mio sentire.
E' come se ,essendo nati zingari , andassimo sempre in cerca di una casa , perché in effetti sembra utile averne una,e oggi la mia casa è fatta di masse e a quella resto fedele , come si rimane fedeli alla casa in cui si nasce.
Domani invece mi trovo in una nuova casa fatta di onde/particelle e non la sento mia come quella in cui sono nato , fosse anche più bella , più grande , più confortevole e funzionale.
La realtà ingenua è semplicemente la stamberga del nostro cuore.
Ma i miei figli nasceranno nella casa nuova è quella lascerà in loro l'imprinting.
La loro casa del cuore però nella sostanza non è diversa dalla mia vecchia casa del cuore e la sostanza è che la realtà ingenua è una casa confortevole in cui vivere , dimenticando di essere zingari.
Cambiare spesso casa , si sa' , non è piacevole ,e quando succede a tarda età a volte perfino fatale.
Ma è un rischio inevitabile se ci piace giocare al gioco della conoscenza.
Se ci piace esplorare nuovi mondi ,  che però poi è sempre lo stesso mondo , raccontato in modi diversi , noi siamo qui per il piacere di raccontarlo , confondendo il mondo con il suo racconto , come una casa in cui stare.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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